I detti del buon vecchio Mougnot
di Fernand Tourret
traduzione di Andrea Raos
«Nulla dire di sé.»
Vivi che ti scordino.
Quando, ciò che sarai
Tu solo saprai
Più non inquieterai nessuno;
Ma a godere appieno
Del magro bene, finché scodella
Potrai stringere in mano
Colma sera e mattina
Secondo tua fame,
Tuo cuore canterà tua gloria
Perché è tua gioia più rara
Essere uomo che nessuno invidia.
Vivi che ti scordino… Vivi che ti scordino.
Vivi che ti scordino.
I vivi ti pelano già
Nei loro letti d’impazienze
Sognano di prenderti questo o quello
Che hanno scelto in visite
Incipriate d’amicizia, urbanità.
Al dormire s’increspa talvolta
La mandibola masticatoria
Come pinza per schiacciare noci
I vecchi hanno asprezza di beni
Fino a prossimi a finire
Conservano tremare di dita
Di sapere cos’è tuo,
L’avrai mostrato una volta,
E che non sta nel bene loro.
Vivi che ti scordino… Vivi che ti scordino.
Vivi che ti scordino.
Fa’ piccolo fuoco di rami
Non metterne verde diffida
Ma secca fascina, pronta alla fiamma,
Che non dica nulla ai paraggi.
Troppo spesso camino
Tradisce focolare, dice a gente
Che ce se ne mette bel fascio
E in marmitta sobbolle
Cuoce lenta, impregnata
Qualche carne speziata.
Vivi che ti scordino… Vivi che ti scordino.
Vivi che ti scordino.
I morti ti chiamano
«Ehi! Tu, lassù, quando vieni?»
Malgrado siano, li si creda, muti.
Profondi laggiù sotto i tumuli
Ti invidiano di essere in vita
Di notte, verso il basso ti tirano
Ne esce richiamo dai buchi dei vermi…
«Vieni a sdraiarti qua proprio a fianco
Si sta così bene sotto il prato fresco.»
Vivi che ti scordino… Vivi che ti scordino.
Les dits du germain Mougnot
«Ne rien dire de soi.»
Vis qu’on t’oublie.
Lors, ce que tu seras
Toi seul tu le sauras
Plus n’inquiéteras personne;
Mais à jouir à plein
Du mince bien, tant que l’écuelle
Tu pourras tenir dans ta main
Remplir le soir et le matin
Au gré de ta faim,
Ton cœur chantera ta gloire
Car c’est la joie la plus rare
D’être l’homme qu’on n’envie pas.
Vis qu’on t’oublie… Vis qu’on t’oublie.
Vis qu’on t’oublie.
Les vivants te pèlent d’avance
Dans leurs lits d’impatiences
Rêvent de te prendre ceci cela
Qu’ils ont choisi dans les visites
Fardées de civilité, d’amitié.
Au dormir se crispe parfois
La mandibule mâchelière
Cmme pince à casser les noix
Les vieux ont âpreté aux biens
Jusqu’au tout près de la fin
Gardent tremblement des doigts
De savoir ce qui est tien,
Tu l’auras montré une fois,
Et qu’ils n’ont pas dans leur bien.
Vis qu’on t’oublie… Vis qu’on t’oublie.
Vis qu’on t’oublie.
Tu fais petit feu de branches
N’y mets pas du vert en défiance
Mais cotret sec et bien brûlant
Qui ne dit rien aux parages.
La cheminée trop souvent
Trahit l’âtre et dit aux gens
Qu’on y met bonne bourrée
Pour marmite mitonnée
Où se cuit lente, imprégnée
Quelque viande bien saucée.
Vis qu’on t’oublie… Vis qu’on t’oublie.
Vis qu’on t’oublie.
Les morts t’appellent
«Eh! Toi, là-haut, quand viens-tu?»
Malgré qu’ils soient, qu’on croit, muets.
Profond là-bas sous les tertres
Il t’envient d’être encore en vie
Te tirent la nuit vers le bas
Te hèlent par les trous des vers…
«Viens te coucher là tout auprès
Nous sommes bien sous le pré frais.»
Vis qu’on t’oublie… Vis qu’on t’oublie.
[Fernand Tourret è morto nel 1970 – è tutto quanto so di lui. Si tratta, del resto, di un poeta quasi del tutto dimenticato. Questa poesia è tratta dal libro Branle des petits seigneurs du Pays de Thelle, Chateauneuf-sur-Charente, Plein Chant, 1981.
*
Recupero questa traduzione, modificandola in varî punti, dal mio saggio L’intraducibile, apparso in F. Buffoni (a cura di), La traduzione del testo poetico, Milano, Marcos y Marcos, 2004, p. 564-657. a.r.]
Raos, adesso penserai che sono completamente rincitrullito (e forse hai ragione) ma il drago l’ho riconosciuto subito: sono venuto su a Grisu, era uno dei personaggi dell’Île des Enfants, allora era un drago di pelouche.
“une emission pour enfants qui presentait un petit dragon vert qui crachait toujours du feu et qui voulait devenir pompier. Il habitait avec son papa dragon avec une touffe de cheveux rouges. Il y avait aussi des humains qui le suivaient dans ses aventures.”
Ehm, sono ricordi di oltre vent’anni fa (erano i tempi della “linea”), ma mi pare che un altro personaggio dell’isola fosse “Bobo cane inglese lungo come un mese” (era un bassotto). E la sigla tradotta in italiano faceva su per giù:
“Ecco venuto il tempo
di ridere e cantare
nell’isola dei bambini
è sempre primavera
è il paese gioioso
dei bambini felici
[…]”
Vabe’ poi non la ricordo più.
Fine del commento rincitrullito che sorvola sulla bella poesia causa entusiasmo per un ricordo. personale.
Gli inviti alla modestia, alla moderazione e all’aurea mediocrità sono ricorrenti in poesia.
Qui abbiamo una variante piuttosto meschina ed avara (oltre che lugubre…).
In effetti una “marginalità” decorosa non esclude necessariamente generosità ed apertura, pur restando – questo è un suo tratto irrinunciabile – con i piedi saldamente per terra.
(Povero Tourret, dimenticato come auspicava)
caro barbieri, in tal caso siamo rincitrulliti in due… ma mi sembrava che negli ultimi giorni, su NI, ci fosse proprio bisogno del draghetto pompiere.
*
cara emma, era proprio questo tono “meschino” che mi aveva interessato, questa contrazione interiore. non lo dico per difenderlo, tourret si prende la responsabilità di cio’ che scrive, come tutti. ma la sintesi (sintassi, senso, suono) di “vis qu’on t’oublie” mi sembra notevole; è un verso che, per me, vale tutto il resto della poesia.
grazie, a presto,