Dio doveva essere fiorentino (1 di 2)

di Gianni Biondillo
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Questo scritto è dedicato alla cara memoria di Walter Sabino – morto troppo giovane, 34 anni, di un male terribile – perché il mondo si accorgesse di lui. Era giornalista, musicista, intellettuale, soprattutto era un entusiasta della vita. Era un mio caro amico e, per una volta, mi fu anche “direttore”, commissionandomi proprio queste pagine.
Che la terra ti sia lieve, Walter.


1.
A pensarci bene Firenze ha un centro storico limitato rispetto alla fama che possiede. La sua estensione è ben poca cosa rispetto, non so’, al centro di Genova oppure a quello di Napoli. Ho sempre pensato che questo i fiorentini lo sapevano e che l’unico modo per risolvere la questione era quello di inventare un sistema che dilatasse il tempo. Provate infatti a girarlo il centro cittadino: non c’è passo, angolo, strada dove non ci si fermi a naso all’insù ammirati per quel palazzo, quel chiostro, quella chiesa. Il numero enorme di opere d’arte che ingemmano la città non vi permette un semplice passeggio. Come una via crucis dell’arte noi poveri viaggiatori stazioniamo continuamente di fronte a tutto ciò con vaghi giramenti di testa, evidenti presagi di quella sindrome di Stendhal che non tocca minimamente il popolo fiorentino che su quelle pietre ci cammina dalla fondazione romana, che trova naturale giocare a carte sotto quel portico trecentesco oppure tirare due calci al pallone sul fianco di quella chiesa barocca. Nascere e crescere in una città così in un certo qual modo ti rende insensibile al bello, per eccesso di esposizione. Il bello diventa un fatto naturale, insito nel tuo patrimonio genetico.

Ma questo dono non appartiene all’innumerevole schiera dei dannati dell’arte, la massa transumante dei turisti che invade, anche nei recessi più reconditi, questa città come assetati nel deserto, desiderosi solo di bere il sacro nettare del bello che questa città offre di continuo.

2.
Non ho mai capito se i fiorentini amino i turisti. Spesso mi sembra li trattino con sufficienza, ti portano in giro e quasi distrattamente li senti dire “quella è Santa Maria Novella”, tu hai come un mancamento, mentalmente ripassi tutto ciò che sai su Leon Battista Alberti o il Ghirlandaio che ecco che il tuo amico fiorentino è già avanti ti mostra, con la stessa sufficienza le Cappelle Medicee. E tu di corsa riprendi il passo, ti rituffi nei tuoi studi michelangioleschi (cosa diceva la professoressa di storia dell’arte? Perché ero distratto quel giorno?) senti che è giunto il momento per dire qualcosa ma il tuo amico non si ferma, è già in Piazza S. Giovanni e passa affianco alla Porta del Paradiso senza neppure guardarla. In realtà sta tirando dritto verso Piazza della Repubblica, un tipico esempio di “urbanistica del piccone” umbertina. Un tardo ottocento sciapo sciapo che non interesserebbe nessun turista assennato. Eppure è lì la sua meta. Vuole offrirti un aperitivo ad uno dei vari bar che dilagano, coi loro tavolini, sulla piazza. Finalmente seduti tenti di indottrinare il tuo accompagnatore. Cerchi di fargli capire che vive in una splendida città, “non so se te ne rendi conto…”

Ma certo che lo sa. Non c’è fiorentino che non sia campanilista. Ed anche un po’ snob. Non è un caso che si sia seduto lì. A Firenze tutto è inevitabilmente cultura, e fra uno stuzzichino e l’altro ti racconta degli incontri/scontri fra i “vociani” e i “lacerbiani” qui al Giubbe Rosse dove si sedevano a discutere fra loro Eugenio Montale, Carlo Emilio Gadda ed altri ancora; dove qualche anno prima un tale di nome Lenin scriveva di rivoluzione e simili amenità. Oppure lì al Paszkowsky (impronunciabile per qualunque fiorentino che lo ribattezza, semplificato, “Pazzoschi”) dove stanziavano Papini, Prezzolini, Soffici. O lì ancora al Gilli che aprì bottega nel 1733 in via Calzaioli per passare poi in via degli Speziali (quando lo frequentava Carducci) per giungere infine qui a dare refrigerio ai vari Marinetti, Soffici, Pratolini.

3.
Questa “normalità della cultura”, come abbiamo già detto, non è permessa a noi poveri turisti sciamanti. Non è permessa ai vari turisti domenicali milanesi, calabresi, friulani, ai gruppi di pensionati statunitensi, alle scolaresche di spagnoli, di canadesi, all’orda pacifica dei giapponesi, agli universitari olandesi o brasiliani, alle famiglie inglesi, scandinave, francesi, ai gruppi aziendali coreani, cinesi, tedeschi e chi più ne ha più ne metta…

Questo popolo di viaggiatori molto spesso ha poco tempo e cerca disperatamente di assorbire tutto o il più possibile di ciò che offre la città, come fossero cammelli pronti a fare una scorta d’arte e cultura prima del lungo viaggio di ritorno verso casa. Ammetto che mi fanno tenerezza. Anch’io ci sono passato e so cosa significa. Una fame atavica ti prende allo stomaco, non c’è angolo, non c’è piazza o monumento che non vorresti fotografare. C’è gente che è stata a Firenze e praticamente non l’ha mai vista con i suoi occhi: ha un ricordo del centro storico mediato dal mirino della macchina fotografica.

