SAVERIO
di Martina Cossia Castiglioni
Saverio si allaccia il casco sotto il mento, verifica ancora una volta la solidità dell’imbragatura che lo assicura al deltaplano, poi impugna la barra di controllo. Da dove mi trovo vedo solo la macchia rossa del casco, ma posso indovinare i gesti di mio fratello, immaginare la sua espressione. L’aria è immobile e nella valle c’è un silenzio irreale. Saverio prende la rincorsa sulla piattaforma e dopo pochi metri si lancia nel vuoto.
Come sempre, ogni volta che spicca il salto, il vuoto è anche nel mio stomaco, il mio cuore si ferma per un istante e poi riprende a battere, a ritmo accelerato. Cerco nell’azzurro il deltaplano di mio fratello. Non sono sola, c’è Pigi vicino a me. È il migliore amico di Saverio, e il mio ragazzo da una vita.
«Non dovevi lanciarti anche tu, oggi?» gli chiedo.
Pigi indica il cielo:
«Io sto già volando, vedi?»
«Cosa dici? Quello è Saverio»
Pigi mi guarda sorridendo, e d’un tratto è come se non fosse più lui.
«Sai bene che tuo fratello non è lassù»
Sento il profumo dei pini e l’aria fresca sul viso. Sembra tutto così reale, eppure d’improvviso mi è chiaro che niente di quello che mio circonda lo è, perché so che sto sognando.
Mi sveglia il rumore della porta che si apre. Un’infermiera mette dentro la testa, dà una rapida occhiata, poi scompare di nuovo. Nel letto, sotto la tenda a ossigeno, Saverio sta dormendo. Io ho il collo indolenzito e mi fa male una spalla. Mi alzo dalla sedia e faccio qualche passo nella stanza. Fuori è già buio, ma non importa. Da un mese vengo a Genova tutti i fine settimana, e ancora ignoro come sia la città. Conosco solo l’ospedale, pochi vicoli e la via del mio albergo.
Mi avvicino al letto e osservo Saverio. Guardo le sue braccia divenute sottili, il viso sciupato. Quando eravamo bambini lo prendevo in giro per il suo mento un po’ sporgente, e lui sopportava con pazienza da fratello maggiore la sorellina dispettosa. A scuola avevamo amici e amiche, ma allora la nostra complicità era la cosa più importante.
Ricordo i primi voli di Saverio con il deltaplano, fresco di brevetto e solo, senza istruttore. Finché potevo lo seguivo con gli occhi, dopo aspettavo che tornasse e soltanto quando toccava terra l’ansia mi abbandonava. Poi i lanci erano diventati frequenti, e anche Pigi aveva cominciato. Per il mio ragazzo, però, non ho mai provato la stessa inquietudine.
Ora Saverio si è svegliato e attraverso la tenda a ossigeno mi sorride.
A volte, anche in questo momento, penso che mio fratello abbia sempre vissuto in punta di piedi, come per non dare fastidio. Da quando si è ammalato, la vigilia di Natale, ha sopportato in silenzio gli esami, le continue trasfusioni, le medicine e il trasferimento in questo ospedale di Genova, meglio attrezzato per curare la sua malattia. I nostri genitori sono sempre accanto a lui.
Papà è un medico, uno di quei dottori di campagna che sanno ancora ascoltare, e che difficilmente sbagliano una diagnosi. Lui spera nel trapianto di midollo (il mio è compatibile), l’intervento si potrebbe fare negli Stati Uniti. Saverio però è molto debole.
«Deve resistere» ripete papà.
Anche mio fratello è un medico. Ha iniziato a esercitare da poco, ma è già un buon dottore: per questo conosce la sua malattia e ha capito che non ce la farà. I nostri sguardi si incontrano, senza bisogno di parlare.
Eppure, quando mi guarda con dolce rassegnazione, vorrei urlare che non voglio la sua complicità, non questa volta. I nostri segreti dovrebbero avere ancora la leggerezza di quelli di un tempo, come quando da bambini tacevamo alla mamma i disastri combinati in casa, o quando dopo aver spento la luce restavamo svegli a chiacchierare fino a tarda notte.
Sono le sei del pomeriggio. In piedi accanto al letto sorrido anch’io a Saverio. Scambiamo poche parole perché non voglio affaticarlo. Mi racconta qualcosa su un’infermiera dell’ospedale e ridiamo insieme. Poi rimaniamo in silenzio, mentre il corridoio si riempie di voci e dello sferragliare dei carrelli del cibo.
Mio fratello si è riaddormentato. Mi siedo di nuovo. Sono stanca, e mi bruciano gli occhi. Non riesco più a tenerli aperti.
Adesso, nel momento del lancio, io sono con Saverio. Con gli occhi chiusi mi stringo a lui per non cadere. Quando ritrovo il coraggio di guardare, sotto di noi c’è la valle, ci sono alberi, campi e case lontane. Il cielo è pulito, si sente solo il rumore del vento che gonfia la stoffa delle ali del deltaplano. Non ho più paura. Finché è Saverio a pilotare nulla di male ci potrà accadere. La sua presa sulla barra è sicura, il suo respiro tranquillo. La terra si allontana e noi continuamo a volare.
Un piccolo gioiello di eleganza e intensità.
grande Martina ! I tuoi racconti hanno un solo difetto: che sono pochi.
Ma perché aspettare che Saverio si indebolisca ulteriormente, se c’è lì un donatore compatibile? Che si faccia subito, qui in Italia! Presto!!!
Bellissimo racconto dalla scrittura raffinata e attenta. Complimenti all’autrice.
Sarei curiosa di sapere cos’ha a che vedere il trattamento naturale contro l’acne con il mio racconto…