Occidente per principianti è un capolavoro
Lo pensa Tiziano Scarpa, e ne parla con Nicola Lagioia
C’è stato chi, mesi fa, profetizzava che il 2004 sarebbe stato l’annus mirabilis della narrativa italiana. Non so quali elementi avesse per affermarlo, ma credo che Occidente per principianti di Nicola Lagioia basterebbe da solo a confermare quella previsione. È un romanzo bellissimo e importante che ho letto con grande gusto e ammirazione. Ma basta ciance, non mi piacciono i preamboli.
TIZIANO SCARPA: Nel tuo romanzo non succede molto, ma succede tantissimo. Ogni pagina divaga ed è al tempo stesso pertinente. Sei pronto in qualsiasi momento a esorbitare in descrizioni e commenti inauditi restando sempre sul pezzo, non smettendo mai di raccontare. Si incontra di tutto, e contemporaneamente Tutto. Allora, riassunto impossibile. Come sintetizzeresti tu la tua trama? Ne hai voglia?
NICOLA LAGIOIA: Ci provo: è la storia di un giornalista fantasma (scrive per un grosso quotidiano nazionale ma i suoi articoli sono firmati da altri) che nell’estate del 2001 – insieme a un regista squattrinato e paranoico e a una bella studentessa universitaria – intraprende per conto del suo caposervizio senza scrupoli un viaggio su e giù per l’Italia sulle tracce di un altro fantasma: la sedicente prima amante di Rodolfo Valentino.
TIZIANO SCARPA: Il protagonista chiama la sua amica-amante Zelda, come la moglie di Scott Fitzgerald… I personaggi si mettono in viaggio per ritrovare il primo amorucolo, ancora in vita, di Rodolfo Valentino… Dunque siamo soltanto riverberi ectoplasmatici di una cultura-spettacolo più grande di noi? Siamo condannati a stare con gli occhi fissi sui vip di ieri e di oggi, e a raccontarli? La vita è un’ininterrotta mitopoiesi dei miti che non ci riguardano e che ci riguardano troppo, essendo noi dei semplici mitòpati?
NICOLA LAGIOIA: Certo, nella misura in cui è un mitòpate l’eroe del primo grande capolavoro della storia del romanzo: Don Chisciotte. Il personaggio di Cervantes inizialmente è solo Alonso Chisciano, un uomo il cui immaginario è devastato, o forse meglio posseduto, dalla retorica dei romanzi cavallereschi. Ribattezzandosi e partendo per le sue avventure non si limita a diventare un sottoprodotto delle pagine di Feliciano de Silva ma si trasforma nell’emblema della sua epoca – o della decadenza di un’intera epoca il che, in termini letterari, aumenta ancor più la sua levatura. Eppure, chi si sognerebbe di definire Don Chischiotte una semplice cover?
Adesso, sgombriamo per un attimo il campo dalla crisi del sentimento rinascimentale del XVII secolo e prendiamo in considerazione il collasso dell’umanesimo tra XX e XXI secolo; abbandoniamo la retorica dei romanzi cavallereschi e tuffiamoci in quella dell’informazione totalitaria: può succedere allora che il personaggio di un romanzo sia contaminato dalle irradiazioni di una star dello show-biz (a partire dalla ridefinizione del proprio nome, il caso di Zelda). Abbiamo insomma a che fare con l’impatto pervasivo della Società dello Spettacolo sulle nostre vite così come nel XVIII secolo l’uomo veniva minacciato dai primi vagiti della rivoluzione industriale. Se Dickens sente il bisogno di scrivere Tempi difficili perché uno scrittore oggi non dovrebbe sentire l’imperativo (etico ed estetico) di guardare in faccia la Medusa?
Il problema, più che degli scrittori, mi sembra che in Italia appartenga più che altro alla senesceza di certa critica, convinta ancora che la partita si giochi tra la linea Moravia-Pasolini e quella del gruppo 63 – e sempre pronta a ridurre di conseguenza la trattazione di questi temi a semplice divertissement o a una pericolosa connivenza con la macchina dello spettacolo. Qualche decennio fa Arbasino consigliava provocatoriamente una “gita a Chiasso” per far uscire la nostra critica dalla condizione di minorità e provincialismo in cui si era venuta a trovare durante il Ventennio. Io, più modestamente, propongo ai moribondi di cui sopra di sgusciare via per un attimo dai polmoni d’acciaio delle cattedre universitarie e delle terze pagine dei nostri giornali per vedere che cosa è diventato il mondo nel frattempo.
TIZIANO SCARPA: Nel tuo romanzo, Roma è il troiaio del pettegolezzo, e quindi il laboratorio d’avanguardia del giornalismo-spettacolo; Milano è la puttana del marketing che eroga tecnoconsulenze estetico-giuridiche alla dineyzzazione Usa; Napoli è la realizzazione dell’opera d’arte pop nell’epoca della sua masterizzabilità di contrabbando; i paesini del sud sono sull’orlo di una metamorfosi in villaggi vacanze popolati da orchi con le pupille a forma di euri… Come desideri che venga letto il tuo romanzo? Come un emblema dell’Italia, anzi, delle Italie di oggi?
NICOLA LAGIOIA: Mi sembra un viaggio in un’Italia mutante vista con lo sguardo di un mutato. La rivoluzione antropologica stigmatizzata da Pasolini non scorre più davanti ai nostri occhi ma nel nostro sistema circolatorio e neuronale. Se questo è vero, non credo abbia più molto senso – se non ai fini di una malinconia del tutto artificiosa – un atteggiamento manicheo di muro contro muro. Con tutto il rispetto per Pasolini e Ceronetti, credo che l’unico sistema per raccontare lo sfascio (e perché no, anche il fascino) di questa epoca e di questo paese sia quello di un’immersione totale. Mettersi in gioco fino all’ultmo, insomma, parlare con voci compromesse. Perché oggi hanno ancora molto da dire romanzi come Pasto Nudo o Viaggio al termine della notte? E perché il momento più alto di Blade Runner rimane il monologo del replicante? Ma attenzione: parlare con una voce compromessa non vuol dire non esercitare un pensiero critico squisitamente letterario. Anzi, è forse l’unico modo. C’è una differenza, insomma, tra i servizietti di Striscia la notizia e i Sotterranei del Vaticano, il primo romanzo a mia memoria che ruoti sul perno di una bufala “mediatica” (Leone XIII prigioniero a Castel Sant’Angelo).
