Il calcio di Grazia
Tiziano Scarpa intervista Giuliana Olivero
Il calcio di Grazia di Giuliana Olivero racconta la storia di un’invasione. L’invasa è Grazia, che diventa molto più che tifosa di calcio. Ha avuto un’infanzia crudele, e non solo quella. Ma da grande inizia a seguire gli allenamenti della Juventus, si affeziona, si innamora, fa regalini e manda telegrammi chilometrici ai calciatori, lettere, biglietti, cravatte, fazzoletti, raccolte di foto ritagliate fedelmente dai giornali per anni, fiori. Grazia si infervora per Marco Tardelli, per Michel Platini, poi per Sergio Brio, per Pasquale Bruno, infine per un allenatore, Francesco Guidolin.
Li segue con discrezione e con spavalderia, li stana negli alberghi dove dormono durante le trasferte, ma senza mai molestarli con qualcosa di più di una telefonata una volta ogni tanto, o un mazzo di fiori fatti consegnare in camera. Guadagna poco assistendo di notte vecchi e invalidi, spende tutto in viaggi per seguire l’idolo del momento, anche quando cambia squadra: a Firenze, a Lecce, fino in Scozia… L’invasore è il calcio, che si è annesso un intero popolo: in questo romanzo l’Anschluss si compie anche sulla parte femminile dell’Italia, che solo fino a pochi anni fa sbuffava al marito in poltrona davanti alla partita, e ora invece urla nella fossa degli ultrà.
Per Nazione Indiana ho fatto qualche domanda all’autrice, Giuliana Olivero.
Cominciamo dalla frase di prammatica, “Fatti e personaggi di questo romanzo ecc.”, che però tu hai variato in maniera significativa: “I personaggi del romanzo sono realmente esistenti ma l’intreccio e le situazioni narrate sono frutto della fantasia dell’autrice”. Ti sei inventata proprio tutto? Perché hai scelto quei calciatori e non altri?
No, non mi sono affatto inventata tutto, al contrario, la storia che racconto nel mio romanzo è vera, Grazia esiste realmente, è una persona che ho conosciuto per caso, e la sua vicenda mi ha folgorata (da tempo stavo scrivendo o tentando di scrivere altre cose, ma questa storia si è assolutamente imposta!). I calciatori personaggi del romanzo sono quelli di cui la protagonista si è veramente innamorata, e anche molti dei fatti sono veri, mentre altri li ho inventati. Soprattutto, appunto, l’“intreccio”, cioè il montaggio di situazioni che sono praticamente tutte uguali, un’ossessione che si rincorre senza trama, e poi, ancora di più, la voce: mi sono completamente discostata dalla persona vera per costruire la sua identità di personaggio. La frase di rito concepita in quel modo dovrebbe servire a evitare eventuali querele da parte dei calciatori citati, che, come rilevi anche tu, ne escono abbastanza male. Tengo invece a precisare che la persona che ha ispirato la protagonista Grazia, oltre a sapere che scrivevo un romanzo su di lei (e a desiderarlo ardentemente!), ne è stata pienamente soddisfatta.
