Nuovo cinema paraculo: C’è del marcio registrato in Danimarca
di Francesco Longo
Quanti (come me) dopo aver visto Festen hanno creduto che nel cinema contemporaneo qualcosa si fosse finalmente rinnovato? E quanti, rinati coi Lars von Trier si arrendono ancora oggi con facilità, se vedono nel cast di un film in uscita un mazzetto di ø ø ø nei nomi degli attori? Quanti insomma, sulla spinta di un’euforia poco alimentata, hanno pensato di pagare, per vedere il nuovo film del cosiddetto cinema-scandinavo: L’eredità di Per Fly?
L’eredità è un film che vuole convincerci di qualcosa. Questo è chiaro. La presenza ossessiva della tecnica è talmente ingombrante (movimenti della camera, luci e audio versione Dogma light) che il film ogni secondo ci ricorda: ehi spettatore, non fissarti su quello che sto raccontando, ci sono pure io, l’Autore, e con me la mia Idea, tu-spettatore stai sì vedendo film e personaggi, ma ricorda sempre che ci sono pure io (anzi soprattutto Io), ed io (mi vedi-sono-questo che ti fa venire il mal di mare) ho un messaggio per te!
Quali sono questi messaggi dell’autore? Non li ho capiti tutti, ma qualcuno sì. Una cosa che ho capito è che il film vuole convincerci che la borghesia è una cosa brutta. Che sotto uno stile di vita borghese si nasconde sempre il marcio: stolto è, chi si ferma alle apparenze. Il film ci insegna che le camicie inamidate, bianchissime, appena stirate, (tenute sbottonate su petti muscolosi), prima o poi si macchiano di sangue, sempre.
Il film cerca di convincerci che se sei ricco le cose andranno male, che un giorno una telefonata ti comunicherà che tuo padre si è impiccato (e tu risponderai “Sì. Sì. Certo”, e riattaccherai.). Che se hai una moglie adorabile e bella, finirai a sbraitare contro di lei pronunciando frasi impossibili, e così via: se una domestica laverà il bordo della tua piscina ti verrà voglia di violentarla, se avrai bottiglie di J&B dentro casa, finirai per ubriacarti e distruggere i soprammobili del tuo appartamento.
Tuttavia, quando un messaggio è debole (vecchio più dei Lumière, sciatto più del luogo comune che vuole sostituire) o il film è narrativamente scarso (e spesso le due cose vanno insieme), il risultato può ribaltarsi nell’esatto contrario.
Mentre assistiamo a questo film non proviamo mai disgusto per i riti borghesi. Non odiamo le cenette a base di astici e foie gras, né i brindisi con calici di vetro sottile, rimboccati di vino rosso: proviamo solo fastidio per quei personaggi (non per la loro condizione) perché si comportano loro in modo stupido (e francamente poco credibile), e quello che vorremmo non è eliminare il loro stato sociale (combatterlo o sabotarlo), ma anzi, sfruttarlo meglio: sostituirci a loro e godere di quello che loro rovinano senza motivo. L’eredità, secondo film (dopo The Bench) di una trilogia di Fly dedicata alle “divisioni sociali”, strapremiato e plurirecensito, riesce perfettamente in una cosa sola: indurre ai comportamenti da cui vuole distogliere. Chi guarda questo film (o forse solo io) pensa che se si potesse pasteggiare con gamberetti e vino non si farebbe altro che convocare i propri amici e farli ciccare dentro i calici in serate godibilissime. Ognuno di noi utilizzerebbe al meglio quella piscina, riempiendola di decine di figli mocciolosi di amici, e ognuno di noi starebbe tutto il tempo mano nella mano con la nostra moglietta bionda, a fare viaggi incantevoli, in quelle auto sofisticate e ammortizzate.
