Organismi Foneticamente Modificati
di Tiziano Scarpa
Oggi Maurizio Cattelan (nell’immagine, uno dei suoi lavori più famosi, La Nona Ora, 1999) riceve una laurea ad honorem in sociologia dall’Università di Trento. Per l’occasione, la rivista “Work. Art in progress”, mi ha chiesto un intervento.
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IL MIO AMICO VENETO: Be’, almeno un caffè poteva offrirtelo…
IO: E perché avrebbe dovuto?
IL MIO AMICO VENETO: Non fare il modesto. Nel 1998 tu pubblichi la storia di un papa travolto da una frana, il successore di Karol Wojtyla resta prigioniero di un masso, disteso a terra con una gamba spezzata, mentre è in vacanza sulle Dolomiti…
IO: Ah, per quella faccenda lì, dici… Coincidenze.
IL MIO AMICO VENETO: Tu minimizzi, ma la statua di Wojtyla colpito da un meteorite…
IO: Non è una statua.
IL MIO AMICO VENETO: Sì, insomma, chiamala come vuoi: il pupazzo, il manichino, il clone iperrealista…
IO: A me invece ha fatto piacere… Una sintonia fra il mio lavoro e quello di un artista della mia epoca. Metti pure che si sia ispirato al mio racconto: e allora? La cosa mi farebbe onore.
IL MIO AMICO VENETO: Ti fa onore che uno diventi ricco e famoso con un’idea tua?
IO: Non è proprio così, dài. L’idea è simile, ma tanto per cominciare il Wojtyla della Nona Ora è tridimensionale, reale. Non è un semplice fantasma mentale evocato dalle parole.
IL MIO AMICO VENETO: Be’, certo. Ma è ovvio. Lavorate con materiali diversi. Tu le parole, lui le immagini.
IO: Piano: si fa presto a dire immagini. C’è stato tutto un lavoro di resa dei dettagli, nella Nona Ora. La carnagione, le vesti, la porosità della roccia, i frammenti di vetro. Un artista deve prendersi la briga di fartele vedere, queste cose, e il rischio di realizzarle difettosamente, o di mettere in scena un ammasso kitsch, è sempre in agguato. A me la Nona Ora continua a impressionare molto per la sua forza visionaria, quasi sguaiata… Ma nello stesso tempo è anche un’opera molto elegante.
IL MIO AMICO VENETO: Ma l’immagine di un papa colpito da una roccia c’era già nel tuo racconto…
IO: Ti dico, le nostre due “immagini” possono avere qualche somiglianza, ma alla fine raccontano due storie diverse. Nel mio racconto, il papa rimane sotto la frana, sopravvive grazie a una cappa d’aria, ha un masso che gli pesa sulla gamba fratturata, viene salvato da una coppia di esseri umani selvatici che vivono in una caverna. È l’inizio di un’avventura che lo fa regredire a una dimensione esistenziale precristiana, creaturale. Si spoglia della sua identità, del suo nome, della sua storia, comincia a chiedersi che cosa sono le parole, lo sguardo, il cielo… Non è più sicuro di niente. Vede il mondo per la prima volta…
IL MIO AMICO VENETO: Mentre nella Nona Ora sembra che Dio castighi Wojtyla.
IO: Sì, quella mi pare un’opera più esplicitamente politica, a metà fra bestemmia e battuta satirica. Il papa è infagottato nei suoi paramenti, sta celebrando una funzione liturgica: dobbiamo immaginare una folla molto grande che lo attornia, e un collegamento televisivo in mondovisione… e improvvisamente c’è questa assurda coincidenza del caso, questo prodigio della balistica interplanetaria, questa irruzione da un altro mondo, questo intervento soprannaturale… O questo miracolo punitivo, forse. Dio, o chi per Lui, prende perfettamente la mira, decide di stroncare il pontefice con un meteorite, visto che non ce l’hanno fatta gli uomini. Una divinità terrorista fa un attentato al Papa… È l’opera di un’Ali Agca teologo!
