Fine della Roma da cartolina
(emergenza casa: hilarotragoedia del mercato immobiliare)
di Nicola Lagioia
Ascesa e crollo dei titoli tecnologici – nascita e morte dell’anno giubilare – diretta televisiva dell’11 settembre. I ragazzi venuti ad abitare a Roma dopo questi eventi, accorsi dai quattro angoli del paese o dalle coste trans-adriatiche, venuti qui per frequentare l’università e poi fare carriera negli studi legali, o darsi al cinema, diventare scrittori, curare mostre, non fra cinque anni, quando staranno faticosamente chiudendo il loro primo contratto editoriale e non avranno tempo per guardarsi alle spalle – riceveranno un misero obolo dal titolare dello studio legale oppure saranno felici di esporre in una galleria di terz’ordine – neanche fra sette di anni, ma tra dieci o quindici allora forse sì, quando la loro vita starà scorrendo su binari più sicuri e i ragazzi di un tempo saranno diventati uomini molto meno interessanti ma verso i cui c/c convergeranno le forniture di un qualche ministero – patrocineranno cause importanti, trionferanno a Cannes, saranno nominati primari o vinceranno un concorso a cattedra… – soltanto allora, anche se tutti questi dovessero restare i traguardi mai tagliati di una vita priva di gloria e di successo, soltanto allora, gettando rabbiosamente un telecomando sul pavimento, e sudati, involgariti dal tempo, nel cuore dell’estate del 2018, ripensando ai loro primi anni a Roma – dopo il Giubileo, il crollo del Nasdaq, quello delle Twin Towers – non si limiteranno a interpretare quel periodo come l’inconcludente vagabondare per case editrici, tribunali, gallerie d’arte e aule universitarie che in effetti sarà stato, ma lo rileggeranno anche come un quinquennio eroico e disgraziato, i beati anni del castigo in cui venivano tenuti per le palle da un agente immobiliare. Che dico uno: centinaia, forse migliaia di agenti immobiliari.
Questi turlupinatori di professione. Questi emissari del male. Queste cravatte troppo larghe e la chiassosità delle camicie. Questi contratti preliminari.
Il vertiginoso aumento degli affitti che negli ultimi anni si è abbattuto su Roma – e su molte altre città italiane – verrà sin troppo pacificamente liquidato dagli esperti come una conseguenza congiunturale. “Sfiducia nei titoli azionari e tassi di interesse al minimo”, proferiranno sinistramente in un’intervista, offrendo agli occhi delle telecamere l’esagerata metratura del loro studio a Prati. Ma poiché la guerra, per esagerare, non è soltanto “la violazione del trattato di Varsailles, spinta dal vento di una disoccupazione fisiologica e dal ridicolo appeasement della Società delle Nazioni” ma anche sangue sudore e lacrime, mutatis mutandis direi che – nel segno di mille polverose e umide mansarde spacciate per superattici – le pacifiche considerazioni degli esperti possono andarsene affanculo e il toro venire preso per le corna, l’Idra guardata in pieno volto, il sedicente italiano dell’agente immobiliare tradotto finalmente in lingua.
La fama di Roma come città ospitale, benevolmente conficcata nello sfasciume dei secoli, dove gli studenti di architettura avrebbero la possibilità di verificare le teorie sulla volta a botte facendo capolino dalle loro finestre affacciate sulla Basilica di Massenzio – i giovani artisti soggiornano in deliziosi appartamenti in via Margutta; i letterati combattono l’umidità a campo de’ Fiori calandosi una parrucca bionda sulla testa e sussurrando: “Oui, ich bin Ingeborg Bachmann” – è fama immeritata, oltre a essere l’apoteosi del cattivo gusto e a contornare col suo piumaggio il sufficientemente massacrato bigliettino da visita ad uso dei turisti.
Uscite dalla cartolina e scendete in strada. Individuate i portoni socchiusi. Addentratevi nei condomini. Verificate l’assenza dell’ascensore e i calcinacci che continuano a piovere dalla tromba delle scale come neve radioattiva. Salite a piedi. Suonate ai campanelli di ogni appartamento. Se il campanello non funziona siete probabilmente davanti alla dimora di un futuro primario – principe del foro, oscar per il miglior film straniero –, che nel presente tutela l’incognito vestendo i panni dello sfigato, si obbliga a dividere con altri quattro futuri-qualchecosa ottanta metriquadri di tenebra perenne e insalubrità da palude pontina al costo mensile di quattro o cinquecento euro cadauno. Attraversando idealmente San Lorenzo e San Giovanni, il Pigneto e Montesacro, Trastevere e l’Esquilino, gli scenari rimangono pressoché identici: appartamenti mai ristrutturati negli ultimi vent’anni, ricavati da altri appartamenti, in certi casi luoghi di pura fatiscenza, a volte veri e propri dungeons sono stipati di studenti, sfaccendati e giovani professionisti, i quali, al costo di cifre proibitive, hanno la possibilità per quattro o cinque anni di sperimentare il brivido di un alloggio che lo sfruttamento del lavoro extracomunitario concede di solito gratis. Questo vuol dire che l’osannato “core de Roma” si è trasformato in un muscolo capace di schiacciarti con la forza della sua pressione o di pompare fuori dai propri confini il risultato di un’abbienza al di sotto del celestiale. Roma, in due parole, sta diventando una città per ricchi.