Data poi, appunto, la piccola dimensione del centro, la massa dei turisti appare ancora più numerosa, una bolgia dantesca verrebbe da dire. Questa massa gira imperterrita sotto il sole cocente con una pazienza stoica ammirevole, sempre attenta a non perdere di vista l’ombrello alzato della guida a capofila. Si muove, si muove, e sembra non fermarsi mai. Ogni tanto vorrei consigliare loro di prendersi una pausa, di dimenticare il traffico frenetico che assorda chiunque e che fa sgolare le povere guide e di sedersi all’ombra di qualche cornicione rinascimentale. E’ nel loro diritto: la costruzione delle panchine in pietra (o muriccioli) che fanno bella mostra di se alla base di quasi tutti i palazzi patrizi fiorentini era una condizione tassativa imposta dai governanti del XV secolo per il rilascio delle licenze edilizie. L’usanza era talmente scontata per i fiorentini dell’epoca che Machiavelli stesso rimase incredulo quando non vide neppure l’ombra di un muricciolo in un suo viaggio veneziano. Sedervici a riposare significherebbe quindi esercitare un diritto civico secolare.

Eppure alla fine non lo consiglio mai. So che il turista ama soffrire a Firenze. La sua vacanza toscana è una sorta di iniziazione, un test, una prova di forza sovrumana, un oltrepassare i propri limiti fisici conosciuti, sfiancandosi, annichilendo il proprio corpo come un santo anacoreta che umilia la propria fisicità nel nome della superiore spiritualità dell’arte. Nessuno può riposare a Firenze. Nessuno se la sentirebbe di ammettere che non ha visto gli Uffizi perché si era spaventato della chilometrica fila che c’era di fronte all’ingresso. E chi poi ce l’ha fatta ad entrare direbbe mai che ad un quarto del percorso era già stanco morto? Che iniziava a confondere epoche e pittori?

In una nota del suo Diario Mark Twain riassume questo stato d’animo con la solita arguzia che lo contraddistingueva: “Percorrevamo naturalmente le interminabili collezioni di dipinti e di statue nella galleria Pitti e negli Uffizi. Dico queste cose a mo’ di autodifesa; non continuo. Non potrei aver pace se mi si accusasse di aver visitato Firenze senza aver incrociato le sue stancanti, chilometriche gallerie di quadri.”

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10 Commenti

  1. Gianni, ne avevi parlato del tuo amico che andavi a trovare all’ospedale, mi ricordo, era in un post dove parlavi dell’importanza del mondo letterario nella tua vita e lo mettevi dietro a tutto. Frego una frasetta ricorrente in Mattatoio n. 5, “così va la vita”.

  2. hai ragione limbinconio, errore di battitura (capita).

    Adesso lo correggo. Anzi, no, lo lascio. Ma sì…

  3. Caro Gianni, tutto bello, ma hai idee un po’ approssimative di che cosa sia un centro storico, ed è evidente che hai vissuto Firenze come turista anche nel senso della distrazione geografica e della frettolosità. Paragonare Napoli a Genova e a Firenze non ha senso, certo. E tuttavia, il centro di questa città è molto più ampio di come lo presenti tu, togliendo appunto storia. La prossima volta che vieni ti faccio una mappa che ti farà respirare. E , se vuoi, perfino sfiancare.
    Sergio Nelli

  4. Sergio, tutto è giocato sul tono elegiacoturistico, evidentemente. Ma, se mi permetti, che io non sappia cos’è un centro storico, io che lo dovrei sapere di mestiere, be’, dai, non esagerare.
    E Poi Firenze l’ho girata tutta. A piedi. E quando dico tutta dico: TUTTA. (periferie comprese).

  5. Diciamo così, il tuo è un tono elegiaco-turistico, il mio scherzoso-stizzito. E’ che mi dà fastidio che si rimpicciolisca questa città che conosco come le mie tasche, e la si rimpicciolisca nella maniera appunto evocata da Manganelli; in un modo cioè che le toglie storia e dimensioni. Lo so che giochi con l’oleografia della culla di bellezze e di preziosità, ma io sono permaloso, anche se le intenzioni del pezzo sono le migliori.
    Tu restringi Genova e riallarga Firenze (non per mio capriccio ma secondo fattualità, fuori dai luoghi comuni) e io ti faccio davvero una mappa particolare.
    L’idea di seguire la pista delle lapidi è buona. Ci scrissi un racconto di poche paginette proprio con questo titolo “Lapidi”, agli inizi degli anni Novanta.
    Era la storia di uno che dimenticava una tesi di dottorato in filosofia su Malebranche (il filosofo del Dio saggio ma anche dei disordini e del male), per comporre un libretto commissionato, di quelli che si acquistano nelle edicole, sulle memorie e le iscrizioni di questa città di cui parliamo.
    Ciao, a presto
    Sergio Nelli

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gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
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