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Sette poesie

di Antonio Trucillo

cno.gifRingrazio Diego De Silva che mi ha inviato queste poesie. (T. S.)
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Mi chiama.
Mi parla della finale
delle canoe di oggi pomeriggio
ed io, perché è domenica,
gli dico una bugia, che vado a mangiare
a casa di un amico,
ché sennò diventa così triste
a sapermi a mangiare
tutto solo.

* * *

Anche se gli avessi mostrato il taccuino
con le tacche quotidiane dell’urina di mamma mia,
m’avrebbero sfrattato lo stesso,
gettato fuori da questa casa.

* * *

Stasera amore ha preso la sembianza
di queste ombre.
La natura, le forme sono insonni, inseguono.
Accovacciato sulla riva del torrente
tornano nel cuore virtù e bellezza, torna
Maria Luisa, quella che m’ha dato il primo bacio
nello sgabuzzino dei topi,
così grande e bagnato e me lo ricordo ancora…
D’allora c’è questo Quirino, stempiato,
anonimo rappresentante, che viene tutti i giorni
ad accusare, si lamenta, dice
che non può tirare avanti, che deve mettere
su famiglia, che non bastano i soldi.

* * *

Voglio andare lontano, e tu mi serri,
amore, in questa foresta
di cieli senza scampo.
Voglio andare lontano, essere la spiaggia
fredda che i passi del mare sente
sopra il petto e corre, nell’astro che si spegne,
entro la luce morta corre, e pare
che pace n’abbia.
Essere vorrei tutto quanto delira, tutto quanto
si piega per dolore
e pazzo piange.
Voglio andare lontano, a ritrovare verrei
nella tempesta la mia compagna verde,
la mia torturatrice, dentro la gialla rena,
sotto la mota nera.
Oh saprei svegliarla, se io fossi la tempesta,
se io fossi il vento selvaggio
che corre sulle pieghe del mare.

* * *

Chi mi ha stretto in quest’oscura
clausura senza requie,
indegna del mio nome di cristiano,
finge, non è, la stessa soccorritrice
della cella aperta, che unicorni di terra
e di mare deporre vuole
dietro le sue mossette da uccello.
Oh, se taluno consente, del mio paese
amo la vecchiaia, ché anche il mio amore
è così vecchio, come lontana stella
è vecchio, eppure fa appena
il rumore di uno scoglio.

* * *

Forse il male è passato?
Dio mi salvi da un falso avvenire!
Forse viene la pace? Io non voglio
svegliarmi e ritrovare solo l’orme
del male. Ancora voglio il disperato
ansare della tortura, i segni della pena,
alto il dolore (s’io passo e piango).
Ancora voglio il docile guardare i passi
del mio torturatore.

* * *

Venne il signore ricco a raccontarmi
la storia delle perdite –
e come si mise a dire che aveva tutto
dalla mia parte –
no, non capiva che Maurizio
era morto.

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1 commento

  1. I primi due pezzi e l’ultimo – anche se l’io lirico è molto presente – utilizzano un linguaggio e un tono colloquiali, quasi prosastici.
    Le altre poesie – anche se non particolarmente marcate dal ritmo – abbondano di indicazioni e di segnali “poetici”.
    La quarta poesia si presenta addirittura come un concentrato, di “poetico” (amore, dolore, cieli senza scampo, astro che si spegne, luce morta, vento selvaggio…).
    Il tutto testimonia (a mio parere con efficacia, una volta superato lo sbigottimento per l’iperpoetico) una condizione individuale lacerante e drammatica.
    Sensibilità – come si dice in questi casi – un po’ fuori dal tempo, quasi anacronistica. Ma non da liquidare con facili pregiudizi.

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