Simposio sull’inquisizione
di Adriano Petta
A sei anni dal SIMPOSIO INTERNAZIONALE SULL’INQUISIZIONE, svoltosi in Vaticano nel 1998, un imponente volume di quasi 800 pagine ne raccoglie gli atti che confermano la cinica spietatezza di quel sistema di dominio e annientamento. Un metodo e una ideologia che continuano a seminare dolore e morte.
Martedì 15 giugno scorso nella Sala Stampa della Santa Sede i cardinali Georges Cottier e Roger Etchegaray, assieme al bibliotecario ed archivista di S. Romana Chiesa Jean-Louis Tauran, hanno presentato gli atti del simposio internazionale sull’Inquisizione che si tenne in Vaticano dal 29 al 31 ottobre del 1998. Questi atti sono stati presentati e illustrati anche dal curatore dell’opera professor Agostino Borromeo, sotto la forma di un volume imponente di ben 788 pagine dal titolo L’Inquisizione – Atti del Simposio Internazionale edito nella collana “Studi e Testi” dalla Biblioteca Apostolica Vaticana nel 2003. IL Simposio era stato voluto da papa Wojtyla perché, in occasione del Giubileo del 2000, intendeva chiedere perdono «per le forme di antitestimonianza e di scandalo» praticate nell’arco della storia dai figli della Chiesa (cosa che fece il 12 marzo 2000 nella «Giornata del perdono»). Ma prima di chiedere perdono, era necessario avere una conoscenza esatta dei fatti. La Commissione teologico-storica del comitato giubilare aveva quindi invitato una cinquantina di professori specializzati nel campo, storici che abbiano dismesso i panni del giudice e si siano proposti solo di comprendere il passato (i testi in corsivo sono stati estratti dagli atti del simposio. Ndr.).
Mercoledì 16 giugno scorso quasi tutti i giornali hanno riportato la notizia della presentazione del volume, accompagnata da tabelline e commenti che riassumevano più o meno acriticamente le parole del professor Borromeo e dei cardinali che avevano presentato il libro: il numero degli eretici mandati al rogo dalla Santa Inquisizione non giungeva nemmeno a 100: erano stati solamente 99, e veniva così ristabilita la verità storica che finalmente sfatava la leggenda nera sull’Inquisizione, creata ad arte dalla propaganda anticattolica, come sottolineava esultante il principe dei giornali cattolici L’Avvenire: «tanto appassionante quanto ricco di scoperte si rivela l’imponente volume nel negare la «leggenda nera». Il card. Georges Cottier (Pro-teologo della Casa Pontificia) ha ribadito, infatti, che «una domanda di perdono che la Chiesa deve fare a riguardo dei propri errori del passato, non può riguardare che fatti veri e obiettivamente riconosciuti. Non si chiede perdono per alcune immagini diffuse all’opinione pubblica, che hanno più del mito che della realtà».
Ma una domanda nasceva spontanea: come mai erano trascorsi oltre sei anni per la pubblicazione degli atti del simposio? E come mai il comitato organizzatore si è premurato di assicurare che le cause stavano solo in motivi di salute di alcuni studiosi…? Occorreva leggere questo librone. I 60 euro sono stati ben spesi perché il risultato è stato effettivamente ricco di scoperte… ma non nel senso sbandierato dall’Avvenire o lasciato immaginare da gran parte della stampa (e dai numerosissimi siti cattolici di mezzo mondo) nei giorni successivi alla presentazione.
Innanzitutto la struttura di questo imponente volume. Dei 50 partecipanti al simposio, solo 30 hanno lasciato testi scritti, in italiano, inglese, spagnolo e francese (e note in portoghese e latino). Ognuno dei partecipanti aveva ricevuto un tema da trattare (origini, strutture territoriali, procedure, inquisizione romana e le scienze, l’inquisizione e le streghe etc.): molti testi sono ossequiosi nei confronti della Chiesa cattolica, testi blandi, ambigui… ma ci sono anche testi durissimi, con molte scoperte o fatti poco noti.