Qual è, a ogni modo, il percorso che conduce a mettere la nostra firma su un documento affine, nello spirito, ai famosi contratti di sottomissione preparati da Sacher von Masoch? Arriviamo a Roma per laurearci, imparare un mestiere, fare carriera, andare via di casa o perdere del tempo all’ombra dei pini. Nei primi tempi soggiorniamo a casa di amici o di parenti, la cui ospitalità lascia cadere (grammaticalmente) un suo elemento mobile per trasformarsi presto in aperta “ostilità”. Zaino in spalla e buona volontà: dobbiamo trovarci casa per i fatti nostri. Questo significa lanciare un passaparola che andrà spegnendosi in poche tappe, consultare siti internet male aggiornati per rassegnarsi infine a consacrare l’alba di ogni mercoledì e venerdì con l’acquisto dell’unico strumento davvero utile per trovare casa a Roma: «Porta Portese».
È interessante come questo giornale di annunci sia capace, in poche settimane, di trasformare agli occhi del consultante i propri desiderata in folli slanci velleitari. Rapportando la metratura degli appartamenti ai prezzi indicati ti accorgi che la casa dei tuoi sogni è appunto un sogno mostruosamente proibito (Madame Bovary? Oui, c’est moi), che una modesta ma solida abitazione sul Parco della Caffarella (Henry Thoreau? Here I came) non è comunque alla tua portata, che un insieme di squallidi monolocali ottenuti allacciando luce e gas a colombaie e cantine aspettano soltanto di venire disputati fra te e altri titolari di un reddito che cinque anni fa era considerato rispettabile e oggi avvita la tua smorfia di scorno e abbattimento in spirali di esasperazione omicida (Privet, ya Rodya Raskilnikov). Si scopre inoltre, leggendo «Porta Portese» e rispondendo telefonicamente agli annunci, che il 99% per cento del mercato è controllato dalle agenzie immobiliari, quasi mai segnalate come tali nel corpo del testo. Sì, certo, ci sono anche i privati: ma è difficilissimo pescarli nel mare magnum degli annunci, e quando li trovi si tratta spesso di persone anziane, troppo diffidenti per rivolgersi alle agenzie e troppo pedanti per concederti un appuntamento senza prima averti chiesto informazioni su età, razza, titolo di studio, città di provenienza, stabilità e fogliame dell’albero genealogico, opinione sulla presa di Fiume e sempre pronti a dissentire, comunque, quando gli comunichi che l’affitto a questo punto verrà pagato con moneta del Regno. Rassegnati ad affidarci alle agenzie – e preparandoci quindi a imputare una mensilità del nostro futuro affitto alla loro commissione – ci rendiamo conto che le occasioni (si fa per dire) più vantaggiose sfumano cinque minuti dopo l’uscita del giornale – cioè alle 7.35 a.m. Trascorsa qualche settimana di sveglie antelucane, allora, ci rendiamo altresì conto, gli occhi cerchiati dal sonno, che un buon 50% di quelle vantaggiose occasioni non sono altro che truffe – appartamenti puntualmente immaginari, fac-simili o contenuti in banche dati il cui accesso a pagamento è contestuale alla loro sparizione. Superati anche questi scogli, sempre più stanchi e con la guardia bassa, riusciamo a ottenere un appuntamento per la casa nella quale, all’inizio dela ricerca, avevamo pensato di riparare in caso di disgrazia. Ci consegniamo quindi tra le braccia di un agente immobiliare (il nostro primo appuntamento!) non senza avere maledetto «Porta portese», i cui redattori declineranno la responsabilità dei disguidi e si diranno pronti, su nostra segnalazione, a espungere dal giornale tutte le inesattezze, le omissioni e i tentavi di raggiro ma non saranno ceramente in grado di spiegarci come mai dal falò del supplemento dedicato agli annunci immobiliari si sprigioni, ogni venerdì sera, profumo di zolfo.
Qualche tempo fa comparve sui giornali la notizia che le più importanti agenzie immobiliari italiane erano sospettate da non so quale autorità di controllo di fare cartello, quindi di falsare le regole della concorrenza traducendo tutto questo in ulteriori salassi per gli affittuari e gli acquirenti delle case. Ma conoscendo gli agenti immobiliari romani, stringendogli la mano, e svincolandosi per un attimo dallo stato ipnotico in cui i loro giri di parole e la loro inossidabile untuosità provocano nella vittima, si giunge alla conclusione che il classico “cartello commerciale” non è nulla rispetto alla corrispondenza telepatica che lega fra di loro i componenti di questa categoria. Un agente immobiliare ti guarda negli occhi e già sa. Capisce innanzitutto che le tue difese immunitarie contro le fregature sono già state indebolite dalla consultazione di «Porta portese» e inoltre, grazie al legame psichico che lo lega ai suoi colleghi, pre-sente quanti altri agenti immobiliari hai incontrato prima di lui, conta le metaforiche banderillas già piantate sul dorso del tuo orgoglio e della tua provvedutezza calibrando il colpo fatale.