TIZIANO SCARPA: Il romanzo è ambientato nel 2001. Nonostante gli eventi, anzi, nonostante il massiccio ritorno del rimosso in forma di ritorno degli eventi (G8 a Genova; 11 settembre; guerra in Afghanistan e Iraq…), dicevo, nonostante il ritorno degli eventi che erano stati rimossi e schermati dalla nuvolaglia della telefinzione, dal 2001 a oggi la finzione ha aumentato il volume di fuoco: reality show a iosa, campionati di calcio quotidianizzati, novella2000ficazione di ogni discorso giornalistico e audiencelogia come fondamento di qualsiasi valutazione politica ed estetica… Andrà sempre peggio?
NICOLA LAGIOIA: Temo di sì. Il treno è in corsa e non si può fermare contando sui dei mezzi con i quali non è stato equipaggiato (un sistema di frenaggio adeguato). Servirà un evento esterno (una catastrofe ambientale, un’epidemia, un’invasione, un nuovo e più efficace “venerdì nero”, una rivoluzione tecnologica di portata inimmaginabile). L’11 settembre, lungi dal suscitare una sincera presa di coscienza è stata un’apocalisse, nel suo significato etimologico però – apokálypsis: rivelazione, svelamento di senso. Ha messo a nudo, vale a dire, tutte le inossidabili miserie del nostro sistema mediatico e, quindi, anche del sentire comune. Carmelo Bene, in una delle sue interviste-monologo disse una cosa che è tanto spaventosa quanto più la si allontana (e se ne sta fatalmente allontando) dal semplice paradosso: “forse ci vorrebbe una catastrofe, un’epidemia: solo così, probabilmente, potremo tornare a ridere”.
TIZIANO SCARPA: Il protagonista è l’epoca al lavoro. Ne è il funzionario ombra, il segretario invisibile. Scrive senza firmarsi una quantità di articoli su qualsiasi argomento: scrive al posto dei collaboratori fissi dei quotidiani, al posto delle grandi firme… Collabora alla trasformazione del giornalismo in puro effetto speciale (la Storia come scoop, la cronaca come intrattenimento). Nei hai conosciuti, di persona? L’hai mai fatto, tu? Quand’è che ti sei detto (se ti è successo): sto collaborando alla trasformazione della vita in fantasma, sto lavorando per la mutazione del mondo in spettropolio?
NICOLA LAGIOIA: I primi soldi guadagnati mi sono giunti da una super raccomandata di Radio Rai incapace di scrivere i testi per i quali veniva pagata. Non incapace di uno stile efficace, attenzione: incapace di mettere su due frasi in croce! Mi mollava delle audiocassette con sopra registrati convegni di medicina o interviste a personaggi più o meno rilevanti e mi chiedeva di trasformare la sbobinatura (che facevo sempre io) in qualche cosa di leggibile. Le mandavo i testi settimanalmente via mail. E lei: “bel lavoro, ci faccio qualche correzione e lo spedisco in radio”. E la mia curiosità: “che tipo di correzione, scusa?”. E la fierezza delle sue posizioni: “oh, niente di importante, qualche errore grammaticale. Hai scritto per esempio tutti i “qual è” senza apostrofo”. Retribuzione per ogni corvè: cinquantamila lire. A questa aggiungi qualche altra marchetta per onorare le bollette di luce e telefono. Tipo: la scrittura di due o tre puntate di Vivere, la soap opera di Canale 5. Una fatica! Sintonizzarsi alla frequenza di demenza linguistica voluta dalla Endemol non era mai facile.
Al di là del lato pittoresco di questi episodi, ho cercato di fare in modo che il protagonista di Occidente per principianti incarnasse contraddizioni e miserie del precariato intellettuale, un fenomeno che schiaccia tanti miei coetanei e lascia incredule tante anime belle della nostra intellighenzia (letteralmente incredule: non credono che il fenomeno esista). Il fatto che il patrimonio intellettuale di un’intera generazione rischi di venire bruciato, dissolto, stremato e disarmato da un antinferno fatto di co.co.co, stage infiniti, collaborazioni mai retribuite e via di seguito mi fa uscire pazzo. Sono incazzato nero. Parte della mia ansia di riscatto viene da questo.
TIZIANO SCARPA: Benché calibratissimo, e prensile, e mondovoro, e sottile, e colto, e sussidiaristico, il tuo stile è spontaneo. Sì, non sobbalzare. Te lo ripeto: spontaneo. Il meandro della sintassi, le protasi tirate per una pagina prima di collassare nella valvola sfogatoria dell’apodosi, l’ipotassi continua, secondo me mostrano il pensiero nell’istante suo farsi (il pensiero linguistico, ovviamente), del suo farsi scrittura, naturalmente. È come se tu fossi rimasto fedele alla prima stesura, riscrivendo questo libro (giacché sono certo che tu l’hai riscritto assai: non sfugge affatto l’enorme lavoro che ci dev’essere stato di messa a punto lessicale): e la prima stesura, come sa chiunque ne abbia stesa una, non viene fuori affatto semplice: nelle prime stesure il racconto si dipana garbuglioso, le frasi nascono aggrovigliate nei loro cordoni ombelicali ipotattici. Semmai, si semplifica dopo (chi ci tiene a farlo), nelle stesure successive, fracassando le articolazioni subordinative e mettendo le frasi in fila per due, spalmando il discorso in una catena di paratattiche cordiali e gioviali e ma oh, quanto comunicative… Tu hai lasciato la frase immersa nel suo coltissimo primo vagito complicato, le hai deterso le corde vocali giusto quel tanto che basta a far risuonare più forte la sua sorgività selvaggiamente complessa. Così mi è parso. Bene, a questo aggiungiamo che nel tuo romanzo c’è Tutto, tutta la storia, tutta la cultura, tutto il dopoguerra italiano, da Ferruccio Parri a Obi-Wan Kenobi. Allora: che lettore ti aspetti? Un’anima gemella? Un devastato mentale come te? Giacché lo sai bene che, con questi chiari di luna e le falene e i faletti che girano, questo qui di adesso non è esattamente il quarto d’ora giusto per scritture così. Sei un eroe? Sei un fesso?