Usciti dal film, mi pare, non si ha altro sogno se non accedere gli agi della borghesia. Un desiderio profondo come mai abbiamo avuto: di soldi, di lussi, di potere. E qui, sul potere, bisogna ancora soffermarsi. Il film vuole guardare il capitalismo rovesciando la prospettiva rispetto a quella di Ken Loach, farci vedere che esiste non solo il male dello sfruttato (Loach), ma anche il dolore dello sfruttatore-capitalista (Fly). La storia infatti racconta di un rampollo che, morto il padre, diventa capo di un’acciaieria in via di fallimento. Per risollevare le sorti dell’industria, deve licenziare gli operai, ciò è doloroso, va contro coscienza del protagonista . L’idea, forse, è interessante. E il film questa idea vuole dire. Ma cosa fa il film? Chiama tutto il tempo gli operai con dei numeri. Novecento persone di cui è in ballo la vita, Trecentoquarantuno (dico per dire) vanno licenziate, Centoventisei vanno riassunte. Gli operai compaiono solo in scene di massa (non sono persone, ma numeri, folla che compie solo gesti collettivi) in cui si levano gli elmetti colorati in segno di lutto per la morte del padrone. Se ci fosse anche solo una scena di un minuto, a raccontare la vita privata di un operaio, che in una macchina incidentata con gli abiti lisi litiga, ma sta bene con la moglie, e fischietta nonostante tutto, allora il discorso sarebbe diverso (o c’è qualcuno che crede che i soldi facciano la felicità?). Qui invece il capitalista anche nel momento di maggiore crisi dell’azienda partecipa a battute di caccia. Che dolore vorreste avere voi? Soffrire sotto un cappellino arancione in balia di decisioni arbitrarie, o soffrire sul divano di pelle, dopo la battuta di caccia nel bosco, sapendo che la decisione che in quel momento prendete (sul divano) sarà senza appello? A me è venuta voglia di fare il direttore d’azienda e licenziare a mio piacimento la gente. Non l’avevo mai avuta. Ora un pensierino ce l’ho fatto.
Film brutti si possono fare. Capita a tutti di partire da una intuizione buona (quella del Dogma di riportare il cinema ad uno stato primitivo) di eccedere, o sottrarsi all’intento, e alla fine mancare il bersaglio. Non solo è lecito sbagliare film, ma lo trovo anche, in un certo senso, doveroso. Quello che però rimprovero al film di Fly sono tre cose.
Primo, è il fatto di confermare che questo inverosimile filone di cinema scandinavo esista veramente (tutto oggi si fa filone: il cinema iraniano, il cinema mucciniano, il cinema fratello-di-muccino).
Secondo, a parità di delusione, all’uscita della sala, mi ha fatto rimpiangere Hollywood: lì almeno un bel paesaggio in due ore lo si vede sempre, le attrici sono ancora più belle, due note di colonna sonora ti accompagnano di sicuro il giorno dopo, e il finale è preparato con calma, non ti coglie mai di sorpresa come può avvenire qui, mentre ti sei appena distratto.
Terzo, rimprovero a Fly (che ha scritto e diretto il film, pur prodotto, guarda caso, da Von Trier) di aver continuato ad infondere dentro di me l’idea che esista una Scandinavia che so che non esiste, ma che col tempo vado considerando come esistente. Un Nord Europa (che non so più se è Danimarca, Svezia o Norvegia) che gira a vuoto, in cui famiglie non marce ma velenosissime, si riuniscono ogni domenica per pranzi mortiferi, in cui si urla e basta (o peggio si sussurra, o peggio, si sta in silenzio coi sorrisi), in città mezze vuote e invivibili in cui non piove mai ma le strade sono sempre bagnate, in cui madri (vedove) sono corruttrici e tramano le peggiori congiure, in cui ogni lavoro ti distrugge la vita (ricordate Le onde del destino?) e in cui ogni matrimonio preannuncia soltanto catastrofi a lungo raggio. Io questa idea (falsa) della Scandinavia non la voglio avere. Grazie, tenetevela per voi.
Sono d’accordo con Francesco Longo sul discorso del “filone”.E oggi abbiamo sul groppone pure il filone danese. D’accordo anche sulle critiche a proposito della mancanza di nemmeno un paio di battute di colonna sonora. (Il grande Morricone si rivolterà nella sua piscina olimpionica). E si, c’è un gusto sadico da parte del regista-operatore di farci strabuzzare gli occhi al cospetto delle sue evoluzioni in “cameracar”, il suo sfocato e rinfocolato a casaccio punto di vista. Ci stanca, alla fine; o anche fin dall’inizio. Ciononostante, L’eredità a mio parere è un buon film. Non ha riguardi per niente e per nessuno, è un film senza morale e senza favola, lontano anni luce dalle convulsioni moralistiche (e non lo dico per criticare) dell’ultimo von Trier. L’eredità io l’ho visto e vissuto come un pugno nello stomaco dato a caso, in un certo senso; è una specie di scherzo gratuito e di cattivo gusto. Dunque, in un certo senso, è puro. Puro schifo, pura noia, puro male? E’ anche una colossale truffa; e allo stesso tempo ci spalanca la vista orripilata su di una voragine insensata aperta sulla borghesia d’oggi, indiscreta e priva di fascino. Non ha alcuno scopo se non rappresentare, credo, il cinismo puro. Qualcosa che forse – nonostante il male trionfi – non esiste. E’ un film irreale, insensato, purtuttavia credibile quanto basta:un trucco architettato con volpina furbizia. Passa – o può passare – per rappresentativo, ma in sostanza non dice nulla, tantomeno propone. Il pugno nello stomaco di questo film da obitorio ci fa forse sembrare la realtà ancora più brutta di quanto effettivamente è. Ma la realtà – ecco il nodo, a mio parere – è una realtà totalmente “in soggettiva”. Nel senso che questa è la realtà architettata dal regista Per Fly che, col tipico cinismo di questa scuola di danese marciume, contrabbanda la finzione pura per possibile realtà con la forma informale del “Dogma”. E’ qualcosa che rompe i ponti con il cinema tradizionale. E’narrazione dell’inenarrabile, perchè questi personaggi non sono personaggi ma figuranti di figuracce. In questo, solo in questo, credo, il film ha un suo valore. Un valore perlomeno di originalità.