IL MIO AMICO VENETO: Il tuo racconto è più intimista…
IO: Quello di Cattelan è decisamente più spettacolare. È una visione spettacolaristica, che infatti è riuscita a circolare molto più efficacemente, nella società dello spettacolo…
IL MIO AMICO VENETO: Come l’hai chiamato?
IO: Chi?
IL MIO AMICO VENETO: L’artista.
IO: Cattelan. Maurizio Cattelan. Non è di lui che stiamo parlando, scusa?
IL MIO AMICO VENETO: Sì, ma come lo pronunci.
IO: Càttelan.
IL MIO AMICO VENETO: Ma guarda che si dice Cattelàn. Maurizio Cattelàn. È veneto. Di Padova.
IO: Eh, lo so, ma ormai tutti dicono Càttelan.
IL MIO AMICO VENETO: Come Bènetton. Sono cognomi veneti che hanno subito una proparossitonizzazione.
IO: Come??
IL MIO AMICO VENETO: Nomi che erano ossitoni, o tronchi – insomma, con l’accento sull’ultima sillaba – Benettón, Cattelàn, sono diventati famosi all’estero e adesso si pronunciano all’inglese, con l’accento sulla prima sillaba: Bènetton, Càttelan…
IO: C’era anche quello stilista delle nostre parti, ti ricordi? Piero Cardìn…
IL MIO AMICO VENETO: Sì, che ha fatto fortuna in Francia, ed è diventato Pierre Cardin, pronunciato alla francese, “Cardèn”, con l’ultima sillaba nasalizzata…
IO: Succedeva intorno agli anni Sessanta, Settanta. Parigi era ancora la capitale della moda mondiale. Prima dell’ascesa della moda italiana.
IL MIO AMICO VENETO: Essere stilisti significava essere francesi. Era necessario travestirsi da francesi. Non potevi presentarti sul mercato con un cognome veneto. Con quel diminutivo misero, poi! Il suffisso delle cosine: -ìn, Cardìn. Un piccolo cardo, o un piccolo cardatore di lana… Impossibile!
IO: Poi c’era anche la fabbrica di elettrodomestici… Quella di Conegliano.
IL MIO AMICO VENETO: La Zòppas!
IO: A Conegliano si era sempre pronunciato “Soppàss”.
IL MIO AMICO VENETO: Ma il passaggio da Soppàss a Zòppas è un’altra cosa ancora. È il dialetto che si traslittera in italiano. Perde in autenticità, in espressività, ma ci guadagna in decoro. Nel momento in cui una fabbrica vende i suoi prodotti a tutta la nazione, deve parlare la lingua di tutti. Prima comunicava inter nos: “Soppàss” era un rapporto di fiducia tra compaesani, “noi ci capiamo, non ti tiro una fregatura, sei del mio paese, ti ricevo in casa mia in canottiera e ciabatte perché c’è confidenza fra noi, niente formalità, ti offro un bicchiere di vino buono”… Con la traslitterazione in italiano, invece, ci si presenta in società in giacca e cravatta, si mette il vestito buono, l’uniforme seria. La fonetica è persino più importante dell’evocazione semantica, perché ovviamente Zòppas, pronunciato così, fa venire in mente una donna zoppa, un difetto… Ma nonostante questo, Zòppas suona meglio di “Soppàss”… che è in assonanza con sconquasso, ammasso, fracasso, collasso… cose caotiche, catastrofiche.
IO: E Benettòn?
IL MIO AMICO VENETO: è un cognome greve, con quel suffisso eccessivo, accrescitivo: -ón, Benettone, panettone… Bènetton sposta l’accento, letteralmente: e cioè focalizza l’attenzione altrove, la distoglie da quel nasone, da quell’escrescenza un po’ grottesca, quell’esuberanza dialettale: “-ón”. È una sillaba grave, baritonale, pronunciando Benettón in dialetto si scende anche musicalmente, nella tonìa fonica, le prime due sillabe, “be-ne-“ si pronunciano, mettiamo, con due note ripetute, facciamo due mi, mentre il finale “-ttón” scende di uno o due note, è un re, un do, rende più scura la parola, in veneto si pronuncia con la “o” chiusa, Benettón: suona un po’ greve, contadinesco… Il contrario del sofisticato…
IO: La conquista del mercato mondiale ha cambiato tutto.
