Lo Spettacolo. Gli occhi. Il cuore.
di Marco Rovelli
1. Ero in auto, quando mi ha chiamato la mia compagna per dirmi che avevano liberato Simona e Simona. Non ho esultato, non ho detto ‘evviva’, non mi si è aperto niente, dentro. Dal cuore non si è levata croce, per parafrasare maestro Eckhart. Una notizia come un’altra. Tra le (tante) altre. Niente più che due nomi, in fondo, confusi tra milioni di altri nomi a me ignoti – che non conosceranno mai liberazione. Comincio a pensare a quale saranno le conseguenze politiche di questa liberazione, come il governo ne potrà trarre vantaggio, cosa cambierà nello scenario irakeno. Le due simone sono già passate. Non sono altro che pedine in un risiko interminato. Sono già passate, dicevo: in realtà, non ci sono mai state.
Una volta a casa accendo la tv, per le notizie del telegiornale. E vedo le immagini della liberazione delle simone. Vedo il volto della prima Simona che si leva il velo, il suo sorriso – ed è in quel momento che vedo una sorella. E qualcosa, dentro, si apre. Un brivido. Come se il suo svelarsi implicasse una rivelazione. Mi riconosco in lei. Empatia, si chiama – un gioco di specchi che costituisce la nobiltà dell’uomo.
Così lo dico, di questa gioia condivisa. Ma qualcuno – una voce, un demone – m’inchioda alla Ragione. A quella Ragione che non mi aveva liberato l’emozione, che non mi aveva fatto gioire della gioia di Simona.
(E l’infanzia, direbbero i filosofi, torna a farsi storia).
La tua gioia è asservita al veleno del linguaggio capovolto, è l’accusa. Lo Spettacolo se la prende, e ne fa uso. Lo Spettacolo manipola le emozioni. Sono le emozioni la materia prima dello Spettacolo. Occorre sottrarsi al suo dominio sottraendogli le nostre emozioni.
Allora, mi arrischio a tematizzare.
Lo spettacolo espropria le forme e i sentimenti.
Lo spettacolo non colonizza solo l’inconscio, ma anche la percezione.
Lo spettacolo fa della percezione stessa lo strumento di una (falsa) visibilità totale, che – in realtà – è selezione ‘oculata’ da parte dello stesso potere spettacolare.
Bacone scriveva che occorre liberarsi di quattro specie di ‘errori’, di false immagini della realtà che si producono nella mente degli uomini, per avviarsi sulla strada della conoscenza. Idola, li chiamava. Tra questi, gli idola theatri, cioè gli errori derivanti dalle varie, mutevoli, fittizie ‘rappresentazioni del mondo’ che gli uomini si sono fatti e si fanno. Delle ideologie, insomma.
Il nostro tempo è dominato dalla ideologia più assoluta che sia mai stata concepita, quella dello Spettacolo, il regno del falso. Così l’impresa è disperata, poiché nell’Impero dello Spettacolo gli idola theatri si sono installati nel cuore della vista – fin dentro il bulbo oculare. Si tratterebbe di strapparseli, gli occhi.
2. Poi, da una gabbia, un uomo arancione alla catena. Quest’uomo-cane si chiama Ken Bigley, dicono. Il suo volto – il suo sguardo – fanno male agli occhi. E pure è immediato il pensiero delle tute arancioni di Guantanamo, quelle vere. Un branco di uomini-cani reclusi, chiusi alla vista. Allora, torna la voce – il demone – che s’oppone alla mia compassione: come puoi com-patire quest’uomo-cane quando tanti altri stanno reclusi, e sottratti alla tua vista? Sottraiti. Sottrai la tua emozione al dominio dello Spettacolo. E ancora: se quella dell’uomo-cane non fosse che l’ennesima messinscena? Vuoi rischiare di essere ingannato dallo Spettacolo?
Ma basta un affondo nel pensiero – e mi avvedo di come ciò che il demone suggerisce è: perdere la pietas. E’ questa la soluzione? No. Questo è in realtà proprio ciò che lo Spettacolo ci vuol far diventare. Lo Spettacolo vuole che stiamo da una parte o dall’altra, macchinalmente; che diventiamo automi, soldati di eserciti contrapposti – e non importa quale: l’importante è riconoscersi in una maschera, in un’identità, in qualche luogo del risiko interminato in cui ci ha precipitato, uno qualsiasi va bene, l’importante è che prendiate posto. Così va bene anche l’indifferenza, se non addirittura il moto appena represso di soddisfazione, all’attentato di un resistente palestinese che si fa esplodere in un autobus – siamo in un’arena, à la guerre comme à la guerre, e così via. A volte mi pare che dobbiamo, tutti quanti, giocare ai soldatini.
