Articolo precedente
Articolo successivo

Blogpensieri

mesca2.jpg Di Biagio Cepollaro

Queste riflessioni sono anticipazioni di ciò che uscirà in giugno sul Supplemento al V Quaderno del blog Poesia da fare, ora diventato rivista mensile on line in pdf (www.cepollaro.it). Il tema del presente e della poesia è sotteso a tali blogpensieri e talvolta si fa esplicito.

Il gesto non-collaborazionista

Ciò che fa di un gesto un gesto ‘non-collaborazionista’ non è il suo conformarsi ad un’ideologia ‘antagonista’, tutte le ideologie, proprio perché ideologie sono costruzioni menzognere che mimano uno spazio pubblico quando la verità amara dell’Occidente contemporaneo è proprio l’assenza dello spazio pubblico.

Conta la motivazione del gesto, il suo stile, il milieu che lo ha generato: tratti sottili che assomigliano più ad una performance artistica che ad un proclama di principi. Il rifiuto del non-collaborazionista è così profondo, così radicato, antropologico, necessario, che è già diventato curiosità per il mondo così com’è, è già diventato disponibilità a trattare il resto come il prossimo: mondo tutto curvato sui giorni, consapevolezza della propria età, delle proprie ‘speranze di vita’.

Le teste scoppiano
Si è così abituati a mentire a se stessi, non tanto per infingardaggine quanto piuttosto per fretta, per indaffarata superficialità, che occorrerebbero ore e ore di meditazione silenziosa per rendere il proprio spazio mentale respirabile. Le teste scoppiano di frammenti di discorsi e di propositi, le emozioni sono reazioni a stimoli più che relazioni umane, l’abuso che si fa di sé – lo spreco – è pari solo allo spreco degli altri: non occorre arrivare ad additare lo sfruttamento capitalistico per produrre questa desertificazione del mondo, bastano in parte già i nostri cosiddetti rapporti personali, il nostro modo di rispondere al telefono, di scrivere una lettera, di comportarci sul posto di lavoro, anzi, basterebbe il modo con cui trattiamo noi stessi e il nostro spazio mentale.

La poesia di alcuni trentenni bloggati
Le parole della poesia di alcuni trentenni bloggati sembrano gravitare intorno ad una soggettività dispersa, per nulla illusa, per nulla disposta a perdersi nella mitologia del linguaggio, ma neppure pronta a cedere all’illusione di una realtà esterna comprensibile, facilmente decifrabile. La lingua della poesia di oggi, quella che a grandissime linee si può configurare come quella che viene proposta dai poeti più giovani, sembra essere una lingua d’emergenza, d’uso quotidiano quando è proprio il quotidiano a non avere più dimensioni. A cominciare dalle dimensioni sociologiche: la sicurezza di un lavoro, la stabilità della casa, la minacciosa tradizione di posizioni intellettuali e relative discriminazioni. Forse è proprio questa esplosione e impossibilità del quotidiano, precarizzato e ‘adrenalinizzato’ al ‘si-salvi-chi-può’, la ricerca resa urgente da questa situazione, il contributo più significativo di questi poeti, già ‘navigati’ (in Rete).

La Storia privatizzata
Il pensiero rivolto a sé ha il piglio della privatezza ma spesso la sostanza può essere ‘pubblica’, mentre il pensiero rivolto al ‘pubblico’ può avere il piglio collettivo ma la sostanza può essere privatissima. Ciò che può dar fastidio ad un certo punto è il giudizio su questioni collettive: traspare troppo la privatezza della motivazione. È difficile un discorso che riguardi il ‘pubblico’ forse perché la dimensione pubblica non è solo un registro retorico ma anche una situazione storica. Come dire: oggi i discorsi ‘pubblici’ sono destinati a restare chiusi nella retorica perché la storia non aiuta, perché la situazione non c’è. Eppure la storia c’è, eccome!, e sempre ci sono situazioni… Storia e situazioni non afferrabili dai discorsi, parlanti scollati radicalmente dalle situazioni… Ma come, anche la storia più che essere ‘privata’ è stata ‘privatizzata’? Come la Storia tende a coincidere con i mezzi di comunicazione?

