Quattro poesie
di Luigi Socci
Di proprio pugno
Mi scrivo una tua lettera
finché dura la mano
finché mi regge il pugno, finché stringe,
finché so l’italiano.
Come consolazione o per rivalsa
mi scrivo una tua lettera
falsa.
Mi scrivo di mio pugno
(la grafia non è mia)
senza fare la brutta
copia, senza bisogno
di sprecare saliva
per chiudere o affrancare.
Mi scrivo una tua lettera.
Poi te la faccio firmare.
* * *
Certi rovesci
Il vento aspira l’aria, non la soffia,
e lascia i corpi sparsi sottovuoto.
La foglia rimbalza in cima all’albero
la primavera retrocede a gambero.
La pagina si sbianca
l’inchiostro è risalito nella penna
(bel risparmio)
Il fumo scende nella sigaretta
tornata intatta
come mamma l’ha fatta.
Fumo di meno ed ho il pacchetto pieno.
(Tutta salute)
E il morso che rinsalda ogni boccone
la merda a riavvitarsi su nel culo.
Dora è aroD, Maria airaM,
Paola sarebbe aloaP sottosopra.
Ma Anna all’incontrario è sempre Anna.
Rovescio del dolore, il suo discuore.
Allegri! Oggi si muore.
* * *
Immobiliario
Le reliquie venerabili di un pollo
incollate da giorni al proprio piatto.
Dentro la lampadina il ghirigoro
che produce la luce è mezzo rotto.
Ronzano mosche di questi tempi
fuori dalla stagione delle mosche
in orbite piene di contrattempi.
Dalle patate i getti
si diramano in cerca
degli umori dell’aria.
Oggi non so le cose importanti
ma tutte le altre a memoria.
* * *
Seratina
Non mi chiamate più, vi prego
di non selezionare
il mio esistente numero, di non
farvi vivi via fax.
Piccioni eventuali viaggiatori
vi saranno azzoppati.
State alla larga, sciò,
pussate via.
A dischiudersi tanto
di botto o a lente crepe
si fa sempre a tempo.
Stasera sarà un pianto
di terra, di cuscini
smangiati ai bordi,
di scarpa destra al piede
sinistro e viceversa,
di maglia col davanti
di dietro, di controllo
perduto dei calzoni,
di etichette di fuori,
di fili penzoloni.
__________________
da “Poesia contemporanea – Ottavo quaderno italiano”, a cura di Franco Buffoni, Marcos y Marcos, 2004.
I commenti a questo post sono chiusi
Anche questo era uno degli interventi pubblicati ieri e poi misteriosamente spariti.
Ho dovuto cambiare immagine, perché l’altra (la copertina dell’Ottavo Quaderno di Poesia Contemporanea, a cura di Franco Buffoni, edito da Marcos y Marcos) si visualizzava difettosamente.
Mi scuso con i lettori e con Luigi Socci, ma questo piccolo guaio non dipende da noi.
Ah, e poi rispetto a ieri ho cambiato l’ordine delle poesie, mettendo in cima quella della lettera falsa, che era piaciuta a Franz Frauspenhaar, come scriveva in un commento ahimè perduto.
No problem, Tiziano, figurati.L’ultima poesia, diventata la prima, m’era particolarmente piaciuta; ma anche le altre, a rileggerle, non le sono da meno. Complimenti davvero a Luigi Socci; che secondo me fa quel tipo di poesia falsamente svagata ma in realtà molto, molto profonda che a me piace moltissimo.
Sì Franz, la sostanza di questi versi è una pensosa leggerezza. C’è leggerezza non solo nel tono ironico ma anche nel ritmo, che gli si adegua. Direi che in Socci c’è molto Palazzeschi (non solo nella forma, ma anche nel messaggio: si confronti il finale di “Certi rovesci” – invito a sorridere di tutto finanche della morte – col manifesto del “Controdolore” palazzeschiano, con l’invito anche qui a ridere di tutto, a organizzare i funerali come party, i cimiteri come sale da festa ecc.)
