Istruzioni per la creazione di ordigni esplosivi #1
di Tiziano Scarpa
Io non ricordo quasi niente di quello che faccio. Quando penso al mio passato, non so bene che cosa dire. Le cose mi vengono in mente per categorie, per somiglianze, non per sequenze temporali. Le connessioni del mio cervello non sono narrative. Non riesco a riassumere decentemente un film, però mi ricordo nei dettagli alcune scene che mi hanno colpito, ma che non saprei ricollocare dentro il flusso del prima e del dopo. Non so ricostruire l’intreccio di un romanzo, ma ricordo con precisione quando è comparsa la parola “caffettiera”: mi ricordo bene la posizione nella pagina, a che altezza era la riga.
Lo stesso accade per la mia vita. Non mi ricordo mai che cosa facevo in quel certo anno, in quel dato periodo. Ho bisogno di fare mente locale su chi era al governo in quei mesi, che morosa avevo (se ce l’avevo). Certi periodi, il profumo che hanno lasciato nella mia memoria, li recupero da un aneddoto. Prima mi torna in mente lo scambio di battute, poi ricordo con chi stavo parlando, e ricostruisco tutto quello che c’era intorno: “ah sì, era il periodo in cui frequentavo quella lì…” Certe volte ho avuto bisogno di chiedere a un amico se per favore mi raccontava un sogno che avevo fatto, che gli avevo descritto anni prima: lui se lo ricordava perfettamente, io me l’ero dimenticato.
Affinità e divergenze fra il compagno Licio Gelli e me
Io sono dunque il contrario di quest’uomo:
“Quel che rende Licio Gelli ancora spaventosamente potente è la memoria. Lo si capisce dopo la prima mezz’ora di conversazione, atterrisce dopo due. Il Venerabile maestro della Loggia Propaganda 2 è in grado di ricordare l’indirizzo completo di numero civico della prima casa romana di Giorgio Almirante, l’abito che indossava la sua prima moglie quel giorno che gli fece visita a Natale, i nomi dei tre figli di Attilio Piccioni e da lì ricostruire nel dettaglio il caso Montesi che vide coinvolto uno dei tre, ricorda il numero di conto corrente su cui fece quel certo bonifico un giorno di sessant’anni fa, la targa della camionetta di quando era ufficiale di collegamento col comando nazista, quante volte esattamente ha incontrato Silvio Berlusconi e in che anni in che mesi in che giorni, come si chiamava il segretario di Giovanni Leone a cui consegnò la cartella coi 58 punti del piano R, che macchina guidava, se a Roma c’era il sole quella mattina e chi incontrò prima di arrivare a destinazione, che cosa gli disse, cosa quello rispose.
Questo di ogni giorno dei suoi 84 anni di vita, attualmente archiviata in 33 faldoni al primo piano di villa Wanda, dietro a una porta invisibile a scomparsa. ‘Ogni sera, sempre, ho scritto un appunto del giorno. Per il momento per fortuna non mi servono, perché ricordo tutto. Però sono tranquillo, gli appunti sono lì’.”
Concita De Gregorio, Giustizia, tv, ordine pubblico: è finita proprio come dicevo io (intervista a Licio Gelli), la Repubblica, 28 settembre 2003.
Certe volte sento la necessità di scrivere un diario. Mi spaventa che la mia vita scappi via senza lasciare traccia nemmeno in me. Compro un taccuino rilegato, me lo porto in giro, scrivo nei ritagli di tempo e di spazio, nell’angolino di un autobus stipato, in piedi, con la grafia tutta sballottata che deraglia dalle righe. Lo porto con me per qualche settimana, ne riempio metà, poi mi placo, smetto, lo lascio andare alla deriva da qualche parte, in casa… Una sola volta ho fatto tutto questo per un progetto letterario, che non ho lasciato a metà e che mi ha occupato per quasi due anni, ma adesso non ho voglia di parlarne.
Mi ha dato molto da pensare l’intervista di Concita De Gregorio a Licio Gelli. Che cosa implica ricordarsi così bene la propria vita? Provo a fare qualche ipotesi.
1. Licio Gelli è un ateo materialista, sa che abbiamo a disposizione soltanto questa esistenza, e perciò la prende sul serio, dedica un’attenzione spasmodica a quello che fa, cosicché tutti gli eventi si incidono per sempre nella sua memoria.
2. Licio Gelli sa di essere un personaggio storico decisivo per la nostra piccola repubblica, è quello che ha sempre voluto essere, e desidera che ciò che ha fatto venga riconosciuto, un giorno, in tutta la sua portata, nei più minuti dettagli. Perciò li fissa lui stesso nella sua memoria. Ha fatto in modo di impostare la sua vita storicamente, ovvero ha fatto in modo di fare la Storia. Perciò tutto quello che vive è importante, ha la sensazione di emanare Storia. Dev’essere una sensazione emozionante, che lascia il segno e aiuta a ricordare qualsiasi cosa accade nel corso dei giorni, per sempre.
