Finire male
Confutazione di Eyes Wide Shut di Stanley Kubrick
di Raul Montanari
In queste settimane L’Espresso propone la filmografia di Stanley Kubrick in dvd. Ne approfitto per proporre questo grido di dolore inedito (e molto finemente articolato, com’è suo costume), emesso cinque anni fa da uno dei più fedeli kubrickofili che io conosca. T.S.
Adoro Kubrick da quando ho cominciato a connettere ai titoli dei film i nomi dei registi (e non più solo quelli degli attori). Ho avuto molte occasioni per dichiarare che lo consideravo il più grande artista vivente in una ideale classifica che includesse tutte le arti senza tenere conto di differenze e distinzioni. Eyes Wide Shut mi ha distrutto al punto che nel secondo tempo mi sono assopito per qualche secondo… e non mi era mai successo, al cinema!
Proverò a riassumere gli errori di questo film in forma analitica, perché le cose da dire sono tante, e questo è uno di quei casi in cui l’emotività soffoca l’intelligenza e ingorga la scrittura.
1. Io non ho l’impressione che Kubrick abbia finito il film. Una sensazione di incompiutezza pesa in particolare sul secondo tempo. C’è qualcosa che non funziona nel rapporto fra le parti, e la famosa simmetria kubrickiana (negli assi del tempo e dello spazio) va completamente a pallino. Ho il sospetto – e questo è anche il mio ultimo atto di amore per il maestro – che la lavorazione del film non fosse così avanzata come ci hanno detto, allorquando la morte l’ha fermata. Ho il sospetto, insomma, che a tirare le fila e chiudere la confezione non sia stato lui.
2. La fotografia di questo film non ha niente delle magie a cui ci abituati non dico Kubrick, ma in genere il cinema americano anche a basso costo. Domina su tutto un rosa-carne lievemente sfocato, enfatizzato dai nudi. Non si sente nessuna invenzione a questo livello.
3. La recitazione è inverosimilmente sopra le righe, la recitazione di tutti, voglio dire. Non c’è battuta che non venga pronunciata con un corredo insopportabile di smorfie, ansiti, occhi torti o alzati al cielo, mani agitate, una specie di grottesca parodia dello stile Actor’s Studio che appiattisce tutti i personaggi, fa somigliare Nicole Kidman all’interprete della donna innamorata di suo marito, insacca quest’ultimo insieme al losco amico puttaniere e così via. Forse l’unico personaggio che si stacca nettamente dagli altri, con esiti stravaganti più che convincenti, è quello del noleggiatore di costumi. Tutti piangono troppo, tutti sembrano, con le loro smorfie, alludere a un livello più profondo della storia, a un inferno subconscio nel quale si svolge forse la vicenda vera, uno strato narrativo ed emotivo sotterraneo del quale vediamo in superficie solo bolle scoppiettanti. Sta di fatto che su questo possibile secondo livello il linguaggio del film non consente di aprire nessuno spiraglio.
4. Particolarmente assurda è la scena in cui la Kidman, senza niente che giustifichi il suo comportamento al livello di introspezione psicologica che il film stesso ha scelto dall’inizio come proprio registro, si sdilinquisce in sospiri, sguardi assassini e sfioramenti con il suo attempato ballerino corteggiatore, mandando al diavolo la prossemica, incollandogli la faccia alla faccia e alla fine respingendolo non si sa più perché. Ripeto, il problema non sta nel comportamento del personaggio in sé, ma in rapporto al registro del film, ai suoi accidenti in chiave. Non a caso, nel romanzo non si accenna a niente del genere (solo al fatto che la moglie di Fridolin aveva dovuto sottostare a un corteggiamento serrato che l’aveva perfino spaventata). Sembra quasi che Kubrick abbia voluto “estrovertere” qui la carica sessuale che ha negato al livello subconscio del personaggio femminile – almeno in termini di spazio, di attenzione – nel momento in cui ha tagliato il racconto del sogno (vedi punto 7).
5. Non è che Cruise reciti peggio di Nicole Kidman: in un certo senso, anzi, recita meglio. I suoi limiti lo salvano: siccome non riesce ad andare sopra le righe, non lo fa… grazie al cielo. Lui, almeno, non crede di essere Jack Nicholson (la Kidman sì. Lei si crede Jack Nicholson). Il problema sta nel casting: quasi tutti i personaggi maschili con cui la Kidman entra in contatto sono molto più attraenti di suo marito (come minimo, sono più alti!). In questo modo uno degli elementi del “motore” narrativo della storia si inceppa, cosa che non sarebbe avvenuta se Kubrick, invece di innamorarsi della coppia e della confusione arte/vita che essa gli prometteva, avesse scelto un attore con un’altra classe e un’altra prestanza fisica.
6. La sceneggiatura contiene due errori macroscopici. Anzitutto i dialoghi arieggiano (per non dire scopiazzano) la nuova voga del cinema americano alla Tarantino. Ci troviamo di fronte a quelli che potremmo chiamare “overlapping dialogues”, o “dialoghi testa-coda” nel senso che spessissimo l’ultima frase della battuta di un personaggio viene ripresa e ripetuta all’inizio della battuta successiva del suo interlocutore: “Sei stato tu a fare questo”; “Sono stato io a fare questo?”, ecc. In un film come Le Iene questo stile dialogico, che peraltro contiene in sé già evidentissimi i germi della maniera, è giustificato dalla recitazione rapida, isterica, per cui la ripetizione diventa una specie di filo a cui i dialoganti si aggrappano per non smarrirsi e, a volte, per esprimere con semplici sfumature di tono sensazioni che non arrivano a una vera e propria formulazione verbale. Invece, nello stile dilatatissimo di Kubrick le sovrapposizioni nei dialoghi diventano intollerabili, perché troppo telefonate, troppo anticipate dalle pause lunghissime fra una battuta e l’altra, dalle smorfie degli attori, dalla gravità dell’insieme.
7. Secondo errore, a un diverso livello. Kubrick e il suo sceneggiatore hanno sostanzialmente ridotto Doppio Sogno a un sogno solo: le avventure notturne del medico. Infatti il sogno vero e proprio, quello della moglie, che nel libro si prolunga per pagine e pagine con una fioritura di barocchismi ed esotismi che generano sazietà, qui è stato quasi eliminato, con una scelta che si potrebbe anche apprezzare se coinvolgesse coerentemente tutta la struttura della storia e il suo finale. La Kidman ride nel sonno. Poi si sveglia. Poi, piangendo non si sa bene perché, racconta a Cruise l’inizio del sogno – giusto tre minuti, forse cinque – ed è finita lì. Per il resto del film, la Kidman viene inquadrata in casa, mentre dà da mangiare alla bambina intanto che il marito si sollazza, o almeno ci prova, e rotola nei propri incubi metropolitani. A parte la sensazione di squilibrio che questo suscita, cosa ci sta a fare la battuta prefinale della Kidman, presa di peso dal romanzo: “Possiamo ringraziare il Cielo di essere usciti indenni dalle nostre avventure”? Lei che avventure ha vissuto, di grazia? La soppressione del sogno, oltre a comportare la rinuncia a un’occasione per mettere un’ultima volta alla prova la celebre visionarietà kubrickiana, toglie di fatto qualunque interesse nei confronti del personaggio femminile, a partire da circa tre quarti del primo tempo in avanti. La sopravvivenza della battuta citata ne fa un tale corpo estraneo nel finale del film da sembrare un’autentica svista!
8. La scena dell’orgia, e più in generale tutto il mistero che si crea intorno ai ricchi gaudenti della villa, è già stata criticata a ragione. Troviamo in essa una mistica celebrazione della nudità femminile, tutta risolta in decorativismi che quando va bene fanno pensare al peggior Visconti, quando va male al miglior Zeffirelli. Non vale neanche la pena di dire che le orge oggi – ma forse anche ieri – non hanno bisogno di un cerimoniale iniziatico grottescamente enfatico e debordante come quello messo in piedi da Kubrick, con effetti ridicoli. Ci sono film porno a medio budget in cui il tema della sessualità di gruppo è affrontato e risolto in modo più diretto, più asciutto, più realistico… e a volte più onirico, perfino. Per non dire più eccitante. Tutti i velami e i gravami che si attorcono intorno alla villa misteriosa fanno pensare al MacGuffin hitchcockiano, a un semplice pretesto per l’azione narrativa, con l’inconveniente non da poco che qui il luogo della villa, il tempo di ciò che vi accade e il suo ruolo di motore narrativo sono assolutamente centrali ed essenziali, non possono essere considerati un pretesto o un elemento funzionale all’ingranaggio dell’insieme, perché troppa enfasi (troppo stress) è posta su di loro.
9. Tutto il film è dominato da un’ansia di spiegare, di farsi capire, il cui vertice sta naturalmente nel terribile dialogo fra il medico e il suo amico, nel prefinale. Una scena di cui non solo non si sentiva minimamente il bisogno, ma che in pratica non aggiunge nulla, non dà nessuna chiave di lettura per quello che in teoria dovrebbe interessarci veramente: le motivazioni del protagonista e il suo scontro con l’“altro da sé”. Kubrick sembra terrorizzato all’idea di poter essere frainteso e si scatena in didascalismi insensati, come quando, nella scena perfettamente comprensibile in sé nella quale apprendiamo che il noleggiatore di costumi prostituisce la figlia e sarebbe pronto a farlo anche con il medico suo cliente improvvisato, il regista sente chissà perché il bisogno di sottolineare il tutto con una strizzata d’occhi talmente pesante da far crollare lo schermo in testa agli spettatori. La sinfonia dell’inconscio diventa uno squadernamento, un’estroversione infelice, quasi volgare.
10. Si è detto che la trovata di trasporre la Vienna decadente di Schnitzler nella New York di fine secolo era discutibile; ma dove la vediamo, New York? I rarissimi esterni del film colgono un angolo di strada, qualche vetrina, qualche insegna luminosa. Potremmo essere non dico a Milano, ma anche a Brescia (togliendo a Brescia la sua bellezza monumentale, si capisce!). Un’operazione analoga aveva fatto Kubrick con il Vietnam in Full Metal Jacket, ma lì l’immersione di una vicenda concreta e materica come la guerra in un limbo indeterminato era parsa un’intuizione felice, anche filologicamente corretta: Kubrick aveva ragione a fare del Vietnam una guerra metropolitana, perché la realtà storica e documentale ci dice che in buona misura il Vietnam lo fu davvero, anche se nell’immaginario collettivo la giungla ha finito per prevalere su tutto. Qui invece una storia già notevolmente astratta, già potenzialmente fumosa, viene iscritta su uno scenario vuoto, nullo. E non si parli di scelte ironiche, ahimè: tutto il film è dominato da una tale enfasi espressiva, da una così lunga rincorsa per arrivare a dire chissà cosa, da una tale solennità nella scansione di tempi e luoghi, che l’ironia proprio non ci sta, da nessuna parte.