Mi piace la battuta a denti stretti, come sospirata di “Certi rovesci”, con quelle parentesi che, a pronunciare internamente o a voce alta il testo, danno – non è vero? – il senso concreto dell’oralità. Una leggerezza, inoltre, che non manca d’impastarsi di richiami letterari. La chiusa di “Certi rovesci”, infatti, rimanda evidentemente al celebre verso del poeta dialettale Delio Tessa: “L’è el dì di mort, alegher!” “E’il dì dei morti, allegri!”
Qui la condizione alienata e lacerata dell’io lirico viene denunciata con gli strumenti dell’ironia e dell’autoironia, dunque con un abbassamento del tono e un rovesciamento delle modalità di reazione dell’individuo considerate “normali” (il titolo “Certi rovesci” mi sembra particolarmente significativo).
Di fatto una “ragionevole” autoironia è bene accetta dalla nostra cultura: è considerata intelligente, à la page, anzi minaccia perfino di diventare pervasiva. Ci si potrebbe allora chiedere fino a che punto è ancora dissacrante (dissacrante anche nei confronti di un “poetico” giudicato anacronistico) e fino a che punto rappresenta invece la “norma” socialmente condivisa.
In queste poesie si sente comunque una forza tutta particolare, specie quando l’ironia diventa feroce nero sarcasmo.
Emma, guarda che ti ho visto! Sei passata come un rullo compressore su tutti gli ultimi post di poesia. Ti stai dando alla critica letteraria?
No Malatesta, cerco solo di contraddirti :-)
Bravo Luigi Socci.
Molto belle le poesie di Socci. Complimenti.
Cara Emma, secondo me la questione dell’autoironia è centrale in politica oggi. Siamo individui disarmati, e i poteri che agiscono in base a maggioranze di consumi, di audience, di sondaggi, tendono a disarmare ancora di più gli individui ANCHE con l’ideologia (mascherata da bon ton sociale) della autoironia. Si chiede di presentarsi in società con dichiarazioni reiterate di autoironia, di modestia. Ne ha scritto proprio su questi schermi Carla Benedetti. Oggi essere eretici è credere in ciò che si fa, prendersi sul serio. C’è tutto un galateo sociale e mediatico che accusa di narcisismo e presunzione le persone che prendono sul serio ciò che fanno: secondo me questo galateo agisce di fatto come un’agenzia ideologica oppressiva che mira ad annientare l’individuo e la sua parola irriducibile.
Detto questo, le poesie di Socci potrebbero essere viste anche in tutt’altro modo. Prova a immaginarle lette da una voce cupa. Così come Palazzeschi: se invece che da (peraltro eccelso) Paolo Poli, fosse stato recitato da Carmelo Bene… Malatesta cita giustamente Palazzeschi, ma non lo seguo più quando fa di Palazzeschi un poeta pensosamente leggero che invita a ridere di tutto. Palazzeschi è un poeta tragico. L’invocazione a Dio perché gli trovi un nascondiglio FUORI DALLA NATURA, nel finale dei “Fiori”, è una delle cose più tragicamente potenti che siano state pronunciate dal genere umano. Non si è leggeri nemmeno in questi versi di Socci. Leggeri sono I TOCCHI DI COLORE, sì, come nella pittura di De Pisis, ma il quadro è livido. “Allegri! Oggi si muore” è detto per festeggiare la vita al contrario: per festeggiare L’IMPOSSIBILE. Quindi per restare in lutto davanti al reale. Tutta la poesia racconta di un mondo dove le cose succedono alla rovescia, il tempo scorre all’indietro: in un mondo così si sarebbe contenti di morire… E’ il rovesciamento dell’irreparabile, della morte. Ma il poeta lo sa che è impossibile,la sua allegria è nerissimo rammarico. Ecco, parlerei, a tratti, di humour nero, più che di leggerezza o di autoironia.