Preferisco rischiare di restare ingannato che perdere la pietas. Il resistente non perde mai la pietas. (Ricordi Fenoglio?). In questi tempi disperati, l’unica arma che ci rimane è non farci sradicare la pietas. Se ci hanno colonizzato gli occhi, non facciamoci sradicare il cuore.
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Esatto.
Il nostro tempo è dominato dalla ideologia più assoluta che sia mai stata concepita, quella dello Spettacolo, il regno del falso. Così l’impresa è disperata, poiché nell’Impero dello Spettacolo gli idola theatri si sono installati nel cuore della vista – M. Rovelli
“Questo è un mondo
che ti logora di dentro
ma non vedo come fare ad esser contro
Non mi arrendo ma per essere sincero
io non trovo proprio niente
che assomigli al vero…
il tutto è falso
il falso è tutto quello che si sente
quello che si dice
il falso è un’illusione che ci piace
il falso è quello che credono tutti
è il racconto mascherato dei fatti
il falso è misterioso
e assai più oscuro
se è mescolato
insieme a un po’ di vero”
G. GABER, IL TUTTO é FALSO
PS: sul finale, però, Gaber non sarebbe stato d’accordo con Rovelli:
“ma noi siamo talmente toccati
da chi sta sofrendo
Ci fa orrore la fame,
la guerra, le ingiustizie del mondo.
Com’è bello occuparsi dei dolori
di tanta, tanta gente
dal momento che in fondo
non ce ne frega niente… “
Lorenzo, anche Gaber (e Luperini, l’autore dei suoi testi) come Gino Paoli ogni tanto “davano un calcio in culo al pensiero”…;-)
caro franz, ma i testi gABER&lUPO li scrivevano insieme, no?
Cmq io non condivido il difattismo di Gaber, il suo pessimismo era più che cosmico.
Però credo che il moto di compassione che si può provare per persone che non si conoscono (e che provo anch’io) sia più che altro una falsa coscienza. Se scavo nel mio inconscio io trovo la pietas insieme al piccolo moto di soddisfazione per il kamikaze palestinese, perchè se è vero che vorrei una soluzione nonviolenta, è altrettanto vero che non vorrei vedere un popolo oppresso talmente in ginocchio da non poter neanche reagire con la violenza. E a volte provo anche indifferenza per i crimini nel mondo, per mia autodifesa. Non credo all’amore unversale per l’umanità.
Ma non voglio neanche sentirmi schierato in un esercito, non ho mai messo una divisa e non lo farò certo ora in obbedienza all’ideologia dello spettacolo. Credo ci sia una posizione intermedia tra il coltivare la pietas e l’essere automi dell’ideologia dello spettacolo. Io cerco una maggiore lucidità e indipendenza da ciò che vediamo alla tv.
Lessi tempo fa:
Se ti mostro la fotografia di una pipa e ti chiedo ‘cos’è?’ La risposta non è
‘una pipa’, ma ‘l’immagine di una pipa’. ;-))
Falsa coscienza? Mah.
Comunque, i testi li scriveva Luperini e li faceva leggere a Gaber che interveniva da musicista, più che altro, per la metrica e queste cose qui, ma sostanzialmente era farina del sacco di Luporini.O Luperini? Boh?
P.s: anch’io non credo assolutamente all’amore universale per l’umanità. L’amore, in tutte le sue forme, secondo me è un fatto privato. Così come la pietas.
franz ha risposto per me, la pietas non è l’amore universale per l’umanità, concetto astratto – esso stesso ideologico. è un fatto privato, ‘esperienziale’ vorrei dire – però, allo stesso tempo, è quanto permette di riconoscersi nell’altro (e l’altro, per noi, è sempre un’immagine – per questo scrivevo che l’empatia è un gioco di specchi). Dunque è anche un fatto politico.
Ringrazio Franz e Marco per il chiarimento.
Chiamare “falsa coscienza” la pietas di cui parlate forse non è corretto. Ho apprezzato molto lo spirito da cui è animato l’articolo di Marco, più che altro ho voluto fare la parte del… demone ponendo dubbi dal punto di vista psicologico sulla natura di questo sentimento. Forse il vostro è più limpido del mio, che a me appare alquanto spurio.
Partire dal riconoscersi nell’altro come “fatto della politica”: sottoscrivo.