questa rubrichetta è un binario morto. è deragliata dopo la terza stroncatura. la seconda ancora si seguiva con interesse divertito – anche se non si era d’accordo sul giudizio complessivo. ma adesso, veramente, che senso c’ha? il giochetto si è scoperto. raimo e longo si mettono dietro alle loro scrivanie col camice da macellaio e fanno a pezzi i film più visti del momento. poi, tutti lordi di sangue, si guardano e sghignazzano come pazzi! ah ah ah. a’ raimo, sei pieno de schizzi! a’ longo, senti chi parla! c’hai un pezzo de cervello de lars von trier su ‘a spalla!
l’eredità comunque è un capolavoro.
Se l’eredità è un capolavoro, Massimiliano Governi ha partecipato a un’orgia con Bjork, la Deneuve e Von Trier durante le riprese di “Dancer in the Dark” ritrovandosi al mattino con una cinepresa in spalla e i boxer di Von Trier calati sulla faccia…
caro raimo, sia gentile: non sono molto divertenti né interessanti queste sparatine molto roma style; ci pensi maggiormente prima di postare, è abbastanza sveglio per rendersene conto. grazie.
Sì, lo so, non c’entra un cazzo, ma qualcuno può girarmi il cellulare di Fanny Ardant? Ho visto il film di Martone – in compagnia di un idiota cui non è piaciuto, ergo mi sto convincendo che deve essere bello per forza, anche se sto faticando un poco a risolvere il puzzle – e c’è quel culo che mi ossessiona. Quando lei va a rispondere al telefono. E poi faccio outing, mi piacciono le vecchie. E l’accento francese del cazzo quando dice: “sì, lui ha il chiulto della forsa!” Io la farei recitare nel conclusivo episodio di Star Wars, al posto di quell’insulsa di Natalie Portman.
a ma pare che questo posto sia diventato peggio del peggior talk show televisivo. come uno dice un’opinione su qualcosa bisogna subito fare a gara a chi urla più forte a chi manda più affanculo l’altro. non vi pare? a me l’intervento di longo è piaciuto molto, condivido molto di quello che dice sul film e sui “filoni” e soprattutto trovo intelligente il suo modo di fare critica. non ci vedo nessun meccanismo studiato dietro il bancone di macelleria. mi dispiace, questo posto inizia a puzzare di chiuso.
Per favore, riportate il timidissimo Por favour al capezzale di Bossi.
il mio tono era pacato. non mi sembra di aver urlato. forse hai problemi acustici. e forse è la tua stanza che puzza di chiuso.
longo quando va al cinema vuole vedere dei bei paesaggi e delle belle cosce. azzo, che recensore raffinato. complimenti a raimo che c’ha spacciato il pezzo.
Non ho visto il film e non ho opinioni in proposito. Ma so riconoscere un bel pezzo e questo lo è. E se anche risultasse poco calzante a proposito di questo film tornerebbe giusto per tanti film – e soprattutto tanti romanzi – che continuano, anni luce da Bunuel, a tentare di “convincerci che la borghesia è una cosa brutta. Che sotto uno stile di vita borghese si nasconde sempre il marcio… che le camicie inamidate, bianchissime, appena stirate, (tenute sbottonate su petti muscolosi), prima o poi si macchiano di sangue, sempre”.