Mi ha colpito l’inadeguatezza umana dei calciatori, spesso scorbutici, a volte sgarbati e addirittura violenti verso la povera Grazia, che cerca solo un po’ di affetto, di riconoscimento: un saluto, un sorriso la soddisferebbero. È come se questi uomini adulti non si rendessero conto di impersonare in realtà un simbolo più grande di loro, che ha una presa fortissima sulla gente. Non sanno come comportarsi, sono scandalosamente puerili, maschilisti, vigliacchi…
Avevo dei forti pregiudizi verso il calcio nel suo insieme, prima di questa avventura che è stata per me una vera e propria esplorazione, dato che ho scoperto un universo che non conoscevo affatto. Che mi irritava per la sua pervasività, per la sua superficialità eletta a questione vitale, per il rumore di fondo che produce dal quale non si salva nessuno. Calandomici dentro, da una parte l’ho demonizzato un po’ meno, ho colto i meccanismi per cui appassiona tante persone, e assai diverse fra loro, con il suo grado alto di drammaticità e la richiesta di un’adesione diretta, ma dall’altra parte molti dei miei pregiudizi si sono rafforzati come giudizi. Uno di questi è proprio sulla figura dei calciatori. Sono eroi la cui immagine è mitizzata da un’enorme rilevanza massmediatica, ma che al tempo stesso sono anche “veri” e, illusoriamente, raggiungibili: i corpi maschili quasi nudi che, ormai tutti i giorni, danno mostra di sé in un confronto-scontro fisico visibile da una distanza di pochi metri possono poi essere incontrati, salutati, toccati, durante tutta quella sequela di occasioni ritualizzate che sono la vita delle tifoserie. Per di più, sempre il filtro dei media, che conferisce ai giocatori questo status di protagonisti assoluti, è lo stesso che consente ai tifosi – e alle tifose – di vivere un’ulteriore illusione di vicinanza, perché, a forza di apparizioni televisive, sembra quasi che questi divi, questi oggetti di desiderio siano seduti di fianco a te in salotto. Ma è appunto una totale, deviante illusione. In realtà i calciatori, o almeno la maggior parte, sono persone tendenzialmente dotate – per così dire – di scarsi o nulli strumenti culturali, catapultate in questo ruolo pressoché mitologico in grado di scatenare le reazioni più inconsulte, che poi non sono affatto in grado di gestire. Meno che mai quando si trovano davanti una donna fragile ma tremenda come Grazia, la quale è vero che in fondo chiede poco, ma incarna un’idealizzazione dell’amore così totale da far letteralmente paura. Una paura a cui chi non è precisamente un lord inglese risponde come può…
Mi ha divertito la tua scelta di trascinare nel romanzo l’allenatore Guidolin, che alla fine, pur non concedendo molta confidenza, perlomeno non prende Grazia a male parole. In tivù Francesco Guidolin sembra una persona un po’ allucinata, è come se provasse un certo disgusto e vergogna quando lo intervistano. Ha un’aria un po’ da prete, e guarda sempre altrove, oltre la telecamera, oltre l’intervistatore, oltre l’orizzonte…
Come per gli altri personaggi, Guidolin dentro al romanzo non l’ho trascinato io, ma Grazia! Io ho cercato di far risaltare il contrasto che mi sembra interessante fra un personaggio carnale e solare, pur nella sua brutalità, come Pasquale Bruno detto ’o animale, e uno così nevrotico. Che non la tratta male, è vero, ma in fondo interagisce con lei molto meno di quelli che la mandano al diavolo, è il più murato di tutti. Il fatto è che, anche se quelli di Grazia sono amori a senso unico, alimentati solo dal suo bisogno, funzionano come tutti gli altri amori: non si sa perché ci si innamora di uno piuttosto che di un altro!
Una cosa che mi ha un po’ intristito è la mancanza di solidarietà fra tifose: le ragazze e le donne che attendono per ore i calciatori per scambiare un “ciao” si fanno ciascuna i fatti propri, non legano fra loro. Solo verso la fine salta fuori qualche amica con cui Grazia può sfogare un po’ la sua amarezza.
Credo che sia dovuto ai giochi della competizione, quella femminile purtroppo si manifesta spesso così. E quello della tifoseria non è un ambiente dei più accoglienti, ci sono ruoli fissi, gerarchie, ordini da rispettare. Tutte cose che non fanno per Grazia, che in più si traducono spesso in confronti con altre donne che le creano sofferenza. Lei, poi, è persa dentro il suo tormento amoroso, i rapporti con le tifose o i tifosi non la interessano granché, sono rapporti poco più che funzionali al suo muoversi dentro quell’universo, soprattutto quando è più giovane. È anche vero, però, che tutte le sue relazioni sociali e di amicizia originano nell’ambito delle tifoserie. Ma il tratto più forte di questo personaggio è un’assoluta autoreferzialità.
