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Così devi fare

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Di José Muñoz

A Parigi, non lontano da dove abito c’è il Musée des Arts et Métiers: questo mi fa pensare che l’arte senza mestiere sia meno arte, ma il mestiere senza arte sia solo mestiere.
Ho imparato il mestiere artistico del fumetto con Alberto Breccia, Ugo Pratt e Francisco Solano Lopez. Con Breccia e Pratt nella Scuola Panamericana d’Arte, con Solano Lopez nella sua bottega.
Nella scuola si tentava di produrre senso, storie con un inizio, uno svolgimento e una fine. Godard l’ho conosciuto dopo.
LaPanamericana, un ente privato creato dai fratelli Liepsig, rappresentò un grande momento per lo sviluppo del fumetto, se così si può ancora dire e per noi che eravamo nei paraggi.

Soffrivo, a quel tempo, l’urgenza di una definizione identitaria, ero un adolescente in fregola che passava il tempo tra discussioni contraddittorie e rifiuti isterici degli adulti rugosi che parlavano di cose che non capivo ma che consideravo ostili alla mia autonomia. Fu una crisi adolescenziale vissuta fino in fondo, ma non al punto di negare l’esistenza di gente che ne sapeva più di me. Rifiutavo gli insegnamenti troppo invadenti ma mi sforzavo di apprendere la tecnica, l’arte. Imparavo a disegnare un corpo umano, imparavo la sensibilità che occorre per pensare con le mani, persino coi piedi – ho visto che si possono fare delle cose incredibili coi pennelli ai piedi, una cosa che potrebbe fare Maradona per riempire i pomeriggi.

Già allora intuivo che ero interessato al disegno narrativo, oltre che a rappresentare la luce e l’ombra di una scena: non ero ancora impressionato dallo spettacolo interiore delle persone, che è poi parte centrale dello spettacolo meraviglioso dell’esistenza. Ma questo lo impari dopo. Il disegno è toccare con emozione e con rispetto l’esistenza, lo spettacolo meraviglioso e terribile che abbiamo davanti agli occhi. Io subivo eccessi di crisi d’identità e tornavo a casa in mezzo a furie fredde ma sospettavo che i maestri sapessero quel che andavano dicendo. Breccia era un tipo di poche parole, dense, giuste, piazzate qua e là. Poi, Breccia e Pereyra, un altro prof della Panamericana, mi hanno trovato un posto nella bottega di Solano Lopez, disegnatore dell’Eternauta. C’erano Breccia, Pratt e c’era Solano, un pennello decisamente più asciutto. Solo dopo ho capito l’unicità del suo lavoro.

Quando sono arrivato da lui io tentavo delle cose un po’ alla Breccia un po’ alla Pratt tipo inchiostri succosi, arcigni, gesti cinesi e giapponesi, decisi e svolazzanti. Lui, invece, mi portava verso quello che voleva lui, i cieli di Buenos Aires per esempio, disegnati arando le nuvole rovesciate col pennello semiasciutto, spettinato come una pennellessa. I cieli bassi di quella che sarebbe diventata la Buenos Aires del futuro: una specie di veggenza quella storia, i cieli grigi degli invasori, pennelli asciutti che ferivano le nuvole e le spingevano giù nella città. Questa sensazione d’angoscia io cercavo di riprodurla usando linee troppo piene d’inchiostro: lui veniva e con la tempera morsicava e spettinava i miei tratti, cancellava e rifaceva dicendomi : “così devi fare”.
Solano è un grande creatore di atmosfere, uno che possiede l’anima viva di Buenos Aires, come Piazzolla.

Hector Oesterheld, lo sceneggiatore dell’Eternauta è stato ammazzato dai militari. Solano voleva un fumetto di fantascienza che non fosse stupido. E lui partorì l’Eternauta, ossia i paesi del nord che condannano i paesi del sud a ricevere tutta la merda dello spazio, che è in pratica un po’ quello che accade nella realtà. Hector Oesterheld riusciva a intuire ciò che sarebbe successo e che in parte già succedeva. Dietro tutti i lavori d’invenzione e di finzione c’è l’eterna ricerca di come sopravvivere accettando le mediazioni senza rinunciare alla libertà di raccontare le cose del mondo così come si intuiscono. Avevo diciotto anni e già lavoravo illustrando Oesterheld: ero un giovane “rivoluzionario” insolentemente giusto ed insolentemente puro. Lui, invece, era considerato un signore medio-borghese che, non essendo giovane, non praticava le idee giuste. Quindici anni dopo, nel 1977, questo stesso uomo sarebbe stato ammazzato dai militari, perché si era messo in gioco. Oesterheld, insomma, è uno che aveva abbandonato le ‘storielle’ e la storia lo ha massacrato. Anelava alla giustizia e alla buona condotta sennonchè si sa come funzionano queste cose: lo stesso dramma che si ripete sempre: l’aspirazione a un mondo migliore e la difficoltà di metterlo in pratica nei propri atteggiamenti. Forse è il dramma della nostra specie: l’impossibilità di diventare socialisti e la pretesa di esserlo.

