Nascere da un uovo di cigno
di Lucio Angelini
Uno dice: “Mi piacciono le fiabe di Andersen”, e tutti colgono il messaggio. Se, invece, dicesse: “Mi piacciono i romanzi di Andersen”, ecco che le orecchie dell’interlocutore si rizzerebbero di colpo. Romanzi? Quali romanzi?
Be’, i sei che, appunto, Andersen scrisse. Fu, anzi, proprio con un romanzo, che il figlio del calzolaio di Odense, trapiantatosi a Copenaghen all’età di 14 anni a mezzo di un’intrepida iniziativa personale (una sorta di “fuga” autorizzata dalla madre, previa adeguata consultazione di una veggente), cominciò a dare solidità al proprio nome: “L’improvvisatore”, di ambientazione italiana (Roma, Napoli, Venezia), pubblicato nel 1835.
L’anno dopo seguí O.T. (un titolo che agli internauti di oggi, e in particolare ai frequentatori di newsgroup, farà venire in mente, piú che il riformatorio di Odense, l’acrostico di Off Topic). Nel 1837, l’anno dopo ancora, uscí, infine, “Solo un violinista ambulante”, e il successo fu grande, in Danimarca e fuori, con particolare riferimento alla Germania, ma con altrettanto particolare esclusione dell’Italia, dove il romanzo, vai a capire perché, venne tradotto una sola volta, nel 1879 , e poi dimenticato.
Per il successo italiano, che a un’opera di cosí forte impatto non mancherà di certoJ, si sono dovuti aspettare nientemeno che il Bicentenario della Nascita dell’autore (2 aprile 2005), l’insistenza di chi scrive e il coraggio di Thomas Fazi.
Le succitate tre opere, veri romanzi d’antan, con tanto di coincidenze, avventure, melodramma, scavo dei personaggi, collocazione al confine tra romanticismo e realismo, costituiscono una sorta di trilogia dedicata alla rappresentazione della “vita in Italia” (un argomento prediletto da pittori e scrittori dal periodo romantico in poi) e della “vita in Danimarca “. Di altro tenore gli altri tre, usciti, rispettivamente, nel 1848 (“Le due baronesse”), nel 1857 (“Essere o non essere”) e nel 1870 (“Il fortunato Peer”).
A dire il vero, c’è chi considera un romanzo, anzi “il primo romanzo di Andersen” (uscí nel gennaio del 1829), anche lo stravagante arabesco letterario “Viaggio a piedi dal canale di Holmen alla punta orientale di Amager negli anni 1828 e 1829” [pubblicato in Italia nel 1987 con il titolo “Passeggiata nella notte di Capodanno”, Lubrina Editore, Bergamo, trad. a cura di Anna Cambieri], di cui ci piace riportare l’incipit:
“La sera dell’ultimo dell’anno del 1828 me ne stavo tutto solo nella mia stanzetta e spaziavo con lo sguardo oltre i tetti delle case vicine coperti di neve. In quel momento lo spirito del male, noto col nome di Satana, si introdusse in me e mi suggerí il pensiero peccaminoso di diventare scrittore…”
Bicentenario a parte, trovo davvero stimolante il repêchage di un romanzo della prima metà dell’800 cosí perfettamente archetipico, dopo la pletora di “immersioni totali nello sfascio/fascino dell’Occidente”, raccontate fino alla noia nelle opere letterarie degli ultimi anni (un nome e un nume fra tutti: David Forster Wallace).
Il fascino dei romanzi dell’Ottocento, e di questo in particolare, sta esattamente nel proporre storie in cui “tutto si tiene”, ovvero in cui ogni dettaglio ha un proprio preciso posto all’interno di un’ORDINATA economia narrativa. Chi scrive un romanzo, infatti, può perseguire essenzialmente due scopi:
– mimare, attraverso la scrittura, campioni di realtà piú o meno rappresentativi/interpretativi della stessa;
– tentare di esorcizzare la realtà nel suo aspetto forse piú inquietante: l’apparente (o effettivo) DISORDINE con cui spesso essa risulta procedere. In tal caso la vita romanzesca finge solo apparentemente di rappresentare la vita vera, intendendo soprattutto consolarsene.
