I leoni
di Beppe Sebaste
All’incontro torinese sulla Restaurazione dello scorso 9 maggio, Beppe Sebaste aveva inviato questo brano tratto da un suo libro. Per motivi di tempo non è stato possibile leggerlo. (T.S.).
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Ci sono modi di scrivere che è come respirare. Ci sono toni che sono come l’aria.
Altre volte, invece, si è come leoni drogati seduti sullo sgabello, in una gabbia di ferro rotonda: di fronte a noi un domatore con la frusta e i lustrini ci colpisce per mettere la testa dentro la nostra bocca. Ancora una volta, condiscendenti, ne approfittiamo per fare uno sbadiglio. Il nostro acuto odore di leoni ci desta brandelli struggenti di ricordi di corse a perdifiato, di aria cruda come carne, di erba selvaggia, non ancora però abbastanza intensi da farci serrare le mascelle, scendere con un balzo dallo scranno, e ritrovare la nostra vera voce.
Ma un urlo, anche se abbassi il volume, rimane sempre un urlo.
(da: Niente di tutto questo mi appartiene, Feltrinelli 1994, pag. 117)
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vai cinghialetto!!!
Curiosità tratta da “l’Unità” di giovedì scorso, p. 25. Prendo a leggere l’articolo di Beppe Sebaste: “Nomina sunt omina, i nomi sono le persone…”. Segno blu marcato. L’adagio è “nomen omen” e vuol dire “un nome un presagio”. Sebaste confonde il plurale di homo che fa homines, con il plurale di omen che fa omina.
Naturalmente, il tronfio Sebaste farebbe bene a ripassare il latino, o perlomeno a non compromettersi com strumenti che non sa utilizzare. Altrimenti il domatore fa bene a frustarlo e a tenerlo chiuso in gabbia!
Mi sembra una svista madornale, questa di Sebaste. Davvero imeprdonabile. Ma dico: a L’UNITA’ dormono?
Vi meravigliate? Sebaste mi risulta che abbia delle entrature sentimentali a quel quotidiano…
E sarebbero, queste entrature? Visto che Sebaste non si fa vivo, almeno facciamo un po’ di inciuci…
Giuseppe Esposito (se si chiama così) ha assolutamente ragione: “omen-ominis” vuol dire presagio, o augurio. Non è che ho confuso homines con omina, sarebbe un bel lapsus, une bella stronzata (“imperdonabile”, ha scritto qualcuno: beh, questo non lo so) e se ho dato questa impressione la vergogna è tutta mia. Se a qualcuno interessa, a volte i pezzi per i giornali si scrivono molto in fretta, e a volte non si rileggono: quello che so è che nella testa (e nelle dita che digitivano) seguivo un’idea che da “presagio” andava a “carattere” nel senso anche di “destino” (daimon) e quindi a “persona”, e io volevo dire questo, che nei nomi c’è già la storia passata e futura delle persone (e delle cose): i nomi sono le persone. Che sia venuto così, come una contrazione di tutta l’idea che si presenta come un lapsus e un’omissione insieme, mi dispiace molto. In tutti i casi quel breve articolo, lo dico per chi non lo ha letto, difendeva il nome “loreto” di piazzale loreto, con tutta la sua storia di partigiani uccisi e di gerarchi impiccati, contro chi vorrebbe occultarne il nome e la storia sotto un’idologica “concordia”. Interessa a qualcuno questo? Quanto agli “inciuci”, alle presunte “entrature sentimentali” all’Unità (?), davvero non posso e non riesco a seguire gli intenti degli anonimi che usano i commenti per tutto fuorché commentare i testi che vengono pubblicati su questo sito… Saluti, beppe s.
Tacòn pezor del buso.
Ringrazio vivamente Beppe Sebaste per averci fornito un ottimo esempio di come ci si possa arrampicare sugli specchi nutrendo una forte speranza di non farsi male. La moralità del suo articolo frettoloso e non riletto per l’Unità (bella pubblicità per la pagina culturale di un giornale serio!) ne esce immacolata, anzi rafforzata dall’assunto generale: difendiamo il nomen Loreto, il cui omen è intriso del sangue partigiano e di quello del tiranno. E che nessuno si azzardi a pensare ad altro, passando per quel piazzale, sarebbe reo di mancato riconoscimento dell’omen relativo al suo nomen.
La Madonna di Loreto ci assista!
Saluti
Giuseppe Esposito
Non ho ben capito quello che dice Esposito in replica a Sebaste, ma, per quanto mi rigaurda, credo sia assolutamente spudorato (altro che immorale…) scrivere una giustificazione del genere di quella che ha scritta Sebaste per una evidente cosa che ignorava e che ha voluto scrivere lo stesso non si capisce perché. In altri tempi – più seri, forse – Sebaste avrebbe scritto su l’unità un articoletto di scuse, o un trafiletto o qualcosa di analogo. Altrimenti è solo inverecondo un comportamento tanto superficiale e sprezzante nei confronti dei lettori (scrivo di fretta, etc). In ongi caso, anche questo mi sembra un bel segno dei tempi, un chiaro esempio di come la scrittura diventi sempre più un affare superficiale e frettoloso nelle mani di gente che dovrebbe avere la massima responsabilità, e invece scrive sempre più come se scrivesse un commento in un blog. Traete voi le conclusioni.
E lasciatelo in pace Beppe il cinghialetto! Ha fatto una figura di merda, si è scusato per la sua ignoranza, che altro può fare? Se ci sono pagine culturali che danno spazio ai suoi svarioni forse la colpa non è del cinghiale ma del caposervizio del quotidiano. Chi è costui o costei? Lo sapete? Beh, informiamoci, poi ci facciamo due risate.
FUORI IL NOME!
Sebaste, vai a zappare la terra!
adesso se il responsabile delle pagine culturali dell’unità facesse qui ammenda sarebbe una cosa giusta e onesta.
ASPETTA E SPERA!
Leggendo questi commenti al pezzo di Sebaste mi pongo una domanda facile facile: perché tanto astio per un semplicissimo plurale al posto di un singolare? Questo mi sembra davvero singolare.