Meditazioni joxiane #4
di Dario Voltolini
Voglio ora riportare direttamente alcuni brani di Joxe. Si trovano alle pagine 103-106 del suo libro (terzo capitolo, intitolato Violenza e globalismo).
Considerando, a prescindere da qualunque teoria, l’epoca attuale come uno spettacolo, si percepirebbe immediatamente una gerarchia: si vedrebbero i regni e le repubbliche, più o meno minacciati da una blanda balcanizzazione, aggrappati ai piedi dell’impero del caos americano che li globalizza. I reucci, i nobili eroici o vili, i popoli sbalorditi, inquieti, talvolta indignati, osservano grazie alla televisione gli abominevoli massacri che colmano le coscienze del mondo intero di un sentimento di impotenza sempre crescente. Non che i massacri siano più numerosi di un tempo, ma la maggior parte di essi (non tutti) viene conosciuta ed esibita, come se si trattasse di minacce valide per tutti i popoli, o come una droga, simile ai giochi circensi condannati dai padri della chiesa alla fine dell’Impero romano.
Torture, violenze, mutilazioni, cadaveri a brandelli sono stati banalizzati dagli exploit dei vari Tudjman, Boban, Karadžić, Milošević o Putin, zar saliti al potere grazie a pogrom. In Israele-Palestina, apartheid, umiliazioni, lenta distruzione dell’identità dei vicini conquistati, ridotti allo stato di subuomini, sub-donne e sub-bambini, costituiscono i metodi più pazienti dei vari Netanyahu, Barak e Sharon. Nei continenti “poveri”, le tirannie militari o civili minacciano di stabilirsi di nuovo, dopo la cosiddetta fase della “transizione democratica”, fondando la propria legittimazione sull’eliminazione della legislazione sociale e sul fallimento economico. Lo spirito naturale di resistenza, ridotto all’impotenza a causa dell’estrema disuguaglianza della guerra asimmetrica, si rivolge verso il terrorismo, la cattura di ostaggi, la controcrudeltà.
Allo stesso tempo, come per antifrasi, si proclama l’avvento dei diritti dell’uomo: la futura Corte penale internazionale che si farà carico dei crimini contro l’umanità rappresenta in tale contesto una compensazione. Alcuni criminali saranno puniti, ma si è rinunciato alla prevenzione attiva dei crimini. Nel disordine, i diritti dell’uomo vengono dovunque violati, in quanto la loro protezione non è più regolata né dal centro dell’impero del caos, che anzi sabota gli interventi dell’Onu e rifiuta di firmare convenzioni internazionali cogenti, né dalle istanze politiche realmente sovrane, né dalle istituzioni competenti per la difesa del diritto internazionale, che risultano completamente disarmate. La violazione, in effetti, viene molto spesso delegata a commando di militari mascherati o di paramilitari assassini, servitori locali di una logica finanziaria mafiosa e deterritorializzata, e talvolta delle mafie globali prive di radici, un fenomeno, questo, del tutto nuovo.