L’intenzione realistica
A prima vista un’intenzione realistica dell’arte può sembrare anche di per sé cosa buona. Ma, a parte la questione delle intenzioni e dell’inferno lastricato da esse, c’è da chiedersi cosa possa voler dire oggi tutto questo. Certo, si disse che la fotografia aveva posto in crisi un modo di dipingere, il figurativo, ma oggi? Oggi l’effetto di realtà prodotto da sistemi virtuali sembra escludere a priori una concezione ottocentesca (e forse anche novecentesca) di realismo. E non è strano che proprio nel momento in cui si proclama assottigliato il limite tra realtà e non-realtà, proprio nel momento in cui è sottile la distinzione, nell’universo dell’immateriale, tra il reale e il virtuale, non è strano, dicevo, che ricompaiano forme di realismo estremo che si compiacciono degli aspetti più degradati, ad essi adeguando contenuti e forme?

Forse mai come in questo periodo un’intenzione realistica potrebbe venire brutalmente destituita di senso: a cosa mi serve un romanzo che mi racconta le storiacce che già conosco, che ho già visto – o intravisto – perfino ai tg? Non sono questi i mezzi che producono il realismo oggi, cioè la perfetta finzione dell’effetto di realtà, come il Grande Fratello? Se non fosse stato per Pasolini chi avrebbe raccontato le storie dei suoi ‘ragazzi di vita’, facendo scandalo? Ma oggi sembra che nulla di orrido ci è celato, anzi. E allora quell’intenzione realistica oggi si ribalta in una proposta irrealistica: dice male ciò che qualsiasi trasmissione televisiva un po’ pruriginosa dice bene, senza neanche richiedere lo sforzo della lettura.

Paradossalmente sarebbe più realistica un’intenzione che non punti all’effetto di realtà: di fatto pare che la nostra vita solo a tratti conservi la consistente permanenza di ciò che è reale, per lo più sembra che sia, come dire?, una mescolanza di fantasticherie telematiche, stress, usura dei corpi e delle macchine, ansietà e smanie. E poi distrazioni, momenti di presenza a sé, e angoscia di diventare in qualsiasi modo qualcuno e, infine, sonni più o meno con sogni. O no?

La parola della poesia
Si sa che la parola della poesia è lenta. Ma un conto è la lentezza, un altro l’assoluta mancanza di agevolazione, di sconto sul suo consumo… Nel linguaggio informatico si usa parlare di ‘interfaccia amichevole’ per indicare una certa facilità, anche per il profano, di utilizzare un sistema operativo o un programma… Per lo più in queste semplificazioni ci si allontana dal linguaggio macchina, cioè da quel mondo nascosto di ‘istruzioni’ che fanno il programma. Per la parola della poesia questa semplificazione non può essere proponibile. La poesia non è mai amichevole pur essendo fatta di retorica, cioè di arte della persuasione, persuasione interna, coerenza interna, dall’effetto imprevedibile. Ci si può affezionare ad una poesia ma la poesia non si affeziona a noi. Questa sua riservatezza è anche la sua inesauribilità. La parola della poesia non vuole arrivare al lettore, il suo problema non è di arrivare ma di ‘andare’, confrontare la sua mezza oscurità con la mezza luce che ci può dare.

In fondo una parola che non scivola via per quale ragione ci dovrebbe prendere? Una parola che non si abbrevia, che non si banalizza, una parola vera e propria, con tutto il peso di secoli del dire, del detto, che emerge da quel deposito in cui il banale è imbarazzante… Viceversa sentirsi profondamente e continuamente imbarazzati per le parole che vengono dette oggi e scritte, che vengono urlate, come se fossero vere, come se fossero parole…

L’ascolto che una poesia richiede, se è buona poesia, è talmente intenso che viene da pensare a quanto sia difficile oggi, che non c’è tempo, si dice, neanche per ascoltarsi tra coniugi. La riduzione del telegiornale a televideo può anche essere giustificata dalla scelta per l’essenzialità della notizia a fronte dello spettacolino mascherato da notiziario, ma nel dialogo umano non si può essere essenziali, qui vige il dominio della pausa, del tono, della capacità di tollerare il silenzio e la differenza. Dunque, come spesso succede, non si comincia neanche e si sostituisce alla realtà della relazione, l’abitudinarietà della procedura, quella che per lo più appare come normalità. Questa forma di opacità che accompagna i gesti si potrebbe considerare come la radicale assenza di poesia (non l’atteggiamento pratico, dal momento che la poesia è essenzialmente una pratica, di vita).

