A Raul vorrei chiedere la sola cosa che conta
di Carla Benedetti
Raul, sei d’accordo con questa frase che ha scritto Caliceti?
“… accettare serenamente .. un ruolo di “marginalità” che oggi la letteratura nel mondo (e soprattutto in Italia) ha da almeno alcuni secoli”
Sei d’accordo, non solo sulla marginalità, ma su quell’accettarla serenamente? Quasi fosse un verdetto epocale? Sei d’accordo su questo? E su tutte le conseguenze (a mio parere di rinuncia) che un simile affermazione comporta?
E poi ti invito a riflettere su questo:
Dire a Caliceti che nel suo pezzo postato su Nazione Indiana (non nei suoi libri, bada bene) si esprime una visione “rinunciataria e immiserita della scrittura letteraria e della cultura” non è un’aggressione ma l’espressione diretta di un dissenso. E tu lo trovi “vergognoso”! Cosa c’è di vergognoso nell’esprimere un dissenso profondo, e una critica dura, nel merito di ciò che un altro sostiene?
E neanche capisco perché resti “esterrefatto” per il modo con cui mi riferisco a Gianni, chiamando le sue categorie “pseudosociologiche”. Sì io credo che le sue categorie siano pseudosociologiche. E allora? non lo si può dire? Non si può muovere un’obiezione a un indiano?
Sì, io credo che la sua classificazione degli scrittori, puramente sociologica, basata su quanto gudagnano e come lo guadagnano, non funzioni, faccia acqua da tutte le parti. E soprattutto non ingloba (anzi cancella, addirittura lo rimuove come se fosse la cosa più insiginificante del mondo) il rapporto di necessità interna, soggettiva, che lega lo scrittore al fatto di scrivere. Questa secondo me è invece la cosa più importante che differenzia gli scrittori, ancor prima che del modo con cui si guadagnano da vivere, se da architetto o da insegnate in una scuola di scrittura, o se vendano molto o poco. La rimozione di questo criterio è ciò che più mi ha colpito nella sua classificazione e ciò che secondo me la rende “pseudo”.
Tu mi dici quindi che obiezioni così non si possono fare, né a Caliceti né a Biondillo! Che sono aggressioni irrispettose! Raul, ma chi sta facendo una questione di “compatibilità con il Verbo”, io o tu? Chi è il censore qui?
Io voglio avere la libertà di muovere obiezioni a chiunque, anche a Caliceti, anche a un indiano. Quando ne ho da fare. E anche di fare obiezioni durissime, ma tutte nel merito (Non ho dato del “coglione” a nessuno, e nemmeno del “narcisista”, e nemmeno dell'”invidioso” e nemmeno del “cazzeggiatore” e nemmeno un “Vaffanculo”… mentre c’è chi lo fa e lo sta facendo in questi giorni, senza che tu ti sia sentito in dovere di protestare).
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Mi sembra un po’ ridondante, Signora.
Ahh! Rieditazione in tempo reale. Meglio andare a vedere la Juve …
Un’ultima brevissima poi chiudo: chapeau Raul, sei un bodhisattva tra i bramini :-)
Carla, non hai risposto sul declino dei LEGO. È lì che si nasconde il nocciolo d’uranio, come lo chiama Biondillo. Certo, la bellezza non svanirà, ma le sue forme, forse, cambieranno. Dopodiché ognuno continuerà a produrre ciò che preferirà: ventagli, merletti, spettacoli multimediali, persino romanzi. Ma all’interno di una cultura sempre più policentrica, in cui gli artisti saranno sempre più numerosi, mentre le nicchie capaci di ospitarli sempre meno. La contrapposizione fra creativi e fruitori delle opere di genio si farà sempre più acre. Forse, per dirla con Warhol, ad ogni artista non resterà che accontentarsi di un solo quarto d’ora di attenzione.
Marginalità & Non Rinuncia. Giuro che non avrei mai pensato di passare per un chierico della Restaurazione o un complice di un Genocidio Culturale. A ogni modo, sperando di non offendere involontariamente nessuno, provo a chiarire e a chiarirmi le idee. Provando a spiegare, senza dizionario sottomano, perché per me “accettare” e pure “serenamente” una condizione della Letteratura e dello Scrittore come “marginali” – e il mio non è un verdetto epocale ma solo una sensazione – non sia un atto di “rinuncia” come scrive Carla Benedetti. Anzi, sia proprio il contrario.
C’è una frase strausata che pressappoco dovrebbe suonare così: “Agire locale, pensare globale”. Provo a spiegarmi con quella. Speriamo bene.