11. Dolor in cauda. Non c’è nemmeno un film di Kubrick che non ci abbia lasciato una grande, potente icona della modernità, un’immagine – un volto, quasi sempre – che facesse da specchio stravolto e spaventosamente fedele ai nostri occhi smarriti: la cavalcata atomica di Stranamore, gli occhiali a forma di cuore di Lolita, praticamente ogni immagine di 2001, Alex costretto a guardare in Arancia Meccanica, la porta che separa ancora per poco Jack Torrance da sua moglie in Shining, l’urlo del sergente di Full Metal Jacket… e qui cos’abbiamo? Il cameo di Nicole e Tom che si baciano come sulla confezione di un sapone intimo, di un deodorante neutro? Mah!…
ottobre 1999
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Da elegante traduttore qual sono, segnalo la mia pregiata traduzione del titolo “Eyes wide shut”:
Occhi Spalanchiusi:-/
Carissimo Raul, mi avevano detto che tu non ami Eyes Wide Shut; ma non credevo fino a questo punto. Mi permetto di dire la mia punto per punto su di un film che io, invece, ho amato molto. Da kubrickiano a kubrickiano, da amico a amico.
1. Sono d’accordo in parte. E’ evidente che in EWS non c’è la famosa simmetria kubrickiana, ma la sceneggiatura non lo prevedeva. Non posso pensare che in 4 anni di lavoro (di cui buona parte di riprese) questa non sia stata una scelta ragionata da Kubrick. Per quanto il film con ogni probabilità non sia stato finito da Kubrick, mi è difficile credere che la mancanza di simmetria sia dovuta se non a una precisa scelta del regista. Ma questo è ovviamente opinabile, come è opinabile il contrario.
2 La fotografia è impeccabile. Il rosa-carne è lievemente sfocato, si, ma per il resto, pur essendo d’accordo col fatto che non vi sono invenzioni particolari, rimango dell’opinione che la fotografia è impeccabile e tutto sommato funzionale al tipo di storia che Kubrick ha voluto raccontare.
3. La recitazione di tutti i film di Kubrick è sopra le righe. La recitazione, nei film di Kubrick è così; è in molti personaggi questo tipo di recitazione sopra le righe rasenta, se non abbraccia appassionatamente, il grottesco. Es: tutti i personaggi di Arancia Meccanica, ma qui è facile capirlo. Il capitano Quinn e Lord Lindon nel Barry Lindon. Tutti i personaggi del Dottor Strananore. Quilty, coprotagonista di Lolita. Nei personaggi di Kubrick c’è sempre (in misura variabile) un senso di grottesco, e la loro recitazione, alla fin fine, è questa. Non è mai naturalistica, è sempre forzata, sempre “oltre”. La recitazione dei personaggi di Eyes Wide Shut non fa alcuna differenza rispetto al passato, quindi.
4: La scena in questione è semplicemente funzionale. E’ semplice: La Kidman è ubriaca e il suo attempato e fascinoso corteggiatore la tenta. Questo ci fa capire che qualcosa, nell’ equilibrio della coppia, non funziona. Come forse nella maggior parte delle coppie. E’ un modo per dire agli spettatori: siamo tutti indotti in tentazione, nemmeno la brava mogliettina del bravo medico, dalle tentazioni, ne è immune. E’ un avvertimento, e anche una conferma. La Kidman sfugge agli assalti del corteggiatore (l’attore tedesco Sky Dumont) facendogli vedere la fede che porta al dito. Questa è una scena altamente simbolica: lei non va col corteggiatore soltanto perché è sposata, in realtà; ma il “come lo dice” (che è sposata) ci fa capire che la sua è una scelta che potrebbe essere anche molto provvisoria. Lo spettatore viene avvertito del fatto che la donna, prima o poi, potrebbe capitolare con qualcun altro. E infatti la donna non solo ha già capitolato (seppure nel pensiero) desiderando di fuggire anni prima con un ufficiale, ma capitolerà davvero seppure in sogno; e insomma, è sempre questione di attimi, di occasioni. Infatti, nello stesso preciso momento, Cruise è tentato da due belle ragazze che se lo vogliono fare lì alla festa; anche per lui ci sarà un nulla di fatto perché improvvisamente dovrà andare a soccorrere la prostituta mezza morta nel bagno del padrone di casa. Tutto torna.
5. A Kubrick probabilmente non interessava questo fatto della prestanza fisica. Non mi pare ( esteticamente parlando) che il noleggiatore di costumi sia più bello di Cruise, comunque. Cruise rappresenta in modo egregio un uomo medio, è perfetto per quella parte. (Nicholson sarebbe stato completamente fuori parte, viceversa). Il Fridolin di Schnitzler non era poi così dissimile dal Cruise di Kubrick. A mio modo di vedere anche Cruise recita in quel sopra le righe voluto (tipicamente kubrickiano); e questo lo si nota per tutto il film. E se la cava egregiamente, nonostante non sia un asso della recitazione. Ma è funzionale. Incarna perfettamente il personaggio del giovane borghese medio americano piuttosto insulso e carrierista ma in fondo incapace di fare del vero male. Ripeto: a Kubrick non ha mai interessato una recitazione naturalistica. La recitazione dei personaggi kubrickiani è sempre controllatissima, volutamente innaturale, sopra le righe, spesso grottesca. Kubrick non filmava la realtà, filmava i sentimenti. E i sentimenti, spesso, sono grotteschi. Sono involontariamente comici, anche.
6. Qui sono parzialmente d’accordo. Il film è dilatatissimo, ma anche l’uso dei “dialoghi testa-coda” è funzionale: Kubrick ha tentato, senza riuscirci in pieno, di far dialogare i sentimenti attraverso le parole all’interno di una struttura molto aperta e molto diluita. In ogni caso, Kubrick ebbe a dire che dopo “Pulp fiction” il cinema non sarebbe stato più lo stesso. E’ evidente che il Maestro è stato influenzato da Tarantino. Niente di grave, mi pare.
7. E’ strano, perché quei tre/cinque minuti di racconto del sogno io lo ho giudicati di un’intensità incredibile. Non c’era necessariamente bisogno di fare vedere il sogno. Kubrick non era Fellini, insomma. Kubrick fa vedere il sogno trasformato in realtà (quello di Cruise) e coerentemente non ci fa vedere quello della donna che, appunto, è un sogno vero e proprio che puo’ essere solo rivelato a parole- sempre seguendo l’estetica kubrickiana. Le avventure della donna, poi: sono avventure esclusivamente della mente, del desiderio, che vengono rivelate a parole. Kubrick è riuscito a filmare i sentimenti, i pensieri, come mai prima. E’ riuscito nell’intento di scrivere una pagina di libro usando la macchina da presa. Ha fatto della vera e propria letteratura intimista mediante l’uso della sua straordinaria macchina da cinema.
8. In effetti la scena dell’orgia poteva essere rappresentata meglio. D’altra parte Schnitzler che cosa ha rappresentato? Più che di effetti ridicoli – parlando del cerimoniale – io parlerei di effetti grotteschi. Il sesso di gruppo viene visto in maniera mortifera e grottesca; Kubrick è volutamente sopra le righe anche qui; coerentemente, come sempre.
9. Il dialogo fra il medico e il suo amico nel prefinale a parer mio è eccellente. In realtà, a mio avviso, Kubrick ci fa credere per un po’ di volerci spiegare cio’ che invece è inspiegabile. Infatti Sidney Pollack (l’amico ricco e potente) a un dato punto parla di “sciarada”. Inspiegabile perché questo non è un giallo, e a Kubrick non interessa darci delle sicurezze, non interessa mettere insieme i pezzi del puzzle, anzi. Sa benissimo che non c’è soluzione. E non vuole farci nemmeno la morale. O meglio: a Kubrick interessa rappresentare cinematograficamente le contraddizioni di cui sono pieni i rapporti umani. La strizzata d’occhi del noleggiatore di costumi fa parte del modo grottesco e sopra le righe di cui ho già parlato. Non ci vedo nulla di volgare. Semmai di cinico.
10. New York viene rappresentata in modo funzionale alla storia. Qualche angolo di strada ricostruito in studio. Perfetto. Kubrick è tornato a filmare New York da un’altra parte. Il realismo a lui non interessava. E poi, dato che la storia è si astratta (ma solo nel senso che si filmano i sentimenti più che le azioni) lo scenario spoglio di una NY ricostruita in studio a Londra è, anch’essa, coerente. Funzionale.
11. Anche qui non sono d’accordo: il cameo di Nicole e Tom che si baciano vale quasi quanto quello di Lolita che lecca il lollypop. Nicole e Tom si baciano davanti a uno specchio: la donna guarda allo specchio, l’uomo no. In quei pochi fotogrammi c’è tutta l’inquietidine, la precarietà, l’effettiva solitudine di una coppia che la donna interpreta e comprende meglio dell’uomo, come sempre.
Non sono d’accordo con Raul, naturalmente. Ma posso almeno permettermi di consigliargli il libro di Simone Ciaruffoli (che tra l’altro su nazione indiana ha scritto almeno un paio di volte). Vedrà che lì può trovare spiegazioni sulla coppia Kidman-Cruise, sull’orgia, sulla tirata di fronte al bigliardo (che non è per nulla gratuita), sull’aspetto della psicologia shnitzleriana colto a braccia aperta da Kubrick sopra anche l’amato freud. Tra l’altro, a proposito del titolare del negozio di costumi, potreste proprio chiedere a ciaruffoli a quale punto del film kubrick era ancora vivo, perché in una intervista rilasciata da ciaruffoli, ho saputo che lo stesso ha parlato per molto tempo con la segretaria di kubrick e con l’attore che interpreta il titolare del negozio di costumi, appunto, tant’è che lo ringrazia proprio nel suo libro. Ah, c’è anche un’intervista alla doppiatrice della kidman, nel libro. Che vi consiglio spassionatamente.
Io, come Franz, appartengo alla fazione degli estimatori di EWS. Che è un film, a mio avviso, di un bello “opprimente”. Che al cinema mi fece male, mi mise di cattivo umore, mi fece venire dubbi sul senso delle relazioni sentimentali durature. Mi fece sentire molto nudo.
Però capisco pure che il confronto con gli altri film di Kubrick (quelli completati!) possa influenzare il giudizio di valore di un kubrickiano convinto.
Sui dialoghi non so, perché per me Kubrick è sempre stato più immagine che parola…
Ah, per tutti gli ammiratori di Kubrick (forse lo sapete già) e fruitori di voli a basso costo c’è tempo fino all’11 Aprile: Berlino, Martin-Gropius-Bau, mostra sul maestro aperta dal 20 gennaio e grande evento in contemporanea al Festival del Cinema, pare sia bellissima…
Cari tutti, credo che stiamo discutendo da punti di vista troppo diversi.
Sara, il tuo consiglio è prezioso e il nome che fai mi è molto caro; ma me non interessa leggere un libro per farmi piacere di più un film di Kubrick, o di chiunque altro; e il punto vero è che non interessava a Kubrick!
Kubrick, il Divino (sono felice di continuare a considerarlo così), ha sempre accettato la scommessa di fare film di enorme impatto spettacolare.
Tu guardavi un film di Kubrick, uno qualsiasi almeno a partire da “Rapina a mano armata” (cioè dal terzo!), e la prima sensazione era quella di essere stato investito da un treno.
Poi rimettevi a posto la casa, raddrizzavi i quadri alle pareti e allora sì, alla seconda, alla quinta, alla decima replica di quell’esperienza senza pari che è sempre stato guardare un film di Kubrick, magari anche con l’aiuto di uno o di molti libri (a partire dall’insuperato Michel Ciment), gustavi i particolari, coglievi i rimandi, le cifre nascoste, ti appassionavi alle procedure di lavorazione, a tutto.
