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Non aprite quella porta

di Raul Montanari

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Il titolo di un libro, si sa, fa parte del suo packaging; è parente della copertina, collabora con il nome dell’autore, viene spalleggiato dalle bandelle, dalla quarta, dal valore aggiunto dell’editore o della collana, dal prezzo; per un film possiamo citare la locandina, i trailer, la presenza di attori famosi, la collocazione strategica in un cinema centrale o specializzato, e così via.
E’ quindi naturale che l’Italia, patria del design e del packaging artistico, quando importa prodotti dal grezzo Nuovo Mondo tenda a migliorare, ove possibile, l’impatto emotivo della loro confezione. Sono celebri le ricreazioni – che certo non di semplici traduzioni si deve parlare! – di mosci titoli della cinematografia americana come Citizen Kane o Stagecoach con epifanie folgoranti quali Quarto potere e Ombre rosse.

E’ sorprendente come nonostante ciò si debba assistere quotidianamente a due fenomeni radicati nel masochismo nazionale: l’andazzo di riferirsi in tono sprezzante alle traduzioni italiane dei titoli stranieri (Uff, figurati come lo hanno messo giù in italiano!), o la tendenza funesta a rinunciare del tutto alla traduzione, lasciando al titolo originale il suo vago alone cool (fighetto).

Un esempio molto istruttivo, direi rigenerante, della vecchia arte italica della ricreazione si trova nella resa di uno dei grandi titoli del new horror americano, che a metà degli anni ’70 spazzarono via il gotico, sostituendo a castelli dalle imposte cigolanti e dai maggiordomi occhiuti storie prese spesso a prestito dalla cronaca, descrizioni di gentaglia che vive in postacci schifosi e che compie azioni repellenti. Si tratta del secondo film di Tobe Hooper, ed è del 1974. Il suo titolo originario è The Texas Chainsaw Massacre; in italiano: Non aprite quella porta.

E’ difficile immaginare una piattezza denotativa così desolante come quella del titolo americano del film. Con la fantasia di un resoconto meteorologico, il futuro spettatore viene informato di cosa tratta la pellicola (un massacro), del luogo (il Texas) e del mezzo usato (una motosega, o sega a nastro). E’ perfino difficile rendere l’espressione inglese, perché il trenino di determinativi frana sulla parola chiave (Massacre) con furia così asfittica, quasi in apnea, che il traduttore, scartata la versione di puro servizio (Il massacro fatto in Texas con la motosega), poteva al limite sbizzarrirsi con la sintassi, giocare con la collocazione delle parole e con la punteggiatura (Il massacro texano con la motosega; Texas, il massacro con la motosega; Un massacro? Nel Texas con la motosega! La motosega: in Texas, un massacro!), senza riuscire a sollevarsi da terra più di due centimetri.
Ma per fortuna non è stato così!

Il titolo italiano, Non aprite quella porta, nella sua secca e terribile pregnanza, fa scattare una serie spettacolosa di implicazioni semantiche, fra cui possiamo individuare l’immediata visualizzazione (la porta…); la definizione di uno spazio bipartito (ciò che sta al di là della porta, ma anche al di qua), che a sua volta si caratterizza come minaccioso all’esterno (non aprite quella porta, state dentro!) o più probabilmente all’interno (non aprite quella porta, non entrate qui!), o ancora più probabilmente, specie dopo aver visto il film, pericoloso all’interno ma di un interno che sta all’esterno rispetto al codificatore del messaggio e ai suoi destinatari (non entrate, in quel luogo!). L’area di significato di questo titolo è soggetta a varie proliferazioni metaforiche, per esempio di tipo anatomico-sessuale (porta = ano o vagina), allargata ovviamente all’area del conflitto fra Eros e Thanatos (cfr. come minimo le porte del castello di Barbablù, quelle del motel di Norman Bates – non tutte fatali! – o la porta della camera 217 dell’Overlook Hotel), e iniziatico (non sfondate quella porta, aperta per tutti ma che voi siete ancora immaturi per affrontare!). Non vanno trascurati elementi come l’opzione di scelta (non aprite quella porta, aprite l’altra!), che introduce nella visualizzazione una molteplicità di accessi e sottolinea, come ogni ambito di scelta individuale, una connotazione etica, culturale e finanche politica (non aprite quella porta, lasciate che i texani si massacrino con le loro motoseghe! Non aspirano ad altro!). Vasto terreno a un’indagine sulla pragmatica della comunicazione viene schiuso altresì dal rapporto che questa appellazione diretta instaura fra mittente e destinatario; esso può leggersi come genericamente autoritario (non aprite quella porta, chiaro?), rigidamente normativo (non varcate quella soglia, non osate!), parentale (non aprite quella porta, ragazzi, e smettetela di fare caciara); amicale (be’, dai, non apritela), da inferiore a superiore (vi prego, per favore non aprite quella porta!) e così via. Ma a chi viene rivolto l’invito? La sua forma suggerisce una pluralità di destinatari (non aprite vs non aprire), che se stempera un poco la drammaticità dell’appello (togliendogli fra l’altro la suggestione del comandamento: Non rubare; Non desiderare la donna d’altri; Non aprire quella porta) lo rende però più preciso, evocativo di una situazione di gruppo (non aprite tutti insieme quella porta!) o di una sequenza (non aprite quella porta, uno dopo l’altro!).

Ci sarebbe ancora moltissimo da dire, ma credo non serva altro per dimostrare la superiorità imbarazzante della traduzione o ricreazione italiana rispetto al titolo originario.
Cito solo per amore di completezza la possibilità che nella frase analizzata si nasconda un accenno a polemiche letterarie (peraltro ancora di là da venire quando il film fu distribuito in Italia), alluse con una possibile falsa separazione sillabica delle parole e poggiante sul ben noto meccanismo metonimico di scambio autore-opera. Nel titolo, attraverso una condensazione di tipo enigmistico, si celerebbe dunque una richiesta impaziente e intollerante (non aprite quel La Porta, non leggete il suo ultimo libro!), oppure una preclusione in ambito dialettico (l’avete letto, quel libro di Filippo La Porta? Ve lo siete pure portato appresso, guarda lì, state per citarmene un passo? Non apritelo nemmeno, non introducetelo nel discorso!).

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8 Commenti

  1. Bentornato Raulino.
    Premetto che ‘L’arpa d’erba’ di Truman Capote è da sempre il mio libro di
    culto. Lo considero un romanzo perfetto. Nell’originale, tuttavia, gli
    strampalati protagonisti si arrampicano e vanno ad abitare su un “China
    Tree”, ovvero su un esemplare di Melia Azebarach o Albero dei Rosari o dei
    Padrenostri o dei Paternostri. Il pur bravissimo traduttore Bruno Tasso, invece, li fa arrampicare su un “sicomoro”, l’albero dell’evangelico Zaccheo.
    Certo, in italiano ‘sicomoro’ suona bene, ma perché fare di ogni albero
    un fascio?

    P.S. Quanto al babrbabluesco ‘Non aprite quella porta’ forse a me avrebbe fatto più effetto un sobrio ‘Delitti alla motosega’:-)

    Io, che son Bastian Contrario, avrei senz’altro preferito un piatto “Delitti con la motosega”.

  2. 1) Ahi, ahi, credevo di aver cancellato l’ultima frase dalla brutta copia:-)
    2) barbabluesco, naturalmente.

  3. Non aprite quella porta perché dietro c’è qualcuno in Texas che si sta massacrando di motoseghe.
    Punto.

  4. “La motosega: in Texas, un massacro!”
    mi sembra ancora il migliore. Oppure in formato parola-valigia: “Texanomeccanosega massacrante”.

  5. Raul, ieri sera dalla Bignardi l’hai massacrato tu Vittorio Feltri, senza motosega ma con le parole e i sorrisi. Sei lo scrittore più fico d’Italia. Se scendi a Firenze non prendere l’albergo, faccelo sapere qui.

  6. “impariamo ad usare la motosega in texas”l’avrei chiamato..
    l’ho trovato un po squallido come film..banale..poi adesso tutti che ce l’han su col cannibalismo…mah..preferisco il buon vecchio freddy;)

  7. è un film fighissimo, siete una banda di sfigati ke nn capisce un cavolo, ma andatevene a vedervi qlla rikkionata di brockback mountain(o forse broke ass mountain) ke fa per voi e nn è monotono

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