Chi non ha mai nutrito il sospetto che, nelle nostre vite, certi fatti accadano invano, o che certi incontri inizialmente esaltanti non lascino poi la traccia che si vorrebbe, o che certi faticosi sforzi finiscano in fumo, o che l’economia complessiva delle nostre vite risulti tutt’altro che ben congegnata e consequenziale? A volte si ha piuttosto l’impressione che la realtà sia una sorta di puzzle in cui nessun pezzo si incastri in nessun altro, o che il succedersi degli eventi si sbandi senza alcun disegno accettabile. In un romanzo ben architettato, invece, personaggi e oggetti hanno ruoli e funzioni precisissime. Si è mai letto, per esempio, un qualche giallo in cui il colpevole del delitto attorno a cui la narrazione ruota rimanga inidentificato? Tutto in ordine, invece, tutto perfettamente ricostruito e svelato. L’illuminante opera del detective assicura che nessun dettaglio può mai restare davvero ingiustificato.
Anche in “Solo un violinista ambulante” [ma il titolo scelto da Fazi editore è semplicemente ‘Il violinista’] tutto si tiene. Non ci sono centinaia di personaggi sottoposti a un’inarrestabile entropia, ma appena una manciata, e il destino li lega cosí saldamente tra loro che dovunque essi vadano, foss’anche in capo al mondo, tutti re-incontrano tutti, in una sorta di continuo carrambachesorpresa!, e sono condannati a interagire fino alla fine. Mica come nella vita vera (o in quella dei romanzi moderni), in cui la gente si passa accanto, ha qualche rarefatto scambio e poi tanti saluti, ognuno per la sua strada. In “Solo un violinista ambulante”, una volta che un bimbetto di pochi anni sia rimasto favorevolmente impressionato dalla nipotina del vicino di casa, l’amerà perdutamente per tutto il resto della sua vita. Senza contare che, in questo tipo di narrazioni, sani antidoti alla noia e alla lentezza del quotidiano, succedevano cose mica da poco: incendi di case, suicidi, assassini, fughe con cavallerizzi del circo, attacchi convulsivi, guarigioni miracolistiche…
Da un lato Andersen afferma (in una delle sue frequenti intrusioni come Voce Narrante) che in questa vita “si fanno delle conoscenze, si acquistano degli amici che si lasciano tra le lacrime, provando amarezza al pensiero di non doverli ritrovare mai piú” (cap. VI, parte II). Dall’altro, per i suoi personaggi, non c’è mai verso di potersi effettivamente separare dalle conoscenze via via acquisite. Hai voglia tu a cercare di liberarti dall’ossessione del passato! Ne sa qualcosa il giovane barone Otto Thostrup, il protagonista di O.T., perpetuamente in fuga dal proprio passato. Egli scoprirà solo nell’epilogo il vero significato delle lettere che reca tatuate su una spalla: O.T., che non stanno affatto per Otto Thostrup, ma per Odense Tugthus, la Prigione di Odense, dove egli era nato e vissuto da piccolissimo.
Andersen definí “Solo un violinista ambulante” un fiore spirituale sbocciato dalla terribile lotta che si svolgeva nel suo animo per la durezza delle circostanze contro cui la sua natura poetica era costretta a misurarsi. In questo senso il brutto anatroccolo della situazione, l’adolescente Christian che “il Dio del suono” aveva baciato nella culla, non diventerà mai uno splendido cigno, ma kun en spillemand, solo un musicista ambulante, non tanto per mancanza di genialità o talento, quanto per mancanza di “fortunate circostanze”.
“Talent is nothing, except in fortunate circumstances”, aveva scritto Andersen a Jonas Collin nel maggio 1835. E “Il violinista” ruota, appunto, intorno all’eterno, angosciosissimo problema del Genio Incompreso e di come eventualmente evitarne lo Spreco.
Il brutto anatroccolo insegna che non importa tanto nascere in un recinto d’anatre, quanto uscire da un uovo di cigno. “Solo un violinista ambulante” tende a dimostrare, invece, che nemmeno questo è sufficiente. Bisogna che il brutto cignino, ancorché nato in un recinto d’anatre, sappia poi spostarsi nel milieu giusto, o abbia la fortuna di incontrare qualcuno che l’apprezzi e lo valorizzi, perché possa davvero diventare un magnifico cigno. E soprattutto: “Bisogna che Dio lo voglia!”, altrimenti non ci sarà sforzo umano che possa impedire al piú talentuoso degli uomini di rimanere un semplice musicista di strada.
Il violinista, traduzione a cura di Bruno Sperani (pseudonimo di Beatrice Speraz), fratelli Treves Editori, Milano 1879. Dario Borso in “Dalle carte di uno ancora in vita”, Morcelliana, Brescia 1999, giudica la traduzione addirittura “inservibile, come si può desumere dal titolo” (pag. 41), ma sicuramente esagera. Ci sono molte inessatezze, molti toscanismi (“Al foco! Al foco!”, “Codeste le son cose che…”, eccetera), soppressione di vari dettagli, ma la sostanza è rispettata.