NUOVO CINEMA PA-RIOT
ovvero:”Tutte le volte che sento la Cavalcata delle Valchirie mi viene voglia di invadere la Polonia”(Allen)
L’Eredità: fino a ieri sera pensavo che fosse un gioco a premi condotto da Amadeus su Rai 1. Ma poi gli eventi mi hanno condotto verso un ristorante con boccaporti a Monti, e lì ho capito che, al di là del quiz, questo era incidentalmente anche il titolo di un nuovo Dogma-film. Ora io non annoierò nessuno esprimendo il mio più umorale e tendenziale disprezzo nei confronti di una corrente cinematografica tanto didascalica quanto conservatrice nella forma e nella sostanza, nè rispetto all’ennesimo director scandinavo le cui velleità cinefile si estrinsecano grazie al supporto economico dell’uomo (Von Trier) che negli ultimi anni ha travisato nel modo più fastidioso e banale il messaggio cristiano – che io comunque non condivido nè tanto meno difendo.
Al di là dell’aspetto contingente l’unica considerazione che vorrei infatti esprimere riguardo alla recenzione del Longo (del quale per altro sono convinto che finirei per condividere l’analisi complessiva del film) è che in generale io non userei necessariamente l’argomentazione del “fallimento” da parte di un regista nel voler comunicare “espliciti” concetti come aspetto inderogabilmente negativo nell’efficacia di una narrazione. Nel momento in cui infatti il meccanismo catartico ci induce all’identificazione con una delle categorie o dei personaggi descritti non è detto che questo infìci o sminuisca di conseguenza la critica implicita (anche corrosiva) che può essere contenuta nella narrazione stessa rispetto a quei personaggi e a quelle categorie, anche perché, per quanto “espliciti” noi i veri intenti comunicativi del regista non li conosceremo mai, sempre ammesso che ce ne siano. Ogniuno di noi vedendo Full Metal Jacket ha pensato almeno una volta di voler essere il tenente Artman, oppure guardando Platoon di far fuori un muso giallo, oppure essere anche solo per un giorno nella vita Vincent Vega, Carlito Brigante, o poter dire alla propria moglie su una rampa di scale “Wendy dammi quella mazza o quan’tè vero iddio quella testa te la spacco in 2”. E quante volte abbiamo detto vedendo Mark Renton sbracato su quel tappeto “Beh, cazzo, una pera dovrò farmela anch’io prima o poi”? E chi, leggendo Lolita, non ha mai pensato che in fondo Humbert Humbert sì, certo, era un pedofilo del cazzo, però…
Io trovo che se il Longo dice “A me è venuta voglia di fare il direttore d’azienda e licenziare a mio piacimento la gente. Non l’avevo mai avuta. Ora un pensierino ce l’ho fatto”, finisce paradossalmente, inconsciamente e ingenuamente per dimostrare in qualche modo l’efficacia narrativa di quel racconto…
Ciao ciao
IL ROSCIO
Il film di Fly non è un capolavoro, sono altri i capolavori, ma è di certo un buon film. E’ un film sull’etica e sull’ineluttabilità del potere, con una drammaticità che ha, secondo me, accenti shakespeariani. C’è un altro film (lontano anni luce per estetica, sociologia, scelte formali), questo sì un capolavoro, che me lo ha ricordato molto. Il padrino.
Ma non è di questo che voglio parlare, rimbambito come sono, dopo una notte in bianco. E’ di quello che, giustamente, accenna Governi. A come questa rubrica si stia pisciando nei pantaloni.
Proprio qualche giorno fa scrivevo, in privato, a Raul di come io non ami i critici che fanno i simpaticoni. Non li trovo seri. Se vuoi fare il simpaticone vai a fare il cabaret, che è una cosa seria, serissima. Ma se ti metti a fare critica per far vedere come sei bravo a smontare una cosa, a colpi di battutine, tanto per far vedere che sei cool, qualunque cosa sia quello che tu stai smontando (bella o brutta), qui non se ne esce più.
Ovviamente non sto dicendo che non si debba “stroncare”. Ma pure la stroncatura ha una sua “etica”, se no qui finisce tutto in vacca (o a taralluci e vino). Per intenderci vi rubo un po’ di spazio e mi invento un articolo esemplificatore. Scusate la lungaggine.
NUOVA CRITICA PARACULA: LA LETTERATURA ITALIANA IN PILLOLE
1.