Papa Wojtyla e il comitato organizzatore del Simposio sapevano fin dall’inizio ch’era praticamente impossibile mettere nero su bianco una cifra esatta del numero delle vittime. L’Inquisizione cercò di far sparire quanti più archivi poté dei processi e delle sentenze. Non solo. Occorre tener presente che nel corso dei 600 anni di funzionamento di questo apparato repressivo, responsabile dei più grandi crimini collettivi della storia dell’umanità, spesso accadeva che il popolo terrorizzato ed esasperato assaltava i tribunali dell’Inquisizione distruggendo gli archivi che contenevano non solo la lista dei condannati, ma anche quella dei sospettati. Napoleone, poi, quando conquistò l’Italia, portò con sé tutti gli archivi dell’Inquisizione che purtroppo non furono ben conservati e solo una piccola parte è ancora intatti a Parigi. Nella capitale francese i pezzi erano 7900 circa, di cui 4148 volumi di processi e 472 di sentenze fino al 1771; nella seconda metà dell’800 in concomitanza con situazioni politiche “pericolose” (Garibaldi, porta Pia) i funzionari della Congregazione del Santo Uffizio operarono distruzioni nella documentazione processuale degli anni 1772-1810 che non era stata portata a Parigi e in quella prodotta in seguito. Dopo l’abolizione dell’Inquisizione in Spagna, il popolo bruciò quasi tutti gli archivi con i dati dei processi e delle condanne. Il governo illuminista del viceré Domenico Caracciolo fece bruciare tutti gli archivi di Palermo per mettere una pietra sopra quella storia di orrori e per tutelare le migliaia di persone segnalate, esattamente come accadde in tutte le terre portoghesi, come ad esempio il viceré del Portogallo conte di Sarzedas, a Goa, la capitale delle Indie.
Per avere un’idea delle proporzioni di quella macchina infernale, occorre ricordare che solo all’Inquisizione di Palermo lavoravano 25.000 persone! In un altro capitolo del librone risulta che le sentenze capitali eseguite a Roma dal 1500 al 1730 furono «solo» 128. Ma questi dati sono stati ottenuti da 11 dei 39 registri originari, quindi con una semplice proporzione è lecito pensare che le esecuzioni furono come minimo 453. Ma questi sono dettagli, le vittime innocenti dell’Inquisizione furono almeno cinquecentomila, senza contare i 100-150 mila presunti catari, uomini, donne e bambini, scannati vivi in poche ore a Béziers il 22 luglio 1209. Questa faccenda dei numeri è comunque fuorviante: l’orrore vero consisteva nel fatto che tutti, nessuno escluso, poteva essere sospettato, imprigionato, perdere tutte le proprietà ed essere arso vivo in quanto l’Inquisizione non giudicava dei crimini, ma le idee. Bastava un gesto, una parola, un litigio con un parente o un vicino di casa, il volersi liberare di qualcuno scomodo per essere denunziati o per denunziare.
Alcuni quotidiani hanno pubblicato la stessa tabellina che, nel librone, fa parte dell’articolo di Gustav Henningsen scritto in spagnolo. Alcuni nell’alto della tabellina hanno scritto correttamente «Caccia alle streghe», mentre sotto «le vittime dell’Inquisizione nel Seicento». S’immagini ora un qualunque lettore: prima riga, in Irlanda l’Inquisizione ha bruciato vivi solo due eretici; seconda riga, in Portogallo solo 7… ma allora è proprio vero che questa leggenda nera dell’Inquisizione è stata tutta un’invenzione! Da notare la finezza: la tabellina inizia con Irlanda e Portogallo, di cui non si conoscono i dati, mentre poteva cominciare con quelli della Polonia (10.000 creature accusate di stregoneria, bruciate vive, su una popolazione di 3.400.000… solo nel Seicento!). Senti come cambia la musica di morte? Altri quotidiani hanno compiuto veri e propri «capolavori» d’involontario depistaggio pubblicando la stessa tabellina ma intitolandola «Le esecuzioni in Europa» (esecuzioni generiche, quindi totali, mentre la tabellina in questione si riferiva solo ai condannati di stregoneria e solo al Seicento!). Occorre ricordare che la Riforma di Lutero in pratica aveva rigettato tutto del cattolicesimo, tranne la caccia alle streghe. Comunque tutta la stampa (sia cartacea che sul web) ha riassunto i dati forniti direttamente dal curatore dell’opera Agostino Borromeo, secondo i quali le condanne al rogo comminate dai tribunali ecclesiastici sono state – in Italia, Spagna e Portogallo – 99. È lecito pensare che i quotidiani abbiano fatto esattamente quello che il papa e il comitato organizzatore del Simposio si erano prefissi sei anni fa: hanno abboccato all’amo pubblicando dati che nulla hanno a che vedere con le proporzioni apocalittiche di quello ch’è accaduto in mezzo mondo per quasi 600 anni. E non è nemmeno vero che in questi atti ci sia una volontà sfacciata di negare la «leggenda nera»: è l’insieme della vicenda ch’è subdolo, ma tanto la gente non leggerà mai l’imponente volume, mentre quello che scrivono i giornali sì.