Oh, mio Dio, mi fate sentire su SCHERZI A PARTE:-)
Comunque vorrei cambiare il finale: “Bisogna che il brutto cignino, oltre alla sfiga di nascere in un recinto d’anatre, non abbia anche quella di crescere e diventare grande in un periodo di RESTAURAZIONE”:-/
angeli, non ho letto un cazzo, ma senti questa battuta: “gattapelata!”
l’hai capita: “gattapelata!”
angeli?
“gattapelata!!!” GATTAPELATA, cazzo, ridi!!!
cazzo angelinicazzoridi!!! RIDI!!!! cazzo
gattapelatona ahh ahh ahah ahhahahha!!!!
(poi senti questa: “barbaangelini” eh? mica male)
Scusa, attento lettore, che colpa ne ho se le Forze del Bene – dopo lunga e sanguinosa battaglia – hanno trionfato ***a mia insaputa*** su quelle del Male?
Io mi ero ormai chiuso in un dignitosissimo ‘No comment’:-/
L’edizione 2005 di Fazi è bella, Angelini è il traduttore/curatore. La cosa curiosa è che su varie schede in rete, e anche sul sito di Fazi il titolo è “Solo un violinista” ma sulla copertina è “Il violinista”. Forse all’ultimo momento è stata presa una decisione diversa. Comunque sono 416 pagine per 16,50 euri. (He he, si capisce che la cosa del titolo diverso è assolutamente irrilevante se non come trucco per segnalare l’edizione Fazi vero? Sono tremendo! :-).
Ecco la scheda.
Hans Christian Andersen, il famoso narratore di favole per bambini, fu anche romanziere, poeta, giornalista e studioso nonché un eccentrico, nevrotico e ipocondriaco. In occasione del bicentenario della sua nascita, avvenuta il 2 aprile 1805, viene proposto questo testo, un romanzo pensato per il pubblico adulto che racconta la grande storia d’amore tra due bambini che – separati nell’infanzia – continueranno a cercarsi per il resto della loro vita. Andersen definì il testo, pubblicato nel 1837, “un fiore spirituale”. Il romanzo colpì in modo particolare anche il filosofo Sören Kierkegaard.
mi scusi il “simpatico angelini” (davvero, neh, sei sano!). Ma ho un debole soprattutto erotico per i saltimbanchi, gli artisti di strada, e i lupi di cappuccettorosso con le scarpe e i calzettoni.
IL MANUALE DELLA GALLINA RIBELLE
1# COME COSTRUIRSI UN UOVO-EMBRIONE SENZA FATICA
Ingredienti:
uova q. b., preferibilmente ogm free, deposte da galline allevate a terra, nutrite con mangimi naturali, possibilmente non influenzate.
* acqua, pentola e fornello
* guanti e pennello
* pigmento dorato e diluente ad acqua
* nastro rosa
* nastro azzurro
* buste di plastica trasparente 15×20 cm circa
* etichette adesive
* fogli bianchi
* quell’attrezzo di cancelleria per fare i buchi ai fogli dal nome sconosciuto
* forbici
* un po’ di pazienza
* un po’ di buona musica
* un po’ di buone amiche
Fate bollire le uova fino a quando non diventano sode (un quarto d’ora da quando l’acqua bolle). Scolatele, lasciatele asciugare e raffreddare. Preparate la vernice dorata unendo il pigmento al diluente. Indossate i guanti e con il pennello colorate le uova. Riponete le uova dorate una ad una nella scatola che le conteneva e lasciatele asciugare. Mentre le uova si asciugano, preparate le carte di identità e le coccarde.
Carta d’identità:
Sulle etichette adesive per le “femmine” scrivete:
* NOME: MARGHERITA
* SESSO: FEMMINA
* RAZZA: BIANCA
* ORIENTAMENTO: ETEROSSESSUALE
* PREZZO: 10.000 EURO
Sulle etichette per i “maschi”:
* NOME: FRANCESCO
* SESSO: MASCHIO
* RAZZA: BIANCA
* ORIENTAMENTO: ETEROSSESSUALE
* PREZZO: 10.000 EURO
Coccarde:
Suddividete i fogli bianchi in tanti bigliettini quante sono le uova. Sui bigliettini ottenuti scrivete lo slogan della campagna: VIENE PRIMA LA GALLINA DELL’UOVO!
Ora praticate un foro in uno degli angoli di ciascuna coccarda.
Confezionamento:
Collocate ogni uovo in una busta e chiudete la busta con il nastro colorato, facendo attenzione ad usare l’azzurro per FRANCESCO e il rosa per MARGHERITA (non sia mai che vengano scombinati i colori attribuiti da Madre Natura ai due sessi!).