Ora riporto alcuni passi su Israele e sulla funzione degli intellettuali oggi, secondo me molto illuminanti e purtroppo assai realistici. Non faccio alcun commento per ora, metto solo carne al fuoco. Nonostante questo, devo riconoscere che gran parte della mia visione del mondo è appunto una “visione” nel senso di “costruzione separata dalla realtà”. Nel profondo nucleo di questa mia visione, vuoi per educazione, vuoi per scelta, vuoi per storia, vuoi per qualunque altra condizione, esiste e opera un programma di “salvataggio di Israele” che non si lascia né sopprimere né modificare. Lo riconosco in me, e non lo ripudio. Ma certo che un conto è pagare un dazio alla propria sensibilità, alla propria psicologia politica, un conto è vedere le cose come stanno. Mi preoccupa questa nostra condizione. Quella cioè di persone che hanno dentro di sé le prerisposte e le prefigurazioni utilizzabili di fronte ai quesiti e agli scenari che si trovano di fronte. Frutto di possenti spinte introiettive, le nostre (generalizzo retoricamente: sto parlando delle mie, e sto considerando me come un animale su cui faccio un esperimento) visioni ideologiche sono pronte allo scontro con visioni ideologiche opposte, o anche solo dissimili, altrettanto introiettate. Tutto questo non conduce a nulla. Non esiste la possibilità di progredire di un millimetro confrontando e riconfrontando e facendo confliggere costruzioni introiettate che non hanno più nulla a che vedere con la realtà. Io mi tengo il mio programma di pathos protettivo nei confronti di Israele implementato nel profondo di me, ma non posso più riconoscere alcuna realtà alla visione che da esso scaturisce. Perché la realtà credo che sia piuttosto questa (riprendo a citare Joxe):
Le forme di repressione moderne, all’avanguardia, vengono perfezionate mobilitando le competenze “tecniche” degli eserciti occidentali. Un ruolo chiave, in proposito, è svolto da Israele, che sperimenta nuovi metodi sulla popolazione palestinese occupata militarmente contravvenendo a tutte le risoluzioni dell’Onu: bombe speciali a implosione (che non distruggono le case, ma “stordiscono” gli abitanti e rendono inutilizzabili le apparecchiature tecnologiche), distruzione di interi quartieri con i bulldozer (70 case, 700 persone in strada il 10 gennaio 2002), omicidi mirati di rappresentanti politici e sociali, uso semi-incontrollato di milizie organizzate dai coloni armati, blocchi stradali arbitrari e mobili.
Tutto ciò è destinato a uccidere o ad annientare psicologicamente un’intera popolazione civile. Lo scopo è quello di ottenere che la popolazione non desideri più che una sola cosa: la fine della repressione. Servirsi di una popolazione occupata come campo di addestramento per le possibili violazioni della Convenzione di Ginevra è una pratica che dura da più di trent’anni, con lo scopo di fare entrare nella consuetudine, in nome della lotta al terrorismo, la negazione del diritto di un popolo a disporre di se stesso.
La resistenza palestinese ha una lunga storia , ma può apparire come un fenomeno recente in quanto siamo passati a una nuova forma di mondo. L’invisibilità delle atrocità della strategia israeliana si spiega a partire dall’amnesia che si è costruita intorno a essa.. Si tratta di un fenomeno allarmante non solo per l’avvenire del diritto, ma anche perché costituisce parte integrante di un possibile scivolamento generale verso una nuova legittimazione dell’oppressione di tipo coloniale e fascista, che poggia allo stesso tempo sulla manipolazione delle informazioni e la violenza quotidiana dell’immaginario mediatico. Potremmo prendere allo stesso modo come esempio i massacri in Cecenia o in Colombia, che sono ancora più violenti e criminali e altrettanto protratti nel tempo. Ma la principale impressione che possiamo trarre da questa tragica deriva è che il disprezzo dei diritti dell’uomo, nel presente e a breve termine, rappresenta uno degli attributi della globalità imperiale.
Joxe continua con un piccolo ma importante salto tematico. Qui il discorso diventa secondo me importantissimo. Il succo e la morale mi pare che siano facili da capire, ma difficili da concretizzare. Occorre, in altre parole, una mutazione culturale. Io almeno la vedo così. Direi anzi che la vedo come una mutazione psico-culturale: non si tratta di una variazione dello spirito del tempo, che ci coinvolge tutti volenti o nolenti. No. Mi sembra che debba essere qualcosa di più igienicamente vicino alla singola persona, un processo che traccia una distinzione tra i volenti e i nolenti. Riprendo a citare.
È passato il tempo in cui, contro questo “fascismo globale” e i suoi piccoli servitori locali, gli intellettuali potevano limitarsi a fare appello alla superiorità dell’intelligenza e della ragione contro la brutalità della bestia. Diversamente, oggi è necessario mettere l’intelligenza al servizio delle forze capaci di combattere direttamente una dinamica globale che trascina il XXI secolo verso la generalizzazione dell’orrore.
Concludo per ora con questo paragrafo che mi sembra toccare in un unico movimento tutte le cose che sto cercando di dire sulle introiezioni, la consapevolezza, la visione ideologica, quella realistica eccetera. Un paragrafo importante, su cui tornerò varie volte.