Non è tuttavia da escludere quell’effetto boomerang tanto temuto dai vescovi e cardinali più prudenti, che per sei anni si sono opposti alla pubblicazione degli atti del Simposio: sapevano che rimestando nello sterco del demonio poteva sprigionarsi qualche zaffata. E infatti in questo librone si possono cogliere parecchie «noterelle», come la storia dell’Inquisizione spagnola e portoghese in centro-sud America e nelle Indie. Il pretesto che innescava le denunzie e i processi erano nella grande maggioranza dei casi le proprietà. Per appropriarsi dei beni della gente, la Chiesa, il Comune, la Città e lo Stato hanno accusato di eresia via via catari, valdesi, apostati, convertiti, apostolici, ebrei, ebrei neri, ebrei bianchi, musulmani, protestanti, marrani, nestoriani, induisti, blasfemi, sodomiti, streghe, illuse, illudenti, bigami, superstiziosi, anabattisti, criptogiudei, criptomusulmani, pagani, illuminati, scismatici, peccatori di magia, sortilegi, divinazione, abuso di sacramenti, disprezzo delle Chiavi, studiosi, medici, alchimisti, atei, oppositori politici, filosofi, matematici, scienziati… e li mandavano al rogo, perché l’eretico non può possedere beni, che invece sono della Chiesa la quale non lo spoglia ma si riprende ciò che è suo… anche in presenza di figli cattolici; per questo l’Inquisizione fu una macchina che macinò un’enorme massa di capitali finanziari e l’immanitas tormentorum spingeva gli accusati innocenti ad autoaccusarsi per sfuggire alla sofferenza: il risultato era che non vi si difendeva la pietas religiosa, ma se ne faceva pretesto per impadronirsi dei beni altrui. Vale la pena riportare una sola frase del Manuale degli inquisitori di Nicolau Eymerich (il «vangelo» dell’Inquisizione per secoli): «Bisogna ricordare che lo scopo principale del processo e della condanna a morte non è salvare l’anima del reo, ma… terrorizzare il popolo».
In genere la ripartizione dei beni depredati era 1/3 agli inquisitori, 1/3 alla Chiesa e un terzo al comune, alla città o allo stato. A Viterbo e a Roma, sedi papali, 1/3 al comune e 2/3 agli inquisitori.
Oltre allo scopo primario (minimizzare la quantità dei bruciati vivi) il Simposio aveva altri due intenti. Quello di parlare di numerose inquisizioni, di fenomeni differenziati, diversi d’epoca in epoca e di stato in stato e di far risaltare che la più umana fu – guarda caso – quella romana; e quello di addossare agli stati (soprattutto quello spagnolo e portoghese) la responsabilità di aver esagerato con la tortura e i roghi. L’ossequioso Adriano Garuti scrive, infatti, che la stessa carcerazione in S. Ufficio è forse stata soffusa da un alone eccessivamente tetro… non mancavano però normative o prassi che ne attenuavano il rigore: non si carceravano facilmente le donne, specie se nobili… e la capacità del soggetto ad essere sottoposto alla tortura era vagliata e confermata da un medico… L’inquisitore si faceva assicurare da un medico se l’eretico era forte e se si poteva divertire a sazietà. Significative sono alcune pagine di Henningsen quando racconta che quasi la metà dei 200 processi di stregoneria li portarono a compimento due inquisitori tedeschi: Jacob Sprenger (1436-1495) e Heinrich Institoris (1432-1492). La loro fanatica persecuzione delle streghe nel sud della Germania si scontrò con l’opposizione delle autorità civili ed ecclesiastiche. Allora i due inquisitori si lamentarono col papa Innocenzo VIII che il 5 dicembre 1484 emanò la bolla “Summis desiderantes affectibus” con cui dette ai due l’appoggio di cui avevano bisogno, elencando dettagliatamente quello che combinavano le streghe: «uccidono il bambino nel ventre della madre, così come i feti delle mandrie e dei greggi, tolgono la fertilità ai campi, mandano a male l’uva delle vigne e la frutta degli alberi; stregano gli uomini, donne, animali da tiro, mandrie, greggi ed altri animali domestici; fanno soffrire, soffocare e morire le vigne, piantagioni di frutta, prati, pascoli, biada, grano e altri cereali; inoltre perseguitano e torturano uomini e donne attraverso spaventose e terribili sofferenze e dolorose malattie interne ed esterne; e impediscono a quegli uomini di procreare, e alle donne di concepire…».