Alla scuola Panamericana, in una sorta di autismo creativo in via di definizione, c’era tra noi allievi un fumettistico spirito di competizione: gareggiavamo sorprendendoci a vicenda in mezzo a gridolini virili frantumati da urla adolescenziali. Apprendevamo dai maestri e dai compagni di classe e sentivamo le cose nel disegnarle. Con Solano vivevo un vero rapporto da maestro ad allievo, “all’antica”. In italiano usate la differenza tra autoritarismo e autorevolezza: siamo materia cosciente persa nell’universo con l’angoscia di sapere che moriremo e di ciò non ho mai sentito una spiegazione adeguata al mio comprendonio: nascere, morire, una situazione rischiosa. E allora ogni tanto capitano delle persone nelle diverse tribù, etnie, nazioni che hanno un plus nei loro cuori e di capacità organizzative. Insomma persone che tentano di onorare la vita riconoscendo almeno le ferite inflitte e autoinflitte nel tessuto sociale. Mi viene in mente Hector Kirchner: il nuovo dell’Argentina che tenta di restituire dignità agli argentini.

Tornando ai maestri posso dire che ce ne sono stati di inascoltati perché gli allievi volevano fare da sé. Comunque sia ognuno ha cercato, talvolta riuscendoci, di raccontare quello che gli succedeva durante il suo breve soggiorno nel mondo. È la materia cosciente. Il fumetto è un linguaggio affascinante perché credo sia un linguaggio profondamente manuale: è vero che dopo si stampa, ma all’origine ci sono delle macchine imperfette che siamo noi, che sognano disegnano scrivono quello che dopo le vere macchine stampano e mandano al mercato come prodotti spirituali.

Pochi sanno che sono un rappresentante della scuola argentina perché pochi sanno che sono argentino e mi fanno passare per un europeo. In qualche modo lo sono, visto che l’argentino era europeo prima ancora che esistesse l’Europa unita. Io mi sento un figlio riconoscente, porto dentro di me i fuochi che i maestri hanno contribuito ad accendere e ad alimentare. Vado in giro per il mondo vendendo la mia merce spirituale con alti e bassi consapevole di aver avuto molta fortuna, la fortuna di capitare in quel momento fra tutte quelle persone creative, di averle sapute riconoscere e rispettare.

Ricordo con Don Alberto a scuola: ero lì a inchiostrare un disegno e usavo delle trame molto intrecciate, mettevo una macchia grigia accanto ad una macchia nera, e lui mi diceva: “guarda qua, hai fatto una macchia grigia che quando sarà stampata diventerà nera: questo non è il fumetto non devi mettere nero con nero”. Mi fa una scacchiera, un quadrante bianco accanto a uno nero e mi dice: “Muñoz, questo è il fumetto”. E lì ho smesso di usare i grigi. Per rappresentare luce e ombra c’era un limite netto, poi il limite comincia a tremare e così è nella vita. Noi siamo in questo parco delle meraviglie e siamo tendenzialmente malvagi e stupidi, capaci di divorare noi stessi: uno scacco matto, ma subito ci viene la voglia di giocare un’altra partita, di rimescolare le carte.

A proposito di rimescolare le carte mi viene in mente un disegno del Che Guevara di Breccia: da una parte del foglio c’era una cicciona disegnata da Filippo Scozzari – è interessante la visione tecnico coloristica della turista nord americana con gli occhiali anni sessanta – e dall’altro Alberto innamorandosi dello stupendo grigio della carta e senza guardare il retro, disegnò un ritratto del Che. In trasparenza, dove finisce la natica della cicciona inizia la nuca del Che.

Breccia manifestava un certo orgoglio nell’aver contribuito al mio cammino, lo scambio tra maestro e allievo è come la consegna di una torcia che l’allievo porta in sé con il compito di alimentarla. Diceva Quevedo: “Polvo seré, mas polvo enamorado”. Anch’io ho cercato di fare la mia parte, perpetuando il fuoco: il ruolo che ha giocato Breccia nel mio mestiere l’ho in un certo senso assunto con quelli che mi hanno seguito, quelli che da me hanno ricevuto.

In Argentina, il mio paese, il tempo è stato brutalmente interrotto: tra l’Argentina di oggi e quella precedente alla dittatura non c’è quasi nessun punto di contatto. Meno male che il fumetto è un mestiere “infantile”, la mia infanzia argentina, mi appare esotica, lontana. È anche colpa dell’età: stiamo cominciando a salutare la vita ed allora l’infanzia ritorna, mentre il manifesto di Goya, il maestro dei miei maestri, vigila sempre dal muro.

(SUD. Periodico di cultura arte e letteratura, n°2, primavera 2004)

(SUD è distribuita nelle librerie Feltrinelli)

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7 Commenti

  1. L’ETERNAUTA… la mia prima infanzia! Quanti ricordi… e HOR, e YOR ? Che rimescolamento, quanti anni, quanti… c’è di che diventare sentimentali.

  2. Dai, Nick, non fare così che mi metto a piangere…
    (comunque José Muñoz è un grandissimo).

    G.

  3. Trascrivo dall’ultima pagina di Sud:

    versamento su c/cpostale n.10531804 intestato a
    Raimondo Di Maio
    Libreria Dante & Descartes
    via Mezzocannone, 75 Napoli
    4 numeri 20,00 euro

    info:
    tel 0815516771
    info@dantedescartes.it

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