Allegate una coccarda ad ogni busta facendo passare il nastro nel foro e per finire, arricciate il nastro con le forbici proprio come fareste per una confezione regalo.
Istruzioni per l’uso:
Disseminate le uova ovunque: nei camerini delle migliori boutique, negli scaffali delle librerie, nei bagni e negli uffici pubblici, nelle farmacie, sull’autobus.
Presskit:
Scattate qualche immagine, scrivete un comunicato conciso ed efficace. Inviate il tutto alla stampa e diffondete nei circuiti di informazione indipendente. Se avete una videocamera e la situazione lo permette riprendete la reazione di chi trova le vostre uova.
#2 INTERFERENZE CULTURALI A BASE DI UOVA
a)All’uscita dei supermercati distribuite graziosi depliant. Presentano un’immagine rassicurante (una che tiene un uovo, un cesto di uova, un contadino sorridente) e lo slogan “UOVA OGNI GIORNO SENZA PREOCCUPAZIONI”. Sul retro il testo: “Procedete pure e godetevi altri embrioni (fino a sette a settimana) senza provocare problemi al vostro cuore. Il segreto? Dato che un embrione grande contiene circa 210 mg di colesterolo (tre quarti circa del limite suggerito giornaliero assimilabile dagli alimenti), avete bisogno di compensare il consumo di embrioni con alimenti poveri in colesterolo per il resto della giornata. Fortunatamente, cio’ e piu’ semplice di quanto sembri”. Avete sostituito la parola ‘embrioni’ all’originale ‘uova’.
b)Armate di spray scovate tutte le scritte di Forza Nuova della vostra città. Con tratto deciso cancellate la ‘N’ e aggiungete un punto esclamativo.
c) Per andare al lavoro o se potete concedervi un po’ di shopping, per tornare a casa o per andare al cinema, per andare a farvi un week-end romantico fuori città o per andare al paesello a trovare la nonna, lasciate l’auto a casa e usate i mezzi pubblici, non solo perché così inquinate meno..
Sull’autobus o sul treno, individuate un posto libero e appicicategli sopra un adesivo con la scritta: POSTO RISERVATO ALL’EMBRIONE ai sensi della Legge TPMA.
Deponete sul sedile un uovo d’oro, sicure/i di fare il vostro dovere di cittadine/i.
http://www.amatrix.it
ha scritto anche opere teatrali, anzi, H.C. Andersen inizio’proprio come attore, quando si trasferì a copenhagen… se non ricordo male. me lo confermi?
Che bello leggerti, Lucio! Finalmente qualcuno ha pensato di pubblicarti qui. Giustizia è fatta!:-)
Ora sei uno che può anche avere un po’ di autorità in giro:-) Ne avevi bisogno, poiché, come avrai visto, Mozzi continua a scrivere il mio cognome con la d minuscola, nonostante che tu sia intervenuto a mio favore:-)
Mi potrei far raccomandare da te per scrivere anche qui le mie letture degli scrittori dimenticati? Datti da fare, allora, e non portarmi sul piatto il risultato nullo che hai ottenuto da Mozzi sul mio cognome:-)
Proprio dalle molte mie letture dei narratori dell’Ottocento e dei primi del Novecento, ho trovato ineccepibile quanto affermi qui:
“Il fascino dei romanzi dell’Ottocento, e di questo in particolare, sta esattamente nel proporre storie in cui “tutto si tiene”, ovvero in cui ogni dettaglio ha un proprio preciso posto all’interno di un’ORDINATA economia narrativa.”
Vorrei dire di più, che il romanzo, quello vero, non solo ha avuto nell’Ottocento il suo secolo d’oro, ma a partire dagli anni 70 esso ha cominciato ad assumere forme promiscue e confuse, che stanno generando un’altra cosa, con un cammino alla rovescia rispetto al noto racconto di Andersen, ossia il cigno si sta trasformando in un brutto anatroccolo. Se sia colpa dei tempi, non so dirlo, ma è certo che il narratore di oggi, molte cose si propone, salvo quella di raccontare.
Senza mettere alla gogna nessuno, sai che gli scrittori che io metto al vertice del romanzo sono Dickens, Zola, Hardy, Balzac, Lawrence, più di Joyce e di Dostoeskji, e in Italia Manzoni, Verga, Bacchelli, Dessì. Tra i viventi Sgorlon, Abate e Nigro.
Basta questa elencazione (forse ho dimenticato qualche nome) per dire come la penso.
Le vere rivoluzioni che incidono nella società, stanno quasi sempre nel valore e nella suggestione della storia raccontata. Se poi una scrittura attenta e personale l’accompagna, nasce “l’uno su mille”: ossia il capolavoro.