Insomma, per capirci: c’è questo qui, pensa l’assurdità, che se la cammima bello bello e chi ti incontra? Un poeta morto quasi duemila anni prima. E giù gridolini, mancamenti, ma come mi piaci, ma quanto sei bravo, tu per me sei un maestro, un mito (e così per tutto il tempo. Roba che alla fine credi che sia gay e anche un po’ necrofilo). Ma questo è ancora niente. Manco fosse San Paolo che ti fa il nostro? Una bella visita all’Inferno. Certo, come no! Tutto narrato in prima persona, pensa la presunzione. Che poi, detto fra noi, sai che genialata mettere l’inferno sottoterra… poteva sforzarsi un po’ di più il nostro, no? Non sto qui a raccontarvi tutto perché è una pizza dispersiva piena di storie e storielle una più assurda dell’altra. Tipo quella del Purgatorio (che a me fa sempre venire in mente un posto dove cagare) che è una montagna dall’altra parte del mondo conosciuto. Quasi che tutta la terra che hanno scavato per fare l’Inferno ci hanno poi costruito una montagna abusiva. Chissà se con Tremonti la condonano!
2.
Ora: non ci bastava già il primo, con tutte le sue menate di draghi, principesse, armi, guerrieri e via cantando? Non è perché io non ami il genere (ma no, dai, diciamolo: non amo il genere, toh!) però, dopo i due tomi pubblicati da Garzanti di ‘sto tipo “Innamorato” ci volevano pure gli altri due di questo, addirittura, “Furioso”? No, eh! Vi prego, il sequel no. E neppure dello stesso autore! Io non ci sto. Non me lo leggo neanche. Faccio la recensione senza leggerlo. Io tutta sta pippa fantasy la lascio agli sfigati, non ho tempo da perdere, io!
3.
Furbetto lo scrittore! Ecco la bella pensata. Cosa sta andando adesso in Europa? Il romanzo epistolare, lacrimevole e romantico? E io che ti faccio? Un bel romanzo epistolare lacrimevole e romantico. Tanto si sa, gli italiani non conoscono le lingue straniere, che ne sanno loro di un tale che si chiama Werther? Magari ci metto un po’ di politica, che va tanto di moda. Un po’ di spirito rivoluzionario, che in Italia il pubblico che legge è di sinistra si sa, e poi un bel suicidio alla fine… Che vergogna, ancora ‘sti trucchetti da quattro soldi…
4.
Vi giuro, io una storia così banale veramente non l’avevo mai letta. Vi spiego: c’è lui che ama lei. Sono due sfigatelli che si vogliono sposare. Sono tutti d’accordo, genitori compresi. No! (e ti pareva!) Arriva il solito ricco prepotente (ma perché i ricchi sono sempre prepotenti e cattivi? Viene voglia, alla fine, di parteggiare per loro, di volere i loro agi, la loro bella vita…) che si vuole scopare la contadinella. Ora: che ci voleva? Gli fai un bel pompino e la storia finisce lì, giusto? Col Cazzo! Niente da fare, tutti scappano, tutti si nascondono, succede di tutto, pure la peste, ne muoiono a frotte. E come va a finire? Che anche il cattivo muore e i due finalmente si sposano. Gesù che finale loffio!
5.
Al protagonista un giorno gli dicono che ha un difetto dietro la nuca. E lui va fuori di testa. Giuro, non me lo sono inventato! C’è un tale che ci ha scritto un romanzo su un’idea così cazzuta. Come se io, mentre mi tiro una pippa mi guardo la punta dell’uccello e scopro che la forma del mio prepuzio non è come la immaginavo. E inizio a raccontare in giro che io non sono io, o meglio lo sono, ma sono anche quello che tu credi che io sia, e cazzate psicologiste di questa risma. Con un po’ di Freud (male orecchiato, tra l’altro) che piace tanto alle signore dei salotti buoni. Va bene, andiamo avanti così, continuiamo a farci del male!
6.
Ora: se tu nasci a Bologna cerca di essere un po’ coerente, no? Che ti chiedo? Non di metterti a fare lasagne, ma parlaci un po’ della tua città, no? No! Pubblichi un libricino di poesie e, voilà!, lo scrivi in friulano. Va bene. Può anche starci. Sei un cazzutissimo poeta dialettale (con un dialetto neppure tuo, che te lo sei inventato di sana pianta, tra l’altro). No! Vuoi fare l’originalone, vuoi che si parli di te a tutti i costi, e che mi combini? Romanzo. Ma in romanesco, però. Ma diosanto, ma che credi, di fare sperimentazione in questo modo? Con i dialetti? Cosa mi farai la prossima volta per stupirmi? Ti dai al cinema? Magari ti metti a girare un film (ma non a Cinecittà troppo cheap) in uno di quei posti esotici, che nessuno conosce, tipo lo Yemen?
Insomma: non fatemi rimpiangere i giustamente vituperati “padristi”, vi prego!
Abbracci generali a tutti. Sono tornato ma sparisco subito per un paio di giorni.