se posso dire, sollecitato da emma e da queste poesie molto belle, ma parlando da profano con spirito del trapezista: credo che il punto della poesia non sia poi essere o non essere ben accetta alla nostra cultura, essere avanti o essere indietro, rompere o non rompere, essere nel punto giusto o in quello sbagliato, e semmai essere sì nel punto giusto ma solo per errore (come le mosche fuori stagione di Immobiliario, cose poco importanti che si sanno a memoria, come una poesia). Come non credo che qui vi sia esattamente ironia, ma la maschera dell’ironia, il suo avvitamento. Il punto della poesia, secondo me, è se si compie o meno quell’avvitamento, quell’ossessione a un tempo di parole e di corpi (del corpo della parola alla fine). In qualsiasi punto, giusto o sbagliato, maggiore o minore, su cui venga applicato. La forza e la leggibilità di queste poesie può derivare allora da questa tensione, molto ben applicata a mio parere grazie all’uso del ritmo, di rime e assonanze, a una musicalità secca e sghemba, ma precisamente sghemba, che rende sensato quel dolore che non vuole darsi, quel erolod, che si dirama pallido e non invitato come getti di patata dalla pagina. C’è sempre tempo per essere innovativi, meglio scrivere bene, secondo me. :)
tiziano, abbiamo postato a 25 secondi di distanza, con tutto il giorno a disposizione :-))
Sì, Tiziano, è chiaro che un finale come “Allegri! oggi si muore” non può che essere all’insegna dell’humour nero e la leggerezza grave e pensosa (correggo il tiro) di Socci è a tratti – ma non sempre e comunque bisognerebbe leggere qualche altra poesia per formulare un giudizio un po’ più globale – tragica. Quanto alla leggerezza di Palazzeschi, essa o è dissacrante – soprattutto quella del primo – o, ne convengo, anche un po’ nera, triste, da pierrot. Certo il Controdolore (siamo al primo Palazzeschi) ha toni e immagini – i funerali come feste, la morte tutta da ridere ecc. – a cui Socci si avvicina, oltre al gusto per il paradosso, l’arguzia e una leggerezza, come ho detto, anche dei versi e delle parole – pensiamo al vocabolario piano, basico di Palazzeschi e alla dizione semplice e ingenua di Socci, secondo me uno dei pregi maggiori di questa poesia, antinovecentesca nel senso pasoliniano…
Inoltre in questo piccolo mannello di poesie, mi sembra che il “rovescio”, come indica emma, sia proprio una nota centrale. Oltre che nella poesia “Certi rovesci” – emblematica sin dal titolo – il ribaltamento del normale con annesso gusto del paradosso e dell’adynaton compare anche nelle altre poesie: scriversi una lettera altrui, ricordare a memoria le cose “da non ricordare” cioè non importanti, starsene con “scarpa destra al piede / sinistro e viceversa, / di maglia col davanti / di dietro, di controllo / perduto dei calzoni, / di etichette di fuori, / di fili penzoloni”. Tutto – cioè la realtà e la norma – qui è ribaltato, rovesciato, cambiato di segno.
Ma forse, più che a Palazzeschi, Socci può essere accostato al compagno e sodale di Palazzeschi, altro passeggero del crepuscolarismo, cioè Marino Moretti, soprattutto l’ultimo Moretti, quello del Diario senza le date e delle Poverazze. Vi posto un testo molto carino, col quale la poesia di Socci ha certo toni e stile molto vicini.
Noi siamo in quattro
vecchi, sì, tutt’e quattro:
io, la sorella, la Tonina e il gatto.
Primo a morire, stamattina, è lui.
Piccolissimo “fatto
del giorno”: non l’umano, ma il felino.
Anche questo è destino:
è passata la morte e ha scelto il gatto.
C’è un modo di trattare questioni come la vecchiaia, la morte e soprattutto la paura della morte (ironicamente esorcizzata) in questa poesia che, secondo me, ne fanno un piccolo gioiello.