NICOLA LAGIOIA: Tiziano, sottoscrivo. Sono felice che questa cosa si noti, o che almeno qualcuno se ne accorga. Mi riferisco alla lingua “selvaggiamente complessa”. Quando stendevo la prima stesura, le dita cercavano di correre dietro all’architettura del romanzo così come si delineava nella testa frase dopo frase e giorno dopo giorno, mentre le gambe, come per un riflesso pavloviano, erano continuamente tentate di sferrare dei gran calcioni alla parete che sta di fronte alla scrivania dove lavoro. Poi, in fase di riscrittura appunto, ho cercato di far emergere ancora meglio questo spirito eliminando le espressioni “di maniera” e le cadute che pure fanno parte della mia spontaneità.
Che lettore mi aspetto? Un appassionato di letteratura, capace magari di non condividere la mia poetica e il mio romanzo ma rimanendo sempre sul territorio comune dell’esperienza letteraria. Sarò un po’ snob, ma non considero letteratura i romanzi di Faletti, e quelli di Dan Brown, e quelli per esempio di Ken Follet. Si tratta di comunicazione (o intrattenimento) a mezzo testo scritto, in certi casi anche orchestrata molto bene, e rispettabile per questo. Se Il codice Da Vinci è però letteratura, io sono un cretino e Antonio D’Orrico un critico letterario. Attenzione, non potete cavarvela con il semplice fatto che io sia un cretino: dovete prendervi pure D’Orrico.
TIZIANO SCARPA: Senti, benché il libro sia uscito da parecchie settimane, com’è che manco uno straccio di critico militante ci ha ancora avvertito sui giornali che hai scritto un romanzo strepitoso? Perché sono così pelandroni, e tendenzialmente sdolcinatelli, e con le ragnatele al culo? Non basta più nemmeno pubblicare da Einaudi, ormai? I libri che contano debbono per forza passare inosservati? Di che umore sei, attualmente? Indignato, sconfortato, grandispittoso, fiero?
NICOLA LAGIOIA: Nel frattempo qualcosina è uscita, ma questo non toglie che la critica letteraria italiana, salvo casi isolati, versi in una situazione comatosa. Mi sentirei fiero se sapessi che Occidente per principianti ha talmente indispettito qualche critico da portarlo a un altrettanto fiero disprezzo nei confronti del sottoscritto. Ma come si fa a indispettire un cadavere? Scusa Tiziano, ma te la immagini un’intervista come questa su un quotidiano o un magazine nazionale? Impossibile. Ai direttori dei giornali non interessa quasi niente delle terze pagine e chi ci lavora passa il tempo di solito a rigovernare il proprio sepolcro.
TIZIANO SCARPA: Vogliamo parlare di casi concreti, fare nomi e cognomi?
NICOLA LAGIOIA: D’accordo. Parlo della mia esperienza recente. Su “magazine” del Corriere della Sera, qualche settimana fa, Antonio D’Orrico recensisce Occidente per principianti nella rubrica Venticinque parole in questo modo: “Luisa Ferida a Ferruccio Parri che offrirebbe scarcerazione in cambio di scopata: “Io amo l’Osvaldo. Tu sei partizano mentre noi siam fassisti”. L’autore è barese”. Lascio ai lettori il giudizio e poi mi chiedo: dovrei essere grato a D’Orrico per questa segnalazione? Già il fatto di essere grato a qualcuno (e magari scodinzolare) solo perché fa il suo lavoro, mi sembra folle. Il fatto poi di pensare che questa sia critica letteraria e non la prosecuzione su altre pagine dell’oroscopo di Branko è ancora più pazzesco. La colpa non è di D’Orrico (ai morti si perdona tutto) ma di chi gli ha dato la patente.
Secondo episodio. Sempre qualche settimana fa vengo invitato dal liceo Visconti di Roma a parlare di letteratura italiana contemporanea. Insieme a me, Filippo La Porta, Matteo Marchesini e Giulio Ferroni. Dopo che La Porta ha accusato gli scrittori italiani di essere “meno intelligenti” degli altri (cosa che non condivido nel modo più assoluto, ma perlomeno La Porta argomentava la sua tesi dimostrando di conoscere la materia oggetto di esame), Giulio Ferroni è riuscito a sopravvivere (tra qualche risata di scherno, bisogna dirlo) a un impossibile esercizio di ginnastica verbale centrato sui seguenti postulati: 1) da anni ormai non seguo più le ultime uscite. Leggo pochissimi scrittori italiani contemporanei, 2) la letteratura italiana non graffia più come una volta.
Questi due episodi (insieme a tanti altri che si potrebbero citare) mi portano ad avere stima per la maggior parte dei miei colleghi (anche quando i loro romanzi non mi piacciono, riconosco il lavoro che c’è dietro) e biasimo verso il parassitismo di moltissima critica.
Eppure la critica è importante. Un confronto tra vivi è una cosa che farebbe bene a tutti. E però, perché se vado su Nazione Indiana, Miserabili, Carmilla, anche quando non condivido un giudizio riesco a capire che cosa succede nel mondo letterario italiano mentre se apro la terza pagina di un quotidiano ci trovo (quando va bene) delle pagine sull’alpinismo o sul divorzio?
Cosa dovremmo fare a questo punto? Protestare vivamente a ogni occasione? Trasformarci in dei provocatori? Tirare dritto per la nostra strada? Aspettare che, nel gioco eterno del ricambio generazionale, la biologia faccia il suo corso?
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ma dimme te…
E’ vero! L’ho letto anch’io! E’ bellissimo!