Coloro che non vorranno guardare in faccia la realtà, possono continuare a far finta di niente. Se si ritroveranno a essere parte della spazzatura sociale globalizzata (come è successo alle classi medie argentine), alcuni potranno accusare se stessi di stupidità o di avere commesso errori strategici. Gli altri dovranno fare l’inventario dei mezzi per resistere a questa inumanità diffusa, forse ancora più grave, per via della sua estensione, della follia nazista che ha tormentato la mia infanzia con un incubo localizzato, che venne spazzata via in dieci anni.
Per stabilizzare una formazione politica è necessario fissare delle gerarchie. È possibile farlo, nell’impero del caos?
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Caro Dario, lo sconcertante silenzio che accompagna queste tue meditazioni la dice lunga, credo, sulla paralisi che molti avvertono (che io avverto) nell’individuazione di una via per uscire da quella dinamica globale luttuosa che qui si riconosce come innestata e causa di una prossima distruzione. Non so, questo post è più che altro un atto di presenza..
Vorrei poter cambiare qualcosa ma non so come fare.
Che fare?
Cosa dice Joxe del movimento no global? Scende ai ferri corti con quanto scrive la Klein?
Caro Jacopo, non c’è niente di sconcertante, credo. Scrivo le mie cose, sono a puntate, penso che uno aspetti il seguito prima di mandare un commento. Ci sono comunque dei post che non inducono commenti. Va tutto ok.
Quanto al contenuto, invece, devo dire che Joxe non è affatto un disfattista e proprio per questo lo sto (malamente) commentando io. Il suo non è un libro disperato, vedrai. Certo però che è un libro duro, perché lui è un esperto di cose militari ed è proprio da quel punto di vista che lancia l’allarme. Insomma, l’allarme dato da un pompiere è più preoccupante di quello dato da un poeta, se il punto della questione è l’incendio. Ma se il punto della questione è l’incendio, è bene che sia anche il pompiere a preoccuparsene, e non solo il poeta. Non trovi?
Credo ci sia un piccolo equivoco: non è sconcertante il fatto che nessuno posti, però io trovo comunque grave il fatto che anche analisi che mi convincono(quella di Joxe, appunto) non vadano molto oltre il riconoscimento di quelli che io chiamo anticorpi. Esempio: dire che siamo immersi in una miscela letale (non vorrei apparire disfattista, ma per me è così) di disinformazione che passa per una informazione globalizzata -meditazione 1- è solo un primo anticorpo per reagire a una situazione complessa, la cui gravità mi sembrava emergesse da queste tue riflessioni..Il fatto che pochi intervengano al riguardo lo leggo come il sintomo di uno spaesamento generalizzato, nient’altro. Una difficoltà, insomma.
Andrò a leggere il libro, comunque. Mi hai incuriosito
Il mio silenzio non è sconcertato ma disgustato: non sono interessato a meditare su brani come quelli riportati. Se per Dario il “programma di pathos protettivo nei confronti di Israele è implementato nel profondo”, per me è a fior di pelle: potrei meditare più serenamente su Mein Kampf, che almeno è roba vecchia e si conosce da tempo la pasta dell’autore.
Ecco, bravo Elio. Meditiamo sulle cose che sappiamo già.
Perchè, “quelle” considerazioni sarebbero nuove? Nuove perchè descrivono i nuovi modi di difendersi degli ebrei? Scusami, ma davvero, come dicevo, non riesco a trattare serenamente questi temi.
Davvero, l’unico motivo per cui mi sono intromesso era quello di spiegare a Guerriero che nessuna discussione ha senso se non c’è almeno una premessa condivisa. E di cosa dovrei discutere, in una colonna di commenti, con chi trova naturale definire oppressione quella che io chiamo legittima difesa? Dovremmo risalire indietro per secoli, fino a Adamo ed Eva, accapigliandoci su tutto.
Contrariamente a quello che credono in molti, non tutto è risolvibile attorno a un tavolo, specie se digitale. Io non posso, nel quarto d’ora che mi resta prima dell’appuntamento con gli amici al bar, passare dalla sacrestia e convincere il mio parroco che Dio non esiste (o, almeno, convincerlo ad ammetterlo).
Qui ci si accapiglia sulle virgole davanti a temi ampiamente condivisi e voi volete che mi infili in una rissa senza speranza?