L’autoironia, soprattutto sugli schermi, sta diventando una buffonata… Si, sono d’accordo. Esempio televisivo: da quel bietolone di Massimo Giletti, nel suo mortifero e mortificante programma pomeridiano, ho visto tempo fa 1 critico letterario, filosofi, poeti vari. Ebbene, la cosa è stata penosa, a mio modo di vedere il video. Il critico parlava se non sbaglio di Leopardi e intanto la sguinzia valletta girava attorno forse nei panni di Silvia… I poeti facevano battute più che altro spinti dall'”arguzia” del conduttore, che secondo me, più che altro, dovrebbe condurre i treni. Io personalmente amo molto l’ironia e l’autoironia, nella vita come nell’arte. Poi è spesso un problema di toni, come diceva giustamente Tiziano: le poesie di Socci recitate da Bene risulterebbero diverse (forse più vicine allo spirito del poeta?)rispetto a un’interpretazione sghimbescia dell’ottimissimo Paolo Poli. Ora, la seriosità è un male assoluto, come il nazismo. Però questo frullare tutto senza ritegno, questo sovrapporre il lazzo alla cosa seria senza spiegazioni, senza soluzione di continuità, senza snodi di montaggio, beh, questo è (quasi) anch’esso, un male assoluto.L’ironia è difesa ma a volte è offesa, o meglio sminuizzazione del lavoro altrui, banalizzazione sottile ma profonda. E’ pur vero che un mondo senza ironia sarebbe un mondo terrificante, ma qui credo di sfondare porte spalancate. Sarebbe un mondo nel quale le poesie di Socci, di Palazzeschi, di un tedesco come Erich Kaestner o certe ultime cose erotiche-sentimentali di Grass non avrebbero diritto di cittadinanza, sarebbero assurde. Senza l’ironia la tragedia sarebbe troppo nuda, intollerabile. L’ironia, in qualche modo, è una pelle pelosa…
Mi associo
Anzi mi dissocio: mi associavo all’apprezzamento di Socci dei pochi post che vedevo, poi se ne sono miracolosamente aggiunti altri, che toccano una questione importante. Forse troverò il modo di dire qualcosa di interessante sull’ironia. Per ora manifesto il mio dissenso da quella che sembra essere la linea nazionindianesca.
Cari Scarpa, b. georg e Malatesta, il mio discorso si ricollega anche ad alcune riflessioni che ho fatto (e postato) sulle poesie di Antonio Trucillo e Vincenzo Bagnoli.
La cosa che mi ha colpito – nei tre poeti – è il diverso rapporto con il “poetico”.
Devo poi dire che più rileggo queste poesie di Socci e meno le trovo “leggere”. In effetti io ho parlato anche di sarcasmo nero e feroce, che è molto diverso dall’autoironia “ragionevole”.
Quanto ai “padri”, mi viene da pensare a qualcuno di meno lontano nel tempo.
A parte Cattafi (citato da Andrea Inglese in un commento ora scomparso), che conosco molto poco, a me viene in mente (e le associazioni non sono sempre del tutto giustificabili sul piano razionale) questa poesia di Beppe Salvia, assolutamente e totalmente tragica:
Adesso io ho una nuova casa, bella
anche adesso che non v’ho messo mano
ancora. Tutta grigia e malandata,
con tutte le finestre rotte, i vetri
infranti, il legno fradicio. Ma bella
per il sole che prende ed il terrazzo
ch’è ancora tutto ingombro di ferraglia,
e perché da qui si può vedere quasi
tutta la città. E la sera al tramonto
sembra una battaglia lontana la città.
Io amo la mia casa perché è bella
e silenziosa e forte. Sembra d’aver
qui nella casa un’altra casa, d’ombra,
e nella vita un’altra vita, eterna.
Le poesie di Socci – al di là delle effettive intenzioni – sono riuscite, vanno a segno, fanno pensare e discutere.
Saluti a tutti.
Emma
P.S.: Un’ultima considerazione. L’autoironia “adesso” è la “norma”, non lo era ai tempi di Palazzeschi; lo era molto meno di adesso anche quando Giudici (altro grande poeta ironico) pubblicava le sue opere più importanti.
Comunque ironia e autoironia sono molto presenti nella poesia italiana degli ultimi 40/50 anni…
Che ne dite di questa? (Anche se non è italiana).