Okay, darò un’occhiata. Ma non nascondo che l’anticipazione “un’immersione totale per raccontare lo sfascio (e perché no, anche il fascino) di questa epoca e di questo paese” non mi incoraggia. Ai tempi del liceo, su qualunque autore venissi interrogato, prendevo tempo aggrappandomi alla frase “riflette le contraddizioni di un’epoca di transizione” che andava bene per tutti e per tutte le epoche. Un po’ come per Sfascio & Fascino, che vanno benissimo anche per Kamikaze d’Occidente:-)
Il libro di Lagioia è stupendo.
a’ posmoderniiiiiiiiiiiiiiiiiiiiii!
giggetto: invidiuuuuuuuso!
Bravi Scarpa e Lagioia e Nazione Indiana e tutti gli intellettuali e artisti di buona volontà e grande talento! E’ ora che le nostre generazioni la smettano di aspettare il plauso e la legittimazione dei semimorti più o meno anziani, più o meno corrotti, più o meno decomposti. Pensiamoci noi a segnalare ciò che si fa di buono. Smettiamo di attaccarci a vicenda, lavoriamo su quel che c’è di positivo, che è tantissimo ma spesso resta nascosto o poco diffuso.
il libro si lascia leggere, ma Lagioia come intervistato da Scarpa non è il massimo della simpatia.
Se Tiziano Scarpa è un intervistatore, “Occidente per principianti” è un capolavoro. E attenzione: non dovete prendervi soltanto “Opp”, ma anche Scarpa.
D’accordo con Faldella. Ma da quando in qua a uno scrittore si richiede di essere simpatico? Simona Ventura, per esistere, deve essere simpatica. Uno scrittore, all’occorrenza, deve anche risultare sgradevole o rompere le scatole senza essere puerile. E non mi sembra il caso dei due “antipaticoni” di cui sopra.
Domani si conferma che il 2004 è annus mirabilis. Mirabilior, inizio a sospettare, il 2005…
Domani esce “New Thing”, già.
Simona Ventura è bruttina, rifattina e ha il buon gusto di non scrivere libri né altro di più duraturo del bronzo.
Gli scrittori simpatici sono, in genere, i migliori: teste, per tutti, Antonio Franchini.
Faldella, non c’è scritto da nessuna parte che questa è un’intervista. E’ un dialogo.
Ma guarda un po’! Lagioia e Scarpa hanno fatto pace! Che carini…….
non è un’intervista, sì invece un dialogo. Il responsabile delle risorse umane ne prende atto e annota a margine: Simona Ventura ha il buon gusto di non pubblicare on line dialoghi con suo marito o con Paola Ferrari, per dire una che dev’essere sua amica.
Naturalmente, “Opp” è un capolavoro e Tiziano Scarpa sfugge a ogni possibile definizione.
Davvero il candore risentito di Faldella ha qualche cosa di disarmante.
Secondo me gli scrittori più simpatici sono semplicemente, e senza dubbio, i più simpatici.
Pasolini era un lapidatore e rompiscatole professionista e credo di non aver mai incrociato lo sguardo con una persona meno arcigna di Alberto Moravia. L’ombrosità di Gadda è risaputa. Fenoglio era adorabile ad Alba e di una scontrosità inusitata quando usciva dalle Langhe fosse pure per andare a Torino. Hemingway: uno sbruffone. Joyce: umanamente, una merda. Aldo Busi: una checca isterica anche quando scriveva romanzi strepitosi. Campana minacciava col coltello Prezzolini e Verlaine sparava rivoltellate a Rimbaud. Arbasino non la manda mai a dire. Victor Hugo: un gigante di vanità. Franzen: un antipatico bipolare. Céline: un demonio con licenze di autolesionismo. Bene: non ne parliamo. Houellebecq: non ci andrei mai a pranzo, nemmeno se offrisse lui. E poi ci sono quelli più simpatici.
Ma se uno prende la simpatia come sistema di valore letterario, allora significa che di letteratura non capisce proprio niente (coraggio, Faldella, abbiamo tutti da imparare). Naturalmente (a proposito della legittimità degli scambi di idee diverse dall’intervista) non hai mai letto i dialogi tra Truffaut e Hitchcock né quelli tra Moravia e Pasolini ecc. ecc. ecc.
Signori’, quanti anni hai? Per aver conosciuto Joyce e Hemingway, starai sui 135, più o meno.
Non ho letto niente, non capisco niente di letteratura – e infatti leggo Nazione Indiana e Signorini, sfortunato libero del Genoa anni Settanta e Ottanta – ma fuori c’è il sole e sento che intorno son fiorite le viole. O Zenone, crudele Zenone!
Che cos’è più un ‘sistema di valore letterario’? Stasera dò un colpo di telefono a Cesare Segre e domando.
Vi rivelo un segreto, così magari non si perde tempo sul tema Lagioia è/non è simpatico. Mi è capitato di conoscerlo: è simpatico.
Ma perché, avevano litigato? Com’è che io non so mai un cazzo?
Bella intervista! E indipendentemente dal fatto che Lagioia sia simpatico o meno (non me ne frega assolutamente nulla) io stasera compro il suo libro.
E poi segnalo questo articolo anche sul mio blog, per quel poco che può servire, perfettamente consapevole del fatto che nell’ottica di un romanzo simile, e dopo aver letto quanto detto da Lagioia, avere un blog mi fa sentire un po’ un forzato della tecnologia, un sottoprodotto della dittatura della Società dello Spettacolo.
Oh, beh, pazienza: aspettiamo la catastrofe…
a me pare che qui o da genna si segnali solo postmodernisti, balestrinisti, wuminghinisti, pynchonisti, delillisti, e mai, MAI esistenzialisti. ma scarpa ha per caso letto, le cose come stanno di franz krauspenhaar? mi ci gioco una palla (due no, come diceva moretti in caro diario) che no, non l’ha letto.
esistenzialista (fino all’eccesso) è Patrick Shol, uno dei personaggi del libro di Lagioia. Lo sto leggendo: momenti veramente belli ma certe volte qualche pagina di troppo.