Ciao, Gianni
una recensione stupidina. Le stroncature si fanno con argomenti di altro spessore. Le prime di raimo (su La meglio gioventù e Buongiorno, notte) erano spassose e allo stesso tempo sensate. Poi è iniziata la discesa. Ora questa cosa qua di Longo è imbarazzante. Per lui, dico…
bella prova, biondi’, direbbero a Roma.
Bentornato Gianni! mi hai fatto morir dal ridere… ogni tanto ci vuole :-)e sai che non sono ancora riuscita a vederlo ‘sto film, arrivo al cinema ed è già tutto esaurito: potenza dei multisala!
ciao
due cose:
1) la recensione di longo l’ho trovata (anzi, è) sensata, puntuale, affatto faziosa, e ha il pregio (anzi, difetto, visto l’ambiente) di incorporare anche una tremebonda opinione (scusate la parola, so che qui non è gradita). l’unica cosa che vorrei ribattere a quanto espresso da francesco è: il dogma è nato morto. ciò che dici de l’eredità può essere trasposto senza sforzo su festen, su alcune vontrierate (ahia, quasi tutte) e su le altre sciattonate di provenienza danese (e NON genericamente scandinava). ex: josef fares (jalla jalla, kops) è svedese ed è un’altra cosa. lukas moodysson (together, fucking åmål) è svedese ed è un’altra cosa. petter næss (elling) è norvegese ed è un’altra cosa. bent hamer (kitchen stories – in realtà “salmer fra kjøkkenet”, cioè salmi dalla/della cucina) è norvegese ed è, guardanpo’, un’altra cosa. qui NON scandinavia ma morbo danese del dogma, che si è esteso neanche troppo, a dirla tutta. c’è stato sì quell’orribile e fallitissimo film “mifune”, di anders thomas jensen, ma anche lui è danese e così thomas vinterberg (il criminale che ha partorito festen) che pure è – sorpresa! – un dano.
e longo, tranquillo, la scandinavia è quello che tu speri che sia. anzi, è meglio.
2) francesco: vista l’aria pre-adamitica e stantia che tira da queste parti, ti invito formalmente in giappone.
fabio (viola).
Si, la Danimarca è un’altra cosa. E’ piena di mucche, tanto per cominciare. Poi è più piccola di Svezia e Norvegia. La capitale della Danimarca è Copenaghen e non Stoccolma. La Danimarca confina con la Germania, la Svezia e la Norvegia no. In Danimarca si parla il danese. In Danimarca si fanno film soltanto con la minidv o come cazzo si chiama. Produce Lars von Trier. Von Trier, come si dice a Roma, è un dritto de gnente. in Danimarca si fa opinione, invece qui che siamo tutti in tenuta pre-adamitica facciamo fumo come gli indiani. La Danimarca è un paese favoloso. Le danesi te la tirano dietro, basta chiedere.Le svedesi se la tirano di più, le abbiamo abituate troppo bene negli anni 60 i nostri papà a caccia di avventurazze e ora sembrano milanesi (o romane)strabionde che se la pettinano tutto il giorno in attesa del “noto industriale” o del “noto calciatore”. La Danimarca è piena di ex nazisti che fanno cinema. Von Trier è figlio illgittimo di un Gauleiter delle SS.
C’è del marcio in Danimarca. Viva la Danimarca…
eh sì, la danimarca è tutto questo e molto di più! un mondo tutto da scoprire! vai anche tu in danimarca! solo tu però. vacci, dai.
sempre della serie: su nazione indiana o dici cose che vanno bene a tutti, cani e porci, o ti becchi subito il commentuccio acido del pupo di turno.
che rottura di coglioni ‘sto posto.
fabio.
Guarda che io parlo con cognizione di causa, bello. Perchè in Daenemark ci sono stato e più volte.
Per la serie: di NI non hai capito niente. Qui si discute e ci si prende anche a sberle (sfortunatamente virtuali), però ci vogliono argomenti seri. E io seriamente ti dico di continuare a stare tra noi, vedrai che qualche volta (quando ti daremo ragione) ti verrà la voglia di restare.
gent.le franz ferdinand,
già il fatto che hai bisogno di precisare che parli con cognizione di causa mi rende scettico rispetto al tuo potenziale. quindi il mio consiglio è: lavoraci sul tuo potenziale, chissà che alla fine tu non esca da questo bozzolo primitivo di arroganza becera iperqualunquista in cui per ora sguazzi. e lo sai qual è il bello? che io non ti conosco!, ma senz’altro giudicarti da sei righe è più facile che ridere delle tue uscite.