ERNST JANDL
POESIA DELLA BUONA NOTTE
(alitata)
s–
s–c—-h
hue
u—
o—
a—
l—
(i)s—-c—-h
s—
hu–
(u)s—-c—-h
f—
b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b-b
bs–
(per friederike mayroecker)
Bah, non so…
La leggerezza c’è, si tocca con mano. E’ una leggerezza di tono, o meglio un abbassamento di tono, che giustifica anche da sola l’accostamento a Palazzeschi e soprattutto a Moretti, e in generale al crepuscolarismo. C’è anche una leggerezza musicale – quelle di Socci non sono forme metriche chiuse ma neanche versi da andamento prosastico, c’è un continuo duellare o duettare dei metri – e c’è una leggerezza, come ho detto, lessicale. La lingua è piatta, basica, fortemente antiletteraria e antiretorica (“sciò, pussate via”). Forse per questo, nel gioco delle ascedenze e influenze, potrei benissimo additare la Szymborska, poetessa polacca e nobel per la letteratura. La leggerezza, l’ironia, l’antiretorica sono tutti tratti salienti della sua poesia. La leggerezza c’è, cara emma, anche se a tratti tragica: il tema può essere anche la morte, ma è evidente che Socci non tratta l’argomento con solennità e gravezza, ad esempio, foscoliane. La leggerezza c’è.
Quanto a Cattafi, direi che Andrea Inglese, il cui commento non ho letto, ha visto bene. Certo, mancano la virulenza, le punte espressionistiche, il senso dell’inquietudine quasi kafkiano e anche una maggior tornitura della parola che si respirano in Cattafi, ma c’è l’ironico, il ridicolo, il surreale anche, e un’ironia che in Cattafi è sempre amara, malinconica, se non disperante o inquietante. Tutto cattafiano, poi, lo scontro cercato col lettore (Socci: “sciò, pussate via”, Cattafi: “la mia penna / te la tiro in faccia”).
P.S. Comunque, ho letto che nell’ottavo quaderno Socci è presentato da Nove. E’ lui lo sponsor e il tramite, vero Tiziano (torno a fare un po’ il Maligno, montinariamente)?
Franz, appena ho intravisto la poesia da te postata ho pensato che il sito stesse andando di nuovo in tilt.
Elio, che aspetti a farti sentire, contro l’uniformità di giudizio nazionindianesca? Per favore, salvami. Qualcuno, qui, mi ha dato ragione, ed è quanto basta perché per farmi ritenere di essere nel torto…
In effetti, Mala, il poeta Jandl dev’essere andato in tilt a suo tempo. Ne posto un’altra dello stesso autore, dimmi per favore cosa ne pensi.
CANTO D’ESTATE
siamo gli uomini sui prati
presto saremo uomini sotto ai prati
e diventeremo prati, e diventeremo foresta
e questo sarà un sereno soggiorno agreste
Anch’io attendo l’intervento di Elio, l’arrivano i nostri!…
Penso che è una bella poesia. A dire il vero il tema della morte affrontato in questa maniera (l’uomo che va sottoterra, dalla sua morte nascono i fiori ecc.) è un po’ abusato, ma qui lo stile – leggero, appunto, come piace a me, molto molto sobrio – merita molto. Poi, tanto per rimanere in tema, anche qui c’è rovesciamento: la morte è un “sereno soggiorno agreste” e questa poesia sulla morte è intitolata “Canto d’estate”. Non c’è né tragico né ironico in questa visione della morte (e neanche Dio, la morte è comunione con la Terra e la Natura): c’è una serenità limpida, solare.
PS. Comunque, quella di prima era una poesia “fonica”, probabilmente risente di influenze dadaiste. Comunque, mi ha convinto Franz: alla prossima, Jandl me lo compro e me lo leggo (non volevi convincere nessuno?).
No, Mala, non volevo convincere nessuno. Semmai sei tu che hai convinto me! E’ davvero serena questa visione della morte, si. A me è capitato di essere sereno al camposanto. Molta gente ci va per tirarsi su, non dico niente di originale nè di ironico.