Che Lagioia avesse stile, già il piccolo antiromanzo ‘Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj’ l’aveva messo in chiaro. Una prosa liscia ma profonda, come nota anche Scarpa, parente stretta della poesia, il che non stupisce affatto considerate le frequentazioni e incursioni del Nicola con e nel mondo poetico. E poi considera. Ad esempio, che uno come Lagioia che si cimenta in un’opera-mondo, in un romanzo totale, dopo il lavacro dadaista dei ‘Tre sistemi’, non può che farlo con tutti i santi crismi. O mi convince di lui anche certo acume critico, come quando dalle pagine dei commenti, qualche mese fa, sottolineava come alcune degenerazioni da industria culturale, prima esterne al web, stessero iniziando a propagarsi nella rete. Senza contare la sua perifericità: geografica, essendo Lagioia originario di Puglia, e culturale, nascendo come gosth writer. Trovo che la perifericità, in cultura, sia spesso una garanzia. Gran parte della grande letteratura mondiale è opera di outsiders. E non è un caso che tra le caratteristiche delle opere-mondo, i libri polisemantici capaci di racchiudere il senso di intere epoche e luoghi, Franco Moretti annoveri anche la perifericità dell’autore. Molti romanzi totali, capaci di racchiudere in sé un mondo, nascono dalla fame di conoscenza e dall’ambizione di chi è nato e cresciuto “fuori storia”.
Quanto al libro, è qui sulla mia scrivania, già da una settimana. Ancora non l’ho letto, e penso che non lo leggerò per i prossimi mesi. Mi capita sempre così, con i libri e gli autori da cui mi aspetto molto. Lascio che il libro covi un poco, anzi molto, che le aspettative aumentino, che l’aria intorno si raffreddi, che la fantasia ci ricami un po’ su.
Sulla questione dell’antipatia, poi. Non vedo come da questa intervista debba trasparire un Lagioia antipatico. Mi sembra, invece, che venga fuori un giovane scrittore sicuro di sé, dei proprio mezzi e del proprio valore, e oltretutto uno scrittore acuto e civilmente sdegnato quanto basta. A parte che, come suggerisce qualcuno, qualità caratteriali e qualità letterarie non vanno di pari passo, né tantomeno coincidono. Ma c’è da aggiungere, poi, la contraddizione e il sottile paradosso di un pubblico che pretende opere grandi e ambiziose ma insieme autori piccoli, umili, modesti. Dite la verità. Vi urta l’arroganza di Moresco che “si è messo in testa di scrivere il capolavoro”. E quella di Salvatore Toma, che nelle lettere puntualmente cestinate da Cucchi e Raboni si firmava “A great poet”. Per non dire di quello spocchioso di Dante, che nella canonica invocazione alle Muse si mette in testa di invocare anche il suo “alto ingegno”, e come se non bastasse ha la sfrontatezza di collocarsi nella “bella scola” accanto a Omero, Virgilio, Orazio, Ovidio, Lucano!
Ma certo che se pretendete dagli scrittori italiani continui shampoo di cenere e automortificazioni del tipo “Sono uno scrittore come tanti”, “Non ho scritto un capolavoro, però mi difendo bene”, “La critica ha ragione” oppure “Le mie cose mi sembrano interessanti, possono piacere o no, nulla di ché” ecc., be’, allora non vedo come da un tale orizzonte di pretesa mediocrità si possa pensare di avvistare il “capolavoro”. Io, al contrario, spero nell’ambizione e nella sana arroganza della letteratura. E spero di incontrare più spesso il Nicola anche sulle pagine di questo sito letterario.
Cioè, perché BODY ARTIST di DeLillo sarebbe postmodernista o postmoderno? L’Odissea non è esistenzialista? A studiare…
Biondillo, te la dico io: litigare con Scarpa è il modo più sicuro per farselo amico.
Scarpa ci ha il complesso, più lo prendi a calci più lui ti batte le mani perché vuole dimostrare che lui non ne fa una questione personale, che sta sopra le parti, anzi dalla parte della letteratura e basta.
Non l’hai mai notato?
Tu litigaci un poco, e vedrai che Scarpa parlerà bene anche del tuo libro, se ci tieni, e ti farà l’intervista, benché sia chiaro che non gliene può fregare di meno perché tiene notoriamente in uggia i noir – vedi battutina su faletti e falene – tranne naturalmente quelli scritti dagli amici suoi tipo Ammaniti e Montanari, appunto, che probabilmente lo hanno sempre trattato a sberlone.
Tu litigaci, il risultato è sicuro.
O Dio, certo che l’intervista con Scarpa, come prospettiva…
Ah, a proposito, sì, Scarpa e Lagioia si erano litigati pesante, qualche mese fa, non mi ricordo in che colonna di commenti, con i ruoli obbligati in questi casi: Scarpa maestrino, Lagioia scalpitante.
Ecco, ho sbagliato tutto, come al solito!
Siamo alle solite: si inizia una discussione interessante. Si tirano in ballo temi importanti (dite tutto sull’intervista, ma non potete dire che non ci siano dentro cose interessanti, se non altro sono stimoli per poi confrontarsi, discutere, mettere faccia a faccia diverse idee di letteratura) ed ecco che una montagna di frustrazione (Osservatore), invece di dare un contributo serio e intelligente (giacché sono sicuro che anche “Osservatore”, fiele a parte, sia intelligente) la butta giù in vacca. Osservatore, dimostraci che sei fatto di intelligenza e di passione oltre che di fiele e frustrazione: non penso che qui si parli di fesserie, dai un contributo almeno sullo stesso livello della (bella, lo ripeto) discussione.
Infatti. L’intervista si spingeva verso l’esterno. Perché bisogna far tornare tutto nel terreno dell’autoreferenzialità?
Oltre le antipatie e le invidie personali ci sono anche le idee? Mettiamocele. E’ sulle idee diverse o contrastanti che magari poi si deve sviluppare una discussione o uno scontro leale. Non è l’insulto che deve generare una discussione, ma se mai il contrario (possibilmente senza arrivare agli insulti). Altrimenti siamo acefali.