Perchè parli di una rissa senza speranza, Elio? Le riflessioni di Dario su Joxe non mi sembrano diano risposte, ma sollecitino nuove domande. Io non ho più certezze, le mie convinzioni saltano, e un ragionevole dubbio si insinua. Forse la premessa condivisa è proprio il fatto di aprirsi a nuove chiavi di lettura a proposito di temi che come dice Jacopo lasciano spaesati. Tu dici che non puoi passare dal tuo parroco a convincerlo che Dio non esiste, tu sei sicuro che Dio non esiste? Hai questa certezza, beh è ovvio che con questa premessa non può aver luogo un confronto ma una rissa. Ecco io non sono polemica con te, mi sento molto confusa e mi chiedo come sia possibile che un popolo possa esercitare il diritto di disporre di se stesso quando viene deprivato dell’acqua o della possibilità di uscire dai ghetti che sono stati creati. Durante il mio viaggio in Israele nell’agosto del 2000 ho visto e intravisto cosa poteva succedere di lì a una settimana. Non è per niente semplice, non solo prendere posizione ma farsi un’opinione. Una cosa è sicura ed è che l’informazione delle cose come stanno non passa. Questo te lo posso assicurare, dopo esserci stata, è l’unica certezza che ho. E’ tutto così complesso, stiamo a vedere le conclusioni a cui arriva Joxe…
Capisco, Gabriella, che la posizione di Dario è problematica, che tu sei confusa, che, insomma, voi avete la disposizione d’animo giusta per leggere quella roba e interrogarvi. Io, semplicemente, non ci riesco.
Non è che io non mi interroghi sul problema, anzi. Solo mi piacerebbe riflettere a partire da qualcosa di più serio. Giusto per farti capire che la cosa mi preme, incollo un articolo che ho pubblicato qualche mese fa.
“Comincerà domani, alla Corte internazionale di giustizia dell’Aja, la discussione sulla legalità del Muro che il governo israeliano sta costruendo “per isolare e ghettizzare la popolazione palestinese”. Ghettizzare la popolazione palestinese. Proprio così: questo è quanto recitano senza vergogna fior di siti progressisti.
In occasione del Giorno della Memoria, Giorgio Israel constatava l’antisemitismo per reazione che colpisce i liceali di ritorno dalla gita a Auschwitz: “Questi viaggi o si preparano con la dovuta accuratezza e consapevolezza storica, oppure il rischio è che i ragazzi si domandino: ‘Perchè proprio agli ebrei è successa questa cosa tremenda?’, e non sapendo come rispondere si convincano che qualcosa di male l’avranno dovuta pur fare”.
Viene da sorridere di fronte a un ragionamento così semplicistico, tipico, si direbbe, di menti non ancora formate. Ma lo stesso giorno questo discorso me lo ha fatto un adulto che non era neanche andato in gita. Il sorriso mi si è spento sulle labbra. Quanti, ancora, si adagiano in questo automatismo mentale? E quanti, vedendo in tv cortei di palestinesi col sangue agli occhi o leggendo del “martirio” dei kamikaze, fanno un ragionamento del tutto uguale? E cioè che gli israeliani devono per forza aver fatto a questa gente qualcosa di atroce? Se non si fossero macchiati di chissà quali colpe, questa è l’impeccabile deduzione, a nessuno verrebbe in mente di farsi esplodere sui loro pullman. Quanti, anche tra quelli che sorridono di fronte alla domanda dei liceali, sono capaci di respingere questa, di logica?
Più mostruosa, più assurda, più immotivata è un’aggressione, più si va alla ricerca delle colpe dell’aggredito. E’ come per certe ragazze stuprate: evidentemente provocavano. E per decenni se ne sono convinte anche loro. Credo che gli stessi ebrei si siano fatti questa domanda, magari cercando un colpevole tra i correligionari. Chi viene fatto oggetto di un’aggressione finisce per convincersi di averla davvero provocata. La mano del carnefice finisce per sembrare la mano di Dio. Molti sopravvissuti si vergognavano – oscuramente – per questo.