Per il mio lavoro, sto leggendo gli scrittori lucchesi. Due viventi: Vincenzo Pardini: “Lettera a Dio”, (finito di leggere: lo trovi già nel mio sito)e Francesca Duranti: “L’ultimo viaggio della Canaria” (che non ho ancora terminato). Due storie belle, ma il percorso che Pardini traccia con la sua scrittura personale dà quel tocco in più al pregio del libro.
Spero di essermi spiegato.
Una osservazione: hai scritto “entropia”, e mi hai fatto ricordare il vocabolario consueto di sg:-)
Complimenti, e un caro saluto.
Bart
Bart, sono certo che il tuo tanto (da me) bistrattato “La rivolta dei leprotti”, Prospettiva Editrice, avrà un destino inverso a quello di “Storia di Genji il principe splendente”. Fra mille anni verrà tradotto in cinese. Abbi fede. È solo questione di tempo:-)
Barbieri: non ricordarmi la terrificante scheda de ‘Il violinista’ sul sito di Fazi. Mi vien da piangere solo a pensarci.
Gina: sbaglio o sei clinicamente pazza?:-/
Emilia: certo, HCA aveva il sacro fuoco e le tentò tutte, prima di “farsi un nome”. C’è una bella sintesi della sua vita nel sito di Gender Bender.
Hans Mayer, nel libro “I diversi” , propone un’interessante analisi delle fiabe di Andersen come proiezione della sua omosessualità. Interpreta, per esempio, “Il brutto anatroccolo” come la storia di un coming out, scoprendo che… funziona magnificamente anche cosí! Lo ha fatto anche Stefano Bolognini in “Un anatroccolo gay” (leggibile in rete), secondo il quale la fiaba “racconta il difficile percorso dell’omosessuale che cerca i propri simili e le sue enormi difficoltà nel farsi accettare”. Purtroppo Andersen, osserva Bolognini, si sentí per tutta la vita un “soldatino di stagno senza una gamba”, impossibilitato ad amare per il suo “difetto”; quando non, appunto, una “sirenetta” (mezzo donna e mezzo… mostro), innamorata di un giovane “normale”, come Andersen lo era di Edvard Collin, che non poteva ricambiare il suo amore, mentre scriveva la fiaba.”
Su questa linea, Christian, il protagonista di “Solo un violinista ambulante”, che porta tutt’altro che casualmente lo stesso nome di Andersen, non riuscirebbe, invece, a uscire dalla propria impasse (dati anche i tempi, ben diversi da quelli di Bolognini!), ovvero dalla propria condizione di “cigno solo e sbeffeggiato” e di “sirenetta sofferente”…
Per Bart: ho cappellato. Non in cinese, ma in giapponese, naturalmente.
Caro Lucio,
fra mille anni voglio esserci anch’io, anche per leggermi in giapponese non solo “La rivolta dei leprotti”, dove sei citato per la tua competenza in fatto di ciliegie, ma anche “La scampanata”:-)
Naturalmente, ci sarai anche tu, al mio fianco…
Bart
angelini, a un simpatico rompicorbelli come te non faccio mancare il commento…
il pezzo è interessante…tu sembri uno che ragiona normalmente…e onore a andersen
onoratissimo. bacio le mani a vossia:-)
angelini, no, clinicamente no:). E comunque andersen mi interessa, soprattutto per la sua natura “quasi femminile”. Se ti va, mi interesserebbe sapere come la pensi. Leggerò comunque la tua traduzione. Ciao anzi coccodè.
Dimenticavo. Naturalmente intendevo dire cosa ne pensi tu, come traduttore (“translation is the most intimate act of reading” G.C. Spivak). PS: le galline c’entrano eccome:)
vedi angelini, hai pure rimorchiato…quando si dice il fascino del potere…e questa gina te lo dico io non è fessa…sia sua o no, questa cosa con le uova è una squisitezza…
GINA: dovresti prima spiegarmi che cosa intendi per “natura quasi femminile”. Certo, puoi consultare:
http://it.gay.com/view.php?ID=13653
dove si dice: “Ecco uno stralcio di una lettera di Hans a Edvard Collin: ‘Io languo per te come una bella ragazza di Calabria… i miei sentimenti per te sono come quelli di una… donna… La femminilità della mia natura e la nostra amicizia devono restare un mistero”.
Francesca Lazzarato, nel suo bell’articolo sul Manifesto ancora in rete, sostiene che HCA si identifichi più nel personaggio di Noemi che in quello di Christian. Mi ha anche scritto che Noemi, secondo lei, è “un’eroina femminile coi fiocchi!”