3. Licio Gelli è paranoico, sa che la sua figura, da viva o da morta, dovrà essere difesa dalle accuse più svariate, come in effetti è già accaduto. Perciò si premunisce, ogni momento che vive nel presente lo vive in un certo senso anche nel futuro, perché lo protocolla nei ricordi, in vista di un riuso autodifensivo. Vive seduto su due sedie, una presente e una futura, oppure, se si preferisce un’altra immagine, sta a cavallo del presente e del futuro. E anche del passato, perché ricorda tutto così bene da poter rievocare ogni cosa che ha fatto e, in un certo senso, riviverla. Tre sedie, o tre cavalli, dunque.
4. Licio Gelli sa di essere potentissimo, e questo suo potere consiste semplicemente nell’essere se stesso. La sua storia coincide con la Storia, è il suo potere, e mantenere perfettamente efficiente la sua memoria equivale a pulire e lubrificare un’arma; anche perché così i suoi ricordi possono in qualsiasi momento sparare, annientando molte persone coll’inchiodarle alle loro responsabilità.
5. Licio Gelli è cristiano, un cattolico di orientamento tomista, dantesco: sa che esiste l’aldilà, e che nell’aldilà gli individui non verranno dissolti, ma manterranno tutti i loro ricordi, la percezione di sé, la personalità, l’io. In certi casi verranno ossesionati da alcuni eventi che hanno vissuto, li rammemoreranno all’infinito, siano essi grandi peccati o grandi atti virtuosi.
6. Licio Gelli in realtà ha una capacità di ricordare assolutamente normale. Se riesce a rievocare con precisione così sbalorditiva tutte le minuzie della sua vita, è perché passa gran parte del suo tempo a rileggere i suoi diari: li studia, li impara a memoria. Fa manutenzione di sé, in modo da portare se stesso sempre addosso, tutto intero, trascinandosi dietro uno strascico di ricordi.
Chi è quell’uomo un po’ curvo a braccetto con mio padre?
Per un paio di stagioni, negli anni Ottanta, a Venezia, mio padre è stato segretario di una minuscola sezione della Democrazia Cristiana. Gli iscritti, compreso lui, sborsavano una quota di tasca propria per pagarsi l’affitto della sede. Mi ha raccontato che una volta ha stretto la mano a Giulio Andreotti. Mio padre era in coda, dietro una fila di segretari e funzionari di provincia, alla fine di un congresso democristiano regionale. Si è presentato, ha detto nome e cognome, ha dato la mano. Fine.
Qualche anno dopo, mio padre ha rivisto Andreotti per la seconda volta nella sua vita, all’uscita di un altro congresso. I congressisti democristiani si sono ritrovati in mezzo a una manifestazione un po’ turbolenta, la piazza era piena di gente che contestava Andreotti. Mio padre si è fatto largo, lo ha preso a braccetto e lo ha tirato fuori dalla ressa, lo ha portato in un angolo, al sicuro. “Sì, grazie, ma non stringermi troppo il braccio, mi fai male, Scarpa!”, ha protestato bonariamente Andreotti.
Dev’essere connaturata agli uomini di potere questa formidabile capacità di ricordare. Perché loro ricordano così bene e io no? Che cosa significa questa debolezza della mia memoria sui fatti della mia esistenza? Provo a fare qualche ipotesi.
1. Io non presto attenzione al momento presente.
2. Io non penso che il momento presente mi tornerà utile in futuro, nemmeno in forma di ricordo. Questo deve voler dire che io sono completamente disperato. Ho deposto ogni speranza che il tempo in cui mi è dato vivere (la filza di istanti che io attraverso con il mio corpo e la mia coscienza) possa essere speso in un modo o nell’altro nel futuro.
3. Io non penso che il momento presente mi si ritorcerà contro nel futuro, né che io debba rendere conto a qualcuno di quello che mi è capitato o di quello che ho compiuto. Non penso che il significato ultimo dei miei atti consista nel commettere qualcosa.
4. Io penso che il momento presente si esaurisca in se stesso. La sua mortalità è totale, non lascia traccia nemmeno nella mia memoria.
5. Io presto tutta la mia attenzione al presente, mi devolvo tutto intero all’istante che sto vivendo, così intensamente che non rimane nient’altro, nessuno spazio al di fuori dell’adesso, nemmeno per il ricordo. Sono così concentrato su questo istante che paradossalmente questa mia attenzione non fonda ricordi solidi e nitidi, e duraturi: al contrario, la mia attenzione si occupa completamente dell’istante che le è dato, e transita insieme a esso, e con esso svanisce. In questo modo non c’è nessun resto, nessun sovrappiù che trabocca nella memoria, e non c’è nemmeno un cantuccio in cui fare un bottino di ricordi sottraendolo dal presente.
6. Io penso costantemente ai fatti miei, fatti che non sono i fatti che mi succedono, ma una serie di fantasticherie e avvenimenti spirituali. Vivo in un mondo parallelo di pensieri alternativi a questo mondo. La realtà mi è indifferente, conduco una vita essenzialmente interiore, intellettuale ed emotiva, che è autonoma da quello che accade al di fuori di me stesso.
(1 – continua)
Pubblicato in L’almanacco 2003. Il romanzo dell’io, a cura di Giorgio Cerruti e Gabriella Bosco, Portofranco, Torino 2004.
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