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Dai “Salmi penitenziali per la Settimana Santa del 1946”

di David Maria Turoldodavidmariaturoldo.jpg

N. 1
Più dura è la nostra vita
della Tua, Signore,
rotta, giocata,
dall’onda di giorni
disumani
sulle macerie di pietre;
(le mie ossa levigate
come le piastre della spiaggia).

Eppure non voglio che sia condanna
alle Tue opere
questo mio salmodiare
sconsolato. Tu sei la sorpresa
orrenda, l’insidia
sempre tesa, onde
non è concesso investigare
cosa maturi
ogni notte
il sangue.

Sei il nostro affamatore,
non lasci cogliere i frutti
di questo giardino terrestre,
ove fioriscono rose, musiche, e mani
candide come i lini
dei Tuoi altari; e occhi
più splendenti degli astri.

Feriti, arsi, dilaniati
da queste Tue forme
irraggiungibili;
una ad una
cadute le speranze
sotto l’arco di queste
stagioni inesorabili, lungo
le dolcissime riviere;
mentre è sentita consumarsi
la carne
nell’attesa
di inattuali paci.

La pena è d’aver creduto,
udito un messaggio
necessario,
che promette e non muta
nulla di questa
arrischiata avventura;
speranza che ti lascia
in balìa di una scelta
cieca, di una
vocazione
inevitabile.

E l’anima resta
impigliata nei sensi
come un uccello avvinto,
mentre il pensiero
ferisce la carne
e gli affetti suonano
su queste corde,
anche nell’alto silenzio
delle nostre
notti deserte;
anche se il cuore ormai
ha troppo sofferto l’arsura
di queste insufficienti
fontane; mentre Iddio
ancora non si vede,
non si sente,
è lontano.

A noi è impossibile Cristo.
Abbiamo nell’anima un peso,
la colpa fa nido dentro le ossa.
E però sappiamo
che non ci condanni
se cerchiamo sfamarci
di ciò che Tu stesso hai creato.
Tutto è nostro:
la vita, la morte,
che paghiamo ogni giorno
adorando cose da nulla.

E, dopo tutto, non resta
che la corolla di queste parole
maledette, rosse
di sangue, fiorite
dal rimorso di averle
raccolte; e forse
il gesto libero
della Sua pietà.

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3 Commenti

  1. La Sabbia e l’Angelo

    Meditazioni e Sentenze

    1. Chi grida sull’alto spartiacque è udito da entrambe le valli. Perciò la voce dei poeti intendono i viventi e i morti.

    2. Il primo banchetto è d’amore. Sugli avanzi d’amore banchetta la febbre. Infine i vermi, dita sicure della morte, ci spogliano ed aprono
    Fino allo scheletro lucente.

    3. Tutta la luce ch’è nell’uomo va incontro all’ultima luce. Nella luce si consuma l’incontro fra l’attesa dell’uomo e l’eterno.

    4. La piccola rugiada rinvigorisce la piccola erba Alla pazienza d’un altro giorno arido;

    Mentre l’albero assetato desidera la pioggia o la scure.

    5. Il mondo è così diviso: in principio è la brezza; E poi vi sono le cose che con voce o con gesto alla brezza rispondono;
    E poi vi è anche la pietra crudele, che tronca il volo alla brezza,
    E su cui nulla che alla brezza risponda può germinare.

    14. L’uomo che alla brezza si elesse compagno
    invano contro di essa erigerà siepe o muro.
    Per lui il silenzio, come conchiglia, custodirà la sua voce,
    e, respinta, più violenta si leverà nel suo cuore,
    finché egli sorga e la segua.

    (Margherita Guidacci)

    Se mi ami non piangere
    Se conoscessi il mistero
    immenso del Cielo
    dove ora vivo,
    questi orizzonti senza fine
    questa luce che tutto investe e penetra
    non piangeresti se mi ami!
    Sono ormai assorbito nell’incanto di Dio
    nella sua sconfinata bellezza.
    Le cose di un tempo
    sono così piccole al confronto!
    Mi è rimasto l’amore di te,
    una tenerezza dilatata
    che tu neppure immagini.
    Vivo in una gioia purissima.
    Nelle aungustie del tempo
    pensa a questa casa
    ove un giorno
    saremo riuniti oltre la morte
    dissetati alla fonte inestinguibile
    della gioia e dell’amore infinito.
    Non piangere se veramente mi ami
    (Agostino)

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