sugli argomenti seri, per chiudere: permettimi di dubitarne. qui il dibattito nell’ultimo mese è stato QUASI sempre su livelli infimi; tre interventi su cinque svaccano nel qualunquismo o nel presenzialismo tout-court; si giudicano gli interventi altrui a priori e sulla base di posizionamenti scrotali estemporanei; moltissimi interventi anche di personaggi (a questo punto pregiudizialmente) autorevoli se tradotti in italiano diventano “IO IO IO IO”; questa pseudo-schiettezza di cui farnetichi è solo il solito, ennesimo, vuoto tentativo di spacciare l’arroganza per sincerità, la flatulenza per confidenza.
e chiudo: cos’è ‘sto plurale che ti dai? “quando ti daremo ragione ti verrà la voglia di restare”? dovrei aver bisogno della tua (vostra) approvazione?
beh, povero mondo infame, e povero me. mi sento quasi in colpa per questa approssimazione con cui SO di averti disegnato, ma ben più realisticamente di quanto la stessa realtà potrebbe fare.
fine della comunicazione.
p.s. questo non è astio gratuito, è la rottura dei coglioni.
fabio.
Caro Fabio,
se non credi al mio grande potenziale non posso farci nulla. Me ne dispiace, dato che anch’io, come tanti qui e altrove, sono un egocentrico.”Bozzolo primitivo di arroganza becero qualunquista…” Non male, dico davvero. Bravo. Hai capito tutto. Io sono qui per sparare cazzate. Mi diverto un pò, la vita è difficile. Meno male che si sei tu che m’illumini sul mio potenziale. Che mi spieghi con grandissimo acume psicologico come sono. E meno male che ti affretti a precisare, poco dopo, che non mi conosci. Sei uno psicologo per corrispondenza o uno sparatore di cazzate? Dunque, sei stato un pò duro con me. Ma ti confesso, qui davanti a tutti, una cosa: me ne fotto di quello che pensi sul Gentile Franz Ferdinand che ti sei costruito nella tua mente bloggata. Sono d’accordo con te che spesso si spaccia -qui come altrove – l’arroganza per sincerità ecc. ecc. Ti confesso che anch’io trovo alcuni interventi abbastanza brutti. La flatulenza ecc. Sono d’accordo; ma guarda che questo è un luogo pubblico, non so se l’hai capito, Gentilissimo Fabio: qui è come per strada, puoi trovare di tutti. E certo, molta arroganza qui la trovi. Ma anche, lo ribadisco, argomenti seri. Ora noi stiamo litigando e questo è serio fino a un certo punto, secondo me.
Il plurale che mi do è schiettamente majestatis, non l’avevi capito? ;-)
Su questo, a parte gli scherzi, chiedo umilmente venia. M’è scappato dalla tastiera, forse perchè volevo intendere che questa, volente o nolente, è una specie di comunità. Estremamente eterogenea, non dire di no.
Mi hai disegnato con una certa approssimazione. Ma non potevi fare di meglio, forse.
Franz, mi sa che te la sei presa in quel post(o)!
Enrica, ti perdono perchè mi è piaciuto
molto il tuo gioco di parole…
(Detto tra noi, io non ho sentito di aver “preso” niente…)
per favore: smettete di dire “per la serie”. ci siete rimasti solo voi due a dirlo. è un termine orrendo. e vecchio come il cucco.
ah, questa poi…
…sembra di star per vivere di fresco…e me ne esco!
uno da una parte, uno dall’altra: la commedia dell’arte.
g.
Anni fa si sarebbe detto “vibrazioni negative”. L’intervento di Franz era divertente e soprattutto divertito. Un assolo, un’improvvisazione (da blogrodeo?) sulla scia dell’intervento di Fabio, che puntualizzava pure lui in maniera divertente (ma ha offeso un po’ tutti, anche chi legge soltanto). Qui, però, si prende tutto come un affronto. La salvezza, come sempre, è nella birra: se Fabio avesse conosciuto Franz avrebbe capito che ama partire per la tangente, che non c’era cattiveria nella parodia, e che se ce ne fosse stata un po’ sarebbe stata la risposta all’”aria stantia”.
Ciao Elio, hai detto bene; a parte il blogrodeo, non ci sono andato, non ho l’equipaggiamento. Ho fatto una semplice parodia, si. Ma adesso è tutto a posto, vero Fabio? Ci stiamo scannando da bassotti per un danese (come direbbe quel nazista di Walt Disney).