Le ho risposto: “Certo, una protofemminista che sostituisce il bambolotto Christian alle
bambole di un tempo, e vorrebbe piegarlo ai suoi giochi:-)”
Quanto a me, devo chiarirti che non giudico mai le persone in base al genere di appartenenza. Esistono ottimi e pessimi esemplari umani sotto entrambe le metà del cielo. Certe ‘donne in carriera’ da me conosciute nel mondo dell’editoria, per esempio, mi hanno fatto rimpiangere i peggiori editor maschi:-)
Sempre per Gina. Aggiungo un passo dalla recensione di Marta Morazzoni sul TTL de La Stampa di un paio di settimane fa: “Scritta nel 1837, quest’opera rappresenta una lettura crepuscolare di un mondo in cui anche i vincitori assaggiano l’amaro delle cose, magari a un passo dalla felicità e respinti però nella zona d’ombra. Ne è il paradigma, in questo senso, la bella Noemi, che verso la vita è imperativa e autoritaria, affronta avventure e disavventure, in netto contrappunto con il debole afflato vitale del violinista, ma è in altro modo incompiuta: due emarginati dalla felicità, il povero cristiano e l’ebrea ricca, due volti diversi della sconfitta. Andersen qui attribuisce tutta l’energia alla donna, da cui traspaiono nel bene e nel male la forza e la luce aggressiva del Mediterraneo che lei porta nei suoi caratteri genetici e nella fisionomia: un omaggio al gentil sesso e insieme anche lo svelarsi della soggezione che lo scrittore sembra aver provato nei riguardi dell’universo femminile, fino al larvato sospetto di una latenza omosessuale. Non è un caso che Noemi risulti più inquietante e seduttiva quando la sorte le impone un travestimento maschile.”
Mi riferivo alla natura “quasi femminile”di HCA proprio perchè detta da lui, e all’impatto del “mistero”, di questo mistero, sul traduttore che col testo ha un corpo a corpo, e si porta ovviamente dietro se stesso.
Le rece che citi le ho lette. Mi chiedevo cosa ne pensassi tu, che hai curato il libro e che in definitiva hai fornito ai recensori parte importante delle informazioni:). Anche perchè di questo aspetto, così centrale (?) nella poetica di HCA nel pezzo che hai postato qui proprio non c’è traccia. Lo considererà inesistente, mi sono chiesta, oppure irrilevante ai fini della “durezza delle circostanze” contro cui HCA era costretto a misurarsi (un dettaglio senza posto preciso) , oppure scontato. Oppure boh. Se ho ben capito e ricostruendo, seguendo i sassolini per ritrovare la strada:), consideri Noemi una protofemminista quindi al negativo. Le opinioni di Mayer e Bolognini interessanti, quelle di Lazzarato un po’ meno. Morazzoni cerchiobottista forse equilibrata. Grazie e ciao e il libro lo leggerò davvero.
Il pezzo postato qui doveva essere ragionevolmente breve, per cui non poteva prendere in considerazione tutti gli aspetti della poetica anderseniana. Il tema della diversità (ampiamente discusso in un recente convegno a Bologna) è sicuramente centrale in HCA. “Il brutto anatroccolo” lo affronta di petto:-)
I personaggi principali de ‘Il violinista’ (Noemi, Christian, il padrino norvegese di Christian, Ladislao, Steffen-Karreet…), benché cosí diversi l’uno dall’altro, sono tutti riconducibili alla matrice dell’OUTSIDER. Naomi è un’outsider già per il solo fatto di essere ebrea (il romanzo contiene una vivida descrizione dell’ultimo pogrom in Danimarca, le cui conseguenze Andersen verificò personalmente al suo arrivo a Copenaghen nel 1819) e Ladislao, addirittura, un discendente dei Paria.
Nell’ambiente degli intellettuali di Copenaghen Andersen fu a lungo sbeffeggiato. Lo stesso Kierkegaard, oltre a demolire “Il violinista” nel saggio “Dalle carte di uno ancora in vita”, disse: “”Andersen non ha idea di cosa sia una fiaba, ha un buon cuore e basta, ma cosa c’entra con la
poesia?”
Come ho già detto più volte, ho dovuto lottare duramente per convincere un editore a ripubblicare ‘Il violinista’.
Una nota direttrice di una collana per ragazzi, rifiutando la pubblicazione (ridotta e adattata) di questo romanzo, mi scrisse:
“Questo libro potrebbe piacere, credo, alle ragazzine sentimentali miracolosamente immuni da morbi come Bratz, Winx, Witches e simili. Che sono, temo, poche. Senza contare che il proverbiale pessimismo anderseniano qui scava baratri. Non credo nella letteratura tutta fiocchi e allegria, ma qui non c’è proprio speranza. Quindi lo trovo un libro interessante per un adulto che voglia saperne di piú di Hans Christian (o che ne sappia già abbastanza da capire il romanzo per quello che è), ma non per un ragazzo.”