All’inizio del sec. XVI gli inquisitori di Germania, Francia e Italia intrapresero una violenta campagna di persecuzione verso la setta delle streghe con la completa approvazione del Vaticano grazie alle circolari papali emesse da Alessandro VI, Giulio II, Leone X e Adriano IV. Nel 1501 papa Alessandro VI scrive all’inquisitore della Lombardia Angelo da Verona raccomandandogli di procedere più duramente contro le tante streghe della zona che rovinano le persone, gli animali ed i raccolti. Il senato di Venezia protestò verso l’Inquisizione che aveva bruciato vive 70 streghe in Valcamonica e di sospettare che altre 5.000 facessero parte della setta satanica… ma papa Leone X nel 1521 scrisse una bolla violenta nella quale autorizzava gli inquisitori a scomunicare le autorità civili che dovessero opporsi ai roghi delle streghe condannate dal Santo Ufficio. In soli 10 anni vennero bruciate vive 3.000 «streghe».
Nella stampa populista si continua ad incontrare una cifra di nove milioni di vite sacrificate durante la persecuzione delle streghe di quell’epoca. Oggi si stima che il numero di processi di stregoneria in quell’epoca è di 100.000 in totale e circa una metà, 50.000 persone, finirono al rogo. Delle 1300 vittime in Portogallo, Spagna e Italia, meno di cento roghi possono essere attribuiti all’Inquisizione dei suddetti paesi. Il resto si deve ai tribunali civili e vescovili degli stessi paesi.
Come se quei tribunali civili e vescovili non fossero emanazione diretta del potere della Chiesa che tutto permeava in quei secoli bui. Con questa operazione del Simposio, papa e cardinali hanno provato a mischiare le carte, a introdurre distinguo, a confondere, a scaricare responsabilità che sono state e resteranno sempre di coloro che crearono e mantennero vivo quel sistema di sterminio: la Chiesa cattolica, i suoi vertici.
Nel 1600 l’inquisitore don Alonso de Salazar Frías girò in lungo e in largo per tutto il Paese Basco spagnolo portando un Editto di Grazia alla setta delle streghe. 2000 persone si presentarono davanti all’Inquisizione chiedendo che fosse loro concessa l’amnistia promessa alle streghe. Le suddette 2000 streghe denunziarono altre 5000. Quel clima apocalittico era stato alimentato dalle bolle papali. Soprattutto la bolla di Innocenzo VIII, più di nessun altro, legalizzò la persecuzione delle streghe. Scrive Adriano Prosperi: A partire dal 1559 e per volontà di Paolo IV, in maniera sistematica e capillare, tutti i cristiani che si recarono a fare la confessione dei loro peccati furono interrogati su eventuali loro reati o semplici conoscenze di reati di eresia o lettura di libri proibiti; e se qualcosa emergeva, vennero rinviati al tribunale dell’inquisizione. Se la violenza della tortura e del patibolo spezzava i corpi, la violenza morale esercitata attraverso la subordinazione della confessione all’inquisizione spezzò le coscienze: e lo fece su tutta la popolazione in età di confessione.
Due anni prima lo stesso Paolo IV aveva investito tutta la travolgente irruenza del suo carattere nella trasformazione di un tribunale (della Santissima Inquisizione) spesso interlocutorio e prudente, incline a interrogarsi su se stesso, frenato e intralciato da altri centri di potere, in un’arma affilata di repressione e annientamento conferendogli (il 29 aprile 1557) per mezzo della minuta «Pro votantibus» licenza e facoltà di emettere voti e sentenze che comportassero tortura, mutilazioni e spargimento di sangue, fino alla morte inclusa, senza per questo incorrere in censura o in irregolarità. Il 28 ottobre dispensò tutti i cardinali e inquisitori del Santo Ufficio dall’irregolarità in cui incorrevano infliggendo tortura reiterata. Lo stesso papa, il 5 novembre dell’anno prima, aveva reso solenne e consacrato il rogo che sarebbe avvenuto la domenica successiva concedendo l’indulgenza plenaria a tutti i fedeli che avrebbero assistito allo spettacolo.
