Voli collettivi per risparmiare sugli espulsi
Di Magali Amougou
Voli charter europei per il rimpatrio congiunto di persone in situazione irregolare. Ecco una delle ultime misure proposte dal Consiglio dell’Unione Europea, finalizzata a controllare i flussi dell’immigrazione. Ma in un linguaggio meno tecnico e neutro, si tratta di una proposta per realizzare delle espulsioni collettive mirate su una determinata popolazione. Avanzata una prima volta nel novembre 2002 dal ministro francese Sarkozy, essa è rilanciata per iniziativa italiana nel giugno 2003, durante il semestre di presidenza dell’UE.
L’obiettivo è quello di istituire un progetto pilota, nel quadro di una politica europea dell’immigrazione, per organizzare e finanziare le operazioni di rimpatrio degli immigrati clandestini. Tale progetto è stato però respinto il 19 febbraio 2004 da quaranta eurodeputati e dovrà passare, a fine marzo, per il voto dell’assemblea plenaria del Parlamento Europeo(1). È importante però sottolineare che tale voto non sarà comunque vincolante per la politica comune dell’immigrazione. Ciò significa che il Parlamento Europeo non ha alcun potere per opporsi a queste pratiche di espulsione.
La Cimade, un’associazione protestante francese, creata nel ‘39 a difesa dei rifugiati e degli stranieri in Francia, mostra comunque soddisfazione per questo primo rifiuto e se ne augura un secondo : «è importante che l’opinione pubblica sappia che un’istituzione come il Parlamento Europeo, anche se non ha un potere decisivo in materia, si oppone alla legalizzazione dei charter collettivi ».
Nel novembre 2003, in occasione del Forum Sociale Europeo a Parigi, la Cimade aveva lanciato un appello contro l’adozione delle espulsioni collettive, denominate « i charter della vergogna ». A tale appello hanno aderito 360 associazioni di tutta Europa e dei paesi d’immigrazione come il Senegal, la Liberia o il Benin, oltreché 60 deputati europei. La proposta del Consiglio Europeo viene da tutti percepita come un inasprimento dei dispositivi di controllo dell’immigrazione, che già prevedono misure assai restrittive delle libertà individuali.
In realtà, secondo la Cimade, « da questo accordo sui charter collettivi emerge la volontà degli Stati di razionalizzare il costo delle espulsioni : d’ora in poi i diversi paesi usufruiranno di una stessa compagnia aerea per espellere individui di una medesima popolazione ». La Cimade non esita a parlare di « retate » e teme trattamenti degradanti ed inumani. Basta pensare al volo franco-spagnolo del 27 marzo 2003, diretto a Bucarest. Esso era stato organizzato dal governo spagnolo al quale si era unito il governo francese. Il volo UX907 della compagnia spagnola Air Europa Lineas Aereas proveniva da Madrid con a bordo 50 rumeni scortati da 90 poliziotti, un medico e un infermiere. Altri 20 rumeni, aspettavano d’imbarcarsi all’aeroporto di Roissy in Francia. La polizia dichiara che gli imbarchi, nel quadro dei rientri collettivi, si svolgono « senza incidenti ».
Ma la testimonianza delle vittime di queste espulsioni suona molto meno rassicurante. Nel caso di un altro volo charter che, il 25 marzo 2003, radunava senegalesi e abitanti della Costa d’Avorio, la polizia si era dimostrata ben poco attenta ai diritti fondamentali della persona. Secondo un testimone nigeriano, « ogni immigrato aveva un’etichetta numerata sulla schiena e sui propri bagagli ». E un ivoriano aggiunge, gli imbarcati « avevano del nastro adesivo sulla bocca ; erano ammanettati con le mani dietro la schiena e legati per i piedi ». Sembrerebbe dunque che il Consiglio Europeo ignori l’artcolo 4 del protocollo 4 della Convenzione Europea sulla salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, che non solo vieta ogni trattamento inumano o degradante, ma per di più vieta le espulsioni collettive degli stranieri.
(Diario, n°13/14, 9-15 aprile 2004)
(1)
Il 31 marzo 2004 il Parlamento europeo ha respinto l’iniziativa dell’Italia che domandava al Consiglio dell’Unione la realizzazione di espulsioni collettive, su scala europea, attraverso voli charter. Tale voto, però, non vincola effettivamente le politiche migratorie dei paesi membri e i singoli accordi tra di essi.