IL MIO AMICO VENETO: Certo. La mutazione fonetica di questo cognome rappresenta, simbolicamente, la globalizzazione di alcuni marchi. Benetton ha sponsorizzato le auto di Formula Uno, ha vinto il Campionato Mondiale, e poi il cognome Benetton si è ridotto a un elemento del sintagma angloamericano “United Colors of Benetton”, che è il vero marchio… Noi italiani pronunciamo la parola Benetton non filologicamente, secondo la sua origine locale, ma come la pronuncia il mercato mondiale: Bènetton. E “Bènetton” non produce vestiti con caratteristiche locali, ma capi di vestiario che possano andare bene in tutto il mondo.
IO: Be’, Càttelan almeno non è una ditta.
IL MIO AMICO VENETO: Ma sì che lo è. Anche tui lo sei.
IO: Ma Càttelan non ha sponsorizzato macchine, come Bènetton!
IL MIO AMICO VENETO: Però fa il testimonial per un marchio di vestiti.
IO: Oh be’, non è l’unico… Ma parlami della sua storia fonetica.
IL MIO AMICO VENETO: Anche in questo caso una versione cognominale globalizzata. La vicenda del suo cognome coincide con quella dell’arte italiana recente. Per essere riconosciuti come grandi artisti in Italia, bisogna aver avuto successo nel mercato mondiale, valer a dire nel mondo anglosassone, in America soprattutto, o comunque in quella koinè culturale dei circuiti internazionali (critici, galleristi, curatori, istituzioni museali, riviste d’arte…) che si esprimono in inglese. I due artisti italiani più famosi nel mondo hanno nomi, o inglesi: Vanessa Beecroft, oppure…
IO: Scusa se ti interrompo, ma mi hai fatto venire in mente una storia che ho sentito dal direttore della più famosa collana di fantascienza pubblicata in Italia e venduta in edicola, “Urania”: quando stampavano i romanzi di Ben Bova vendevano meno copie, perché sembra un cognome italiano, e i nostri lettori non volevano autori di fantascienza nostrani, perché per raccontare di astronavi e di alieni bisogna essere americani. Il futuro non ci appartiene, e nemmeno l’immaginazione del futuro… Il monopolio della visione non è nostra. Ma ho divagato, scusami…
IL MIO AMICO VENETO: Non preoccuparti. Che poi mi risulta che la Beecroft si chiami proprio così. Voglio dire, non credo sia uno pseudonimo.
IO: Nemmeno Càttelan è uno pseudonimo. E non è un nome inglese.
IL MIO AMICO VENETO: Ma ha subìto questa mutazione fonetica del cognome.
IO: È un organismo foneticamente modificato!
IL MIO AMICO VENETO: Sì. Ci è “tornato indietro”, in Italia, in forma globalizzata, anglificata. Da padovano, Cattelàn, Castelàn, Cappelàn, castellano, cappellano, eccetera (le parole simili che vengono spontaneamente alla lingua a noi veneti sono parecchie)… a artista internazionale, ovvero foneticamente angloamericano: Càttelan. Tipo Càmeron, Sùtherland, Wìnterson…
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Tìzian, e così con la storia di chi ha avuto per per primo la visione di un papa con la gamba fratturata da un masso ti sei tolto un sàssolin dallo scàrpon… Il tuo articolo è una grandinata di rocce su quel tèston di Càttelan… Che quel pupazzotto papale l’ha venduto a due miliardi…
Scarpa (o Scarpà? O Scarpa’, con l’apocope, che magari negli anni gli era caduta l’ultima sillaba, di Scarparo?) ogni tanto lo fa. Ci apre, su NI, una finestra sul “mondo dell’arte”.