Ma prima di ogni altra cosa tu devi essere invaso da un’opera! E questo vale per un film, per un romanzo, per un quadro, per una videoinstallazione, quello che vuoi! Devi usare l’analisi per spiegarti come mai, a livello di sintesi emotiva, hai provato quello che hai provato – il senso della bellezza. Il lavoro sui simboli, sulle tramature, sui sottotesti, mica lo devi fare tu: se lo smazza l’autore!
Faccio un esempio. Se io prendo uno qualsiasi di voi, magari la stessa Sara, la lego a una sedia (ehm), le faccio tenere dai massimi musicologi italiani una lezione di 48 ore sulla musica contemporanea da Schoenberg in poi, e quindi le faccio ascoltare un minuto di Ferneyhough (un ottimo compositore di musica orchestrale ed elettronica, pienamente dentro la scia del petwebernismo), è OVVIO che Sara non sentirà solo “piiii-pooo-clackk-perepereperepé + 20 secondi di silenzio + improvvisamente clanggg!” eccetera.
Dopo un percorso allucinante e forzato di formazione all’ascolto, Sara sentirà una musica profondamente motivata, piena di novità, di esperimenti, di bellezza.
Ma a chi gliene frega qualcosa di accostarsi a un’opera d’arte così, tranne ai musicologi, ai flologi e compagnia cantante? Tu, Franz, la musica la ascolti così?
Come mai se invece Sara ascolta un brano di Ligeti (magari proprio traendolo dalla colonna sonora di un film di Kubrick: c’è un insolito Ligeti per piano solo anche in EWS, anche se le cose più famose sono ovviamente i grandi pannelli sonori di 2001 e le inquietudini di Shining) è molto, molto probabile che ne rimanga colpita subito, che abbia voglia di ascoltare altro di quell’autore, che – a quel punto sì! – possa avere il desiderio di comprare un libro in cui si parla della sua musica, ecc? E’ ovvio: perché la musica di Ligeti è bella. E’ bellissima. Ed è per questo che Ligeti è Ligeti, e lo era anche prima che Kubrick usasse la sua musica per 2001, mentre Ferneyhough è Ferneyhough: un bravo compositore che fa onestamente il suo lavoro e che nessuno conosce tranne gli addetti ai lavori.
Scusami, Sara: magari sei una superesperta di musica contemporanea! Ho preso te come esempio per questo esperimento, chiamiamolo così, solo perché mi consigliavi il libro di Ciaruffoli per avere delle “spiegazioni”, cioè proprio quello che non desidero avere per farmi piacere qualcosa.
I film di Kubrick sono sempre stati bellissimi, e hanno raccolto nel tempo un consenso quasi universale fra critica e pubblico, esattamente come voleva l’autore.
Come diceva Hitchcock nella famosa intervista a Truffaut, “io non faccio film per i cinema d’essai”. E noi qui di EWS stiamo parlando come di un film di De Oliveira, non di Kubrick.
EWS non ha annoiato solo me, non ha deluso solo me. E’ un film che è stato accolto con molto imbarazzo, lo stesso che si legge anche nella difesa appassionata che ne fa il mio carissimo Franz, tutta imperniata su atti di fede sulle intenzioni dell’autore (punto 1), su espressioni dubbiose e limitative (Franz, quante volte ripeti il prudente aggettivo “funzionale”?) su analisi complessissime come quella della scena del corteggiamento (ma con Arancia meccanica, ma con Il dottor Stranamore abbiamo mai avuto bisogno di fare analisi del genere? Ripeto: la bellezza di quelle opere non ci travolgeva come una locomotiva, con la sua macchia, il suo impatto complessivo? A qualcuno gliene importa di sapere cosa voleva dire secondo Kubrick il monolito nero di 2001? Sapete che quando ho letto che per lui era un indizio di vita extraterrestre mi sono un po’ cascate le braccia? Perché spiegare un simbolo?), per culminare in un’affermazione che trovo straordinaria:
“6. Qui sono parzialmente d’accordo. Il film è dilatatissimo, ma anche l’uso dei “dialoghi testa-coda” è funzionale: Kubrick ha tentato, senza riuscirci in pieno, di far dialogare i sentimenti attraverso le parole all’interno di una struttura molto aperta e molto diluita. In ogni caso, Kubrick ebbe a dire che dopo “Pulp fiction” il cinema non sarebbe stato più lo stesso. E’ evidente che il Maestro è stato influenzato da Tarantino. Niente di grave, mi pare.”
Ma scherziamo?
Non è grave che Kubrick sia influenzato da Tarantino, che ha esordito copiando con “Le iene” tutta l’impostazione narrativa di “Rapina a mano armata”? E perdipiù non è grave che Kubrick imiti i dialoghi testa-coda con questa lentezza esasperante, togliendoli dal frullatore linguistico a schizzo di Tarantino e immettendoli in questo slow motion soporifero?
Io guardo una scena di Arancia meccanica, una qualsiasi.
Picchiano il vecchio ubriacone irlandese. Una scena che nella vita vera mi farebbe orrore, ribrezzo, paura: un vecchio pestato da una gang di giovani teppisti! Perché questa scena mi piace? Perché mi fa godere?
Ecco, anzitutto sento questo: che mi piace. Poi, se voglio spiegare il “perché” posso riflettere sul linguaggio, addentrarmi nei rimandi (“Uomini nello spazio!” si lamenta il vecchio, e ripensi a 2001), trovare la solita meravigliosa simmetria nascosta nell’inquadratura (fateci caso: lo zoccolo del marciapiede su cui il vecchio è accasciato è quasi la bisettrice dell’angolo formato fra il bastone bianco di Alex e il corpo stesso del mendicante), sentire la follia meravigliosa di questo dialogo voltairriano messo dentro una situazione di violenza spaventosa. Posso pensare che Arancia meccanica è una cattedrale costruita con la merda: difficile immaginare una scommessa artistica così grande, fare il Duomo di Milano – con i suoi ritmi, la sua grandiosità – senza usare il marmo ma la merda orrenda dello stupro, della violenza, dell’angoscia! Difficile immaginare una distanza così abissale fra pathos e godimento estetico: ciò che ti farebbe inorridire nella vita vera ti esalta nel sogno del cinema.
Ma, appunto, ti esalta! Ti toglie il fiato!
Non sei costretto a fare il filologo o il musicologo o il filmologo, e spiegare, come mi disse a suo tempo una giovane critica molto brava, che il colore del tappeto del biliardo su cui giocano nel tremendo dialogo del prefinale di EWS richiama quello che si è visto un’ora e mezza prima nell’insegna luminosa di nonsoché… Ma per farmi piacere un film devo stare attento al colore del tappeto del biliardo, e ricordarmi di com’era il colore del’insegna luminosa? Cosa sono andato a fare al cinema, un’esperienza estetica o una puntata del programma di Gerry Scotti?
Stiamo parlando di biliardo: bene, quando in Arancia meccanica Alex viene torturato con la Nona di Beethoven, e nella stanza sottostante i suoi aguzzini sono tutti intorno a un biliardo, e uno di loro in primo piano continua a mettere in buca una palla dopo l’altra con una precisione assurda, e intanto lo scrittore paralitico ascolta la Nona ed è identico, identico a Beethoven, gli stessi capelli, lo stesso abbigliamento, la stessa ubriachezza dionisiaca nello sguardo – questa, perdio, non è la locomotiva che mi investe? Non sento una forza immensa sprigionarsi da questa immagine? Devo stare a guardare il colore del tappeto del biliardo, perché magari prima o dopo vorrà dire qualcosa?
Insomma, credo che ci siamo capiti.
Io non voglio “convincere” nessuno che EWS è un film che non deve piacergli; ma l’idea che si possa convincere qualcuno, a forza di analisi (spesso di analisi delle intenzioni, fra l’altro) che EWS o qualsiasi altra opera d’arte DEVE piacergli è profondamente sbagliata. Non un errore banale, non un errore che può fare uno sciocco: nessuno sciocco ha scritto, qui.
E’ il tipo di errore che nasce dalla generosità, dalla buona fede, dalla voglia di comunicare un’emozione… ma comunicare un’emozione quando il materiale di partenza, l’oggetto che dovrebbe irradiarla, ha mancato al suo compito vocazionalmente UNIVERSALE, è impossibile.
Caro Raul, il film ha annoiato te, molti altri; a me ha appassionato subito, e ho testimoni di questo mio sentire. La pensiamo diversamente, non c’è problema. Comunque:non ho dovuto fare nessuno sforzo per farmelo piacere, te lo assicuro. Nessun imbarazzo, te lo assicuro dieci volte. M’è piaciuto al primo colpo. Me ne sono innamorato al primo sguardo. E’ un treno in corsa anche EWS. Mi è piaciuto più di Full Metal Jacket e di Shining, oltretutto. Io non ho usato l’aggettivo “funzionale” in modo prudente. L’ho usato con freddezza. Quale prudenza, scusa? Quali impressioni dubbiose e limitative? Quale atto di fede? Se il film non mi fosse piaciuto, o l’avessi trovato non all’altezza, lo avrei detto tranquillamente. Io non ho pietà per nessuno. La scena del corteggiamento è di una semplicità incredibile. Come fai a non notare questa semplicità?
Non è grave che Kubrick sia stato influenzato da Tarantino? Chi era Kubrick, Dio? E di converso: chi è Tarantino, un regista minore? Stiamo parlando di due grandi artisti. Kubrick non aveva certo bisogno di imitare nessuno. A mio avviso ha usato (non ha imitato) i “dialoghi testa coda” mettendoli in “slow motion”, come li chiami tu. E allora? E’ un’operazione di grandissima creatività, questa. A me non frega un cazzo se non del risultato, Raul. E a me ( e non solo a me, mi pare proprio) il risultato pare straordinario. E’ un film che puo’ fare paura, che turba, altro che sonnellino. E’ l’ennesimo calcio nelle palle di questo artista straordinario. Semmai dovresti pensare che Kubrick, come tutti i grandi, prendeva spunto anche dagli altri. Aveva una certa umiltà, lui. Pensa un po’: il più grande di tutti.
Parli entusiasticamente di Arancia Meccanica, che però non c’entra nulla con EWS. SK aveva la capacità (unica) di cambiare ad ogni film. Mantenendo però una sua coerenza. Non mi sono fatto piacere EWS pensando al colore del tavolo da biliardo di Sidney Pollack, che me ne fotte di questo. Il film mi ha convinto in pieno, mi ha fatto godere, è un film che dice la sporca verità sulla vita, e scusa se è poco. E comunque questo l’ho spiegato in 11 punti,(cioè punto per punto): mica in due frasi.
per me quel film e` stata un`onda potentissima che mi ha spazzato via. Spesso gli ultimi capolavori dei grandi artisti vengono fraintesi o sono piu` difficili da accettare.
C`e` chi ancora oggi considera gli ultimi quadri di Tiziano, quelli dipinti con i polpastrelli prima di morire, degli impiastricciamenti, se paragonati ai precedenti capolavori della cosiddetta maturita`.
g
Franz, non capisco il tono che prendi.
Ti ho offeso, per caso?
Rileggi quello che ho scritto – mettendoci anch’io ben più di due frasi (ma molto, molto di più) – e forse non ripeterai le stravaganze che hai messo giù adesso.
