Il busto di Lenin
Oggi alle 18, a Milano, nella liberia Feltrinelli di via Manzoni, presenterò il romanzo Il busto di Lenin (Sironi Editore) insieme al suo pirotecnico autore Giuseppe Caliceti. T. S.
«Si accorgeva che in molti da un anno all’altro gli ripetevano le parole della sua ex moglie, cioè che il mondo era cambiato e bisognava adattarsi. Ma lui si chiedeva cosa volessero dire queste parole. Guardatelo!, diceva. Guardatelo, il nostro povero boia mondo! Adattarsi a chi? A cosa? Queste sono le stesse cazzate che i signori ripetevano al tempo del fascismo, compagni! Le stesse cazzate che i padroni ripetono da secoli ai lavoratori! Ai poveretti! Agli sfruttati! Aprite gli occhi! Non c’è storia! Nessuna evoluzione! L’uomo è la bestia malvagia e assassina di sempre! E se qualcosa è cambiato è solo in peggio!, diceva Libero. E gli ideali comunisti rimangono i più validi che io conosco! E allora io non vi capisco! Io non mi vergognerò mai di essere un comunista, compagni! Io mi vergogno solo della vostra vergogna!»
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Il busto di Lenin è un monumento, cioè, etimologicamente, un monito, cioè memoria.
Di questo si è parlato alla freddissima presentazione di oggi (c’era un condizionatore siberiano) e si è parlato anche di tante altre cose assai interessanti. Si è parlato di romanzo politico, di ideologia, di cupole che crollano. Tornando a casa, tutto di fretta ho capito che c’era anche una cosa che bisognava dire, e che dico ora.
Che la nostra, almeno di alcuni di noi è forse l’ultima generazione che visto quel cambiamento in tempo utile. Cioè che sa com’era il mondo prima e il mondo dopo. Che, ad esempio (parlo di me), ha imparato a disegnare sui tecnigrafi e ora lo fa sui computer, che ha usato per anni gettoni del telefono e ha visto poi miniaturizzarsi e diffondersi sempre più i telefonini. Che ha spedito lettere con tanto di francobolli in giro per il mondo e ora naviga su internet, che ha fatto in tempo a votare per il partito comunista e l’ha visto smantellarsi e trasformarsi in qualcos’altro. Cioè che ha conosciuto e frequentato l’ideologia e l’ha vista frantumarsi fra l’89 e il ’91. Essere nati dieci anni dopo ti rende monco di fronte questo bagaglio esperenziale. I vituperati anni ’80, secondo me, sono iniziati tardi e finiti altrettanto tardi (ma questo è un altro discorso). Di certo dall’89, dopo che ci avevano detto che la storia era finita, il crollo del muro (che meraviglia, io me lo ricordo perfettamente) è stato anche il via a una debilitante deideologizzazione della società ed a una sostituzione di senso, di stile di vita. (A Raul una volta ho sentito dire che i mondiali di Italia ’90 hanno sdoganato il calcio. E’ vero. E bisognava farlo proprio allora).
Ma la storia non era finita, e nel settembre del 2001, dopo un decennio antideologico, o anzi, monoideologico (di trionfante liberismo globalizzante), le ideologie, le religioni, le visioni del mondo alernative, conflittuali, violente, i movimenti, i pacifisti, la Storia, avevano fatto ritorno. E noi ne abbiamo avuto esperienza. Con la differenza che sapevamo cosa c’era prima (e questo anche molti miei giovani amici) e anche quello che c’era prima del prima. Perché noi abbiamo esperito Berlinguer, Craxi, Almirante, Andreotti. Ce li ricordiamo sul nostro corpo.
E’ memoria, cioè monito, cioè monumento.
Il busto di Lenin.