Nelle commemorazioni si punta il dito, naturalmente, contro i nazisti, e in secondo luogo, a seconda del grado di onestà intellettuale e di colore politico dell’officiante di turno, contro i fascisti italiani, o anche soltanto sui repubblichini. Quasi mai si tirano in mezzo i francesi, che riescono sempre, elegantemente, a chiamarsi fuori, a fare la parte dei paladini della tolleranza, loro che prima di collaborare ampiamente allo sterminio nazista hanno dato un bell’esempio con il caso Dreyfus. E mai si accenna ai paesi arabi e alla loro naturale alleanza con gli hitleriani: i partiti baathisti nascono su ispirazione nazista e i famosi “soldati di Hanjar”, uno speciale reggimento bosniaco di Waffen SS, macellarono il 90% degli ebrei della Bosnia e bruciarono chiese e villaggi Serbi, meritandosi gli onori del capo SS Heinrich Himmler, che decretò la formazione di una speciale scuola militare di Mullah a Dresda (il muftì di Gerusalemme che reclutò i soldati di Hanjar, il famigerato Al-Husseini Haj Amin, era zio di Yasser Arafat, che nascose la sua parentela cambiando nome all’atto dell’iscrizione all’Università del Cairo).
Storia passata? Non del tutto, se Carlo Panella in una lettera aperta del mese scorso ha dovuto rimproverare Umberto Eco perché nella rinata Biblioteca di Alessandria (del cui Board of Trustees fa parte, appunto, Eco) è in bella mostra (insieme ad antichissime edizioni dei Vangeli e a un antico testo della Torah) la prima traduzione in arabo dei Protocolli dei Savi Anziani di Sion, e che ve ne sono molte altre senza nessuna introduzione o annotazione che segnali trattarsi di un falso prodotto dalla polizia segreta zarista.
Ma c’è ben altro. C’è un fenomeno di fronte al quale l’educazione “ariana” dei giovani tedeschi degli anni trenta sembra un corso di cucito e sul quale Carlo Panella ha pubblicato un libro ben documentato, “I piccoli martiri assassini di Allah”: l’indottrinamento antiebraico degli asili e delle scuole arabe, in particolare palestinesi. Libro sepolto dal fragoroso silenzio di un giornalismo in cui si parla per mesi di qualsiasi librino.
E quanti hanno visto, il primo martedì di questo mese, il doppio paginone a colori che Il foglio ha sventolato contro l’ipocrisia? Perché della Shoah, ormai, le immagini si son viste e straviste, ma dello sterminio quotidiano degli israeliani non si vede nulla. Giusto pudore, certo, e doveroso rispetto per le vittime. Sono immagini disgustose, pubblicarle espone all’accusa di sciacallaggio voyeuristico. Ma l’asettico conteggio degli ebrei morti si scontra contro carrettate di immagini sulle vittime palestinesi. E allora bene ha fatto Il foglio a sbattere in prima pagina (metaforica, perché si trattava della quarta e della quinta) un campionario di macelleria, carcasse umane, quarti di adolescenti, membra di bambini ebrei. Chissà che non sia riuscito davvero a far riflettere gli intellettuali correttamente schierati che si angosciano per la costruzione del muro di protezione e promuovono azioni internazionali contro la “sciagura” della barriera difensiva. Che si stracciano le vesti davanti al Negazionismo ma non si accorgono di un macello fresco fresco come quello che costringe gli ebrei, tanto per cambiare, a rinchiudersi in un ghetto. Già, perché, contrariamente all’interpretazione comune, quei reticolati, prolungando i confini con gli altri paesi arabi, non rinchiudono i palestinesi, bensì gli ebrei. In un ghetto dal quale non potrebbero mai uscire, avventurarsi oltre. Un ghetto sui generis, combattivo come quello di Varsavia e addirittura capace di sortite e contrattacchi. Ma pur sempre un ghetto”.
Guarda che sono d’accordo con quanto hai scritto qui sopra, pure io innorridisco di fronte alla morte a prescindere dall’ideologia che guida i portatori di morte, ma a me sembra che Joxe faccia un salto più in là di tutte le considerazioni sugli indottrinamenti. Perchè gli integralisti israeliani non indottrinano pure loro, nelle loro scuole? Sì, lo fanno anche loro. Joxe, mi sembra tenti un’analisi allargata, sul concetto di potere, di democrazia, insomma un’analisi sulle dinamiche a livello mondiale(vedi il post nr 5).