Io non ho detto che tu ti sia dovuto autoconvincere della bellezza di questo film: tutto il contrario! Ma cosa hai letto?
Ho difeso in tutto e per tutto il privilegio della prima impressione, sostenendo che l’analisi arriva dopo, e che nessuno ha il diritto di “convincere” un altro adoperando argomenti analitici.
La grandezza di un’opera da combattimento (cioè, ripeto: non di un film destinato alle sale d’essai, o di un’opera vocazionalmente di nicchia, in genere) si desume anzitutto dalla sua capacità di generare consenso sia a livello popolare sia fra chi ha un’educazione profonda alla visione o alla lettura o all’ascolto; ora, nessun film di Kubrick è mai stato criticato quanto EWS, da quando lui è stato giustamente considerato il più grande maestro vivente del cinema (con tanti auguri a Tarantino; ne riparliamo fra un po’ di anni). Questo non ti fa pensare che forse qualcosa che non va c’è, in quel film?
Ma, ripeto, io non voglio convincerti: non a caso uso un argomento esterno (il dissenso/consenso) e non interno al film. Perché dovrei convincerti a non amare? Sai che gusto! E come potrei convincerti a non emozionarti? Ti dovrei lobotomizzare?
Io ho avuto un’impressione: negativa. Ho fatto per Kubrick quello che non farei per nessun altro, per una semplice questione di salvaguardia di energie: ho analizzato l’impressione, forte anche del fatto che nel ’99 avevo appena fatto una nuova traduzione e adattamento alla scena del romanzo di Schnitzler – ben lungi dal deificarlo, anzi: Schnitzler ha scritto sicuramente di meglio, e non ho assolutamente criticato Kubrick con i soliti sciocchi argomenti dell'”infedeltà” al testo letterario o simili. Semplicemente, ero fresco di impressioni e potevo sintetizzare certe cose meglio di quanto potrei farlo ora, per esempio.
Ho messo giù queste riflessioni e ve le ho sottoposte. Basta. Ho scritto chiaramente, e mi dispiace di doverlo ripetere:
“Io non voglio “convincere” nessuno che EWS è un film che non deve piacergli”
Più specificamente, di fronte alle tue controobiezioni, e soprattutto all’invito di Sara a cercare di entrare più dentro la logica del film mettendomi in una prospettiva critica e filmologica con la lettura di Ciaruffoli, ho aggiunto:
“ma l’idea che si possa convincere qualcuno, a forza di analisi (spesso di analisi delle intenzioni, fra l’altro) che EWS o qualsiasi altra opera d’arte DEVE piacergli è profondamente sbagliata. Non un errore banale, non un errore che può fare uno sciocco: nessuno sciocco ha scritto, qui.
E’ il tipo di errore che nasce dalla generosità, dalla buona fede, dalla voglia di comunicare un’emozione… ma comunicare un’emozione quando il materiale di partenza, l’oggetto che dovrebbe irradiarla, ha mancato al suo compito vocazionalmente UNIVERSALE, è impossibile.”
Quindi quando tu scrivi in questo stranissimo tono aggressivo “a me non me ne frega un cazzo se non del risultato”, dici esattamente quello che ho ripetuto io per cento righe e passa – con un timbro di voce ugualmente appassionato ma, mi sembra, più cordiale verso chi la pensa diversamente da me – e che ho sintetizzato qui in fondo. Stop.
Sul fatto poi che questo film dica addirittura “la sporca verità sulla vita”, (cioè su che cosa? Qual è la lezione sui rapporti umani che ci lascia questo film? Che uomo e donna non si capiscono? Che le donne capiscono più degli uomini – che banalità, fra l’altro! – ?), mi tengo la mia opinione, cioé che questa impressione nasce da un atto di amore così accecante da farti dimenticare secoli di letteratura e almeno cent’anni di cinema.
Non sto neanche a fare l’elenco di titoli e autori che hanno indagato i sentimenti e i rapporti fra uomo e donna in modo infinitamente più interessante di questo film, e soprattutto l’hanno fatto molto prima e con un linguaggio molto meno enfatico: dovrei citare praticamente metà della letteratura e un quarto (stiamo bassi) del cinema, da Woody Allen indietro indietro indietro… citerei lo stesso Kubrick, naturalmente: almeno quello di Lolita e Barry Lyndon.
Eccoci… da quando frequento il blog c’è stata la litigata tra me e Raul; poi tra Raul e Franz; poi tra me e Franz. Adesso, evidentemente, si ricomincia, ma cambia la serie. Io però mi sottraggo a questa mandata: dunque o vi rappacificate subito o vi tocca litigare in eterno…;)
(A me comunque EyesWideShut non è piaciuto, se può interessare a qualcuno – ma non mi avventuro in analisi…).
Io invece ci confido un po’ nella litigata fra Franz e Raul, perché mi pare che i loro interventi sin qui siano stati succosamente interessantissimi e non vedo l’ora di leggere il seguito. Sì, sì, proprio una bella litigata dialettica, civile, profonda, mi auguro.
Anche perché in alcune parole di Raul (“La grandezza di un’opera da combattimento… si desume anzitutto dalla sua capacità di generare consenso sia a livello popolare sia fra chi ha un’educazione profonda alla visione o alla lettura o all’ascolto”) intravedo uno di quegli assiomi di estetica, che possono far discutere.
Ad esempio mi chiedevo: il livello popolare e il livello “intellettuale” (che sono relativi ad una fruizione di massa) possono essere intesi come la percezione emotiva(1) e quella razionale(2) nel singolo? E in questo caso, non è strano che due “esperti di cinema” abbiano due idee opposte su entrambi i livelli (Raul:”nel secondo tempo mi sono assopito per qualche secondo”(1) e “Proverò a riassumere gli errori di questo film in forma analitica”(2), mentre Franz: “un film che io, invece, ho amato molto… Mi è piaciuto al primo colpo. Me ne sono innamorato al primo sguardo”(1) e “E a me (e non solo a me, mi pare proprio) il risultato pare straordinario”(2)? Quanto interagiscono le due sfere nella percezione di un film? Perché capita (almeno per quanto mi riguarda) di apprezzare un film a livello empirico, sentire che fa male, che fa godere, che crea rabbia e voltastomaco, che sputa lacrime e solletica grasse risate e poi invece a livello analitico è debole, è un film tecnicamente scritto, girato, fatto male?
Raul, giuro che non mi sono sentito offeso per niente! C’era però nel tuo intervento qualcosa che mi stonava, onestamente.
Vado a ricapitolare: tu critichi EWS in 11 punti. Dici la tua con la solita passione; evidentemente – correggimi se sbaglio- il testamento artistico di Kubrick ti ha profondamente deluso. Io invece quel film l’ho trovato una degna conclusione al suo titanico lavoro di più di 40 anni, una specie di – per quanto amara – ciliegina sulla torta. E in 11 punti ho tentato di dire la mia, punto per punto, con degli argomenti credo molto seri. In un certo senso, mi pare di rilevare che l’approccio di entrambi è piuttosto simile: solo che tu rifiuti, quasi come se ti fossi sentito tradito dal film; cioè come se EWS abbia in certo senso sconfessato il lavoro precedente di Kubrick. Io amo, invece (e qui dici bene): nel senso che ho notato in quest’ultimo lavoro, e per l’ennesima volta, coerenza estrema nel maestro.
Non è un caso che i film che amo di più di questo signore sono anche quelli che hanno incassato di meno: Barry Lindon e, appunto, EWS. (Si, c’è anche Orizzonti di gloria nella mia “lista bianca”, ma onestamente non so se sia stato un successo). Tra i due film più maturi c’è una grande corrispondenza, io perlomeno li giudico corrispondenti. E non sono film per tutti i gusti: perchè colpiscono davvero duro, molto più che Arancia Meccanica o 2001 o Rapina a Mano Armata (che adoro, ma di un’ adorazione diversa). Io amo EWS, però, non di un’ amore cieco, come ho tentato di spiegare: e infatti ho tentato di spiegare punto per punto – rispondendoti- il perchè di quest’amore a prima vista che il ragionamento mi ha confermato essere vero, meritato. Ti assicuro (vi assicuro) che andando al cinema Gloria, quel pomeriggio del 99, ero si pieno di aspettative, ma, allo stesso tempo, ero pronto a fare quello che tu Raul hai effettivamente fatto, dal tuo rispettabilissimo punto di vista: criticare senza pietà; o meglio, rifiutare in blocco.
Permettimi di dirti che so anch’io che tanta letteratura e cinema sono passati sotto i ponti delle arti prima di quel film per spiegarci che cosa c’è che non va nei rapporti umani e nella fattispecie tra Mann und Frau. Tu dici che sono banalità. Beh, si, è banale anche vivere, spesso; anzi, quasi sempre. Però è il “come”, ed è il “come si rappresenta” questa banalità che a me interessa. Ed è così anche per te, ovvio. Si puo’ parlare del rapporto uomo-donna con il linguaggio della soap-opera e con quello di Kubrick. Si raccontano, anzi si sviscerano le stesse millenarie dinamiche, ma all’interno di quale universo? Quello del risaputo, del trito e ritrito, o quello del quasi insondabile? Ti sembra banale, Raul carissimo, affrontare questi temi con quel disincanto, con quella “freddezza partecipativa”, diciamo con quella “finta obiettività da illusionista?” Siamo di fronte, per fare un paragone letterario, a Sveva Casati Modignani o – non a caso- ad Arthur Schnitzler?
Torno sulla stonatura: mi dici che uso troppo spesso l’aggettivo funzionale; per dirmi, sotto sotto, questo – e vado di copiaincolla: “E’ un film che è stato accolto con molto imbarazzo, lo stesso che si legge anche nella difesa appassionata che ne fa il mio carissimo Franz, tutta imperniata su atti di fede sulle intenzioni dell’autore (punto 1), su espressioni dubbiose e limitative (Franz, quante volte ripeti il prudente aggettivo “funzionale”?)”
E io ti spiego che la mia non è una difesa appassionata,( semmai è una pacifica e anche affettuosa controffensiva), non è un atto di fede (ti ho spiegato che non faccio sconti a nessuno, proprio come tu non hai fatto sconti al Kubrick di EWS), che le mie espressioni non sono nè dubbiose nè limitative.(Perchè se uso l’aggettivo “funzionale” lo faccio a ragion veduta. Kubrick, lo sai benissimo, credeva nella funzionalità di certe scelte artistiche, come ogni artista di valore.E nel film tutto – o quasi – fila liscio). Essere funzionali nelle scelte vuol dire azzeccare le stesse scelte. Dunque? Dunque, molto semplicemente, se le mie sono stravaganze, le tue cosa sono? Io ho letto e riletto con attenzione i tuoi 11 punti e li ho trovati veramente ai limiti dell’assurdo. E insomma: non sono certo io quello che vuole farti cambiare idea; ma tu, consentimi, hai messo in rete questo pezzo per spiegare a noi cosa c’è che non va in Eyes Wide Shut, cioè tutto. E qui, mi dispiace, non ci siamo. Sei tu che ci vuoi convincere. Ma io, o altri, abbiamo il diritto di non essere d’accordo. E quali sono i tuoi controargomenti? Vai a parare su Arancia Meccanica, su altri film di SK che hanno unito popolarità e apprezzamento planetari a qualità artistica, e comunque vai a parare su film che con Eyes Wide Shut ci azzeccano ben poco. E infatti questo è stato per quasi tutta la sua carriera il miracolo compiuto da Kubrick: mettere d’accordo tutti, a tutti i livelli.