Secondo me bisognerebbe trovare un po’ più di spazio su questo sito a quello che si sta facendo fuori dalla scrittura. E’ una proposta: pittura, scultura, architettura, arti grafiche, etc… ne vogliamo parlare (e vedere) di più da queste parti?
Per ora un grazie a Tiziano, Cattelàn è un ottimo inizio.
ciao, Gianni
La proparossitonizzazione più esacerbata e inavvertita riguarda, tuttavia, ora e sempre, Marina autodichiaratasi Sàlamon.
“Noi italiani pronunciamo la parola Benetton non filologicamente, secondo la sua origine locale, ma come la pronuncia il mercato mondiale: Bènetton.”
Benettòn, Bènetton: poca cosa, fin qui possiamo scherzarci sopra come Benigni con Berlinguer. Il dramma vero è con le scarpe, quando fai il filologo e dici “niche” e tutte le commesse e tutti i clienti ti ridono in faccia o dietro le spalle e quelli a cui fai più pena ti spiegano che la Nike è americana, GNURANT.
Beh, Elio, il tuo esempio vale addirittura doppio: la prossima volta prova a spiegare alle commesse che, quale che sia la pronuncia corretta, nessun americano ha mai pronunciato “nàik” come credono loro!
ah, certo, questa sì che è Arte…cattelan…oramai la laurea honoris causa la danno a tutti, non poteva mancare, suvvia!!
Sì, dicono [naikì].
Secondo me, Cattelan è un copy geniale, ha portato l’immagine-spot a livello sublime, ma come artista mi pare iperepigonale. Scarpa su NI in realtà parla della patologia dell’arte, del gioco sociale dell’arte. Un motivo ci sarà. E comunque sempre secondo me l’arte figurativa più interessante, in questo momento, si trova nella letteratura disegnata. Mi pare che i fumettisti più bravi siano completamente fuori dal gioco sociale dell’arte.
Off topic, si potrebbero riprendere su NI le cose che sta pubblicando Evangelisti su Carmilla a proposito del caso Battisti(E Frankenstein fabbricò la sua creatura…)? Non so, mi sembrano importanti.
Approvo Biondillo: è vero, interessante questa divagazione artistico-fonetica e in generale la possibilità di portare su questo blog anche il mondo artistico che accade fuori dalla scrittura. Complimenti a Scarpa.
p.s=Anche Coìn ha avuto la stessa sorte!
A me non pare che il tema di Scarpa sia l’arte. Mi pare un modo struggente come ha di solito lui, nascondendosi dietro quella scrittura nitidissima, di parlare del contorno dell’arte, di fare critica sociale. Non trovate che ci sia una differenza? Boh.
Un mio amico pugliese mi spiegò una volta come mai dalle sue parti dicono “Càvur” invece di “Cavùr” quando leggono “Cavour”. Ma la spiegazione non me la ricordo più molto bene. C’era un passaggio intermedio.
cioè, andrea, vuoi dire che scarpa, con questo suo intervento, abbia voluto in realtà prendere in giro in maniera sottile cattelan, dispregiarlo?
potrebbe essere, non ci avevo mica pensato!
Solo in parte off-topic: a me, quel papa di Scarpa che pensa ad una perpetua in una parrocchietta veneta, ha sempre fatto pensare al primo dei Giovanni Paolo, quello durato un mese.
Mi racconta un’amica zagabrese, lettrice di italiano all’Università, che ogni volta che cita Mediterràneo di Salvatores davanti ad altri croati, quelli la correggono perché, ovviamente, si pronuncia Mediterranèo.
Voi scherzate ma io non ho mai capito come si pronuncia Covacich
Kovačić, ovvio – come i suoi grandi antenati, il romanziere Ante e il poeta Ivan Goran.
Hai messo i puntini sulle “c” ma ancora non ho capito dove cade l’accento.
Ti prendevo in giro. Còvacich.
Però, che figata: qui sulla NI si vedono anche i caratteri slavi, con tutti i segni diacritici. L’intero sito è un organismo foneticamente modificato!