Il limite, e vogliamo, del blog, a quanto ho capito io, è che spesso si prende una battuta, una piccola provocazione, per un’offesa. E da lì si parte con altre provocazioni; e alle volte (non in questo caso, perchè da Fabio io non mi sono sentito offeso per nulla)si tracima nell’insulto. Ma la colpa non è nostra; è il limite del mezzo. Qualcuno addirittura pensa di poter capire l’altro attraverso la sua scrittura. Non c’è cosa a mio parere più difficile che capire l’altro (soprattutto in contesti di spezzettamento del pensiero come questo)attraverso ciò che ha scritto. Tempo fa un solone da nickname mi contestava su queste “pagine” perchè avevo scritto che la comunicazione scritta si presta più di altri tipi di comunicazione al fraintendimento. Il solone commentava con vero colpo d’ala: “Perchè, la comunicazione orale o quella definita non verbale no?”. Io ovviamente mi ero riferito a una comunicazione scritta perchè il fraintendimento era avvenuto su quel terreno, che poi è il nostro, quello del blog. Ed è facile non capirsi: non ci si conosce, non ci ascolta, non ci si vede. Il discorso ovviamente sarebbe lungo e a me preme la sintesi, a costo di non svelare appieno tutte le mie immense potenzialità…
caro franz,
fai male a non esserti offeso! in effetti la mia intenzione era offenderti, sminuirti, sfotterti, essere arrogante. questo perché io non ho argomenti, non so di cosa parlo (io della scandinavia non so niente, figuriamoci!, né tantomeno di quei nomi buffi con i simboli e le a col pallino), perché a volte l’ironia è un espediente troppo elaborato per il mio modo di pensare fatto di acceso/spento, il mio codice binario, quindi se non ho niente di ironico (o sarcastico, meglio!) da dire la butto sempre sul frontale, divento proprio aggressivo senza motivo. lo so, è terribile. il sarcasmo, che tanto mi farebbe comodo, e che è un valido scudo per difendersi dall’ignoto delle opinioni altrui, mi sfugge. ahimé.
quindi chiedo scusa se non riesco a essere schermato come sei tu (siete voi), se non ho finto di non riuscire a comprendere la tua (ma anche sua e di chissà quanti altri) umana, splendida complessità, il mondo elaboratissimo in cui ti muovi e sgusci agilmente. davvero, chiedo scusa. la prossima volta (se avrò il coraggio di confrontarmi con menti tanto più allenate a questo tipo di confronto intellettuale) vedrò di adeguarmi a un modo di confrontarsi più sottile e ironico.
contrito e sempre tuo,
fabio.
Fabio a me sembra invece che col sarcasmo te la cavi niente male…
Comunque nel NOI ci sei anche tu, secondo me, nel momento stesso in cui partecipi a una discussione. Siamo tutti soli davanti al nostro computer. Questa è una comunità virtuale, poi ogni tanto capita a qualcuno di conoscere di persona qualcun altro. Intanto, però, c’è scambio di idee, a volte di invettive, a volte di sarcasmi. E’ uno strumento nuovo, il blog, che ancora, io credo, non sappiamo maneggiare con vera cura. Si impara strada facendo. Complimenti davvero (senza ironia) per la vis polemica. Io mi offendo per altre cose, sinceramente. Spero di ritrovarti su queste colonne più spesso. Dallo scontro – senza ipocrisie – può nascere una sintesi costruttiva; io credo – ancora – nella possibilità del dialogo senza troppi filtri. Siamo tutti nella stessa barca telematica. Ciao.
“Kjaerleik”, T.J.
Lauvskogen gulnar i ungdomsli.
Men enno minnest eg gjenta mi.
Stilla var eingang ein gjentesong.
Der lauvet fell har du gått ein gong.
Sorga og kjærleiken dele vårt brød.
Der lauvet fell, skal det falle snø.
Haustkvelden knyter si kalde hand.
Der lauvet fell, er mitt fedreland.
Ma la traduzione????
Ho intuito solo che alla fine si parla di mano fredda (kalde hand). Mitt vuol dire con? (mit in tedesco)? Lauvet è vita? (Life, Leben). Eingang vuo dire entrata, come in tedesco???
fedreland è madrepatria? (Vaterland in ted.)
Brod sarà pane, immagino (Brot).
sno è neve? (snow, Schnee).
Allora caro Fabio, puoi pubblicare la traduzione?
E soprattutto, vorrei sapere: che lingua è?…
(Danese, norvegese?)Chi è l’autore della poesia?
Saluti.
E’ di Tor Jonsson, poeta norvegese.
g.