Questo non vuol dire che i suoi film più sfortunati (Barry Lindon e EWS) siano da meno degli altri,no? Altrimenti dovremmo tirar fuori dagli armadi gli scheletri di Kafka, di Musil ecc. Così andiamo a riparlare di letteratura popolare e non popolare, tra l’altro. Oppure parliamo di certi film di Orson Welles che non vedeva nessuno. O di un capolavoro come La morte corre sul fiume del grande attore Charles Laughton che fu il suo primo e ultimo film da regista e no di certo per mancanza di genio; ma perchè al botteghino fu un flop fatto e finito. Gli esempi si sprecano, la sto facendo troppo lunga. Scusa (scusate) il monologo esteriore.
Nella sua vita quest’uomo ha fatto così poco, occupandosi solo di sciocchezze e prendendo pure cantonate su queste sciocchezze, e infervorandosi su queste cantonate, che le autorità celesti non sapranno che fare di lui:-/
Franz del mio cuore, d’accordo su Laughton e su molto di quello che dici ora e sul tono con cui lo dici ora; d’altronde il tono a volte può essere nell’orecchio di chi ascolta e non nella bocca di chi parla, figurati.
Però l’assunto di partenza è sbagliato: io non volevo convincere nessuno che EWS è un brutto film.
Non volevo fare proprio nulla se non dare corpo analiticamente a una sensazione di fallimento artistico che mi aveva lasciato sgomento.
Le conseguenze di questo post possono essere varie, naturalmente: è ovvio che chi ha amato il film ne dissenta anche in modo molto appassionato.
Quando ho parlato di stravaganze non mi riferivo ai tuoi 11 punti, che valgono quanto i miei (anzi di più, visto che i miei li trovi “al limite dell’assurdo”), quanto al fatto personale che mi sembrava fosse presente nel timbro della tua seconda risposta; questa personalizzazione non è sfuggita a Alder, non a caso. E’ tutto qui, non vale la pena di spenderci altre parole, amico mio!
Vins, la distinzione che proponi è interessantissima, ma forse un poco rigida.
Non sono sicuro che l’equivalenza:
addetti ai lavori : approccio razionale = pubblico esteso : approccio emotivo
sia giusta.
Io qui ho cercato di proporre proprio un’integrazione fra le due categorie di approccio, dicendo in sostanza: di fronte a un’opera, anzitutto accetto in me stesso una reazione “ingenua”, mi emoziono, in una direzione o in un’altra (nel caso di EWS c’è stato, come giustamente nota Franz, un dolorosissimo senso di delusione, tanto più doloroso per la vera idolatria che ho per Kubrick e continuo ad avere per lui – non è che perché Miles Davis ha fatto uscire, postumo, un brutto disco come Doo-Bop, ora smetto di considerarlo uno dei più grandi musicisti del ‘900! Fra l’altro fra quel disco e EWS ci sono alcuni punti di contatto, nel senso che non si capisce fino a che punto la mano dell’artista abbia davvero completato e confezionato l’opera); in seconda battuta razionalizzo con l’analisi questa emozione.
Forse questa seconda battuta è quella che può mancare al pubblico esteso, parte per una inadeguata abitudine al fatto estetico, parte per quella che chiamavo (in altro contesto) salvaguardia di energie: non si può chiedere a tutti di impegnarsi sempre a sviscerare qualunque opera d’arte, bella o brutta, con cui si venga in contatto! Non basterebbero nemmeno due vite. Si prendono delle scorciatoie e via, per forza. Mia sorella, per prendere in giro l’approccio che suo marito ha ai film, ha ideato quella che chiama “scala Roeser” (il cognome del marito) in cui ci sono item del tipo: “presenza di Schwarzenegger: +10 punti; comparsa improvvisa di un elicottero durante una scena d’azione: +5 punti”.
Scherzi a parte, per una parte del pubblico specialmente femminile l’approfondimento psicologico dei personaggi potrebbe essere un fattore determinante (+100 punti) per il giudizio su un film, mentre per altri lo è l’attenzione che il film si conquista; qualcuno privilegia la storia, altri le immagini, altri ancora la recitazione, eccetera.
Si potrebbe immaginare un’equivalenza di questo tipo:
cultore della materia : doppio approccio = pubblico esteso : approccio emotivo.
Senonché può anche succedere un’altra cosa: che il cultore della materia (so che fa ridere, come definizione; proponetene una migliore) sia così innamorato da emozionarsi a priori e mobilitare il proprio armamentario analitico per giustificare sempre e comunque l’oggetto del proprio amore; in particolare, se uno ama un autore tende a volte a perdonargli anche le cadute. Non dico che questo è successo a Franz, perché prendo assolutamente sul serio la sua “spietatezza”, la disponibilità a ritirare il consenso a un’autore o a un’opera; è più facile che succeda ai veri – qui ci sta bene – “addetti ai lavori”, quali né io né Franz siamo.
E’ molto stimolante anche quello che dice Gabriele sull’interpretazione delle ultime opere dei maestri.
In effetti il titolo “Finire male”, nato dalla disperazione di quella serata di quasi sei anni fa, partiva proprio da questa riflessione: che raramente i grandi hanno mezze misure, raramente finiscono “in linea”, o “all’altezza”: spessissimo le ultime opere dei maestri o si innalzano alle vette dell’assoluto artistico, oppure scadono nel balbettamento senile o, peggio, nell’esaurimento dell’immaginazione.
Lascio stare EWS, ora, sia perché la pensiamo in modo diverso sia perché non c’è nessun dubbio, nessuno, che Kubrick abbia avuto tutta l’intenzione e la convinzione di fare un grandissimo film, prendendosi come sempre tutto il tempo che ci voleva.
Potremmo partire dall’osservazione di Gabriele per fare una specie di gioco, molto serio, sugli artisti di cui possiamo dire: “ha finito bene” o “ha finito male”.
Butto lì tre o quattro nomi, i primissimi che mi vengono in mente, limitandomi ai giganti: Faulkner e Hemingway hanno entrambi finito male, temo, e pure Antonioni, Ferreri e Hitchcock (anche qui si può discutere, ma i suoi ultimi film, dopo Frenzy, mancano proprio di quell’impatto totale che anche lui cercava, e diventano terreno di conquista dei filmologi e delle loro interpretazioni troppo raffinate).
Bunuel ha finito splendidamente bene, in un crescendo di coerenza, visionarietà, freschezza d’invenzione. Beeethoven, non ne parliamo. Lascerei fuori da questo gioco Mozart e Kafka, i grandissimi la cui morte è stata troppo prematura per consentire di intravedere una vera parabola creativa.
Ciao a tutti, anche a Kubrick-Angelini (a proposito: la battuta occhi spalanchiusi gira giusto dal ’99, a me l’aveva riferita allora un amico che non fa il traduttore ma l’avvocato; avevo proposto a Tiziano di metterla come titolo del post, ma lui ha preferito giustamente “Finire male”).
Fui io a diffondere in rete ‘Occhi spalanchiusi’. Tutto il resto è plagio:-/
P.S. Non capisco perché tutte le battute scherzose vengano attribuite a me, che sono così serio.
Ohibò, e ora sono depressa… considero EWS un capolavoro e adoro Doo-Bop di Davis, non ne azzecco una, mannaggia! Per fortuna ci sono le battute di Angelini che sdrammatizzano… ;-)
Caro Raul, un’ultima cosa e poi la pianto. Se tu in 11 punti spieghi magnificamente (te ne do atto) che Eyes Wide Shut secondo te è un fallimento, è naturale che qualcuno (anche se non era quella la tua intenzione, di convincere intendo) possa convincersi che tu hai visto giusto. E dunque resta il fatto per me chiaro e limpido che in 11 punti tu tenti di smontare (è proprio il caso di dirlo) il congegno EWS. Secondo me non ci sei minimamente riuscito, e te lo dico con grande affetto e altrettanta stima.
Il resto del tuo discorso è in gran parte condivisibile; e mi tolgo il cappello. (Anche se paragonare Doo-Bop a EWS mi sembra una forzatura. Doo-Bop è il tentativo- riuscito- di andare verso l’hip hop. Davis cercava continuamente strade diverse, era coerente nel cambiare, diciamo. Tant’è che disprezzava quei jazzisti classici come Wynton Marsalis che suonano sempre – anche se magnificamente – la “stessa canzone”)Quel disco, insomma, con EWS non ha nulla a che fare, perchè SK ha continuato secondo me a suonare la sua “canzone” fino alla fine, mentre Davis ha portato alle estreme conseguenze la sua ultima ricerca, a cavallo dell’hip hop. Certo, non è un capolavoro, quello, su questo sono d’accordissimo.
No Raul, non mi sono offesa perché mi hai usato come cavia. Comunque non ti ho consigliato il libro di Ciaruffoli per farti cambiare idea, ma per farti leggere un altro parere, perché prima di essere un’analisi è in primis un altro parere. E poi Kubrick si avvicina più a joyce (del quale il suo Ulysses non potrebbe fare a meno della sua “guida”) che a pieraccioni, dunque non ci vedo nulla di male nella lettura di un saggio. Tra l’altro la tua del ’99 si avvicina più a un’analisi (di quelle che non ti servono per farti piacere di più un film) che a un semplice parere. E infine, è vero che Shining è già bello di per sé, ma è anche vero che se leggi il saggio di Cremonini capisci e ti accorgi delle cose che nemmeno t’immaginavi. Tutto qui. Questo non certo, ripeto, per farti cambiare idea, ma i pareri sono tutti leggibili e consigliabili come il tuo, e come quello di quelche addetto ai lavori.
Io parlo da appartenente al pubblico “emotivo”: a me NON è piaciuto il film (ma continuo ad apprezzare altre pellicole di SK). E sono d’accordo con Raul Montanari su tutti gli 11 punti.
Emotivamente, direi (in riferimento/commento agli 11 punti):
1. Asimmetrico senza un perché.
2. Confettosamente nauseante.
3. Recitazione quasi imbarazzante.
4. Probabilmente la Kidman non avrebbe semplicemente dovuto interpretare un ruolo in questo film.
5. La faccia di Tom Cruise è pari, per espressività, a quella di Steven Seagal
6. Dialoghi lenti e ridondanti
7. Ho riletto Doppio Sogno e mi sono chiesta invano cosa c’entrasse.
8. Orgia: erotismo zero, porno zero, ma zero anche interesse decorativo.
9. (vedi punto 3)
10. L’ambientazione è inutile.
11. Verissimo, e per di più TC non ha neppure i tacchi, da nudo. Sembra Brontolo tra le braccia di Biancaneve.
(forse ho esagerato… probabilmente il motivo è che mi aspettavo molto di più da questo film…)
Cadono le braccia, davvero. Buon proseguimento con Biancaneve e i Sette Nani.
Be’, mi pare veramente che a questo punto ci siamo capiti sull’essenziale: che non è necessario avere la stessa opinione su qualcosa, ma è indispensabile cercare un linguaggio comune per parlare di quella cosa!
Alla fine, l’utopia umanistica non è altro che questa – l’ultima fede che ci rimane, che davvero condividiamo.