Comunque “Tre sistemi per sbarazzarsi di Tolstoj” era un buon lavoro ma “Occidente per principianti” è su un altro pianeta. E’postmoderno? sì ma a volte no. Per Scarpa sicuramente non lo è. Boh, Lagioia è indefinibile, mi viene da paragonarlo alla musica di Daniel Lanois (mitico produttore di due meravigliosi album-rinascita di Dylan) a volte è fredda, a volte assolutamente geniale.
Alcuni commenti qui cercano di dirottare il discorso su argomenti effimeri: “Scarpa e Lagioia sono antipatici!” “Avevano bisticciato in passato!”. Be’, ragazzi, mi sembra che l’apporto che queste persone danno alla discussione è talmente misero che non vale proprio la pena di perderci tempo. Ma c’è qualcosa di bello in tutto questo: secondo me è un ottimo segno che qualcuno si irriti così tanto, e si senta chiamato a reagire, a smentire, a denigrare, a delegittimare, ma – come chi è chiuso in un angolo – non sappia tirar fuori che sciocchezze di nessuna rilevanza, gesticolazioni, vaneggiamenti, pernacchie, patetiche fumisterie. Il fatto è che qualcosa è cambiato, l’eccellenza delle opere (in tutti i campi artistici, non solo nella letteratura) è tale che non può più essere mortificata, e una generazione di autori non ha più bisogno della carità pelosa di tutta una serie di pseudocritici mediatici & Co.
Bella l’intervista. Comprate tutte le copie di OPP alla libreria Eritrea, in viale Eritrea, in quanto il libro è talmente bello che merita di essere militantemente diffuso. Curiosità su Lagioia: una volta ha parcheggiato la macchina in divieto di sosta, il carro attrezzi gliel’ha portata via, e lui gliel’ha lasciata. Un mito. Ciao. F. G.
Sono d’accordo con Scarpa quando dice: “nel romanzo non succede molto, ma succede tantissimo. Ogni pagina divaga ed è al tempo stesso pertinente. Sei pronto in qualsiasi momento a esorbitare in descrizioni e commenti inauditi restando sempre sul pezzo, non smettendo mai di raccontare. Si incontra di tutto, e contemporaneamente Tutto.”
E anch’io ho avuto la stessa reazione di Lagioia leggendo la recendsione di D’Orrico.
?!?!?! … boh
mi sono comprata opp dopo l’intervista lagioia/scarpa ed è straordinario e divertentissimo, cosa rara per un libro scritto così bene, non mi domando tanto se lagioia sia simpatico o meno, quanto se sia fidanzato o meno.
Continuo a leggere (e talvolta commentare) da profana. Così anche ora.
La mia opinione (per tornare al thread) è che non esistono critici decenti negli/sugli organi d’informazione di una certa grandezza/larghezza/profondità. Sono in totale accordo con TS e NL quando parlano di cadaveri ambulanti. Apro pagine di quotidiani e leggo fuffa, fuffa, fuffa. Sono una lettrice e RECLAMO il diritto di leggere una recensione ALTRETTANTO VALIDA dei libri che escono (e non solo la fuffissima di quelli che a loro fa comodo pubblicizzare)!
Mi deprimo, mi sento una mosca bianca a cercare come una rognetta sul web o in edicola qualcuno che mi dica cosa vale la pena leggere. Ci metto di più a fare una cernita fra i critici che fra gli autori.
parzialmente ot e ideologicamente confuso:
ma, mi chiedo, tra i concetti da buttare a mare nell’opera meritoria di svecchiamento invocata, non ci sarà anche il catastrofismo e “disgusto” estetico e di maniera verso la “volgarità” della società di massa? E soprattutto i concetti di alienazione e reificazione, che mi paiono campeggiare ancora in bella mostra? Forse non si è notato, ma si tratta di concetti ormai totalmente acquisiti alla nuova destra letteraria, a far da premessa vuoi al cinismo dell’insensatezza, vuoi alla nostalgia dell’autentico, in generale a posizioni nemmeno nascostamente aristocratiche (nella solita dialettica della destra tra sogno preborghese e realtà micro-borghese)
Una “critica” (uh?) alla cosiddetta società dello spettacolo, o postmoderna, o della modernità matura, o del capitalismo avanzato, come vi piace, che si voglia liberatoria e non punitiva forse deve cercare altre basi.
“opera meritoria di svecchiamento”
Buh, non so, a me pare che più che svecchiamento ci vorrebbe un totale ribaltamento…
“catastrofismo e disgusto estetico e di maniera verso la volgarità della società di massa”
Buh, a dire il vero più che la volgarità della società di massa io penso che sia stata presa di mira la grettezza-pigrizia dei critici…
“nuova destra letteraria”
Io ignorante: qual è?
“Una critica alla cosiddetta società dello spettacolo che si voglia liberatoria e non punitiva forse deve cercare altre basi”.
Sono dell’idea che sia indispensabile cercare nuovi critici, più che nuove critiche ai critici.
D’accordo con Emmina.
Prendete Andrea Cortellessa, per esempio: è uno serio. Legge i libri che recensisce e – nonostante a volte sia un po’ troppo complicato per i miei gusti – si vede che sui libri di cui parla ci ha ragionato.
Prendete i conduttori di Fahrehneit su Radio Tre: sono sempre competenti e fanno domande pertinenti agli scrittori che intervistano.
Ora: uno come Cortellessa sta per pubblicare un libro di 600 pp. sulla poesia italiana.
Uno come Trevi (può piacere o non piacere) scrive le sue recensioni avendo alle spalle due libri di critica.
Critici che siedono su poltrone più importanti delle loro, al contrario, pur essendo più anziani, non hanno alle spalle un bel niente che non siano le recensionine svogliate che scrivono per dare un senso al proprio stipendio.
E’ questo il problema. Tu, critico del “Corriere della sera”, ad es., invece di avere l’ambizione di scrivere un’opera importante (come Harold Bloom negli Stati Uniti, ad es., e ripeto: può piacere o non piacere) e sulla base della tua opera intervenire nella realtà contemporanea, che fai? Scaldi la poltrona e licenzi due paginette a settimana tanto per riempire spazio.