L’uso della tortura nell’Inquisizione fu introdotto da papa Innocenzo IV il 15 maggio 1252, con la bolla Ad extirpanda, mentre Innocenzo III, con la bolla del 25 marzo 1199 Vergentis in senium, aveva modificato il reato d’eresia da religioso a crimine contro lo stato, coinvolgendo così accanto alla Chiesa tutti gli stati.
Le rare volte che ci fu un tentativo di evangelizzazione senza violenza, venne puntualmente stroncato dal papato. Charles Amiel nel suo intervento L’inquisizione di Goa (capitale delle Indie portoghesi) racconta l’esperienza missionaria di due famosi gesuiti italiani, Matteo Ricci in Cina e Roberto De Nobili a Goa, nel 1605. De Nobili si stabilisce a Madurai nel paese tamil ove esercita il suo apostolato per 40 anni, adottando lo stile di vita degli eremiti brahmanici. Pratica l’ascesi e la maniera di vita di questi eremiti, opta per i loro costumi, si orna la fronte di ceneri simboliche, porta il cordone rituale e apprende il sanscrito, il tamil e il telegu. Entrambi furono prigionieri dell’accomodatio, il metodo di evangelizzazione che cercò di adattare la pratica cristiana agli usi e costumi degli autoctoni. Una missione gesuita francese creata da Luigi XIV prolunga e rivivifica nel Carnate nella prima metà del sec. XVIII l’operato di Roberto De Nobili. Ma la bolla Omnium sollicitudinum di Benedetto XIV nel 1774 scaccia definitivamente i rischiosi accomodamenti che avevano alimentato la querelle dei riti… e si tornò al metodo tradizionale della tabula rasa: l’induismo era percepito come un’accozzaglia di superstizioni e di culti demoniaci che non meritavano nemmeno il nome di religione.
Ventisette anni prima che a Goa sbarcasse Roberto De Nobili, il 25 novembre 1578 l’inquisitore del tribunale di Goa, Bartolomé de Fonseca, scrive: «Mi hanno consegnato un tribunale pacifico, senza processi, prigioni con pochi prigionieri (una sola nuova cristiana, che si rifiutava di confessarsi, che non cedette in nulla e morì in quello stato); nel paese segretamente infiltrata questa gentaccia di nuovi cristiani, tranquilli e a riposo. Io ho reso il tribunale piegato sotto il peso dei processi, le prigioni sono riempite al massimo di prigionieri: ce ne sono stati di più in questo solo anno che nei tredici anni in cui lavoravano congiuntamente un arcivescovo e due inquisitori. Il paese è pieno di fuoco e di cenere dei cadaveri degli eretici e degli apostati, ed io vengo considerato più come uno sposo di sangue che come uno sposo di pace, odiato da tutti quelli che tengono nascosti i loro interessi con questa gentaccia, e sono numerosi.» In effetti, aggiunge il relatore dell’articolo Charles Amiel, i roghi dal 1578 al 1579 sono i più micidiali del XVI secolo per gli ebrei: 43 alla volta. Soprattutto per gli ebrei non c’era scampo: si convertivano dappertutto ma, con la conversione, conservavano almeno le proprietà. Ed erano queste a cui davano la caccia papi e re. E allora bastava solo mettere in marcia la macchina infernale delle delazioni, arresti, incarcerazioni, processi, torture, moniti, giudizi, roghi…
Ma c’era qualcosa di peggio dei roghi, i forni, l’orrore apocalittico dell’inquisizione: los «quemaderos» di Siviglia. Erano così tanti gli eretici condannati al rogo, che furono costretti a inventarsi qualcosa di speciale che consumasse meno legna dei tradizionali autodafé: costruirono uno accanto all’altro quattro enormi forni circolari sopra una piattaforma di pietra ognuno dei quali poteva contenere fino a quaranta «dannati». Accendevano un po’ di legna sotto la piattaforma, buttavano dentro le povere creature e le cocevano a fuoco lento: occorrevano dalle 20 alle 30 ore per crepare. Funzionarono ininterrottamente per oltre tre secoli. 300 anni. Vennero chiusi da Napoleone Bonaparte nel 1808. Questo è riuscito a fare la Santa Inquisizione, sublime spettacolo di perfezione sociale (come scrive Adriano Prosperi citando un numero di La Civiltà Cattolica del 1853).