Grazie a tutti up to now, in primis a Franz il Possente, e aspetto contributi non solo su EWS (dai e dai, adesso mi sta venendo voglia di rivederlo, però; c’è anche tutto un capitolo che si può aprire sul cambiare opinione, ovviamente) ma anche al terribile gioco del “Finire bene – Finire male”.
Joyce, per esempio, dice Sara; lui con il suo Finnegans… che ne dite? Ma qualcuno l’ha letto?
PS-1 Però, Sara, con l’Ulysses fai un esempio che è impossibile generalizzare: l’unico caso nella storia della letteratura di un’opera legata imprescindibilmente alle sue istruzioni di lettura, che nella loro genialità hanno un valore letterario pari all’opera stessa.
Chiunque altro, dopo Joyce, abbia cercato di spiegare al pubblico per filo e per segno, con un approccio NORMATIVO, come si dovevano leggere e interpretare le sue pagine, ha fatto solo ridere i sassi (anche di recente, il mese scorso, su questo blog…). Il testo è il testo, le intenzioni dell’autore e le sue pippe sono un’altra cosa.
PS-2 Sa, Angelini, qual è la cosa su cui lei si è più sbagliato nella discussione che abbiamo avuto qualche giorno fa, riguardo a Busi e alla pedofilia? Quando ha interpretato in senso sarcastico una mezza frase che avevo scritto in quel tremendo Internet Treffpunkt berlinese, in mezzo a una marea di turchi che passavano il tempo a scaricare foto porno: “il peraltro simpatico Angelini”.
Non era sarcastica: in quel caso non avrei messo l’avverbio. Lei mi è simpatico come lo sono tutti gli incazzosi estroversi, che non ti colpiscono mai alle spalle ma dritto in faccia; e mi dispiace che la simpatia non sia ricambiata.
Vabbè, è chiaro che ho postato prima degli ultimi tre commenti…
D’altra parte, Franz, permettere a me di vedere EWS (e addirittura commentarlo emotivamente) è come chiedere a un pesce di parlare della prateria.
Non è questo il discorso da fare, Emmina, abbi pazienza. Se la buttiamo sul sarcasmo possiamo andare avanti per ore. Solo che liquidare gli 11 punti “programmatici” in quel modo mi è sembrato un mandare tutto in vacca. Ho seguito altri tuoi interventi in altri post e mi parevano proprio di tutt’altro tenore. Emotivamente siamo coinvolti tutti, nel guardare un film, nel leggere un libro ecc. Non devo spiegare per forza io, Il Possente Franz (è proprio vero, grazie Raul) che il giudizio di un’ opera d’arte come di una persona dipende spesso dallo stato d’animo in cui ci si trova nel momento in cui quell’opera o quella persona per così dire ci “appare”. Ho trovato di vero stile, a proposito, l’affermazione di Raullone di essere intenzionato a rivedere Eyes Wide Shut; pronto, eventualmente, a rivedere certi giudizi sul film stesso.
Ecco, Emmina, solo questo.
Infatti penso proprio che dopo essermi letta tutta la vostra discussione, e siccome mi sono sentito tirato una volta dalla parte di Raul, un’altra volta da Franz, è il caso di rivedermi tre, quattro film di Kubric
… incollerò questi post e li conserverò con religiosa cura. Sul serio. Però mi sembra giusto ricordare che Kubrick – il quale è sempre stato lucidissimo sul suo lavoro e non può non esserlo stato sull’ultimo dato che non sapeva sarebbe stato l’ultimo (è morto improvvisamente e senza segnali premonitori) – affermò che EWS era uno dei film più belli della sua carriera. Ma, abbiamo testimonianza che non era soddisfatto dell’interpretazione di Cruise, in particolare nella sequenza in taxi mentre, ossessionato dalla fantasia di sua moglie che lo tradisce col marinaio, si avvia a quel giro di giostra che si chiuderà con l’orgia; tanto che ipotizzò un voice-off per “spiegare”, per rivelare le emozioni del protagonista, a parere di Kubrick troppo poco espresse dal solo volto di Cruise. Tutto qui.
Per il resto ebbe più volte modo di dichiarare, alla moglie, ai collaboratori più stretti, che il film era esattamente come lo aveva pensato e voluto. Kubrick che gira una schifezza..?.. mah…
Come non dare ragione a Kubrick sul SUO lavoro, infatti?
Raullone, rivediti il film, dammi retta.;-)
Io sto per fare i compiti a casa, da diligente apprendista kubrickiano. Il film ce l’ho pronto di là in dvd. Ora lo faccio partire. In lingua originale.
Vi dirò fra 3 ore o domani.
Ah, un’altra cosa volevo aggiungere: il giochino proposto da Raul ha secondo me una sua ingiustizia. La morte è sicura per tutti (e vai col toccarsi scaramantici), ma non si sa quando (nuova palpata anti-jella). L’inconsapevolezza o la consapevolezza dell’artista sulla fine della propria carriera (vita) riveste un ruolo importante. Io non sono né un grande cineasta, né un grande scrittore, preparo però dei cocktails niente male. Se mi dicessero, ecco, questa è la tua ultima sera al bancone, m’impegnerei diversamente nel fare il mio cocktail dei cocktails, quello che ubriachi il bevitore e convinca la critica, rispetto a una sera che sono scazzato e mescolo a caso un po’ di bianchi, di succo d’arancia, limone e cola.
Vins, attendo con vero interesse il tuo responso. Allontanati dalla bottiglia, mentre vedi il film, però…;-)
Scrive il ***peraltro simpatico*** (nonché valoroso come un lupo nell’assemblea) Montanari: “Lei [Angelini] mi è simpatico come lo sono tutti gli incazzosi estroversi, che non ti colpiscono mai alle spalle ma dritto in faccia; e mi dispiace che la simpatia non sia ricambiata.”
Scusi, Raulino, ma quando mai l’avrei colpito dritto in faccia?
Ricordo, anzi, che quando venne qui a Venezia al teatrino di villa Groggia (‘Nelle galassie oggi come oggi’) trovai che lei fosse un bravissimo attore:-)
scusatemi se mi intrometto in questa goliardica discussione portando argomenti dotti, ma io vidi EWS in un cinema a Bologna con una ragazza a fianco e mi piacque poco fin da subito, capii presto che Tom non avrebbe più abbandonato la faccia da pesce lesso che gli si era stampata in volto, e benché le scene con Nicole attizzassero la mia curiosità, mi deluse oltremodo la tanto sbandierata scena in cui Tom e Nicole si baciano e si toccano davanti allo specchio, attendevo con ansia quella scena, Nicole mi faceva letteralmente impazzire, quanto mi faceva sesso con gli occhiali, hmmmm, ma kubrick che fa? taglia quella scena proprio quando poteva diventare scandalosa! ma vaffanculo! e così ho cominciato a baciare, se non di più, la ragazza con cui mi ero trovato a bologna e prima della fine del film, che da lì in poi ho visto solo a sprazzi, dimenticai che non era Nicole ed ebbi l’idea di iniziare una storia con lei, che peraltro era niente male…ma nicole con gli occhiali, hmmm, non perdonerò mai a kubrick di non averla saputa sfruttare meglio…
Kubrick ti ha fatto cuccare e tu lo critichi pure? Sei un ingrato, ecco quello che sei!
Caro Franz K,
la mia risposta emotiva era… intenzionalmente eccessiva. Volevo semplicemente spiegare con un esempio concreto quello che tu hai detto così: “Se la buttiamo sul sarcasmo possiamo andare avanti per ore. Solo che liquidare gli 11 punti programmatici in quel modo mi è sembrato un mandare tutto in vacca”. Infatti C’ERA il rischio concreto di interpretare le parole di RM in questo modo “distruttivo” (senza riferimenti letterari, senza citazioni filmografiche, senza parallelismi con altre opere dello stesso regista: vedendo cioè il film con gli occhi di un profano dell’ambiente).
Una specie di esercizio mal riuscito, scusa :(
Ti perdono senz’altro.;-)
Allora, rivisto.
Ho provato a dimenticare di averlo già visto e a dimenticare che fosse un film di Kubrick. Cercavo di salvaguardare la mia percezione emotiva e di non influenzare la sfera dell’analisi concettuale posteriore. Volevo insomma guardarlo come un pezzo isolato: cercarne il bello o il brutto in sé… (ammesso che sia un’operazione possibile).
Ho fallito. Le immagini mi ritornavano a combaciare con quelle della memoria e Kubrick mi dava continue gomitate, facendo, si vede che sono io qua e là.
Rimango del mio avviso: film bello, che ferisce in silenzio (chi diavolo era quel filofoso francese che diceva che l’arte è tale solo se ferisce?), che graffia lentamente, tipo un nodo che si stringe sempre di più. EWS rimane non un film da urlo, ma da insicurezza sussurrata.
E poi la critica alla fotografia non la condivido (c’è da dire che non ne capisco un cazzo, questo è vero!): ma a me bastano quasi i titoli.
Il culo di Nicole, le tende rosse in forte contrasto col nero, 4-5 paia di scarpe, gli specchi, poi una stativa su NY, poi Tom Cruise in un’altra stanza, senza culo, già vestito, le tende rosse, 4-5 paia di scarpe, gli specchi. Due persone divise, con molte immagini riflesse, che s’incontrano al cesso…
Io ero là che già applaudivo o iperinterpretavo…
Non ho ancora letto una riga del post di Raul e neppure i commenti. Scusatemi, ero fuori Milano per lavoro. Ma dico, “preventivamente” (e quindi sbagliando), che ha ragione.
Quel film è un pacco. Lo dico da adoratore di Kubrick.
Kubrick sembra un intoccabile, incriticabile. C’è un culto su di lui che mi esaspera, da tempi non sopetti.
Appena posso leggo tutto e poi riprendo il discorso. Scusate l’intromissione un po’ fuffosa.
ciao, g.
Scusate se prendo un angolino per dire due cose che non riguardano questa colonna, ma quella dei commenti al post di circa due settimane fa su Aldo Busi e la questione pedofilia.
1. (Sorriso) Be’, Angelini, sono felice che lei sia stato testimone di una serata di Covers, una delle più belle avventure della mia vita da scrittore e non. Forse la più bella.
Però, in quella famigerata colonna di commenti, un paio di sberle in faccia fuori luogo lei me le ha proprio tirate.
Prima incazzandosi perché io mi ero difeso (si noti) dalle sue osservazioni del tutto non provocate sull’ortografia del mio nome, e non ho bisogno di spiegare a una persona intelligente come lei che quelle osservazioni sottintendevano che i miei genitori sono due imbecilli che mi hanno dato un nome scritto sbagliato – per non parlare di quanto c’è di profondamente identitario nel rapporto fra una persona e il nome che porta. Faccia un piccolo sforzo di immedesimazione, immagini che uno si metta a disquisire sul nome Lucio, fra l’altro in un contesto in cui la cosa c’entra come i classici cavoli a merenda, e capirà al volo; anche alla luce del fatto che la sua ricerca per dimostrare che si “dovrebbe” (e perché???) scrivere Raoul e non Raul è approdata esattamente al risultato che avevo indicato io all’inizio: l’etimo è tedesco, Raul è un antico diminutivo (lei dice di Ralf, lupo dell’assemblea, io di Rudolf, lupo selvaggio, poco male), Raoul è un francesismo, le due grafie coesistono in Italia, mia mamma aveva tutto il diritto di scegliere quella senza la o. O sbaglio? Mi sembra una questione abbastanza antipatica, per il modo inatteso in cui è venuta fuori e per la presunzione di andare a spiegare a una persona come si dovrebbe scrivere il suo nome, cosa che io non farei nemmeno se fossi CERTO che quel nome è scritto sbagliato – che ne so, Antunio Rossi o Gianfianco Gabetta.