Hai immerso la tua protagonista in un ambiente e una vicenda durissima: violentata da piccola, un padre ladruncolo e menefreghista, una madre prostituta, un patrigno prevaricatore… Vuoi dire che solo chi ha un disastro esistenziale su tutta la linea si butta sull’idolatria, cercando surrogati dell’amore negli idoli popolari? Ma se è così, allora tutta l’Italia sta vivendo un disastro esistenziale profondo, visto che gli italiani sono invasati per i loro idoli da quattro soldi, mediaticamente e simbolicamente potentissimi, ma sostanzialmente inadeguati, farlocchi…
Della storia vera di Grazia ho persino sfumato certe durezze, mai come in questo caso ho constatato la verità del trito luogo comune per cui la realtà supera la fantasia. In effetti mi sono domandata – ma a questo non ho voluto dare una risposta mia nel romanzo – fino a che punto una tale sublimazione sia frutto di un delirio solitario e non, invece, la conseguenza dello stare ai margini, una reazione al sentirsi in qualche modo condannati, tagliati fuori dai valori dominanti di una società a causa di una “partenza” sfavorevole. Certo, Grazia nel suo desiderio vissuto come impossibilità raggiunge un grado estremo, però, allargando il discorso alle moltitudini, mi sono fatta un po’ l’idea che più il tifo è qualcosa di divorante, più è sintomo di ferite che non si sono rimarginate. So che è un terreno instabile, questo, di una psicologia che rischia di sfociare nella chiacchiera di portineria, però non mi sembra esagerato dire che in generale, non solo in Italia, si viva immersi in un, se non disastro, almeno disagio esistenziale profondo. E il calcio è una delle consolazioni/distrazioni più facili da abbracciare, più condivisibili, più a portata di mano: il ciuccio della domenica, dice un mio amico, il recupero settimanale dell’infanzia, dice Marías, e Hornby in Febbre a 90 arriva a dire, ironicamente quanto vuoi, che se i suoi genitori non si fossero separati in una maniera traumatica quando lui aveva dieci anni, non sarebbe diventato il tifoso assatanato che è. Questo però è un aspetto sul quale i miei pregiudizi si sono bloccati prima di diventare giudizi.
Che ne pensi delle ultime vicende della bancarotta di molte squadre, delle violenze durante il derby di Roma, qualche domenica fa, del presidente del consiglio che voleva condonare miliardi di tasse evase per evitare – parole sue – la rivoluzione? Sei d’accordo con Berlusconi? La società italiana esploderà per cause calcistiche?
Innanzitutto tengo a precisare che io, d’accordo con Silvio Berlusconi, non lo sono su nulla a priori. Nell’elenco delle nefandezze connesse al calcio peraltro hai dimenticato il doping, che non è una cosa da poco. La bancarotta era inevitabile, lo sapevano tutti da un bel po’, è ovvio che non mi fa piacere l’idea di finanziare con le tasse, che io pago, l’evasione altrui, come del resto già avviene, che sia quella delle squadre di calcio o delle imprese di Berlusconi medesimo o di svariate migliaia di altri. Come si suol dire, il discorso sarebbe lungo, comunque non credo che la società italiana esploderebbe, se davvero qualche società venisse esclusa dalle competizioni per i debiti, però Berlusconi – forse – perderebbe le elezioni!
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Giuliana Olivero, Il calcio di Grazia, Baldini Castoldi Dalai Editore, 2004, pagg. 188, 12,60 euro.
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Bellissima intervista. Grazie a tutti e due, intervistatore e intervistata.
Vergogna
lista della spesa
mafia
pubblicità
Schifo
all’italiana
aumma aumma
amicizia
raccomandazione
è tutto un magna magna
Bene. ora che le ho dette (quasi) tutte io, mi piacerebbe si evitasse che anche qui si scateni la guerra dei poveri.
Io, per me, vorrei una intervista alla settimana, un libro al giorno, su questo sito, altro che!
G.
sembra un libro interessante. mi è venuta voglia di leggerlo.
la mia amica anna, poetessa rigorosa, non particolarmente amante del genere maschile, vorrebbe, però, fare l’amore con Totti.
ciao
francesca
bella l’intervista, bello il libro.
france’, parli de anna lamberti bocconi? l’amo già fatto l’amore io e lei. strano che nun t’ha detto gniente…
beati voi!
francesca
te sei la fatina dei cartoni animati giapponesi,ve’? che fai stasera? me venghi a trova’ a trigoria?