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Sangue marcio

di Antonio Manzini

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All’istituto il Natale era il momento più bello dell’anno.
Accompagnati dal professore ce ne andavamo in giro per Torino, in fila, a guardare le vetrine dei negozi e i bar. C’erano luci e macchine che suonavano senza senso. E la puzza di zolfo misto a concime mi tartassava le narici.
Io avevo un piano preciso. Facile da mettere in pratica. Rischi calcolati prossimi allo zero. Quando entri con dodici persone in un piccolo negozio fare quello che dovevo fare era uno scherzo.

Era un bella pasticceria del centro. Antica e accogliente, tenuta da due signori anziani. Il marito stava alla cassa, la moglie dietro il bancone. Le scansie erano ricolme di palle di Natale e fili d’argento. Torroni e gianduiotti sembravano far crollare sotto il loro peso le vecchie mensole di legno.
Guardai Gino, il mio cameriere. Gli ordinai – Vai! Adesso! – . Lui masticò l’alka selzer, si buttò a terra e cominciò a rantolare. Tutti corsero verso di lui. Grida, schiuma dalla bocca. Un signore stava per comprare un panettone. Lo mollò e scappò spaventato dal negozio. I due proprietari si lanciarono su Gino che si dimenava come un topo in trappola e sbatteva la testa sbiascicando e sputazzando bava biancastra. Avevo una manciata di secondi. Non avevo paura. Non sentivo niente. Il cuore pompava regolarmente. Andava bene così, dovevo rimanere calmo ed essere il più veloce possibile. Dei dolci e delle caramelle non me ne fregava niente. Io puntavo alla cassa. Girai intorno al bancone ed ebbi fortuna. La cassa era aperta. Alzai il coperchio dei soldi spiccioli. Sotto c’erano le banconote. Le afferrai e me le misi in tasca. Nessuno mi aveva visto. Nessuno faceva attenzione ad un solo ragazzo quando altri dodici urlavano e ridevano guardando Gino per terra. Tornai accanto al mio cameriere. Quello aprì un occhio, io annuii e lui, lentamente, si calmò. Era il segnale. Il professore lo rimise in piedi. Qualcuno gli passò un fazzoletto per pulirsi la bocca. Gino fingeva un giramento di testa. Ancora oggi mi chiedo come potevano cascarci, era un pessimo attore. Credo che l’alka selzer fosse la chiave di volta. Aggiungeva una bella dose di drammaticità al tutto. Un bambino che sbava non è un bello spettacolo. Gino aveva fatto il suo dovere. Si era risparmiato una iniziazione natalizia. Uscimmo all’aria aperta e ci dileguammo per le strade del centro. Avevo fatto più di trecento mila lire.