Quello che accade poi – l’apposizione di una firma su un contratto svantaggioso e conseguente condanna a vivere per anni in luoghi assurdi – non è molto diverso da alcune operazioni chirurgiche effettuate sotto anestesia locale: ci rendiamo conto che stanno trafficando con i nostri testicoli e tuttavia non possiamo intervenire. Siamo perfettamente consapevoli, cioè, che la missione dell’agente immobiliare è chiudere il contratto, che i suoi sorrisi sono tutti di circostanza, che l’assenza del terrazzo che ci avevano promesso non è dovuta a una “sopravvenuta difficoltà” o all’ammutinamento dell’aggettato ma al fatto che un terrazzo, in quel preciso angolo di mondo, non c’è mai stato. Sappiamo anche, per esempio, che quando l’agente immobiliare oppone alle nostre proteste sulla richiesta di un affitto troppo alto la circostanza che abbiamo il privilegio di vivere nella città eterna (indicano una minuscola porzione di Altare della Patria percepibile nelle giornate terse dal luogo nel quale invece ci troviamo: un appartamento a strapiombo sulla tangenziale), stanno appunto evocando un’immagine da cartolina alla quale non credono minimamente. E allora? Come mai soccombiamo? Noi siamo soli e loro tanti. Noi possiamo contare esclusivamente sulla nostra coscienza e sulla nostra inteliggenza mentre loro sono uniti da questo stolido legame soprannaturale che alla fine ha la meglio. L’intelligenza si spunta contro il muro di gomma delle ovvietà e ipocrisie che ci propinano senza sosta. La resistenza umana si spegne gradualmente man mano che viene shiaffeggiata, in giro per i quartieri di Roma, da sciami di parole vuote, stereotipi, raggiri da baraccone. Alla fine, dopo giorni di ricerca, sempre più stanchi e scoraggiati e rintronati dal vuoto pneumatico dell’Internazionale immobiliare, piombamo in uno stato di condizionamento psichico che mette la sua firma al posto nostro sul contratto preliminare.
Soltanto a quel punto ci risvegliamo dal trance ma è troppo tardi. E del resto: quale sarebbe stata l’alternativa? Capiamo di avere preso una fregatura ed ammettiamo (siamo pur sempre degli umanisti) che l’agente immobiliare condivida con noi perlomeno l’appartenenza di specie. Ma fuori dalla sua veste professionale. Calato nel suo ruolo non è altro che un periclosissimo guscio vuoto, la rotellina dentata di una gigantesca macchina ottundente a sua volta piegata alle esigenze di un Complotto criminale che prevede la bonifica umana dei centri urbani. Ancora pochi anni, insomma, e Roma ci avrà espulso per sempre dai suoi confini per diventare una città di milionari, turisti, parlamentari e agenti immobiliari. Prima che questo accada bisogna cercare di reagire, organizzarsi, passare al contrattacco, sabotare gli uffici delle agenzie, mettere temporaneamente da parte il proprio senso di responsabilità borghese e combattere il raggiro col raggiro, pagare con assegni scoperti, farsi consegnare le chiavi di casa e poi rifiutarsi di pagare l’affitto. Ogni strumento insomma è lecito per sabotare le dinamiche di quello che, a pensarci bene, deve essere un Complotto proveniente dal futuro, il piano di qualche malvagio consesso di umanoidi che, intorno al 2018, avranno in odio Roma, diventata nel frattempo quel luogo accogliente, vivibile, stimolante e pieno di occasioni che adesso non è ancora.
Un Complotto proveniente dal futuro ai danni dell’umanità e del progresso…Volete un esempio? Lo stato di condizionamento psichico innescato dall’Internazionale immobiliare in certi casi produce effetti anche dopo la firma del contratto preliminare. E infatti, la settimana scorsa, uno studente di fisica è andato a stendere i panni sulla terrazza del suo nuovo 25 mq a S.Lorenzo. La terrazza era un’invenzione dell’agente immobiliare e lo studente si è sfracellato al suolo dopo un volo di quindici metri. Sarebbe diventato un premio Nobel.
______________
Pubblicato su “Accattone” di febbraio 2004
E io che mi volevo trasferire a roma per diventare il nuovo Godard…
AAA. affittasi ESCLUSIVAMENTE a studenti fuorisede (contratto a termine) elegante monolocale vista obelisco piazza S.Pietro. Unico inconveniente (facilmente risolvibile) l’amplificazione di un tizio che any given sunday sproloquia coi microfoni a palla da una finestra dirimpetto. Astenersi sordomuti.