Dubito che avesse ragione. Le ragazzine “sentimentali”, nel senso filosofico di “tendenti ad attribuire un’importanza prevalente alla funzione del sentimento nell’economia dello spirito”:-), sono, per nostra fortuna, una marea.
Ho sempre guardato con sospetto al modello femminile “sentimentale”, ma la lettura ad alta voce del Brutto anatroccolo e della Sirenetta fatta dalla maestra delle elementari è tra i ricordi più belli della mia infanzia.
Credo di aver intuito lì, da quelle letture, che la letteratura può essere una cosa straordinaria.
in effetti il pezzo interessa e si lascia legere: l’importante è dimenticarsi di chi l’ha scritto. NI dovrebbe proporre ad angelini un pezzo al mese fisso in cambio della sua assenza da ogni commento.
Eh, no. Angelini preferisce la curva sud:-/
Secondo me Angelini è abbastanza matto, però ci ha le chiavi di questa cosa sconosciuta che è la letteratura per ragazzi. Perché poi sconosciuta che in fondo i libri da ragazzi li leggevamo? Boh, però un po’ di gratitudine viene per chi ritrova ‘sti pezzi di immaginario.
chi non è matto, ivi, scagli la prima pietra…;-)
Allora io tiro del polistirolo :-)
Angelini, mi sa che ti riferisci alla fortuna editoriale:). Comunque io sono fuori target. Non m’intendo di contabilità celeste (l’economia dello spirito) sul “sentimento” e “il femminile” potrei aprire noiossissime parentesi ma le chiudo subito, e il violinista mi interessa in quanto (possibile) border text, cioè come sconfinamento, in primo luogo indentitario, tutto terrestre.
Per Gina. Credo che ‘Il violinista’ sia stato a lungo ignorato nei paesi luterani per la sua modernissima visione ‘interconfessionale’.
Quando, alla fine del romanzo, il marito di Lucia rimprovera al personaggio Christian di stare “dalla parte dei cattolici”, quest’ultimo (e per sua bocca, naturalmente, l’altro Christian, ovvero l’autore del libro)risponde:
“Voglio soltanto che un manto d’amore si dispieghi su TUTTI i credo religiosi.”
Cfr. in “Il Bazar di un Poeta”:
“Le differenti maniere che hanno i vari popoli, ma anche le singole sette, di avvicinarsi a Dio, sono sacre per me”; “Mi chino umilmente davanti a tutto ciò che è sacro per chi sinceramente crede”,
e più avanti, deprecando quella che percepisce come mancanza di tolleranza da parte di un vecchio prete islamico ad Hagia Sophia (dove Andersen pare dolersi della perdita di questo edificio per la Cristianità):
“Non guardarci con tutto questo rancore, vecchio prete, il tuo Dio è anche il nostro Dio! Il tempio della natura è il nostro tempio comune, tu ti inginocchi guardando alla Mecca, noi volgendoci a Oriente”.
Non ha importanza che a te interessi o meno il discorso religioso. In Andersen è importante.
Ti quoto questo passo significativo:
“Come ci promettono sia la religione naturale, sia quella positiva, il percorso verso la vera felicità prosegue dalla terra verso un astro piú alto…. La nostra vita, di conseguenza, con tutti i suoi accadimenti, non è che un grande viaggio di formazione, una marcia di città in città verso la Gerusalemme celeste. I nostri viaggi di quaggiú non sono che una mediocre metafora, benché tangibile, del grande percorso totale… Tendiamo verso un’altra dimensione, un mondo piú elevato, dove forse ripenseremo agli anni trascorsi sulla terra…”(Parte II, cap. VI)
“Il violinista” è un’opera sicuramente imperfetta, ma comunque ricchissima e affascinante. C’è un dettaglio nell’ultimo capitolo (ne parleremo quando lo avrai letto) che basta da solo a rivelare il genio e la grandezza.
P.S. Anch’io sono abbastanza laico, ma essendo stato allevato da una nonna soggetta a visioni mistiche (una mistica minore del ‘900) non posso non sentire – a tratti – la religione come un dolce profumo d’infanzia:-)
solita correzione: il genio e la grandezza di Andersen.
Fake di ang, se tra “tutti i credo religiosi” è compreso anche quello dei rasta , HCA mi gusta.