L’operazione di minimizzare l’operato dell’Inquisizione ha toccato, naturalmente, anche il conflitto fede-ragione, fede-scienza: tra 1559 e 1707 il numero delle opere scientifiche proibite dall’Inquisizione di Spagna per questa regione superò la somma di quelle proibite per ogni altra e lo stesso è quasi certamente vero per l’Indice romano, per il quale uno studio quantitativo non esiste ancora. Vale la pena ricordare che il cardinale Bellarmino – il carnefice di Giordano Bruno e Galileo Galilei – non venne fatto santo all’epoca dei fatti, nel ’600, bensì pochi anni fa, nel 1930: ovverosia, nel 1930 la Santa Sede avallò tutto l’operato di Urbano VIII e dello spietato inquisitore Bellarmino!
L’Inquisizione depredava anime, coscienze, proprietà. Giustificava i genocidi. Il 90% degli indios del centro-sud America venne sterminato con il permesso e la giustificazione degli inquisitori. I conquistadores spagnoli e portoghesi depredavano le terre in nome del Bene, di Cristo. Protestanti e Anglicani del nord Europa impararono il metodo e anch’essi presero a colonizzare, depredare, sterminare popolazioni autoctone come gli indiani del nord America e gli aborigeni dell’Australia.
Oggi, come allora, gli Stati Uniti continuano a depredare in nome del bene, in nome di Dio, torturando i prigionieri per il solo piacere di torturare, dopo aver ammazzato le loro famiglie, bombardato le loro città, depredato le loro terre, le loro proprietà, i loro prodotti.
Questo è il metodo e l’insegnamento che l’Inquisizione ha lasciato in eredità al mondo cristiano, a questo feroce e spietato Primo Mondo che detiene il potere economico, politico e militare. L’embrione del capitalismo era lì, nel fine e nel metodo dell’Inquisizione: appropriarsi di tutto, terre, proprietà, boschi, mari, col pretesto di diffondere la civiltà, usando qualsiasi metodo, spietati e indifferenti verso qualsiasi altra cultura, altra religione, provocando insanabili disastri umani e ambientali.
Lo stato della Germania, senza perdere tempo a indire simposi sul numero esatto degli ebrei massacrati nei campi di concentramento, ha eretto al centro di Berlino un importante museo sulla storia e gli orrori del nazismo, come monito al mondo intero e alle future generazioni tedesche.
La Santa Sede mistifica e minimizza il ruolo devastante dell’Inquisizione, invece di stigmatizzare la portata culturale e politica di quell’infernale sistema.
da Il Manifesto-Alias 11 settembre 2004
Adriano Petta (1945) Studioso di Storia delle religioni e della scienza, autore dei romanzi storici Eresia pura (Stampa Alternativa), Roghi fatui (Stampa Alternativa) Ipazia scienziata alessandrina (Lampi di stampa).
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Bum!
Minchia!
Non ho ancora letto, ma sono rimasto colpito dallo stupendo quadro riprodotto. Qualcuno mi dice gentilmente di chi è e dove sta ? Grazie.
Adesso vado a leggere.
Molto interessante. Avevo letto anch’io qualcosa sulla stampa, e il numero dei giustiziati mi era sembrato stranamente basso.
Riccardo il quadro che ho inserito io è il grande Alessandro Magnasco, “Particolare con interrogatorio dell’Inquisizione”. Essì è davvero un pezzo necessario questo di Adriano Petta.
Complimenti al Sig. Petta e a Roberto per averlo postato. Avevo già letto questo pezzo sabato in “Alias”, non l’ho imparato a memoria ma di sicuro ho ben memorizzato i punti salienti e, guarda caso, proprio questa mattina l’ho diffuso facendolo passare di mano in mano. Ora mi basta linkare! Grazie.
Davvero grande, il Magnasco. Ricordo ancora la mostra a Milano di qualche anno fa. Grazie Roberto.
Piccolo esempio di come si possa informare confondendo le informazioni o omettendo notizie importanti per la comprensione dei fatti( in statistica si chiamerebbe manipolazione dei dati), naturalmente non mi riferisco al pezzo di Petta ma alla diffusione della notizia sugli Atti del simposio. C’è da meditarci e a lungo.