La sera nella camerata Gino si avvicinò, con la sua faccia da castoro e i suoi denti guasti.
-Quanto abbiamo fatto?
-Abbiamo? – gli chiesi guardandolo duro – Ho fatto Gino. Tu sei lo schiavo, fai solo quello che ti dico e basta.
Non so cosa aveva in testa Gino quella sera. Ma si ribellò.
-Non vuoi darmi niente? E io lo dico al professor Marini…
-Sbagliato! – gli risposi.
Lo presi per un orecchio. Nella camerata nessuno ci badò. Gino era il mio cameriere e quello che gli facevo non interessava a nessuno. Lo portai in bagno. Lui mi guardava. Aveva paura.
-Tu fai quello che ti dico io – gli dissi. Poi gli diedi uno schiaffo talmente forte da fargli girare la testa. Gino cadde per terra. Aveva gli occhi lucidi.
-No… no… – mormorò.
Lo girai e gli tirai giù i pantaloni.
-Ti prego… no… è Natale!
Mi venne da ridere. Che c’entrava? Gino andava punito e basta. Solo che a me non andava. Avevo l’uccello moscio. Presi lo spazzolone per pulire il water. Era di legno. Lo cosparsi di sapone, mentre Gino mi implorava.
-Stai zitto Gino. O vuoi dormire con la paura che una notte di queste vengo e ti do fuoco?
Presi il manico dello spazzolone e cominciai a penetrarlo. Si opponeva. Piangeva e si opponeva. Lo colpii forte sulla nuca. Lentamente sentii i suoi muscoli addolcirsi e accettare la punizione. Non poteva competere. Non ce la faceva. Lo spazzolone era sicuramente più grosso del mio affare. Decisi che una decina di centimetri poteva bastare e glielo infilai dentro. Lui mugolava di dolore, come un maiale.
-Non permetterti mai più… nessuna ribellione col tuo padrone… sono stato chiaro?
-Sì… sì…- riuscì a sibilare fra le lacrime.
Lo spazzolone fa male. Io stesso l’ho provato due volte. Gino si rifarà con qualcun altro, quando crescerà, pensavo. Ora doveva subire. Lo facevo entrare ed uscire. E potevo farlo per il tempo che volevo, anche fino a tarda notte. Più lo facevo andare, meno resistenza trovava. Gliene infilai ancora un paio di centimetri. Lui tirò su la testa, con un brivido. Non piangeva più. Stava con gli occhi chiusi. Il legno lo percuoteva, ma lui sembrava lontano anni luce dal bagno, dall’istituto, da me. Lo guardai. Aveva l’uccello duro. E anch’io. Tolsi lo spazzolone e ci infilai il mio attrezzo. La cacca di quell’animale aveva sporcato tutto il manico. Avrebbe dovuto pulirlo.
-Tu fai quello che dico io… di’ di sì…
-Sì…
-Sì cosa?
-Faccio quello che… dici tu.
Poteva bastare. Tirai fuori il pisello. Era tutto sporco.
-Animale! Guarda! Adesso me lo lavi.
Gino aprì gli occhi. Io mi avvicinai al lavandino.
-Avanti lavalo. Lavalo ho detto!
Aprì l’acqua e cominciò a togliere tutto quello schifo. Lentamente. Delicatamente.
-Adesso asciugalo.
Si guardò intorno. Stava per prendere della carta igienica. Poi ebbe un’idea. Si inginocchiò davanti a me. Lo prese in bocca e cominciò a succhiarlo neanche fosse un cono gelato. Non c’era bisogno, l’iniziazione era finita. Glielo tolsi con violenza dalla bocca e gli diedi un cazzotto sul collo. Cadde per terra.
-Ma che cazzo fai? Ma che sei frocio? Vaffanculo Gino… chiedimi scusa e baciami i piedi!
L’iniziazione finiva sempre così. Si baciavano i piedi al capo. A me, cioè.
Uscii dal bagno chiudendomi la zip dei pantaloni. In camerata tutti sapevano cosa stavamo facendo e nessuno era entrato a disturbare. Era una cosa normale. Se c’era un’iniziazione in corso non si entrava. Se eri un capo potevi andare e partecipare attivamente alla cosa. Se eri un cameriere meglio che stavi alla larga, sennò ti beccavi un’iniziazione fuori programma. Erano regole antiche. L’istituto andava avanti così da sempre. E chi eravamo noi per cambiare?

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4 Commenti

  1. Dopo i cento colpi di spazzola di Melissa P., vedo che alla Fazi si sono buttati sui cento colpi di spazzolone di Manzini:-/
    Impossibile giudicare ‘Sangue marcio’ da questo solo frammento, che racconta cose terribili in tono studiatamente annoiato. Bisogna vedere dove il tutto va a parare…
    Ma il libro venderà senz’altro. Facciamo all’incirca mezzo milione di copie?
    Auguri a Manzini per il suo ‘Dei collegiali non si sa niente”.

  2. Ho letto il libro di Manzini: è inquietante.
    Ti prende per mano e ti porta verso il male che è dentro ognuno di noi, ti porta a considerare che ogni persona che ti passa davanti potrebbe nascondere chissà qual mistero.
    Gran bel libro. Assolutamente da leggere.

  3. Il termine giusto è proprio “inquietante”. E’ vero, dal brano riportato non si possono trarre conclusioni, anche se tutto il romanzo è avvolto dal cinismo che emerge da queste poche righe.
    Trovo sia davvero ben scritto e lo si legge d’un fiato… e alla fine (e anche durante la lettura) ti fermi e rifletti…

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