Da quello che ho letto Jandl è uno che riduce il linguaggio a “oggetto”, nel tentativo di dare alle parole poetiche una specie di nuova innocenza. Così a grandi linee. Si, l’altra è fonica, dev’essere dei primi anni 60, è assoutamente come dici tu, risente di influenze dadaiste. Grazie.
P.s.: quand’è che ci svelerai il tuo vero nome? ;.))
Scherzavo, naturalmente, e comunque non ci sarebbe stato nulla di male…
Quanto al mio nome, se ti dicessi mi chiamo Tiziano Scarpa …?
questo ottavo quaderno sarà distribuito in libreria? si trova a bari, fra feltrinelli e laterza?? chiedo molto terra terra, f.buffoni è sempre meritorio, con la sua attenzione alle nuove voci, e un’occhiata vorrei darla, un salto in treno lo si potrebbe anche fare, direi lunedì (e magari le trovo chiuse!). malatesta, chi sei, sarai mica santino? ma no, lui è siculo, tu dici di essere pugliese.
se può interessarvi, di socci ho trovato questo: http://www.scrittinediti.it/scritti03.htm
Potere di internet…
Franz, le tue considerazioni su Giletti mi sembrano spocchia da intellettuale tafazzista.
Ti vedo con la bottiglia a dartele sui tuoi attributi da uomo.
La poesia non interessa a nessuno, a chi la scrive, a chi la pubblica, forse anche a chi la legge.
Dimmi quante recensioni hai trovato sui quotidiani nell’ultimo anno ?
Quanti poeti hai visto in tv ?
E via discorrendo.
Giletti è uno antipatico assai ma ha dato ( o meglio gli autori del programma)visibilità ad espressioni letterarie ed artistiche altrimenti dimenticate.
Roba da accademici finanziati.
Non mi sembra scandaloso che questo venga proposto in un contesto di puro intrattenimento, anzi, al contrario, trova il modo per poterlo rendere più fruibile.
Il resto è spocchia da intellettuali (?) che auspicano la silenziazione alla comunicazione.
Conosci un modo migliore per poter parlare di poesia?
Spero di non sentire la solita tiritera: un programma duro e puro, con 2 nottambuli che lo guardano.
Questo è il problema, a chi arriva la proposta?
L’unica volta che l’auditel ha registrato “0” è stato mentre Bertolucci (poeta solo per aver dato vita a Bernardo) leggeva le sue poesie nel lontano 1994.
Lunga vita a tutti i giletti che parleranno di poesia in tv.
Ops! Dimenticavo.
La poesia in tv è vista come il color viola inauditamente indossato dalle vallette: uccide il programma. Porta jella.
Giletti, che parla di poesia (uèllà) ha quasi raddoppiato gli ascolti.
Le tette ed i culi che c’erano fino a pochi mesi fa non davano le stesse garanzie.
Forse bisogna chiedersi come far arrivare al pubblico una nuova proposta.
Se si vendono più libri di poesia con giletti, e non quelli finti che adesso propone il Corriere,
tanto meglio.
Ed è questa la novità, oltre a prendere il regalino con un giornale, ci sono persone che comprano libri di poesia, Calabrò ha già esaurito la prima edizione dopo soli 2 passaggi televisivi.
Tra Giletti e Costanzo, oggi scelgo il primo.
Sono appena tornato da una serata abbastanza divertente e non ho bevuto (quasi) un goccio!… Non vorrei si pensasse che sono un alcolizzato!… Parli di una bottiglia sui miei attributi!…
Pensa che non mi considero neanche un intellettuale. Uno scrittore si, però.
Quello che racconti sugli ascolti di Giletti è musica per le mie orecchie. Nel senso che non pensavo che le sue uscite portassero a vendere più poesia. E dunque anch’io, tra Giletti e Costanzo, a questo punto scelgo il primo.