Stavo a guardare: ci sarà pure qualcuno, pensavo, che ha trovato strano il finale dell’articolo. Macché: numeri, quadri. Tutto normale. Beh, sarò un alieno, ma davvero qui nessuno trova una strana cesura (o incongrua cerniera) nell’ultimo paragrafo? Che fine ha fatto l’acribia, la sottigliezza delle distinzioni, lo scranno della documentazione acquisita?
Si tratta di una tirata a capocchia (o a ffrunchiu, come diciamo noi a Firenze) assolutamente ingiustificata, da matto. Non mi riferisco al contenuto (per me criminale, davvero da neurodeliri, ma per molti di voi, probabilmente, ovvio e innocente) ma allo stacco stilistico, concettuale, di metodo.
Lo avevo letto su Alias, trovandolo interessante (Gabriella, il trucco sui numeri era conosciuto, è semplicissimo: gli inquisitori rimettevano alla giustizia comune i “colpevoli” accertati , quindi tecnicamente la Chiesa non ha messo a morte quasi nessuno) ma quella chiusa appiccicata non mi convince: non riesco a capire se sia stata commissionata apposta per quello scopo o se l’autore abbia voluto lui utilizzare il testo per festeggiare la ricorrenza a modo suo (già, l’undici settembre, questa era la data).
Mi ricordo tra il grande numero di tirate a capocchia quella del giudice Borrelli sulle scorte tolte arbitrariamente. Insorse il Ministro competente: una capocchia! una capocchia! e dispose le sanzioni. Poco dopo hanno ammazzato Biagi. Eh le capocchie…
Scorte? Ministro? Biagi? Intervento di notevole capocchieria, caro Tito.
“Esiste, nella nostra società, un altro principio d’esclusione…una partizione (partage) e un rigetto. Penso alla opposizione tra ragione e follia.” (M. Foucault)
Per il ministro non erano mattane quelle di Biagi e poi di Borrelli sulle scorte?
Per te non è una mattana la conclusione dell’articolo di Petta?
Non è un modo per escludere dall’ordine del discorso qualcuno in entrambi i casi?
Mio carissimo Andrea, perchè, invece di tirare in ballo altre mattane, non mi dimostri che in quell’articolo c’è fluidità e congruenza?
In molti bellissimi libri non c’è fluidità e congruenza, questo non toglie che possono riportare cose non fluide, non congruenti, ma sensate.
Per il resto che una enorme fetta di gente che ha parecchio sapere e potere passi il tempo non a cercare la verità ma a escludere i discorsi “scorretti” mi sembra un dato di fatto.
Se qualcuno diceva, prima della pubblicazione delle foto, che gli americani torturavano, scattavano subito i custodi del discorso. Quando sono arrivate le prove, i custodi si sono dovuti un po’ arrampicare sugli specchi, ma in fondo il problema era solo far passare qualche mese per dimenticare. E se il mondo ha saputo la verità il merito va a qualche soldato o civile coraggioso.
Come la verità su Bolzaneto si deve a un infermiere coraggioso. Delle volte ci penso ai controcazzi che ha avuto quell’infermiere bolognese. Penso a lui e penso a gente come Ferrara o Veneziani, alla loro inutilità.
Come dite voi a Firenze “menare il can per l’aia”?
Tito, questo qui ha saltato cinque secoli e ha fatto reincarnare Torquemada nel texano, ci ha aggiunto un po’ di Attila, un pizzico di angostura e ha shakerato nel vuoto a perdere dell’EMBRIONE DEL CAPITALISMO. Questo è deliriuo, non storia.
Elio, se a te piacciono le idee e hai una moralità dovresti seguire il consiglio che Leonardo Colombati ha dato a me, te lo riporto:
““Opinioni a vanvera”, hai scritto. A Hollywood, se si trattasse di una sceneggiatura, ti taglierebbero la battuta apponendovi il classico “show it, don’t say it”. Devi dimostrare che le mie opinioni sono a vanvera; non basta dirlo.”
Quelle opinioni erano effettivamente a vanvera, ma non era dimostrato, aveva ragione Colombati.
Ho separato sin dall’inizio le opinioni dell’autore dal modo in cui sono state appiccicate: è lui che non ha argomentato. Se lui avesse argomentato io potrei anche trovare cosa non va nelle argomentazioni. Ma chiunque abbia occhi vede che lì c’è solo livore e impapocchiamento. E sarei io a dovermi sobbarcare le argomentazioni?