Un regalino a tema (il “pessimismo anderseniano che scava baratri”) per il week end
SHIT HAPPENS
Taoism: Shit happens.
Confucianism: Confucius say, “Shit happens.”
Buddhism: If shit happens, it isn’t really shit.
Zen Buddhism: Shit is, and is not.
Zen Buddhism #2: What is the sound of shit happening?
Hinduism: This shit has happened before.
Islam #1: If shit happens, it is the will of Allah.
Islam #2: If shit happens, kill the person responsible.
Islam #3: If shit happens, blame Israel.
Catholicism: If shit happens, you deserve it.
Protestantism: Let shit happen to someone else.
Presbyterian: This shit was bound to happen.
Episcopalian: It’s not so bad if shit happens, as long as you serve the right wine with it.
Methodist: It’s not so bad if shit happens, as long as you serve
grape juice with it.
Congregationalist: Shit that happens to one person is just as
good as shit that happens to another.
Unitarian: Shit that happens to one person is just as bad as
shit that happens to another.
Lutheran: If shit happens, don’t talk about it.
Fundamentalism #1: If shit happens, you will go to hell, unless
you are born again. (Amen!)
Fundamentalism #2: If shit happens to a televangelist, it’s okay.
Fundamentalism #3: Shit must be born again.
Judaism: Why does this shit always happen to us?
Calvinism: Shit happens because you don’t work.
Seventh Day Adventism: No shit shall happen on Saturday.
Creationism: God made all shit.
Secular Humanism: Shit evolves.
Christian Science #1: When shit happens, don’t call a doctor – pray!
Christian Science #2: Shit happening is all in your mind.
Unitarianism: Come let us reason together about this shit.
Quakers: Let us not fight over this shit.
Utopianism: This shit does not stink.
Darwinism: This shit was once food.
Capitalism: That’s MY shit.
Communism: It’s everybody’s shit.
Feminism: Men are shit.
Chauvinism: We may be shit, but you can’t live without us…
Commercialism: Let’s package this shit.
Impressionism: From a distance, shit looks like a garden.
Idolism: Let’s bronze this shit.
Existentialism #1: Shit doesn’t happen; shit IS.
Existentialism #2: What is shit, anyway?
Stoicism: This shit is good for me.
Hedonism: There is nothing like a good shit happening!
Mormonism #1: God sent us this shit.
Mormonism #2: This shit is going to happen again.
Wiccan: As it harm none, let shit happen.
Scientology: If shit happens, see “Dianetics”, p.157.
Jehovah’s Witnesses #1: “Knock” “Knock” Shit happens.
Jehovah’s Witnesses #2: May we have a moment of your time to show you some of our shit?
Jehovah’s Witnesses #3: Shit has been prophesied and is imminent;
only the righteous shall survive its happening.
Moonies: Only really happy shit happens.
Hare Krishna: Shit happens, rama rama.
Rastafarianism: Let’s smoke this shit!
Zoroastrianism: Shit happens half on the time.
Church of SubGenius: BoB shits.
Practical: Deal with shit one day at a time.
Agnostic #1: Shit might have happened; then again, maybe not.
Agnostic #2: Did someone shit?
Agnostic #3: What is this shit?
Satanism: SNEPPAH TIHS.
Atheism #1: What shit?
Atheism #2: I can’t believe this shit!
Nihilism: No shit.
(http://materialiresistenti.clarence.com/)
Al di là di fondamentalismi, rituali e apparati, da cui è forse ormai bene sciogliersi, accade comunque che, a volte, si provi nostalgia per una patria più vasta.
Quanto al week-end, andrò a farmi la breve, ma sfiziosa ferrata del Sass de Rocia, sopra Laste di Rocca Pietore (vd. Monoliti di Ronc, della serie Magico Veneto).
Tu come sei messa con l’alpinismo?
Cosa?
Che c’entra?
Ascolta:
«Tutti attraversiamo la fase caratterizzata da un fortissimo bisogno di dipendenza (dalla madre, dalle cure parentali, eccetera). Poi, lentamente,
ci avviamo verso l’autonomia e quell’antico bisogno sopravvive in forme solo
sopite e attenuate (dipendenza da una donna, da un personaggio idealizzato, dal lavoro eccetera).
In alcuni casi, però, l’antico bisogno di dipendenza si traforma in un vero e proprio
BISOGNO DI PENDENZA
e allora non resta che avviarsi per piani
inclinati, appunto pendenti… con lo sguardo rivolto alle cime:-)
Io no alpinista, fake di ang. Io al massimo spulcia cime fiorite:)
Si può fare una ferrata sulle Cime di Rapa? :-)
Solo se in possesso di adeguato spirito di patate.