Però la tiritera la faccio eccome: vorrei dei programmi tipo “Apostrophe” di Bernard Pivot, roba seria, verso le 10.30 di sera per non urtare i palinsesti di merda, mi accontenterei di un Pivot che fa canestro tutte le settimane. Giletti ha fatto vendere (non lo sapevo) e ne sono felice, altro che cazzi. Non sono certo quello che sputa sul successo degli altri, anzi! Se poi dovessi avere successo anch’io ne sarò ancora più felice, e avrò la bocca ancora più secca… per l’emozione…
Però l’anno prossimo Giletti magari farà fagotto, o meglio i suoi autori. Cioè Enza Sampò, donna assolutamente in gamba, ex fidanzata di Eco se non ricordo male. Dev’essere lei che ha pensato di proporre la poesia in tivu, mi sbaglio?. Dunque quello che tu dici lo condivido, ma siamo sempre alle solite: dobbiamo sperare nell’eccezione, nell’intelligenza e sensibilità di una Sampò. Per il resto siamo camionisti tedeschi che guidano nella nebbia di Klagenfurt.(Mi piace il suono…)
La verità è che da noi si preferisce come sempre la strada più semplice.
Eppoi Calabrò, come tu dici, ha venduto un sacco, ma tutti gli altri? Ovvio che Giletti non possa ospitare tutti i migliori poeti italiani; ma insomma, siamo sempre nel contesto di una specie di lotteria.
Si, le recensioni, è vero. Il problema è (anche) che ce ne sono fin troppe di libri inutili, correggimi se sbaglio. Che fare? Sperare sempre nell’eccezione? E nei giornali perchè sempre quest’ingolfamento di recensioni di libri inutili? Cosa c’è che non va?
Cosa c’è dietro l’angolo? (Maurizio Costanzo).
Cari Mala e Franz, la faccenda ironia è seria (e non è centrale solo in questo sito, vedi Genna). Forse è l’unica vera questione letteraria oggi sul tappeto, mette in discussione un sacco di cose, moderno, postmoderno, antimoderno. Ci vorrebbero almeno quattro cartelle. E tante, tante birre.
Franz, il mio “intellettuale(?)” non era caustico ma semplicemente una richiesta, non conosco tutti, o meglio non riconosco tutti solo dal nome.
Il discorso dei giornali sarebbe troppo lungo, e, personalmente, faccio una gran fatica a scrivere.
Scrivono di tutto, basta pagare (sic!) o far parte del giro giusto.
Se qualcuno necessità di un gran figlio di p… nel senso più ampio ed intelligente del termine consiglio Amedeo Bruccoleri, già Castelvecchi, Minimum FAx, penso sia il migliore addetto stampa ( e non solo) in circolazione.
Alla prossima.
L’avevo capito che non eri caustica; sul giro giusto e basta che paghino ero al corrente. Ma sulla poesia in televisione dici niente. A me vedere quelle scenette ha fatto un pò pena, sinceramente. Va bè, alla prossima.
Caro Luigi,
ho ricevuto il quaderno e grazie. Prima che un mio commento e altro sparissero dal sito per imperscrutabili bizze del net, dicevo due mezze cose sulle tue poesie. Che messe assieme ne fanno una. Mi unisco dunque al tripudio che precede, e anch’io in forma prevalentemente esclamativa: bravo!!!! Aggiungo che trovo fascinoso l’andamento claudicantemente dinoccolato del tuo verso, che poi d’improvviso taglia e ferisce.
stato a bari, bella la feltrinelli (come quella di firenze, ma anche a pisa si sta bene nel giardinetto), trovato il quaderno e leggiucchiato seduto al centro del locale; io non so che succederà da qui a 15-20 anni ma l’unico interessante m’è parso tommaso lisa, se riuscirà a non farsi irretire da frascaismi e assortiti vari: un bravo fiorentino -anche manierista- a restituire l’aristocrazia supponente della città d’arte per eccellenza.. ricordo una sua silloge su atelier n.23, chiamata “galleria”, che andava in questo senso. trovate anche varie riviste di quelle cool, varia letteratura e umanità. poi, ovviamente, ho acquistato roba in laterza, ma qui si entra in discorsi altri… :-D