Le scimmie… (97)
di Dario Voltolini
grandi portoni aperti sull’esterno
entra la luce entra il calore
appare vicina lo sguardo nero
del pungiglione
la sua ipnosi il suo miele nero
il suo siero
ondula ondeggia a destra a sinistra
scomparsa riapparsa lontano
spazio meraviglioso di luce di calore e di legno
la volta alta incurvata senza ombre solo luce
aria calda dall’esterno nero
ondeggia sui fianchi lontana si avvicina
dardeggia il suo nero
il suo veleno
mugola il mantra la sua litania gentile
il suo pungiglione
le onde di serpe che sta per scattare
non scatta
mollemente onduleggia
lontana scompare
appare lontana
ritorna ancheggiando nel caldo del legno
dell’aria nera
a destra a sinistra di miele di canna
da zucchero
di satura morbida serica pasta
di mandorla nera di serpe letale
le scale i portoni le pietre calde le lastre nere
un refolo azzurro verdeggia dorato
salendo dal suolo piastrellato
appare freschissimo scompare nel caldo
nel nero del sole che spinge da fuori
pietrisco e cemento e rampe scoscese
la donna riappare imprevista alle spalle
porge la mano guarda di lato
abbassa lo sguardo
come di arcana sottomissione
lo rialza di scatto superba e violenta
segue il perimetro di una figura che ruota nell’aria
che lei sola vede
trafigge nel ganglio il nervo maggiore
con il suo mantra con il suo spillone
ancheggia si volta cammina lontana
riecheggia nell’atrio il suo lento sermone
riappare vicina sorride all’aperto
è gelido è caldo il suo nero sembiante
il suo miele il suo gelso il suo portamento
scompare
si aprono ai lati quegli antri marciti
materia a grovigli
frammenti accantonati
umidi salsi sporcati
accatastati nel nero di pietra e di ossido vecchio
la strada sale al vulcano che appare e scompare nella foschia
nell’onda di calore che sale dalla pietra
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In un’eventuale anlyse du text, molto ci sarebbe da meditare sull’uso e l’abuso delle linee curve nella tua poetica (e/o) poietica (ondula/ondeggia/& derivati). Ma tutto questo Genna non lo sa, come canta De Gregori.