Poi c’è stato il momento in cui ho ricordato una pagina veramente drammatica della mia vita, in tema di violenze (non sessuali nel mio caso) subite nell’infanzia, all’età di sette anni, e quando ho incassato l’abbraccio affettuoso di Gianni Biondillo lei ha fatto una battuta veramente di pessimo gusto sul “senso” che può fare abbracciare uno come me, “con quei brufoli”.
Mi sembra di essere abbastanza generoso nel prendere con un sorriso queste due uscite e riconoscerle la franchezza simpatica dell'”incazzoso estroverso” che colpisce a viso aperto e non in modo vigliacco, e mi stupisce molto che ci sia da ridire pure su questo.
Chiunque voglia controllare vada a vedere: il post è di Flavio Marcolini, “Un esercizio del diritto di critica”, febbraio.
2. (Sorrisone con brufoli – che non ho più da 30 anni, peraltro) Emmina, però se ti scusi tanto dolcemente solo con Franz e mai con me mi offendo…
Fine della parentesi, e una notizia curiosa: avevo il cervello intossicato o ho visto che EWS è programmato in tv lunedì prossimo, su Canale 5? Guardatelo tutti, sarà come minimo meglio di Harry Potter su RaI1 e del processo di Biscardi su La7 (eh eh)…
Gianni, se poi ci spieghi con calma perchè il film è un pacco…
P.s: culto di Kubrick? Una buona fetta di Spartacus è roba quasi da serie B. Lolita è un film tutto sommato ottimo ma nulla di più. Il bacio dell’assassino è un buon noir e nulla più.
Raul Montanari, mi viene da dirti (come dico spesso alla mia nipotina):
sei una PESTE!
:)
Caro Montanari, premetto (a scanso di equivoci) che adoro il suo ***cognome***: per me la montagna, benché a scoppio ritardato, è diventata una sorta di dipendenza settimanale e non c’è week-end in cui non la frequenti, o con il Cai, o con la Giovane Montagna, o con Trekking Italia, o con qualche amico alpinista… le Dolomiti, come saprà, sono appena a due ore da Venezia. (I miei giocattoli preferiti restano, in ogni caso, le ferrate.) Quanto al suo ***nome***, comincio a pensare che l’incazzoso estroverso sia lei. A tutto avevo pensato (nella mia breve osservazione tra parentisi su Raul/Raoul), tranne che a voler offendere i suoi genitori. Semplicemente, il colonnello che dirigeva il collegio militare in cui trascorsi sette anni della mia fanciullezza si chiamava appunto Raoul. Ecco perché quella forma mi era più familiare. Pura, superficialissima curiosità.
3)Il mio nome – Lucio – viene notoramente, “a non lucendo”:-), ma chiunque può storpiarlo come vuole, chissenenefrega?
Se non riluco io, in ogni caso, mi auguro possa luccicare al massimo, quando uscirà a fine mese per Fazi editore, il romanzo per adulti di Andersen “Il violinista ambulante” che ho ***fortissimamente*** voluto curare per il bicentenario della nascita di Hans Christian (= 2 aprile 2005). Non veniva più pubblicato in Italia dalla seconda metà dell’Ottocento.
In merito ai suoi brufoli, infine, la battuta era soprattutto rivolta al *peraltro simpatico* Biondillo, sempre pronto a fare l’appiccicoso:-)
Tanto le dovevo.
Suo MITE ED INTROVERSO
Lucio Angelini
Quel babbeo di Basso Profilo, di passaggio a casa mia, ha inavvertitamente lasciato il suo nick sul MIO computer. Perdonatelo.
Riguardo all’importanza del lato emotivo, riprendo un articolo di Raul Montanari apparso qui su Nazione Indiana (riguardava Bowling for Columbine di Michael Moore: in effetti siamo su due piani diversi, quello di Moore è un circadocumentario, però…però… mi è piaciuto il succo del commento di RM).
“L’intellettuale di sinistra minimalista e pensierodebolista professa abominio verso chiunque alzi la voce, azzardi un qualsivoglia progetto che comporti uno slancio emozionale, proponga una visione d’insieme. Comodamente seduto sulla sua poltrona universitaria, televisiva, redazionale, radiofonica o telematica, si compiace di esercitare un pensiero tanto ingegnoso quanto essenzialmente distruttivo, smontando codici e strutture retoriche con l’aria di fare un favore ai compagni di corsa, in realtà gratificando solo sé stesso e il miraggio circolare e onanistico della propria intelligenza. Un gioco piuttosto facile: chiunque di noi ha sperimentato il godimento che dà sedersi in un angolo e stare a vedere le cazzate che fanno gli altri.
L’ISM dimentica che la storia della sinistra, come quella di qualunque grande movimento o sentimento di massa, è piena e strapiena di semplificazioni e di evocazioni emotive!
L’idea che le emozioni siano di destra e l’intelligenza sia di sinistra, in particolare questa intelligenza asfittica, stitica, antipropositiva, è il retaggio sciagurato di una generazione intellettuale alla quale purtroppo appartengo anch’io. Peggio: è una scelta politicamente perdente”.
Giusto!
Eh, Emmina, diventeremoi amici noi due!
Scusa, Franzi, posso fare un’osservazione? Non è che stai personalizzando un po’ troppo la questione EWS?
Gianni, che tutti stimiamo, ci ha appena detto che metterà giù per esteso le sue impressioni appena possibile, evidentemente quando si libera dai casini del lavoro; non mi sembra il caso di fargli questo sollecito così impaziente. Se per caso gli impegni di lavoro gli impediranno di postare un intervento sostanzioso entro poco tempo, che ci potrà farà fare, poraccio?
E, soprattutto, Gianni non ha parlato del TUO culto di Kubrick, quindi è un pochino fuori luogo che tu risponda, alla sua sacrosanta osservazione sull’esistenza di questo culto, parlando dei film di Kubrick che a TE piacciono meno di EWS.
Il culto di Kubrick c’è eccome, e io sono felice che ci sia e nel mio minimissimo ho pure dato una mano a rafforzarlo (diciamo pure che mi posso attribuire un miliardesimo di merito, probabilmente meno). Fra l’altro a Kubrick ho pure dedicato il mio secondo romanzo. Cazzo, più di così!
Se si deve avere il culto di qualcuno, chi meglio di Kubrick? Non solo l’immenso valore artistico della sua opera giustifica il culto (quando non diventa accecamento critico, è ovvio – ed è a questo che Gianni si riferisce), ma la personalità eccentrica, il gusto di tenersi lontano dai riflettori, la leggenda sul suo rifugio inglese, sulle manie, sul perfezionismo portato alla follia…
Vi racconto un aneddoto di seconda mano, assolutamente inedito.
La fonte è Malcolm McDowell, lo straordinario interprete di Arancia Meccanica (torno sempre lì, lo so: ma in questo caso il punto è che McDowell vive a Roma, e ha raccontato questo episodio ad Alberto Crespi, mio ex compagno di liceo e critico cinematografico che tutti conoscete).
McDowell, un attore lievemente più espressivo di Tom Cruise, si stava riprendendo a stento dal film appena fatto con Kubrick, film che lui si rifiutò di vedere all’uscita e di cui fu spettatore solo diversi anni dopo. A questo proposito, anzi, raccontò a Crespi che in quel periodo (1971) si era messo a riposo in una specie di casa di campagna, alla periferia di Londra, e che riceveva una processione di visite da parte di ragazze ipnotizzate dal glamour sulfureo del personaggio di Alex De Large, che già si poteva apprezzare nelle foto pubblicitarie fatte girare… e quale non era lo stupore di queste benintenzionate fanciulle, quando si trovavano davanti non il fascinoso teppista metropolitano con l’occhio bistrato e il parapalle in evidenza, pronto a regalare anche a loro una dose del dolce su e giù, ma un poveraccio con i nervi a pezzi (così si definì l’attore), in grado a malapena di fare due chiacchiere e di farsi preparare una tisana.
Insomma, Malcolm sta in queste condizioni quando Kubrick lo chiama al telefono e gli dice: “Vieni immediatamente da me, ho bisogno del tuo consiglio! Vieni subito, è una questione urgentissima!”
Pur malconcio, McDowell va alla casa-castello del Divino.
Viene introdotto in una delle grandi, meravigliose stanze di quell’autentico laboratorio/museo del cinema che è la casa, e si trova davanti uno spettacolo sbalorditivo.
C’è una gran figa nuda, in mezzo alla stanza, e Kubrick che le gira intorno con tre o quattro macchine fotografiche a tracolla, fotografandola da tutte le angolazioni immaginabili. La cosa va avanti un tot, poi Kubrick congeda la ragazza e spiega a McDowell:
“Nel prossimo film che farò voglio mettere le tette più belle d’Inghilterra! Ci sarà una scena [sicuramente quella di Barry Lyndon al bordello, nota mia] in cui voglio un paio di ragazze che devono avere delle tette spettacolari! Vieni che ti faccio vedere”.
Porta l’attore in una stanza adiacente, e davanti agli occhi già stupefatti di McDowell si spalanca uno spettacolo indimenticabile.
Le pareti sono letteralmente tappezzate da fotografie di seni, grandi, piccoli, medi, perfetti, bellissimi, ripresi dal basso, dall’alto, di profilo, in tutti i modi.
“Scegli tu!” dice Kubrick.
“Ma come, un momento…”
“No, no, devi scegliere tu! Io non riesco a decidermi, sono tutte stupende. Scegli due fotografie!”
McDowell contempla a lungo il materiale e sceglie a caso due foto, più che altro per fare contento Stanley (così disse lui a Crespi, che non gli credette molto…).
“Magnifico! Sono quelle che piacevano anche a me! E’ fantastico! Adesso chiamo subito queste ragazze, facciamo il contratto! Da questo istante non voglio che appaiano in nessun film, che facciano nessuna pubblicità, foto di moda, niente! Devono comparire solo nel mio prossimo film! Bisogna chiamarle subito!”
“Ma scusa,” obietta McDowell, “non si vede neanche la faccia delle modelle, e le foto non sono numerate… Come fai a risalire al nome?”
“Facilissimo” risponde il genio, staccando le due foto dal muro.” Ho detto al mio assistente di segnare direttamente il numero di telefono delle ragazze qui, dietro ogni foto, vedi?”
“Io non vedo niente.”
Kubrick sbianca.
Guarda anche lui dietro le due foto, e non vede nulla.
In un crescendo di angoscia, strappa tutte le foto dalle pareti: il suo assistente non aveva eseguito l’ordine. Nemmeno una delle fotografie era identificabile.
Quando McDowell lasciò la casa, il maestro era ancora affranto…
Ecco, gli anedotti di Raul mi incantano sempre…
Oh, Basso Profilo/Angelini( ma tu guarda che c’avevo ragione!)sappi che Raul non ha i brufoli e sono molto felice per l’uscita del romanzo di Andersen, me lo regalerò per il mio compleanno(2 aprile). :-)
Raul, abbi pazienza: semmai, io credo, è Gianni che mi dovrebbe dire se sono fuori luogo o meno in un post nel quale mi sono speso non poco, non pensi? E perchè dovrebbe essere un “pochino fuori luogo” dire quello che mi pare quando mi pare, ma mantenendo sempre un tono civile? Senza polemica, ci mancherebbe.
