Da un Adversus Nietzsche
di Vito Mancuso
L’anima. Che cosa sia oggi nessuno lo sa, e dopo i paralogismi di Kant è pericoloso formulare ipotesi.
E’ chiaro però che Nietzsche deve distruggerla:«Quella credenza che considera l’anima come qualcosa di indistruttibile, di eterno, di indivisibile, come una monade, come un atomon; questa credenza deve essere estirpata dalla scienza» . Ed è altrettanto chiaro che l’anima è il bersaglio privilegiato dei materialisti di tutti i tempi. E’ solo l’anima, infatti, la sua origine celeste, a motivare il comportamento al di là della natura da parte dell’uomo che sceglie il bene. A giustificare l’adesione dell’uomo al bene non è il mondo, non è la natura, non è la storia, non è il regno della forza… non sono «né il sangue né la carne né il volere dell’uomo» (cfr. Giovanni 1, 13). A giustificare il bene può essere solo la posizione di un ordine superiore rispetto al mondo, l’ordine della grazia, e la riconduzione dell’uomo, della sua parte più alta, appunto l’anima, a quest’ordine. Se all’interno di un mondo fisico governato dalla forza, se all’interno di un mondo animale governato dalla forza, nasce, esiste, si muove, qualcosa che contraddice la logica della forza e che corrisponde al nome di bene, è perché l’uomo, che pure per molti aspetti è un pezzo di mondo come un altro, per un’altra parte di sé è del tutto diverso da ogni altro pezzo di mondo. Ciò che lo differenza da tutte le altre cose del mondo è l’anima. E’ l’origine divina dell’anima dell’uomo, è solo questa origine altra rispetto all’immanenza terrestre, che può fondare l’azione che sceglie liberamente il bene.
Abbiamo dimostrato qualcosa di incontrovertibile? No, perché abbiamo posto un pensiero a forma di circolo, che i critici più severi possono anche definire «circolo vizioso»: il bene è ciò che fa conoscere la trascendenza, ma è solo la trascendenza che motiva il bene. Il fatto è che il bene, e conseguentemente l’etica che nasce dall’esperienza del bene, non sarà mai teoreticamente fondabile, in nessun modo. Non ci è riuscito neppure Kant, che semplicemente ne parlava come di un fatto, qualcosa che esiste non si sa come e perché, di cui prendere atto. Il bene non è fondabile perché è l’originario, il principio, l’archè, ciò da cui parte tutto. Proprio per il suo statuto ontologico, non lo si può fondare, sta prima di ogni cosa, lo si può solo riconoscere. Per questo non è il sapere, ma è la fede, la dimensione decisiva per la vita dell’uomo.
Ne viene che l’etica si presenta come distacco dell’anima dall’essere e dalla sua necessità, come contro-ontologia creata dall’anima, come superamento dell’essere nel nome di qualcosa che, nell’essere, non c’è, qualcosa che nell’essere come tale è assente. Ma che può esistere, vi può essere immesso, grazie al lavoro dell’uomo.
Il fatto che non si possa “fondare” elegantemente (cioé economicamente, ovvero con qualche fulminante gioco di prestigio linguistico) il cosiddetto “bene”, a mio parere non suggerisce (purtroppo) alcuna “originarietà ontologica” della cosiddetta “anima”, bensì i limiti del linguaggio stesso, e delle nostre possibilità di “comprensione”.
In effetti vi sono delle ragioni molto più banali e concrete per ribaltare una simile priorità ontologica: l’evidenza di come la cosiddetta anima (qualunque sia la sua “essenza” ultima – qualunque cosa significhi essenza ultima – e via regredendo…) dipenda così strettamente e meticolosamente da quelle configurazioni materiali (qualunque sia l’essenza ultima della cosidetta “materia” …) che la portano in qualche modo ad “emergere” e per un certo tempo la “sostengono”, sembrerebbe piuttosto far intervenire un criterio eminentemente estetico quale il “rasoio di Occam”: entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem.
Tutta quell’enorme complessità corporea che ci costituisce (certo meravigliosa ma terribilmente fragile) ed il meccanismo – miracoloso ma alquanto spietato nei riguardi della singola “creatura” – dell’evoluzione (che ha evidentemente portato la vile materia a produrre cose come noi) che cosa diventerebbero nel caso fosse vera quella favola dell’anima?
Una commedia, nella quale un bizzarro Dio (davvero troppo umano!) allestisce un incredibile “teatro” (cfr. Borges: P.H.Gosse e la creazione) e soltanto per “mettere alla prova” esseri del nostro stampo? Per vedere, cioé, se siamo capaci di “prestare fede” ad una favola molto inverosimile (per quanto tanto buona e tanto bella)? Beh, sembrerebbe un gran bello spreco: non si poteva risolvere molto più velecemente, appiccicando direttamente le anime “da testare” ad un qualche “scenario virtuale”?
Intendiamoci, io mi auguro di tutto cuore che tale favola sia vera: un Dio di tale potenza non avrebbe alcun problema a leggere direttamente nella mia anima i vincoli che mi costringono, in questo momento, a questa professione di scetticismo. Mi fulmini pure in questo preciso istante nel caso le mie “ragioni”, per quanto fuorviate dal maligno esse possano essere, non gli risultino, come accade alla mia introspezione, assolutamente scevre da cattive intenzioni.
Ogni uomo, nella misura in cui è coscienza, è coscienza di qualche cosa, è intenzionalità. La verità è dunque il bene dell’uomo, coincidenza tra verità e bene. La verità su misura per l’uomo è anche scandalo, come è scandalo l’incarnazione. Più che partecipazione intellettuale è questione etica la misteriosa somiglianza di cui dice Genesi.
Quanto alla nostra trascurabile grandezza biologica: indubbio. Ma è proprio per questa imperfetta libertà, compromessa dalla pochezza, che sempre, nella storia, sale quello che SImone Weil chiamava un “desiderio del bene che è unico, fisso, identico a se medesimo per ogni uomo, dalla culla alla tomba, che agisce incessantemente al fondo dinoi stessi”. Non c’è nessuna prova crudele, ed è vero: nessun gioco linguistico dimostra nulla. Ma è ovvio- nel parlare di una relazione- richiamarsi al carattere spirituale e personale dell’uomo, dove si può accentuare o più la ragione o più la libertà (due aspetti della stessa cosa).
Il libro di Mancuso è ECCEZIONALE.
Per Amore, Rifondazione della Fede, di Vito Mancuso edito da Mondadori è un libro straodinario per spessore, ricerca, e quel capitolo del suo libro dedicato all’esistenza del bene (Adversus Nietzche), che è molto più esteso del brano gentilmente riportato da Jacopo, è ricchissimo di spunti e mostra una conoscenza profondissima di Vito Mancuso del pensiero filosofico contemporaneo.
Spero di poter dire qualche cosa prossimamente.
Un gran libro!