La compassione del vero scrittore
di Sandro Veronesi
«Ma serve ricordare?». Si chiude così, con questa domanda terribile, Cose che succedono , il volume postumo di Sandro Onofri che raccoglie il meglio della sua attività di reporter, svolta tra il 1992 e il 1999, anno della sua scomparsa. E Sandro Onofri era uno dei pochi scrittori che potesse permettersi di farsela, questa domanda terribile, senza che suonasse anche solo vagamente retorica o demagogica. Credo di poter dire questo perché ho conosciuto Sandro fin da prima che entrambi diventassimo scrittori, quando già in lui pulsava un’integrità veramente rara e radicale, quel che si dice «essere a posto» rispetto a qualsiasi cosa ti possa riservare il destino. Fin da allora, alimentati com’eravamo tutti e due dal sogno di scrivere, e senza che nessun editore ci avesse ancora pubblicato una riga, la sua statura morale mi stordiva, mescolata com’era col talento, la pazienza e l’umiltà.
Essere nelle sue stesse condizioni mi rassicurava, ecco, perché di lui ho sempre pensato una cosa che purtroppo non gli ho mai detto, e che credo gli sarebbe piaciuta, per quanto Sandro amava i fiori che ancora spuntano ogni tanto nei campi sempre più aridi del calcio moderno; di lui ho sempre pensato la cosa che disse Vialli di Angelo Peruzzi, per esprimere quanto quella presenza al suo fianco lo facesse sentire forte: «Io e lui alla guerra contro tutti»: ecco cosa ho sempre pensato di lui. Io e lui alla guerra contro tutti. E lui adesso non c’è più.
Ci sono i suoi libri, però, e questo Cose che succedono (Einaudi stile libero) era veramente necessario, visto che i testi che lo compongono aspettavano solo la cura di una mano rigorosa capace di ripescarli dal suo computer e di selezionarli. Dà conto, questo libro, della maturità con cui il suo sguardo sapeva posarsi su ogni vicenda e su ogni storia, anche la più imbarazzante o inaccettabile, senza piegarsi mai al vento dell’emotività, e mantenendo intatto lo stupore che, anche in chi sa come va il mondo, il mondo non può non provocare. Dagli spalti dei grandi stadi italiani ai campetti di periferia, dai sobborghi riarsi della Roma di fine secolo all’immutabile Casbah tunisina, dalle riunioni di condominio ai veglioni di capodanno, tutto è stato per Sandro Onofri oggetto di una profonda curiosità morale che può approdare indifferentemente, ma sempre del tutto giustificatamene, a ritratti caldi e esilaranti come a resoconti freddi e terrificanti, a seconda che lo sguardo si posi su un vicino di casa o su un manipolo di ultrà nazisti. Perché questo è il libro di uno che accetta senza quasi mai approvare, e che capisce senza quasi mai condividere o pontificare.
E’ molto difficile vivere lealmente queste contraddizioni, e ancor più lo è darne conto con la scrittura, strumento assai insidioso in questi casi, per quanta ricchezza rischia di aggiungere a una cosa che succede, corrompendone così la pura, spietata, e a volte perfino miserabile oggettività. E la pietas che traspira da ogni singola pagina, per gli uomini e perfino per gli spazi aruvinati che incappano nello sguardo di Sandro, quella pietas non è una protezione di chi, calandosi dall’alto nella realtà bruta, se ne tenga a distanza compatendola; è piuttosto l’essenza stessa della compassione, il coraggio di chi, dinanzi agli altri, anche agli altri apparentemente più lontani e impraticabili, sa quale risposta dare alla domanda che sempre lo minaccia: «Perché io sono io e non sono lui?», è la domanda. «Ma io sono lui», è la risposta. Una specie di motto per Sandro Onofri, un esergo fuori testo buono per questo suo libro bellissimo come per tutta la sua vita. Il ricordo del suo passaggio per questa terra.
Ma, di nuovo, serve ricordare? Non sarò certo io a sporcare l’autentica, tremenda incertezza con cui, fuori da ogni retorica, Sandro se lo chiede alla fine di questo libro. Non si sa, ecco il punto; non si sa se serve o no. Però si sa che preghiamo, tutti quanti, tutti i giorni, perché alla fine serva; e se serve, allora credo che, anche più dei suoi romanzi o degli altri suoi libri di non-fiction, Cose che succedono sia la più nitida fotografia di Sandro Onofri, la più a fuoco, la più completa, perché di lui si possa ricordare (stiamo pregando che serva) non solo quanto era bravo come scrittore, ma che persona era.
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