Per il resto il tuo aneddoto (che anch’io conoscevo) è splendido, e la dice lunga su chi era questo grandissimo artista e sulle ragioni di un culto che io, ti dico sinceramente, avevo quando ero più giovane. Adesso ho ridimensionato tutto. Forse non frega a nessuno, ma se devo scgliere in un ipotetico gioco delle torre tra Fritz Lang e Kubrick, dalla torre butto Kubrick. I gusti sono gusti.
Scusa se mi sono permesso.
Ma no, Basso Profilo è solo uno che FREQUENTA la mia casa (e a volte mi spodesta dal computer). Se davvero festeggi il compleanno il 2 aprile, NON PUOI non comprare ‘Il violinista ambulante’: ma prepara i fazzoletti… verserai fiumi di lacrime:-/
Peraltro stanno preparando IMPONENTI festeggiamenti internazionali per il Bicentenario.
Vedi il sito
http://www.hca2005.com
Ah, personalità multipla? ;-)
Sì, il 2 aprile è il mio compleanno e ti assicuro che comprerò Il violinista ambulante di cui ho sentito parlare da ragazzina.
Grazie per l’indicazione.
Ah Raul: al mio grande amico Gianni ho chiesto di spiegare “con calma” le sue ragioni. Questo mi pare inportante da sottolineare.
Caro Franz, penso che l’analisi di Raul sia impeccabile, tranne che nel quarto e nel settimo punto. Anche sulla necessità dell’impatto immediato della grande opera sono d’accordo con Raul. Ma devo dire che quell’impatto io l’ho avuto. E’ stata la scena del ballo a coinvolgermi, a darmi l’impressione che sì, stavo assistendo a qualcosa di magico, di importante. Impressione ampiamente smentita, poi. Ma quell’impressione, anzi la scena che l’ha causata, è molto strana e molto significativa.
Mi spiego: anche secondo me non c’è in questo film una sola immagine emblematica (davvero moscia quella del bacio, converrai di fronte a tutte le altre qui elencate). E’ incredibile, perché Kubrick, il cui passato di fotografo tutti conosciamo, è stato soprattutto un creatore di possenti fotogrammi. Molti suoi film non sono che una successione di quadri. Il caso più eclatante è quello di Barry Lindon. E’ un film che potrebbe non avere una storia (non dico che non ce l’abbia e che non sia magnifica, magari a quel secondo livello di lettura di cui si parlava). E’ l’apice del manierismo, quel film (potrebbe essere un complimento), la storia di una mania più che di una maniera, dell’ossessione per il rosso più rosso, il blu più blu, la megalomania del primo obiettivo capace di catturare la luce delle candele, il delirio faustiano di chi vuol trasporre la pittura. Lo si può guardare come un fotoromanzo, o passeggiarci come in una galleria, magari facendo a gara a chi scopre più citazioni.
In questo film niente di tutto ciò. C’è invece una scena, quella del ballo, che è puro cinema. E questo potrebbe indurci a pensare che il film non sia l’esangue compitino di un fotografo stanco con scivolate nel ridicolo involontario ma il primo film della maturità, un film in cui il fotografo lascia il posto all’uomo di cinema, con una scena che glorifica il movimento e che non può essere fermata e sbattuta su un manifesto.
In passato molte delle scene più belle di Kubrick non erano che inquadrature perfette, del tutto autonome, trascinate nel tempo (trascinate in modo magnifico, magari, come in Odissea dello spazio, con una lentezza che potremmo attribuire al timore di abbandonare la perfezione dello scatto, a una pulsione verso l’inorganico). Qui per un istante mi è sembrato che ci fosse dell’altro. Ma è stato solo un momento. Poi, che ci vuoi fare, pure Fellini si è messo a “spiegare” in quell’aborto Lunatico.
Conosco Raul da dieci anni, e ogni volta che parla di Kubrick io cado in trance ipnotica. Imparo e concordo, apprendo e sbalordisco, assimilo e assentisco, mi nutro e mi riconosco, concordo e mi ritrovo. Che dire? Sottoscrivo ogni sillaba della sua analisi di EWS e dei suoi commenti in questa finestra. Grazie Raul.
Sì, Tiziano, ma ammetterai che è un bell’incazzoso estroverso!
Sottoscrivo e condivido anche io con convinzione gli undici punti di Raul; non avrei saputo articolare meglio di così il mio dissenso e la mia insofferenza di fronte a questo film (nel quale va anche a farsi friggere la maniacalità di Kubrick nel controllo degli errori nelle inquadrature: nella scena del bagno, durante la festa, per esempio, su una tubatura cromata della doccia si riflette chiaramente il microfonista con in mano l’asta del microfono a giraffa). C’è da dire inoltre che questo è uno dei pezzi più esemplarmente analitici di Raul mai pubblicati; ci leggo dentro tutta la passione e la perizia di traduttore e lettore dei classici, è un ottimo congegno retorico, scritto evidentemente da uno che i classici latini e greci li ha letti e meditati. E soprattutto scritto con gli occhi dell’innamorato deluso (Raul è così infettato da Kubrick da essere stato spinto a scrivere un racconto eccezionale come La grande rapina, e chi non l’ha letto lo vada a recuperare in “Un bacio al mondo” (Rizzoli), e capirà un sacco di cose sullo spirito appassionato con cui Raul ha scritto questo pezzo…)
ciao!
figo! il traduttore del mio cuore è un esacerbato produttore di sebo che ha raccontato un aneddoto su kubrick che nella mia fantasia è andato a posizionarsi a metà tra l’arbore di ‘che mi hai portato a fare in coppa a posillipo…’ e le spiate dalla toppa di pierino, più o meno all’altezza del poderoso seno di una felliniana qualsiasi, mettiamo quella di amarcord che ci soffocavi dentro, a quelle tettone.
e poi, caro il mio montanaro, si dice giustamente raoul, così come venne evidenziato e nel fumetto e nelle serie animate di ‘hokuto no ken’ di buronson & hara. e non te la pigliare troppo a male, signorino: in prima elementare mi insegnarono a scriverlo colla C il mio nome, perché la K negli anni Settanta era un po’ clandestina.
Aneddoto per aneddoto, so per certo che al gestore del laboratorio di maschere veneziane presso cui Kubrick si rifornì (per le vagamente comiche scene nel castello) il film è piaciuto immensamente:-)
A me, invece, è piaciuta l’indicazione complessiva verso un solido recupero della famiglia.
Crespi era compagno di liceo di Montanari, e che kaiser! Ma non capisci? Uno pensa a un mondo di entità distinte, separate, care cellule perimetrate, e poi scopre ‘sti risvolti… Montanari e Crespi pappa e ciccia. Pure continuo a pensare che l’ex compagno di liceo, come categoria, chiunque esso sia, sia la lebbra…
‘Notte indi.
Scusa, Nick, io sono un po’ lento e non ho assolutamente capito il senso del tuo intervento. Il “pappa e ciccia” è molto impreciso, comunque, e soprattutto allude – magari involontariamente: correggimi – all’idea un pochino paranoide dell’esistenza di una specie di classe privilegiata di gente che è venuta su insieme, si scambia favori, si pubblica o recensisce reciprocamente i libri e cose simili: niente di tutto questo, almeno nel nostro caso.
Crespi stava un anno avanti a me, al famigerato Parini di Milano, dove ci avevano convogliati in quella che allora era la sezione degli squattrinati di provenienza zona Niguarda (la F).
Al liceo non ci siamo frequentati, perché notoriamente nessuno è più classista (nel vero senso della parola!) di uno studente: è molto difficile che si faccia amicizia fra allievi di anni diversi, tranne nel tipico caso in cui una bella ragazza viene cooptata fra i più grandi, cosa che riempie di gioia i suoi compagni.
L’ho invece frequentato molto al tempo dell’università e subito dopo; ed è stato bellissimo, una volta tanto in questa cazzo di vita, vedere premiati il talento, la passione e la modestia.
E’ diventato uno dei più stimati critici italiani della generazione di mezzo partendo letteralmente dal nulla, dopo anni di volontariato alla sede milanese dell’Unità, dove poco mancava che gli facessero pulire i cessi – ma lo usavano pure come interprete per gli interscambi con la Pravda, perché aveva studiato il russo…
Non ci frequentiamo più da quando lui si è trasferito all’Unità di Roma, circa 15 anni fa, e credo di averlo visto l’ultima volta di persona (molto ingrassato) sette o otto anni orsono.
Avevo citato la circostanza di questa vecchia amicizia semplicemente per spiegare per che via mi era arrivato l’aneddoto di McDowell.
In ogni caso, parlare di una persona come Alberto Crespi è una consolazione. Ve lo garantisco.
Però, Raul, se come dicono Godard è stato per il cinema quello che Joyce è stato per la letteratura, non è nemmeno tanto azzardato avvicinare a Joyce un altro grande regista. Se godard sta a joyce come kubrick sta a godard, anche kubrick sta a joyce come joyce sta a godard. Atz, ho fatto casino :-D
Il mio post era più sul tipo “anvedi il piccolo mondo antico (dove persone che non avresti detto sono o sono state tangenziali)” che un sparata sulle collusioni paraculturali. Crespi per me fino a ieri era la firma di una rubrica di cine horror (“Il cassonetto”), ora so che ha fatto la gavetta, s’è imbolsito, e era al Parini tot anni fa con Montanari. Un personaggio a tutto tondo, insomma. Bene. Solo una cosa.
Cazzo nooooo il Parini, no, e nnno!
E’ il massimo della dialettica per oggi.
Alla prossima.
Allora, qualche cambiamento di opinione dopo la re-visione di iersera?
Direi che il giudizio è perfino peggiorato. C’è anche da osservare che era difficile aspettarsi che il piccolo schermo (a casa mia è proprio piccolo, fra l’altro) aiutasse a rivedere con piacere il film.
Per non parlare dell’insopportabile introduzione, in cui si usava e abusava il meccanismo retorico noto come preterizione: fingo di non dire una cosa e intanto la dico.
L’imbecillissima voce fuori campo che introduceva al film continuava a fingere di non voler dire che si trattava di un’opera scandalosa (ah sì?), salvo poi cedere, sospirando: “Ma non si deve avere l’ipocrisia di non guardare. E questa coppia non assomiglia forse a molte coppie che vediamo intorno a noi”. Si vede ch a “noi” queste cose non capitano, non si sa se per disgrazia o per fortuna.
Grande scoppio di risate, qui in casa mia, quando la stessa voce ha affermato: “Alcuni critici hanno detto che Kubrick ci era spinto troppo in là”.
Insomma, a parte questo infortunio pubblicitario con cui Kubrick non c’entra un accidente, pollice verso. Confermo tutto in pieno, e la scena del ballo mi è sembrata ancora più immotivata, cretina e sbagliata che alla prima visione, per non parlare del giudizio a cui il povero Cruise viene sottoposto dai mascheroni.
Il resto è silenzio, per me. Ho già detto e già dato, chiudo qui. Ciao.