Insomma:
1) gli scrittori ci mettono del loro (le opere: possono piacere o non piacere ma sono una dimostrazione del loro lavoro)
2) alcuni critici hanno l’ambizione di interpretare il mondo letterario e si fanno il culo (pagati as es. due lire da manifesto o Diario)
3) altri ancora si accontentano di recensire Faletti anche perché probabilmente hanno perso l’amore per la letteratura che avevano da giovani e in più hanno le spalle coperte (a chi sta sopra di loro, non interessa che si sbattano più di tanto)
Insomma, concludendo: è l’ora che salga in cattedra questa conventicola di reciproco sostegno qui al posto dell’altra.
È l’ora che i capolavori nostri li decida Scarpa.
Ma quale “conventicola”?
1) I membri di Nazione Indiana non si recensiscono mai fra di loro.
2) Scarpa e Lagioia avevano pure litigato, come ha ricordato qualcuno in questa stessa colonna dei commenti. Non si può certo dire che siano “amici”, né che facciano parte di una conventicola. Evidentemente Scarpa ha trovato eccellente questo romanzo, e ha saputo mettere da parte le eventuali beghe personali.
gioisco sperma su lagioja gioioso sì sì sì
Senti “Concludendo”, devi rispondere almeno con degli argomenti seri e non con un anonimato (quello del tuo nick) che rischia di diventare il doppio dell’anonimato del pensiero che esprimi.
Ho parlato bene di Cortellessa e di Trevi, due che di Nazione Indiana NON fanno parte (o almeno, io mi collego ogni tanto e non li ho mai letti qui).
Ho cercato di esprimere sostegno a quelli che mi sembra LAVORINO per la letteratura e ci mettano appunto la fatica, la passione e magari anche l’intelligenza.
Ma prendi Scarpa, scusa. Ha pubblicato due romanzi. Un libro di critica molto bello (“Cos’è questo fracasso”). Delle raccolte di racconti. Ha scoperto e fatto pubblicare Antonio Moresco (che piacere o non piacere, è innegabile che sia uno scrittore interessante). Si sbatte come un pazzo per segnalare le cose che gli sembrano degne di attenzione (e il libro di Lagioia, per quello che ho letto fino ad ora, lo è innegabilmente), il tutto mandando avanti un PENSIERO COERENTE. Nessuno in buona fede non può riconoscergli questi meriti.
Fra dieci anni, quando si riuscirà a guardare con più serenità alla situazione odierna, si capirà molto bene CHI – in qesti anni, QUI E ORA con tutti i propri limiti, errori e le proprie idiosincrasie – ha lavorato seriamente per la letteratura italiana in modo costruttivo. Chi ha fatto il parassita; e non sarà più oggetto di discussione perché non se lo ricorderà più nessuno (ricorderemo ancora Contini, ma temo non D’Orrico – e i Cortellessa e gli Scarpa continueranno a dare bei segni di vitalità). Altri, temo, quelli come te, saranno costretti prima o poi a scendere a patti con le proprie frustrazioni.
ringrazio francesco giustiniani per l’aneddoto illuminante su lagioia, hai veramente il talento del promoter.
però con quello che nicola dovrà al comune tra carro attrezzi e deposito mi sa che il prossimo libro lo scriverà dietro le sbarre.
vai nico’
Salve,
sono stato rapito dai marziani. Qualcuno mi può dire dove sono capitato? E dove sono capitano?
Kabuki Pornofucker
aho scusate, avete visto laggioia, è latitante, diteglie de sta tranquillo che je dovemo fa solo na contravenzione pe divieto de sosta, poi ce sarebbe er favoreggiamento de l’amico suo, er giustiniani, ma se po patteggià, la machina ce le tenemo noi, pero’, allora conciliaaaa?
cara emmina, perdona l’equivoco, ma io stavo parlando di Lagioia, non dei critici letterari. Auspicavo (o mi chiedevo se farlo) che lo svecchiamento che si richiede ad altri fosse rivolto anche all’apparato concettuale con cui si giudica la realtà sociale e politica (giudizi che mi pare abbiano largo spazio nel post). Capisco che per molti le faccende relative alla critica letteraria e al suo potere siano molto sentite, a me paiono piuttosto secondarie (mia colpa, senza dubbio)
lagioia è una specie di de carlo più colto. niente di più.
Uh, sì b.georg, in effetti io parlavo da lettrice e quindi di critici… Perché di critiche agli autori non mi sento in grado di farne…
Mi spiego: mentre un autore puo’ piacermi o meno (qui si aprirebbe un altro mondo… ma lasciamo perdere), un critico ha il dovere di guidarmi con intelligenza. E magari farmi piacere di più (o di meno) un autore.
Intanto un complimento (malgré tout) a Tiziano Scarpa perché ha scritto “euri”. Fintanto che i presidenti delle banche centrali o della repubblica si piccheranno di fare i linguisti, allora: viva gli euri! (come plurale, non come moneta). Ma andiamo al sodo, ab ovo cioè: non ho letto il Lagioia in questione, ma (prometto) farò un salto in libreria e cercherò il “capolavoro”. E’ previsto un rimborso nel caso d’una cocente delusione? Cosa mi ha convinto? Frasi del tipo: “C’è tutta la storia, tutta la cultura”; “voci compromesse”; “sei un eroe? sei un fesso?”, anche se immagino che leggendolo non troverò una risposta all’ultimo dilemma. Un piccolo dissenso: sull’apocalissi dell’11 settembre, che sarebbe servita a disvelare la miseria (mediatica e non) del mondo in cui c’è toccato vivere. Non mi pare: essa ha dis-velato, velando nuovamente lo scenario politico ed economico mondiale. Più che una messa a nudo, è una messa a tacere della domanda capitale: cos’è il Terrorismo? Alain Badiou ha risposto da par suo in Circostances 1, libriccino che meriterebbe una pronta traduzione italiana, ma tant’è… Lì è ricordato (tra l’altro) che col Comitato di salute pubblica durante la rivoluzione francese è nato il Terrore e con la rivoluzione francese è nata la democrazia borghese rappresentativa… Ma il discorso s’allunga a fisarmonica e siccome non c’ho l’adsl la faccio corta.