Io agisco, io scrivo, nel mio piccolo, nel mio “locale”, – che qui utilizzo come sinonimo di “marginale”, di “periferia”, di “presunta consapevolezza dei miei limiti spazio-temporali” e anche “intellettuali”. Ma ciò non significa assolutamente, – se nonostante questa mia sensazione io continuo a scrivere, a “agire”, volete che scriva “combattere”? – che il mio “pensiero” non possa essere anche “globale”. E perciò non rinunci affatto al mio “sogno” e a tutta la mia “libertà”. E li coltivi. E li difenda a denti stretti. Serenamente, ma anche con tenacia e vigore. E vi garantisco che avere ancheun piccolo lavoro di cui campare, che magari non coincide con i compensi che si hanno scrivendo per esempio un libro in cui si crede meno di un altro, a volte mi aiuta molto a tener vivo quel “sogno” e quella “libertà” più di tanti discorsi. Le biografie di molti scrittori che tutti amiamo spesso stanno lì a ricordarcelo. Grazie dell’ospitalità.
Mi azzardo ad intervenire, anche se la tragicommedia dell’urlo comincia un po’ a stancarmi (ma ognuno ha il proprio approccio).
Caliceti ha scritto di “marginalità dell’arte” da “accettare serenamente”, e ne è nata una discussione appassionata.
Io penso che l’alternativa tra centralità e marginalità dell’artista, se posta in questi termini, diventi una gabbia, perché riduce tutto allo schemino della guerra, dello scontro frontale. Serve proprio contrapporre una volontà di potenza a un’altra? Non sarebbe meglio disertare?
Forse anche questo mio è un discorso vecchio e schematico; eppure, se questa è un’epoca in cui esistenza e arte s’intrecciano e incarnano, un’epoca senza sintesi né centro ma plurale, disseminata di forme di vita, che fluttuano nell’universo come un polline… se tutto questo è vero allora non ha (più) senso ridurre tutto all’uno contro uno. C’è dell’altro. Anche nel ruolo attuale dell’arte, della letteratura, che può (e deve) essere importantissima senza per forza essere pensata al centro o a lato del campo.
O no?
Lungi da me l’intenzione di gettare benzina sul fuoco. Spero solo che il mio contributo complichi positivamente la discussione.
Luigi
Io accetto pacificamente che la mia vita abbia un ruolo marginale, cioè non entrerò nei libri di storia, non farò rivoluzioni, insomma non cambierò il mondo. Questo non solo non fa sentire me una merda, ma è probabilmente il miglior stato d’animo per riuscire ad avere una progettualità, magari piccola, però che c’è e non è poco. Se pensassi che la mia vita deve essere centrale, buonanotte al secchio, forse diventerei anche un po’ stronzo. E conosco tanta gente che pensa che la sua vita è marginale, però lo stesso nei fatti è significativa e produttiva.
Se questo vale per la vita, a maggior ragione vale per la letteratura. Oltretutto Caliceti ha fatto tanto per avere una nuova letteratura e anche un nuovo pubblico (e non lo dico solo perché ho conosciuto la fidanzata a Ricercare).
Per finire copio incollo una delle ultime cose scritte da Tondelli, perché mi sembra un buon modo di avere entusiasmo (anche perché non fa della letteratura il perno di tutto).
“Alla ripresa autunnale, dunque, noi semplicissimi e non graduati cittadini continueremo a lavorare, cercando con tutte le forze di impedire ai freak della politica di invadere anche la nostra intimità, di corrompere la nostra capacità di fare progetti, di sentirci legati agli altri. Poiché, mentre tutto sembra andare a fondo nella melma delle menzogne e dei giochi di potere, ci sono nuove generazioni che danno speranza. Gli anni novanta riscoprono la partecipazione, l’impegno e, cosa ben più importante, la solidarietà. E’ per questo che, nonostante il sipario di ombre dell’estate, in fondo è possibile intravedere la luce.”
Gentile Signora,
le scrivo qui anche se considera i post un luogo ormai per Lei infrequentabile (che brutti ceffi si incontrano…). Forse Caliceti intendeva con il termine “marginale” qualcosa di simile a “minore”:
1) “Una letteratura minore non è la letteratura d’una lingua minore ma quella che una minoranza fa in una lingua maggiore”.
2) “Il secondo carattere delle letterature minori consiste nel fatto che in esse tutto è politica”.
3) “Nella letteratura minore, infine – ed è questo il terzo carattere – tutto assume un valore collettivo. (…) Il campo politico ha contaminato ogni enunciato. Ma soprattutto – ed è ciò che più conta – dal momento che la coscienza collettiva o nazionale è spesso inattiva nella vita esterna e sempre in via di disgregazione, la letteratura viene ad assumere positivamente su di sé questo ruolo e questa funzione di enunciazione collettiva, e addirittura rivoluzionaria. E’ la letteratura che produce una solidarietà attiva, malgrado lo scetticismo; e se lo scrittore resta ai magini, o al di fuori, della sua fragile comunità, questa situazione lo aiuta ancor di più a esprimere un’altra comunità potenziale, a forgiare gli strumenti di un’altra coscienza e di un’altra sensibilità”.
Credo che Lei sappia da dove giunge questo invito alla costruzione di una “macchina letteraria”…