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(Da “Bagattelle & Pavane per Sam”)

di Gillioz*

al poeta-ballerino Andrea Inglese (W Sam!)

Era arrivato al punto in cui non voleva più scegliere alcunché, e così passava il tempo a convincersi che non c’era. Intanto il tempo faceva l’unica cosa che sapeva fare, e cioè passare, anche se questo è solo confortevole da dire e abbastanza duro da provare. Sì, diciamo che passava, o che lui passava dentro la sua guaina, o attraverso la sua gamma imprecisabile, o magari non c’era attraversamento alcuno, ma uno deve pur partire da qualche immagine. Possibilmente immagine con un che dell’esperienza. Perché i concetti piacciono se nel frattempo si son fatti le ossa con ciò che ampiamente trapassa nelle scorribande del cosiddetto reale.

E passa e passa, questo tempo, o anche non passa, ma sta di fatto che lui c’era e si voleva convincere del contrario, e questo è mentirsi. E siccome onorava il vero, lui non stava granché a posto. Dagli a ripetersi che non c’era; c’era, c’era completamente . Non era convinto di esserci, ma non essere convinti è un’altra faccenda; c’era del tutto, forse impropriamente, ma indiscutibilmente. Non era il fantastico mondo delle relazioni a renderlo incerto sul proprio abbozzato esserci; anzi quello gli rendeva buon servizio. No, era proprio l’essere di fronte a se stesso che gli suggeriva di raccontarsi quella fola mirabolante del non esserci, o d’esserci al minimo. Non aveva molto da dirsi a proposito, ma se lo diceva lo stesso. Si copriva di illazioni. Non posso sposarmi o aver figli, perché non ci sono, forse un po’ sì, ma non abbastanza. Intanto il tempo passava, la scelta lo chiamava, la futura moglie lo aspettava per essere eletta moglie presente. E lui si affidava al fantastico mondo delle sue relazioni, composto di soggetti interessanti e sensibili che peraltro gli consigliavano di maritarsi. Lui tornava a casa entusiasta delle loro opinioni, ripetendole tra sé e sé. Avevano ragione, lui non si sognava neanche di contrastarli, anzi sposava tutte le ragioni loro e non loro, ma tornato solo a casa si diceva che no, è impossibile, il nulla mica può sposarsi, per quanto sia un nulla bello impantanato e soprattutto un nulla di piccolo calibro, niente a che vedere col concetto sminuzzato da tanti interpreti dell’assoluto o del parimenti ampio relativo. Intanto il tempo passava, e anche gli amici e la possibile o impossibile moglie glielo ricordavano in amabile coro. E allora? Allora niente, bisognava disfarsi della casa, del lavoro e delle relazioni. Una volta liberatosi di questi squisiti complementi del suo nulla, sarebbe stato un gioco da ragazzi convincere la moglie a sposare una nullità qualsiasi, piuttosto che il nulla in persona. Scusa, niente di personale diceva alla parte che sporgeva fuori dal suo non esserci…

Il tempo passava, ne passa di tempo, oppure non ne passa nulla, è solo il nulla che passa, o che resta, cioè è e basta, dando l’illusione di un passare, perché comunque nel mondo succedono cose, ah se ne succedono, e per questa successione è bene invocare un ente onorato, come tempo, o anche uno onorato come nulla, e anche assoluto, magari, specie se ci si annoia. Le parole certo imbrogliano, e non bisogna mai fidarsi. Anche nulla non significava nulla, e anche tempo e passare, ma anche significare o essere, per non parlare della moglie e prole da lei bramata e forse in arrivo, per non parlare anche, a monte di tutto, della parola scelta. Sì perché lui non sceglieva alcunché, se non di ripetersi che non c’era. Ma il tempo intanto diciamo che attirava come un magnete i ferri corti delle scadenze inderogabili, e lui, nel frattempo, non sceglieva di liberarsi della casa, del lavoro, e dunque della moglie probabile o improbabile. Non sceglieva di scegliere e così venne il giorno che gli fu accordato un ultimatum, ma lui non poté assecondare l’irreale moglie, poiché una scelta è una roba per iniziati dell’esserci, per confidenti della vita, e magari anche per scalpellini dell’assoluto. Non era affar suo insomma. Perché lui era, con parole abbastanza indegne del vero, qualcosa di vicino a un povero nulla itinerante, ben associato, ben assoldato e pressoché ammogliato: uno che poteva permettersi d’esser un bozzolo di nulla. Così non scelse niente, e tutto questo è il primo passo, il secondo si chiama matrimonio.

*Gillioz è il nome d’arte di un certo Gianluca Gigliozzi, ossia dell’ennesimo scribacchino nazionale, uno dei tanti milioni di quelli che infestano lo spazio malato dei segni italiani. Uno che, però, non vuole caricarsi la croce della propria ingloriosa estraneità all’Olimpo delle belle lettere. Che gli olimpici vivano delle offerte e degli scambi che il rango può concedersi. Che questi (noi) del sottosuolo imparino a segnare senza occhieggiare al Monte e senza pascersi del sottosuolo medesimo. Né collaborazionismo, né l’ottuso contrario.

(immagine di Saito Takako)

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3 Commenti

  1. caro gianluca, ovviamente hai ragione: l’olimpo è solo un grosso sasso, lo scantinato solo uno scantinato. ma tu, pubblicato o no, sei davvero un bravo scrittore – anche solo per la tua sintassi, una delle migliori che conosco in italia (se leggi il francese ti passero’ un romanziere e poeta che si chiama hubert lucot, penso che ti piacerebbe), e per il tuo modo di scrivere per microintervalli, come si direbbe in musica: qui, il trattamento prismatico a cui sottoponi la parola “nulla”. stammi bene,

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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