Il libro più geniale lo ha scritto SuperTizianoScarpa: Corpo, Einaudi. E’ il primo metaforario della storia della letteratura.
Non ve ne siete accorti, eh? Io sì. Sul mio sito presto recensirò.
Su Nick Piede Caldo La Gioia dico: a) mi sembra che sia di non buon gusto dire che si è scritto un capolavoro, anche se lo si è scritto: suvvia, dirlo è da dilettanti . (Lascialo dire a me)
b) Mi piacerebbe che NESSUNO citasse Carmelo Bene: se Carmelo fosse vivo darebbe dello zombie a chi lo sta citando: quindi meglio non riempirsene la bocca troppo facilmente.
c) Il dialogo mi ha incuriosito: mi farò prestare il libro da Monica Winters.
A) Candida, QUANDO e DOVE Nicola Lagioia dice che ha “scritto un capolavoro”? Voglio proprio il numero di riga PRECISO di questo dialogo.
B) Meglio essere citati da Lagioia che letti da te.
C) Compratelo.
aho la piantate? che ve metto a li aresti. ma chi è monica winters, la fija de shelley winters?
Ivano non fare il pirletta.
NICOLA LAGIOIA: Nel frattempo qualcosina è uscita, ma questo non toglie che la critica letteraria italiana, salvo casi isolati, versi in una situazione comatosa. Mi sentirei fiero se sapessi che Occidente per principianti ha talmente indispettito qualche critico da portarlo a un altrettanto fiero disprezzo nei confronti del sottoscritto. Ma come si fa a indispettire un cadavere?
Ecco è qui che LGIOIA dice di aver scritto un capolavoro.
Se una persona ignora il libro che hai scritto, perché devi dire che è un /cadavere/, se non per sottintendere che quel libro non può venire ignorato perché è un libro importante, un libro degno di nota, magari un capolavoro?
Perché devi usare una parola tanto forte come /cadavere/? Se ad una persona dai addirittura del /cadavere/ perché ha ignorato il tuo libro, allora sottintendi che quel libro è ben un capolavoro, corpo di mille bacche!
Poteva dire che quella certa persona è /disattenta/, /che se ne intende poco/, ma… /cadavere/… /CADAVERE/!
Se una persona disprezza Dante e Leopardi è un /cadavere/ ! Se una persona ignora Carmelo Bene è un /cadavere/!
Sì, /cadavere/ in questi casi si può ben usare, perché questi tre autori sono stati indubbiamente produttori di capolavori e chi li disprezza o li ignora e si interessa di letteratura può essere definito, a buon diritto, un /cadavere/.
Ma per quanti autori si può usare la parola /cadavere/?
Questo per rispondere a Candido.
a candida, tiri fori per cortesia i documenti, patente e libbretto de circolazione. mo’ faccio l’accertamenti e vedemo de fà n’invio unico cor dottor laggioia che pe a cronaca è ancora latitante. faccia poco lo spiritoso candida che non è aria. in caso che fa, conciliaaaa?
Allora.
Lagioia sta RISPONDENDO a una domanda, e quindi raccoglie una sollecitazione di Tiziano Scarpa.
“Senti, benché il libro sia uscito da parecchie settimane, com’è che manco uno straccio di critico militante ci ha ancora avvertito sui giornali che hai scritto un romanzo strepitoso? Perché sono così pelandroni, e tendenzialmente sdolcinatelli, e con le ragnatele al culo? Non basta più nemmeno pubblicare da Einaudi, ormai? I libri che contano debbono per forza passare inosservati? Di che umore sei, attualmente? Indignato, sconfortato, grandispittoso, fiero?”
Quindi: non è Lagioia che imbraccia il moschetto e spara perché gli va di sparare sui critici; è Lagioia che, semmai, schiaccia a terra l’alzata di Scarpa sotto rete.
Poi, dire: “Nel frattempo qualcosina è uscita, ma questo non toglie che la critica letteraria italiana, salvo casi isolati, versi in una situazione comatosa” ecc. ecc. NON è dire “Ho scritto un capolavoro”. NON lo è. Sintassi, lessico, semantica, logica e contesto lo dimostrano. Le inferenze e le illazioni – pur lecite – sono un’altra cosa.
Alcuni di voi mi fanno paura. Tutti a misurare col millimetro una frase e a trarre delle conseguenze bizantine tra mille equilibrismi. Ma come fate a essere così controllati? A Lagioia a un certo punto gli devono essere girate le palle e ha mandato affanculo i critici. E’ una cosa che ha anche dell’irrazionale, del liberatorio. Quanto più se detta con cattiveria. Ed ecco che accorrono i funzionari con la riga millimetrata come Candida per dimostrare che ecc. ecc. Va bene che viviamo in tempi repressivi ma possiamo anche ragionare con più respiro, più irrazionalità, e meno in odore di collegio dei preti sodomizzatori.
Cari Nicolino e Tiziano, non dimenticherei davvero le recensioni del sottoscritto Enzo Mansueto su Rodeo e sul Corriere del Mezzogiorno!
Urlo Dimezzato, io ci avrei da dire anche su quel “polmone d’acciaio” delle università – non cito alla lettera, implorò pietà.
Comunque ho saputo che Nicola Lagioia è stato con i suoi colleghi a Pontecurone – che è vicino a Tortona.
Peccato non averlo saputo, sarei andato a sentire.
Be’, le università fanno un po’ schifo, o no? La mafietta dei baroni è degna delle peggiori oligarchie, o no? I poveri ricercatori senza borsa costretti a essere spiantati e deferenti con gli oligarchi fanno un po’ rabbia e tristezza, o no? Non laureatevi. L’università è la morte della cultura e di ogni vera gioia di apprendere. Non aprite quella porta. Uscite fuori e godetevi un po’ di aria fresca.