Le disposizioni ovvero l’etica dello scrittore
Sia il testo poetico ‘complesso’, sia quello ‘semplice’, sono artificiali, sono raffinati modi della retorica e della stilistica. Nel primo caso si può ritrovare l’allusione al mondo irriducibile, alla sua contraddittoria complessità, appunto, nell’altro caso alla voglia o alla possibilità di semplificarlo, di toglier via, di venire all’essenziale. Possono essere due modi, tra tanti, di sognare di fronte all’inesplicabile dell’esperienza. Perché non vi sia deriva nichilistica, entrando nel gran mare della retorica, immagino a monte, delle diverse possibili disposizioni. In agguato c’è, infatti, l’esibizione che della complessità (e di quel mistero) ne fa compiacimento sterile e, dall’altra parte, vi può essere quel toglier via regressivo, di chi, di fronte all’inesplicabile, finge una soluzione già tutta dispiegata, laddove ha solo saltato il fosso, come chi si vanta di non possedere doti intellettuali e di esser per questa deficienza più disincantato e libero, più in sintonia con la novità dei tempi. In ogni caso quell’esperienza se ne sta chiusa nel paradosso della sua nominabilità infinita ma a mutare è l’etica dello scrittore, cosa difficile da descrivere e che per comodità ho chiamato disposizione.

Alla fine, come è ovvio, sta al lettore percepire se qualcosa dell’inesplicabile che appartiene alle nostre vite, al di là delle statistiche e delle prevedibilità, risuona, se vi è stato fuoco e piacere della conoscenza, oltre ad una ragionevole dose di risarcimento narcisistico dell’autore che, proprio in quell’inesplicabile, per noi, si è inoltrato.

(disegni alla mescalina, Henri Michaux)

Print Friendly, PDF & Email

1 commento

  1. > Si è così abituati a mentire a se stessi, non tanto per infingardaggine quanto piuttosto per fretta, per indaffarata superficialità, che occorrerebbero ore e ore di meditazione silenziosa per rendere il proprio spazio mentale respirabile. Le teste scoppiano di frammenti di discorsi e di propositi …

    Immagine molto “vera” quindi molto bella.

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

“Sì”#3 Lettura a più voci

di Laura Di Corcia
È un libro, in fondo, sul desiderio; un libro che pare costituito da risposte, più che da domande. Un libro di esercizi di centratura. Ma anche un libro che mira a un’ecologia della mente e della scrittura "Sì" di Alessandro Broggi...

Da “80 fiori”

di Louis Zukofsky
Traduzione di Rita Florit. Prima traduzione italiana del più "teorico" degli oggettivisti americani.

“Si”#2 Lettura a più voci

di Renata Morresi
Un'altra voce, un'altra lettura del lavoro di Alessandro Broggi, a partire da "Sì"

“Si” #1 Lettura a più voci

di Andrea Accardi
e di Leonardo Canella
leggono "Sì" di Alessandro Broggi. Un progetto di lettura a più voci e secondo approcci anche molto diversi di un libro difficilmente classificabile.

V.C.B.*

di Giancarlo Busso 
Il cortile della cascina era in catrame. Il catrame in estate è diventato un problema, ma questo non accadeva quaranta anni fa. Arrivavano camion pieni di bestiame dalla Francia, alcuni camion avevano milioni di chilometri percorsi e potevano ancora percorrere il periplo della terra, tante volte quante era necessario per ritornare qui nel cortile di catrame.

Da “Hitchcock e l’elitropia”

di Riccardo Gabrielli
A detta del "Dictionnaire portatif" (1757) del Pernety, furono i pittori italiani che, in accordo a una fulgida polisemia, cominciarono a chiamare “pentimenti” un carattere tipico dei disegni, ossia quell’indugio, quella specie di esitazione che non è già cancellatura, bensì ventaglio di idee transitorie, simultaneità dei possibili: le teste ritorte in ogni direzione, i viluppi di braccia e gambe doppie, le stratificazioni a matita...
andrea inglese
andrea inglese
Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: