Zolle
Un’intervista di Tiziano Scarpa a Marco Drago
Ho un debole per i libri di Marco Drago. Ho amato moltissimo anche quest’ultimo suo romanzo, Zolle (pubblicato da Feltrinelli, 190 pagg.), e mi è venuta voglia di chiacchierarne con lui.
TIZIANO SCARPA: Per entrare nel tuo romanzo bisogna prendere sul serio il suo inizio spassoso, quando Dio appare al protagonista per suggerirgli di cambiare macchina e comprarsi un pick-up Toyota. Altrimenti, che cosa racconta Zolle? Un matrimonio fallito, micragnosi soci in affari, tradimenti involontari, amici mitizzati, aborti spontanei, sesso così così tranne quando sono gli altri a farlo strepitosamente… Le solite cose. Che però sono quelle che contano, ed è come se fossero spalmate su uno sfondo di eternità: Dio – o se vuoi il brivido che sorregge il mondo – si immischia davvero nell’acquisto di una nuova auto. Che l’esistenza sia minimalistica, ordinaria, quotidiana, è una menzogna. Tutto è spaventosamente importante. Sei riuscito a reincantare la vita, ad ammaliarmi con il tran-tran di provincia, hai reso appassionante il Quasi Niente. Non ti vergogni?
MARCO DRAGO: Domanda assolutamente legittima perché posta a un autore che finora non ha ancora avvertito la necessità di mettersi lì a scrivere qualcosa di “importante”. Metto le virgolette perché credo di non avere ancora capito che cosa intendo per “importante”. Dopo l’11 settembre abbiamo fatto Scrivere sul fronte occidentale ed è stata come una chiamata alle armi per tutti noi scrittori. In pratica, se ho ben capito, ci siamo detti: basta con la letteratura da parati e forza con la letteratura che parla di questi tempi al più alto livello possibile. Urca. E’ vero: siamo in Italia, la terra ideale per fare il romanziere engagé. Stragi di stato, strategia della tensione, logge massoniche, gruppi paramilitari pronti a rovesciare l’esito delle elezioni in caso di vittoria del PCI, più recentemente la Somalia, Berlusconi, Previti, il G8 a Genova, l’immigrazione, l’Islam e il cattolicesimo, il Papa, quest’altro Papa nuovo. Insomma, un romanziere lussemburghese dove dovrebbe emigrare per avere tutto questo a disposizione? In Italia, appunto.
E invece ci sono ancora scrittori italiani che nei loro lavori stanno a parlare di piccole menate personali ambientate in angoli di nazione lontani dai posti che contano. Al momento di dare alle stampe Zolle mi sono messo di fronte a quello che raccontava il libro e mi sono accorto che mancava di quello slancio sociale che è richiesto a viva voce dagli addetti ai lavori. Poi però, rileggendolo, ho sentito che scorreva tutto, che le immagini che usavo funzionavano e pazienza se era davvero una specie di diario sentimentale e poco più. Le immagini sono importanti. A volte, quando il nichilismo si impossessa di me, penso che la letteratura sia tutta una gara all’immagine più efficace. E’ tutto un “come”. Se riesci a far collidere in modo positivo due immagini affatto disomogenee unendole con un semplice “come”, allora sei a posto. Non so se mi spiego.”Aveva una pelle come…” , “le sue parole risuonavano come se…” eccetera. La similitudine efficace. Allora, l’ammaliamento che Zolle può causare deriva forse dalle immagini, dalla scrittura, più che da quello che racconta. Quello che racconta fa comunque pensare perché non mi vergogno a rimuginare a voce alta di amore, responsabilità, paura, futuro. Insomma, quartieri della città-psiche che tutti frequentiamo, specie nei nostri viaggi notturni, comodamente seduti sul taxi del sonno.
Dunque, un po’ mi vergogno perché forse un romanzo come “Zolle” potrà sembrare facile da scrivere (spero anche facile da leggere), ma credo che intrattenga e la letteratura – per il sottoscritto – è soprattutto entertainment.
TIZIANO SCARPA: Nei tuoi romanzi succedono frasi come queste: “Mentre faccio a mente l’estratto conto della mia storia con Alberta”; oppure: “Dentro di me, in fondo al tabernacolo in cartongesso della mia anima”. Ti vengono così o te le appunti e poi le usi?
MARCO DRAGO: Ecco di nuovo le immagini. Mi vengono così, non mi appunto mai niente. Fa parte del mio processo creativo. Chiamo questo tipo di immagini (in particolare quelle tipo il tabernacolo in cartongesso della mia anima) “Shakespeare”. Mi dico: “E’ il momento di fare Shakespeare” e allora l’anima diventa il tabernacolo in cartongesso dell’anima. Lo faccio consciamente ma è creazione istantanea, quando decido di fare “Shakespeare”. Può sembrare una boutade, ma giuro che è così. Nel mio secondo libro “Cronache da chissà dove” ci sono pagine piene di questo Shakespeare apocrifo. Ci tengo anche a sottolineare che non sono come Melville, che si vantava di non aver usato in Moby Dick nemmeno una parola che non fosse anche attestata in Shakespeare (quello vero). Il mio Shakespeare è uno Shakespeare pop, è Shakespeare così come me lo immagino io perché non ho letto tutto Shakespeare. Ne ho letto un po’, forse una dozzina in tutto tra commedie e tragedie. Devo anche ammettere che con “Shakespeare” intendo anche la vitalità delle immagini dei poeti metafisici inglesi. Non so se ci siano elementi di vicinanza tra Shakespeare e John Donne, ma quando voglio dare un colpo di vita alla mia scrittura penso sempre a questi due totem letterari: Shakespeare e i metafisici (mediati da Eliot).
In pratica le mie sono menate da vecchio studente di lingue.
TIZIANO SCARPA: Il protagonista a un certo punto si getta in una filippica contro l’eccesso di autoconsapevolezza. Ecco che cosa dice: “A lungo andare, questo eccesso di autoconsapevolezza fa la fine della socialdemocrazia. Quella fine ingloriosa lì.” Anche nei romanzi, l’eccesso di autoconsapevolezza fa fare un’ingloriosa fine “socialdemocratica” alla letteratura? Se stiamo diventando tutti troppo autoconsapevoli, dove andarli a pescare i bei personaggi di una volta, sconsiderati, scapestrati?
MARCO DRAGO: Questo è un argomento fondamentale. In effetti rimango sempre perplesso, quando vengo su Nazione Indiana, perché trovo un sacco di articoli, di dibattiti, che arrivano a toccare argomenti davvero disparati. Ci sono anche un bel po’ di pezzi sulla letteratura. Ma non trovo mai una bella discussione su cose concrete della letteratura e cioè cose come: “Si può fare a meno dell’ironia scrivendo. E se sì, come?” oppure “L’eccesso di autoconsapevolezza fa fare un’ingloriosa fine socialdemocratica alla letteratura”?
La questione dell’autoconsapevolezza non può essere ignorata. Eppure tutti noi scrittori ci saremmo posti almeno una volta la questione: “Sto scrivendo una frase, una storia vera, autentica, naturale o sto solo cercando di far capire che dietro questa mia frase, questa mia storia c’è tutta la Letteratura Di Prima e che io lo so e che la conosco eccetera eccetera?” Stessa cosa succede ai pittori e ai compositori. L’eccesso di tradizione rischia di farti smettere. E’ così da un sacco di tempo e il romanzo non è comunque mai finito, ma è innegabile che la reazione alla paura di essere un epigono cambia a seconda dei tempi e che le differenze tra le varie reazioni a questo sentirsi epigoni fanno le differenze tra le epoche della storia letteraria. Quando in Italia scoppia la moda post-moderna io (modestamente) ne ero già uscito. Nel ’92, durante il militare, lessi di seguito e in quest’ordine Vineland, Entropia e V di Thomas Pynchon. “Vineland” e “V” fecero danni irreparabili alla mia autostima di scrittore 25enne dopolavorista. Erano libri che avevano l’autorevolezza dei classici ma parlavano di un mondo quasi-contemporaneo. E meno male che all’epoca, di David Foster Wallace era uscito un solo racconto su un Panta dedicato agli americani giovani. Se mi fosse capitato di incontrare Wallace durante l’apprendistato avrei smesso del tutto. Lo dico adesso che Wallace non lo sopporto, ma capisco che a un ragazzo di oggi possa sembrare coolness allo stato puro. Dunque i tre libri di Pynchon nel ’92 mi fecero assaggiare impietosamente la mia stessa insipienza. Come ho reagito alla presa di coscienza che ormai certe cose le avevano già scritte e perdipiù (nel caso di “V”) nel fottuto 1963? 1963! Ho reagito digerendo Pynchon e facendo finta che non era mai esistito.
Sono mazzate. Va bene Melville, va bene Conrad. Li leggi, pensi “figata”, ma sono classici, sono extraterrestri, sono quelli che si studiano. Però poi leggi Pynchon e dici: è uno di noi. Anche con American Psycho era successo così, due anni prima. Un libro che mi ha fatto assaggiare l’inarrivabilità, scritto da uno che aveva tre anni in più di me. E poi è successo a tutti con il film Pulp Fiction. Pynchon, Ellis e Tarantino per un po’ mi hanno frenato nella mia voglia di scrivere. Paura di non essere all’altezza, paura di rimettermi a scrivere con il povero armamentario di “egli disse” o di frasi innocue, una dietro l’altra, senza fuoco dentro, senza tutto quel fuoco americano.
Ora che siamo tutti Scrittori, cari miei, non è che le cose siano molto cambiate. E’ ogni volta la stessa cosa, tutti attenti a non perdersi in immagini banali, a non essere troppo ad effetto che poi scivoli nel kitsch. C’è un sovrappiù di intelligenza, nella scrittura in genere, che va mimetizzata per non diventare troppo socialdemocratici. Parte dell’intelligenza va sacrificata per inselvatichire la scrittura, renderla sfocata, toglierle in po’ di lucidità.
I personaggi scapestrati sono quelli che hanno un obiettivo. Grandi obiettivi significano grandi storie. Se i personaggi sono tutti tiepidini, se sono troppo avvertiti, troppo intelligenti per make a statement (scusate l’inglese ma quando ci va ci va) senza aver paura di sbagliare qualcosa, allora la storia rischia di non decollare. In Zolle c’è Maulasio, che è un povero collezionista di dischi senza donne e senza amore e che a un certo punto si mette in testa di fondare una radio per fissati del rock. Ma altrettanto scapestrato è Samuele, il protagonista, anche se di obiettivi non ne ha. Lui è scapestrato perché è figlio del Bateman di American Psycho: sembra agito da forze che stanno al di fuori di lui (l’amore per l’ex-moglie è una forza di quel tipo. Semplicemente non ha ragione d’essere ma c’è, così come la sua assurda fissazione per la sacralità del matrimonio in chiesa). Sia Samuele sia il Sandro di Fiona, il nuovo libro di Mauro Covacich, mi sembrano appartenere alla categoria-Bateman della letteratura moderna.
TIZIANO SCARPA: Zolle, in fin dei conti, essendo narrato in prima persona, è un romanzo che sta al confine tra introspezione e atti inconsulti: Samuele Caneva sa tutto di sé ma non ne capisce nulla: seduce senza volerlo, è disattento, rovina la macchina sua e quelle che gli prestano, non si accorge di essere innamorato, non si rende conto di quel che dice, calibra tutto ma sparacchia fuori bersaglio.
MARCO DRAGO: Appunto, è un figlio di Patrick Bateman. Credo che, sotto sotto, American Psycho abbia influenzato un sacco di noi che scriviamo e abbiamo i nostri bei quarant’anni di media. Non so se – per dovere di chiarezza – sia il caso di dire chi è Patrick Bateman. Per chi non lo sa, Patrick “Pat” Bateman è l’io narrante del romanzo American Psycho (1990), di Bret Easton Ellis (born in 1964). E’ un sedicente agente di borsa, sedicente serial killer, sedicente narratore inaffidabile e quello che racconta è sempre incredibilmente incredibile. Non ci sono spiegazioni, in American Psycho, a un omicidio efferato segue la recensione di un lettore Cd, e tutto succede nella testa di questo Bateman. Credo che l’assenza di motivazione che caratterizza (e forse è un difetto) tanti degli atti inconsulti raccontati dai romanzi di oggi derivi da qui. Poi magari sbaglio, magari è solo una mia fissa, questo fatto di dire che Ellis è un genio. Detta così sembra che io mi equipari a un genio, ma non è così.
Tornando a noi, mi piace molto la tua definizone “al confine tra introspezione e atti inconsulti”. La lentezza a capire è la caratteristica più divertente di Samuele, secondo me. C’è questa stupidità, in Samuele, che me lo fa ammirare. L’ammirazione per lo stupido, per l’incapace, per l’intollerabile. Ecco una molla che mi scatta sempre dentro, nella vita come sulla pagina. Mi blocco ad ammirare la stupidità, spesso la mia stessa indubitabile stupidità quando sbaglio tutto quello che posso sbagliare.
TIZIANO SCARPA: Lo studioso di film-theory Stanley Cavell, definirebbe Zolle una “commedia del ri-matrimonio”: narra le divagazioni esistenziali di una separazione. Vale la pena di raccontare solo i periodi di abbandono, di assenza dal vero amore? L’amore vero, l’intensità felice sta prima dell’inizio e dopo la fine dei romanzi? Raccontare è sostare nel Deserto di Mezzo? È attraversare, è ricucire?
MARCO DRAGO: Beh, certo, messa così Zolle è davvero un libro come tanti. Il Deserto di Mezzo è il cliché dei cliché. Nel mio secondo libro, Cronache da chissà dove, raccontavo già la stessa storia. Più o meno la stessa storia. Perché? Boh. A pensarci adesso mi accorgo che è la stessa storia, la storia di uno che è triste perché l’hanno lasciato. Che schifo. Detta così è davvero una merda. Però la faccenda del ri-matrimonio è interessante. Non è un argomento da poco, quello del matrimonio. Samuele ha questa idea che lo tiene in piedi: sono sposato davanti a Dio con Giulietta. Dio (lo stesso che gli consiglia di comprare la Toyota e lo stesso che sua moglie andava a pregare in chiesa e lo stesso usato dal leader cattolico Corasso). Niente meno. Ma Dio è proprio quella roba lì, in mano agli uomini. Dio in mano agli uomini serve a vendere le Toyota.
Dunque il matrimonio davanti a Dio è un matrimonio speciale. Questo lo sappiamo tutti. Lo sanno anche i bambini, anzi soprattutto loro. E Samuele non riesce a trovare nessuno che possa controbattere questa semplice, scomoda Verità Cattolica.
TIZIANO SCARPA: Il controcanto di queste esistenze è la letteratura: alcuni personaggi traducono i classici, ex sportivi pubblicano raccolte di poesie a proprie spese, nelle conversazioni si menzionano versi, canzoni, con una diffidenza che è la più tenace forma di fedeltà. Ma verso la fine il protagonista si arrende:“E se le poesie ci insegnassero tutto? … Ci sarà sempre qualcuno, magari anche solo uno, nel mondo, che potrà riconoscersi nei versi di tutte le poesie che sono state scritte, tutti i versi, i miliardi di versi, tanti come le stelle, incalcolabili. Se succede a me può succedere a chiunque”. Lo dice Samuele Caneva, il più diffidente e disincantato di tutti. Se può succedere a lui può succedere a chiunque.
Il tuo protagonista è un grumo di testo esposto al firmamento poetico dei testi letterari, in un sottomondo a debita distanza da ciò che è poetico. Sta fuori dalla letteratura (quindi lui è vero, è reale: maneggia versi e storie di carta, quindi lui è di carne), anche se vi fa continuo riferimento. È questa la zona più poetica, oggi? Più poetica della poesia stessa? La zona che si dichiara fuori dalla poesia, continuando ad additarla da lontano per proclamarsene esclusa? In altri termini, la letteratura ti serve da contrappeso, per smentirla e inventartene un’altra meno letteraria e più poetica ancora? Come faresti, senza la letteratura?
MARCO DRAGO: La letteratura non mi è mai piaciuta, nei libri. Ho sempre fatto a meno di metterla nelle cose che raccontavo, però stavolta invece ho straparlato di letteratura alla nausea. So che per i veri professionisti della critica (specie poetica) leggere le pagine di Zolle in cui metto in scena la personale visione della poesia di D’Argaz e compagni, con tanto di sproloqui superficiali su mostri sacri quali William Carlos Williams, T. S. Eliot, Hawthorne e compagni, possa essere un’esperienza dolorosa. Ma credo che in un’opera di fiction (anzi, di entertainment fiction) debbano convivere strafalcioni e inesattezze insieme a dettagli assolutamente precisi. Specie poi se gli strafalcioni sono commessi in piena consapevolezza.
Ti do ragione sul fatto che tutta la bagarre letteraria all’interno di Zolle è vissuta sempre con un piede dentro e uno fuori e questa posizione privilegiata altro non è che la rappresentazione del mio particolare disagio di mezzo ignorante (conosco poco solo quello che ho studiato, il resto lo conosco per esperienza e non ho spirito da autodidatta per cui progredisco poco sulla scala mondiale). Autoconsapevolezza delle proprie mancanze.
Poi sul fatto che la letteratura mi serva “da contrappeso, per smentirla e inventarmene un’altra meno letteraria e più poetica ancora” che cosa devo dirti? Sì. Disinnescare l’incantamento della letteratura è una mossa vile e puerile, è vero, però è anche l’unico senso che ormai riesco a dare al fatto che scrivo ancora romanzi. Poi alla fine scrivo un romanzo tutto sommato tradizionale, anzi molto tradizionale, non innovativo, onesto – quello sì – quasi artigianale, messo insieme pezzo per pezzo ma del tutto simile formalmente a un romanzo dell’ottocento, per cui cos’è che disinnesco? Non disinnesco un bel niente. Quello che faccio è mettere in scena Billy D’Argaz, che reclama la supremazia di qualsiasi cosa sulla letteratura. Billy è una specie di talebano iconoclasta. Però poi, per tornare alla tua domanda, devo dire di sì. Tenersi fuori dalla letteratura può essere un espediente letterario che funziona. E’ un po’ la cosa che faceva Bukowski. Leggi le sue lettere, uscite in volume qualche anno fa, e leggi le lettere di uno che pensava alla poesia ventiquattr’ore al giorno. Leggi i suoi racconti ed è tutto un ruttare contro l’establishment letterario. Ai non esperti può sembrare che Bukowski ruttasse contro la letteratura tout court, ma non era così. Dunque, che dire? Lo so benissimo che fare l’antiletterario è tanto letterario quanto fare il letterario, l’importante è scrivere in modo efficace, provare a intrattenere il lettore senza costringerlo a capire tutta tutta la trama di rimandi e citazioni e cut-up e tutte quelle cose lì (di cui sono piene le mie pagine come quelle del 90% degli scrittori).
A tal proposito, chi mi scova una finissima citazione di william carlo williams (in realtà lievemente modificata ma del tutto mimetizzata nel testo) vince qualcosa. Poi ci mettiamo d’accordo. La mia mail è drago@maltesenarrazioni.it.
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Sono d’accordo con Tiziano Scarpa, “Zolle” è un gran bel romanzo. Drago è uno scrittore bravissimo, meriterebbe più lettori. Un grazie a tutti e due della bella intervista.
Che chiacchiere insulse.
Bernardo, se trovi insulse queste chiacchiere evidentemente hai un problema con la letteratura e la cultura in generale. Ti consiglio il calcio, i videogiochi sparatutto, la cucina. Ci sono tante attività stravianti, specialmente in questa stagione: passeggiate nei prati, giri in bicicletta, un buon gelato all’aperto. I libri e le chiacchierate intorno ad essi non son fatte per te.
Ma no, Cate, qualunque cosa faccia Scarpa trova sempre un detrattore. E’ un segno del suo successo e della sua autorevolezza, non l’hai capito? Altrimenti i vari Bernardi di turno non si prenderebbero la briga di lasciare commenti di questo genere, così superficiali e insulsi da essere precotti, standard, già pronti per qualunque occasione, e che non dicono assolutamente nulla, se non che dentro il paguro abita un Bernardo vuoto di argomenti e incapace di fare una critica seria. Non vale la pena perderci tempo sopra. Parliamo invece del romanzo di Drago, che ho comprato sabato alla Fiera del Libro e mi sembra molto interessante, pieno di vita e di personaggi veri. Finora sono abbastanza d’accordo con la descrizione che ne fa Scarpa, ma sono arrivato appena a un terzo.
Mi pareva doveroso, prima di riattaccare con le recensioni, spendere due parole sul convegno di Torino. In fondo l’iniziativa era partita proprio da Nazione Indiana. La Lipperini, nel suo blog, ha già relazionato con diligenza. E voi indiani? Fate gli indiani? Comunque sia andata, è stato un insuccesso?
Che cosa è doveroso o no fare in casa d’altri non sei tu a deciderlo. Se Lipperini ha già relazionato, bene, esiste già una accurata relazione in rete, che vuoi di più? Nel sito, qui, ci sono centinaia di pagine di materiali. E’ molto antipatico venire a dire agli altri che cosa debbono fare, soprattutto quando si tratta di volontariato. Se Lipperini ha potuto farlo, bene, vuol dire anche che aveva del tempo a disposizione.
Dio, che odioso.
Sarà pure come dici, mia gentile Caterina. Per scrupolo le sono rilette più attentamente, quelle chiacchiere, ma continuo a trovarle insulse, o perlomeno arbitrarie, disordinate, senza capo né coda, prive di messaggi, solo meta-messaggi, del tipo “che fighi che siamo, anche quando cazzeggiamo, eh?”. Ma puoi provare a farmi tu un “abstract” di quel discorso, così vedo dove sbaglio.
Bernardo, sul serio, lascia stare. La cultura non fa per te. C’è tanta altra bella roba al mondo. Se hai bisogno di un “abstract” per un’intervista così piena di contenuti, che tocca questioni importanti, e al tempo stesso comunicativa, per nulla elitaria, fatta per essere compresa da chiunque, se ci vedi solo un “che fighi che siamo”, davvero la cultura non fa per te. Buone passeggiate
Va bene Caterina, se lo dici, tu mi rassegno al mio amaro destino. Un bacio tra le gambe.
Prova a avvicinarti alle mie gambe e avrai una ginocchiata sul naso.
Sei tu quella della poesia di Arminio postata oggi (“Voglio baciarti tra le gambe”)?
E dai Caterina, il mio era solo un saluto poetico, poi è ovvio che nei riguardi dei due chiacchieroni io sia accecato dall’invidia, e roso dal risentimento. Mancandomi ogni agape nei loro confronti non riesco a proprio a decodificarli, e così mi stupisco che simili imbecilli possano diventare relativamente famosi. Ma sono io ad essere sbagliato, e lo so bene, però questo è esattamente quanto mi succede: mi stanno sulle palle, ecco tutto. Immagino sia colpa della società.
Le chiacchere “..insulse, o perlomeno arbitrarie, disordinate, senza capo né coda, prive di messaggi..” sono le più interessanti.
Complimenti per l’intervista, era da un pò che non leggevo qualcosa di interessante sui vai nazione indiana, lipperini, miserabili e compagnia cantando.
Detto questo, sentenziare che “la cultura” non fa fa per qualcuno e minacciarlo di ginocchiate mi sembra un ottimo spunto per un personaggio di Drago!!!
Non tutti purtroppo riescono a capire l’importanza di un sito come nazione indiana. Un sito dove si parla di socialità e di cultura senza frontiere dando spazio anche ai scrittori scomodi come Scarpa e Piperno o Drago. Ma voi continuate così.
Non tutti purtroppo riescono a capire l’importanza di un sito come nazione indiana. Un sito dove si parla di socialità e di cultura senza frontiere dando spazio anche ai scrittori scomodi come Scarpa e Piperno o Drago. Ma voi continuate così.
Oh, Bernardo, finalmente hai svelato le carte! Non eri sincero né intellettualmente onesto riguardo all’intervista. Ti dà fastidio che Scarpa e Drago siano “relativamente famosi”, e di conseguenza sentenzi giudizi negativi su qualsiasi cosa facciano o dicano. Più che della società, immagino sia colpa tua. E’ incredibile che due artisti di altissimo livello debbano beccarsi degli “imbecilli” dal primo vigliacco che passa. Li stimo anche per questo, perché espongono la faccia alle sputazzate di quelli come te. Queste tue espettorazioni, alla fine, me li rendono ancora più stimabili, loro due e tutti quelli che in siti come questo si danno da fare per segnalare le cose buone che ci sono in Italia e fuori.
Sono perfettamente daccordo con Aldo Primo.
Oh Caterina, sei proprio scema! arf! arf!
Ma senti l’altro! Il sito E’ di Scarpa. Ci mancherebbe proprio che non desse spazio anche a Scarpa!!! Quanto agli “scrittori scomodi” questo è davvero ridicolo.
Bernardo, sei un miserabile! FILA A CASA!
Ho acquistato il libro di Marco ieri,
subito mi ci son buttato, scopo criticone,
ma mi piace addirittura più degli altri,
chevvidevodì: è così, scorre via bene,
eppure sono difficile di gusti.
Sarà l’aria di casa…
No, piuttosto vado a puttane dell’est con Aldo.
Grazie Federico B., grazie di esistere.
Bernardo è Drago stesso.
Per niente!!! E’ Federico B. ad essere Scarpa stesso!!!
“Tabernacolo in cartongesso della mia anima”.
Col cazzo che lo compro.
Evidentemente la socialità di certi scrittori come Scarpa Genna Moresco da fastidio ai “berlusconiani” rovinando non solo la storia (irak) ma anche la letteratura. Fortunatamente però sono le vendite che fanno capire chi ha ragione e chi non ha i metodi per pubblicare.
Ancora una volta sono perfettamente daccordo con il grande Aldo Primo. Grazie
Cari amici, è vero, io sono pieno di difetti, ma come fare per far capire che un libro è bello e vale la pena di leggerlo? Ho cercato di scegliere quelli che a me sembravano i temi più importanti di questo romanzo, in maniera non pedante, spero (per esempio, la seconda domanda ne adombra in realtà un’altra sull’uso della lingua, dello stile, sull’invenzione delle immagini nelle frasi, ecc., ma la domanda si esprime in maniera lieve). Allo stesso tempo, tenevo presente che oltre a chiacchierare con Marco, bisognava informare il lettore, ed ecco per esempio quella specie di riassunto non-narrativo che c’è dentro la prima domanda. Se ho fatto la figura dell’imbecille, pazienza. L’importante è non farla fare a Marco Drago (ma mi sembra che le sue risposte non siano affatto banali), e in generale alla letteratura, ai bei libri che ci sono in giro anche oggi. Scusate, e grazie della lettura.
“Mentre faccio a mente l’estratto conto della mia storia con Alberta”; oppure: “Dentro di me, in fondo al tabernacolo in cartongesso della mia anima”. Ecco, di queste cagate kitsch ne faremmo tutti volentieri a meno.
Ma perché? Non mi sembrano così merdose da inficiare il risultato finale. Con tanta umiltà, Marco Drago.
Adesso però mi sento un po’ in colpa. Ieri ero nevrastenico, dovevo leggere in fretta e furia e non ci ho capito un’ostia. Poi la sedicente Caterina mi ha trascinato in un giro di cazzate, e questo va bene, fa parte del gioco. Oggi ho analizzato attentamente, riga per riga, quel dialogo, e finalmente ne ho colto i contenuti, i due o tre punti realmente interessanti immersi in un “flusso” che continuo a giudicare troppo cazzeggiante, amicale, complice, autoreferenziale. Ma la fretta ci attanaglia tutti, lo capisco bene. Però l’informazione fornita dal mio primo commento era a suo modo valida (ancorché parziale) e andava quindi accettata com’era, senza la chiosa di quelle puerili dietrologie. O preferite forse diventare un “fan club”?
E bravo Bernardo. Intanto hai dato degli imbecilli a Drago e a Scarpa, giusto perché avevi una giornata storta e nevrastenica. Sei soddisfatto? Ci hai provato gusto? Scarpa e Drago fra l’altro hanno risposto sorvolando sulle tue offese, non so se te ne sei accorto. Chissà come ti comporteresti tu, se qualcuno ti desse dell’imbecille, tu che non perdi occasione per sbavare maschilismo con moleste sessuali verbali. Che cosa si deve pensare del tuo comportamento? Tu arrivi qui, non ci capisci “un’ostia”, come tu stesso affermi, e dai dell’imbecille alla gente. Secondo te hanno peso i commenti di uno che si comporta così? Secondo te hanno peso i commenti in generale, se sono fondati su questi presupposti frettolosi e insultanti? Non è vero che tutti abbiamo fretta, come dici tu autoassolvendoti. Troppo comodo cavarsela così, appellandosi a una fretta collettiva che “attanaglia tutti”. Scarpa e Drago non hanno avuto fretta. Uno ci ha messo anni a scrivere un romanzo, l’altro lo ha letto e meditato, non ne ha scritto in fretta (come fanno i giornali), il romanzo di Drago infatti è stato pubblicato da un mese, Scarpa ha meditato e scritto delle domande, ha aspettato delle risposte altrettanto meditate, le ha messe in rete. Tu arrivi e da frettoloso insolente dài degli degli imbecilli giusto perché hai la giornata nevrastenica. E non chiedi nemmeno scusa, ma ti giustifichi appellandoti alla fretta! E trovi cazzeggianti e insulsi quelli che sono dialoghi pieni di spunti meditati, presentati in forma non paludata ma frizzante, per amore e rispetto dei lettori (ma tu ci vedi solo amicalità e autoreferenzialità, mentre io ci vedo una maniera civile, fresca, non professorale, di fare critica letteraria). E se qualcuno si permette di difendere Scarpa e Drago, o meglio la cosa che han fatto, agiti lo spettro del fan club. Il tuo comportamento è molto poco serio, e tra l’altro squalifica il peso dei commentatori. Se tutti facesserro così, infatti, questo spazio dei commenti sarebbe di nessun interesse, solo uno spurgo di nevrastenie e fretta. In altre parole, hai contribuito anche tu a indebolire ulteriormente questo spazio, scrivendoci sopra posseduto da fretta e nevrastenia. Non si va da nessuna parte, così. Quelli come te distruggono questi spazi di discussione, li rendono inaffidabili: come si fa a prendere sul serio uno che spara giudizi perché ha la giornata nevrastenica e ha fretta? La rete è preziosa, ma se non la si sa usare, o se non ci si sa trattenere nelle giornate storte, si rovina tutto, la si rende un luogo di nervosismo e di insulti.
My darling, ti faccio notare che ho io scritto “imbecilli” (dimenticando le virgolette) dopo che tu mi hai trascinato nella polemica, insinuando miei problemi con la cultura eccetera. Le ho trovate “chiacchiere insulse” e l’ho scritto! Stop. E tu che cazzo vuoi, delle unanimità bulgare? Scuse non ne faccio a nessuno, se i miei interventi non piacciano, li taglino pure, non me ne frega nulla del sito, di te, di Scarpa e Drago né delle sorti magnifiche e progressive della cultura. Se sono davvero così cattivo e malvagio, se davvero ho il potere di rovinare questi meravigliosi spazi, beh, meglio così, tutto cià che è reale è razionale: il mio erebo nero farà meglio rifulgere le virtù dei tuoi amati, farà loro da piedistallo. Tu però, mediocrissima creatura, togliti dalle mie palle.
Bernardo sei grande!
Mi tolgo di mezzo molto volentieri. Non voglio avere nulla a che fare con gente come te. Io tuoi interventi si commentano da soli. Spero di non incontrarti mai nella vita reale. Buon erebo nero.
Io qui vedo un signore che ha dato degli imbecilli e della scema a destra e a manca, non ha chiesto scusa, fa lo smargiasso e si giustifica pure.
Esce “Caterina” – entra “Zatopek”, con le medesime stupidaggini come bagaglio, mah … comunque gente, guardate che questo è il sito di Scarpa, tipo tostissimo, mica di Susanna Tamaro! … ma basta, non darò più corda, cioè stringa di testo, a questa futile vicenda.
Cari amici,
mi spiace che ne sia venuta fuori una zuffa. Ringrazio chi mi ha difeso e chi mi ha criticato. Non ringrazio chi mi ha insultato.
Volevo semplicemente segnalare un romanzo molto bello, che tra l’altro non ha ricevuto finora recensioni, che io sappia. A volte leggo bei libri, nessuno o pochi ne parlano sui giornali, e allora mi sento in dovere di farlo io. E’ successo l’anno scorso con il romanzo di La Gioia, per esempio. Forse sbaglio i modi e i toni, mi dispiace se l’impressione che se ne ricava è di conventicola letteraria: mi dispiace soprattutto perché chi ne fa le spese è l’autore, se i lettori pensano che se ne parli bene solo per amicizia. Marco Drago non è mio amico: quando lo vedo, una volta ogni tre anni, mi mette di buonumore, ma non ci frequentiamo, non ci sentiamo. Però ammiro tanto il suo lavoro, e questa volta ho pensato di dirlo. E comunque io sono una persona libera, e se sarà il caso parlerò bene persino dei libri dei miei amici più stretti, se si tratterà di bei libri.
Faccio notare, comunque, che per uno “stile di comportamento” che ci siamo dati, qui su Nazione Indiana non parliamo dei nostri libri, non segnaliamo uscite di nuove pubblicazioni nostre, non mettiamo link a recensioni di nostre opere né tantomeno le incolliamo qui, come invece potete trovare in decine di siti di scrittori e artisti vari in rete.
Un’ultima precisazione: questo non è “il sito di Scarpa”, ma il sito di una trentina di persone, tutte alla pari.
Spero che tutto questo alla fine sia servito a una cosa soltanto: informare qualcuno l’esistenza di un libro che vale la pena di essere letto.
Un saluto a tutti
Scarpa, con tutto il rispetto….ma a chi la racconti :”Faccio notare, comunque, che per uno “stile di comportamento” che ci siamo dati, qui su Nazione Indiana non parliamo dei nostri libri, non segnaliamo uscite di nuove pubblicazioni nostre, non mettiamo link a recensioni di nostre opere né tantomeno le incolliamo qui, come invece potete trovare in decine di siti di scrittori e artisti vari in rete.” Sempre a rivendicare!!
Non hai mica da giustificarti con il primo c******e che passa e ingiuria! Lasciali perdere.
Un caro saluto,
Giorgio.
Perché questo bernardo mi è sempre più simpatico? E perché mi sembra che Caterina prenda in giro Scarpa e Drago? Non riesco a credere che sia vera, sono entrata in questo sito di cattivo umore e mi sto divertendo. Scrive caterina: > Sarà vera una persona che scrive così? Secondo me questo è un falsetto, un finto lettore ingenuo. Svelati caterina, chi sei?
Non mi è riuscito il taglia e incolla, ci riprovo: >.
Non riesco a credere che Temperanza sia vera. Svelati Temperanza, chi sei?
Sono una persona di carattere equilibrato ma se è il mio nome vero che vuoi non è quello che io chiedevo a caterina, può essere pessoianamente multipla, ma la sua vera natura, l’unica cosa che mi interessi, qual’è? E’ un’ingenua ragazza, come sembra leggendola? E’ un giovane mordace? E questo amore della cultura di che genere è? irenico? incazzato? gerarchico? ammirato?Svelati caterina, ti prego, se tu ti sveli a me io mi svelo a costanza.
Che domande. Come se uno potesse dire chi è veramente. Come se si potesse autorizzare gli altri a prenderci per la versione giusta stabilita da noi: “consideratemi un’ingenua ragazza!” “D’ora in poi tutto quel che dico deve essere inteso come la dichiarazione di un giovane mordace!”. Vuoi sapere da lei la sua “vera natura”. Scusami Temperanza, ma se sei una persona equilibrata, concederai che la tua richiesta è di un’ingenuità colossale. Io non ho bisogno di chiederti chi sei veramente, Temperanza, mi basta quel che dici. Prendo in considerazione quel che ci dici, non chi c’è dietro. E’ questo che conta, quel che vieni a dirci qui, mica l’intenzione d’autore che c’è dietro. Mi basta constatare che fai domande ingenue pensando che esista un’identità ufficiale stabilita dall’autore o autrice, secondo la quale interpretare i suoi detti e scritti. Che ingenuità, Temperanza.
Concedo, concedo, intuisco una persona riflessiva dietro le tue parole (a me interessa sempre chi c’è dietro, da buona italiana, o da lettrice di Le Carré) ma permettimi (oh giorno felice delle citazioni! tempo del piacere, dell’ ozio che zompetta tra un libro e l’altro rimemorando antichi incontri) di copiarti qui una strofetta di Wallace Stevens:
He rode over Connecticut
In a glass coach.
Once, a fear pierced him,
In that he mistook
The shadow of this equipage
For blackbirds.
rimpiango biondillo
Rimpiango commentatori seri che commentino ponderando. Non ce n’è uno che abbia letto il libro di Drago e ne abbia parlato qui! Solo polemichette su aspetti marginali, solo saputelli che criticano una mezza frase o fanno del moralismo su quel che dovrebbero o non dovrebbero fare gli intellettuali. D’altronde, basta confrontare i commenti dei frequentatori di amazon e quelli internetbookshop. Nel primo caso si tratta di autentiche recensioni, utilissime per farsi un’idea e decidere se acquistare il libro. Nel sito italiano invece sono quasi esclusivamente battutine sarcastiche o inni entusiastici assolutamente vuoti, senza motivazioni. I lettori italiani, o meglio, i non-lettori che tanto ci tengono a manifestarsi qui in rete, sono di infimo livello critico.
Meno male che ci sei tu, Zelda, che alzi il livello…
Certo, puoi dirlo forte! Il re è nudo e anche i suoi carnascialeschi popolani, i lettori sarcastici moralisti italiani non sanno dare nulla alla vita culturale vera, solo battutine. E tu ne sei un esempio perfetto. Ci meritiamo i lettori che abbiamo, che comprano e leggono spazzatura. Le prove sono lì, sotto gli occhi di tutti. Confrontate il livello dei commenti dei lettori su amazon e quelli su Internetbookshop. Non c’è altro da dire.
Zelda carissima, per caso hai le tue cose? Mi raccomando, dopo usa Lycia Persona, è un prodotto efficace e naturale e lascia un gradevole odore di verbena.