CAPITOLO 1: La lama che recise il cinema
di Simone Ciaruffoli
Tarantino non è il primo a dirci che la vendetta è un fuoco che arde senza mai spegnersi. Che non si ferma di fronte a nulla, non ascolta nessun refolo di vento e nemmeno l’umido delle lacrime. Questo ce l’ha insegnato il cinema prima di lui e ancor prima la letteratura.
Quanto è importante allora la vendetta? Se parliamo di drammaturgia la vendetta è il motore scatenante degli eventi. Il combustibile che valicando pendii e odore di morte ci traghetta dall’inizio di un racconto alla sua quanto mai tragica e conosciuta fine.
L’esclamazione Kill Bill è il titolo, l’inizio e quindi la dichiarazione d’intenti, l’epilogo invece è il compimento della tragedia, la risoluzione di quegli intenti. In mezzo tutto il cinema possibile.
Parliamo dunque di cinema, non di vita. Di cinema sempre e comunque. Di vendetta al cinema, che non è quella di tutti i giorni, quella che appartiene alla fatalità della nostra vita poco colorata. Il cinema può tutto e, dallo stesso, tutto possiamo aspettarci; per questo senza dubbio Tarantino è diventato uno dei massimi esponenti di questo assunto. Quando andiamo a vedere Tarantino entriamo al cinema due volte.
Il mondo di Kill Bill non ha nulla a che vedere con una rappresentazione anche sommaria della vita, con i suoi pretestuosi fondamentalismi realistici e le sue morali. L’universo di Kill Bill (volume primo e secondo) si agita direttamente nell’inconscio collettivo cinematografico. Ecco perché Tarantino non fa semplicemente un film, bensì ci fa vedere il cinema. Ci rammenta che il nostro atto del guardare deve sempre fare i conti con un bagaglio cinematografico e con le sue regole, con i suoi personaggi (mai veri ma sempre figurine di un grande album appeso al muro) e le loro azioni sempre uguali a se stesse.
Con Tarantino bisogna entrare in un altro ordine di idee per poter godere appieno della maestria con la quale erige il suo mondo. Fatto di Manga, di Kung Fu, di Western, di Splatter e di Gangster, di spade e Shaolin, Superman e maionese. Bisogna arrendersi all’eventualità che in quel set possa entrare prima o poi qualcosa di antropomorfico, inteso nell’accezione più classica. Perché i personaggi mossi dallo sguardo infantile ma tremendamente moderno di Tarantino sono “solo” delle figurine, degli scarti di pellicola ricolorati e rimontati a piacimento, a discrezione dell’autore sognante e anelante cinema.
Per questo motivo anche la scansione di Kill Bill deve necessariamente fare i conti con un immaginario a scomparti non di tempo formato da istanti, ma di spazio composto da set. Non esiste il tempo in Tarantino (se non quello del cinema), ma lo spazio. Se si desidera cercare una minima contestualizzazione temporale, questa la si rintraccia solamente in flashback così dannatamente veri da sembrare ancora iati di spazio, piuttosto che salti indietro nel tempo. Sembra ancora di entrare in un altro set, in un’altra contingenza profilmica.
Ecco che allora se il cinema di Tarantino è questione di settori formati da set spesso riconoscibilissimi, la vendetta di cui sopra sarà veicolata dalle situazioni e dalle caricature che in passato hanno caratterizzato proprio quei set. Quegli istinti primari e così romantici, animali e allo stesso tempo di grande onore, quella summa di istintività primitive e per temperamento così inclini alla vendetta, saranno per forza di cose raccontati prima dai guerrieri combattenti del Kung Fu, poi dai guerrieri combattenti del Western.
Così la formazione culturale di Tarantino si dimostra magnificamente con quei personaggi che nello stesso periodo cinematografico sono stati paladini ed eroi di due generi e di due continenti. Due cinematografie che nello stesso momento stavano (forse) inconsapevolmente creando le basi storiche del loro cinema. E che in Kill Bill s’incontrano per dare vita, non senza perturbarci, a un caleidoscopico circo west-est marziale.
Nell’ottica della contaminazione dei generi e nella dissacrazione di qualsiasi logica narrativa e stilistica, Tarantino fende il suo Kill Bill in due parti non corrispondenti (d’altronde lo aveva già fatto con la scrittura di Dal tramonto all’alba) e sentenzia ancora che il cinema, almeno il suo, è fatto di brandelli di film e generi. Brani di pellicola recisi dalla spada di Hattori Hanzo. Oggetto che simbolicamente richiama il cut, il taglio di montaggio, l’arma più cinema, più cinematografica possibile. L’unica infatti che taglia e collega le due parti di Kill Bill.
Al contrario di quanto si è più volte scritto, la decisione di dividere il film in due “puntate” fa parte di una strategia non – solo – di marketing (Miramax), ma di estetica (Tarantino). Kill Bill è uno, e allo stesso tempo due film. A onor di scrittura, il secondo risponde al primo, ma allo stesso tempo rivendica una sua autonomia. Il prologo nella chiesa è quanto di più illuminante in questo senso, perché dà luce (messinscena) a ciò che nella prima parte era solamente suggerito, raccontato.
Kill Bill è la rappresentazione cinematografica di un soggetto narrativo, uno sceneggiato in due puntate, un film in due episodi, due film di cui il secondo è il continuo solamente perché posteriore al primo.
Kill Bill è un geniale esperimento perché punta al futuro della ri-visione filmica, ripetuta negli anni più e più volte, la quale come sappiamo non è fattibile al cinema ma solamente in home video. Kill Bill è ora, in questi anni e nella storia del cinema, l’unica pellicola pensata per il Dvd piuttosto che per il cinema. Più de Il Signore degli Anelli e più di qualsiasi film studiato per l’home video solo retroattivamente alla sua uscita in sala (pensiamo a Memento e Irreversible). Naturalmente una cosa del genere poteva pensarla solo un cinefilo e videotecaro come Tarantino.
Kill Bill è qualcosa che esula dai nostri normali parametri e dunque di difficile tassonomia, per dirla con Deleuze. Dunque cerchiamo di motteggiare il meno possibile perché sarà il tempo a spiegarci tutto, è solo questione di pochissimi anni. Arriveremo a capirlo meglio e nel suo disegno complessivo. Abbiate fede di Kill Bill.
Il capolavoro Kill Bill.
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Già pubblicato su www.pickpocket.it
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Molto interessante. Complimenti Ciaruffoli.