In appoggio al gesto di Agamben
di Carla Benedetti
“Vi sono soglie nel controllo e nella manipolazione dei corpi, il cui oltrepassamento segna una nuova condizione biopolitica globale” –
scrive Giorgio Agamben in un articolo uscito su “Repubblica” dell’8 gennaio.
In quell’ articolo Agamben comunica la sua decisione di cancellare il corso che avrebbe dovuto tenere in marzo alla New York University, perché non intende sottoporsi ai nuovi dispositivi di controllo imposti dal governo americano ai cittadini stranieri che si recano in U.S.A, cioè lasciare le proprie impronte digitali e essere schedati.
Credo che questo gesto di Agamben, apparentemente piccolo, sia invece politicamente molto grande, proprio perché tocca una tecnologia di potere (quella che Foucault chiamava “biopolitica”) oggi sempre più dilagante e terribile, e che tuttavia il discorso della politica fa fatica a mettere a fuoco.
Spero che altri intellettuali italiani e europei condividano questa decisione.
Per parte mia, ho deciso di seguire il suo esempio, e di sospendere l’impegno già preso con la New York University.
Riporto qui sotto l’ articolo di Agamben, breve ma pieno di spunti per una riflessione più ampia sulle nuove tencologie di potere:
“Non si tratta soltanto della sensibilità individuale a una procedura cui venivano sottoposti in passato e sono tuttora sottoposti in molti paesi i sospetti criminali e i perseguitati politici. Se fosse soltanto questo, sarebbe perfino pensabile di decidere di condividere per solidarietà le condizioni umilianti cui vengono sottoposti altri esseri umani. Ma il problema eccede di gran lunga i limiti della sensibilità personale e riguarda il normale statuto giuridico-politico (o forse si dovrebbe ormai dire semplicemente: biopolitico) dei cittadini degli stati cosiddetti democratici in cui ci troviamo a vivere.
Ormai da anni, in modo dapprima occasionale e subliminare, e poi sempre più esplicitamente, si cerca di persuadere i cittadini ad accettare come normali ed umani dispositivi e pratiche di controllo che sono sempre stati considerati eccezionali e inumani. E’ noto che oggi il controllo che gli Stati possono esercitare sugli individui grazie all’uso di dispositivi elettronici come le carte di credito e i telefoni cellulari raggiunge limiti un tempo impensabili. Ma vi sono soglie nel controllo e nella manipolazione dei corpi, il cui oltrepassamento segna una nuova condizione biopolitica globale, un passo ulteriore in quella che Foucault definiva una sorta di progressiva animalizzazione dell’uomo attuata attraverso le tecniche più sofisticate. La schedatura elettronica delle impronte digitali e della retina, il tatuaggio sottocutaneo e altre pratiche del genere sono elementi di questa soglia.
Le ragioni di sicurezza che vengono addotte per giustificarle non devono trarre in inganno. L’esperienza insegna che pratiche che vengono riservate inizialmente agli stranieri, vengono poi estese a tutti. Ciò che qui è in questione è la nuova relazione biopolitica “normale” fa i cittadini e lo stato. Questa non riguarda più la partecipazione libera e attiva alla dimensione pubblica, ma l’iscrizione e la schedatura dell’elemento più privato e incomunicabile: la vita biologica dei corpi.
Ai dispositivi mediatici che controllano e manipolano la parola pubblica, corrispondono i dispositivi tecnologici che iscrivono e identificano la nuda vita: tra questi due estremi – una parola senza corpo e un corpo senza parola – lo spazio di quella che un tempo si chiamava politica è sempre più esiguo e ristretto.
Anni fa mi è capitato di scrivere che il paradigma politico dell’occidente non è più la cità ma il campo di concentramento, non Atene ma Auschwitz. Era, naturalmente una tesi filosofica e non storiografica […] E’ probabile che il tatuaggio a Auschwitz apparisse come il modo più ‘normale’ ed economico di regolare l’iscrizione dei deportati nel campo. Il tatuaggio biopolitico che oggi ci impongono per entrare negli Stati Uniti è la staffetta di quello che domani potrebbero farci accettare come l’iscrizione normale dell’identità del buon cittadino nei meccanismi e negl ingranaggi dello stato”
(Giorgio Agamben, Se lo stato sequestra il tuo corpo, in “la Repubblica”, 8 gennaio 2004)
Nell’immagine, una video installazione di Michael Rovner, DataZone , 2003
I commenti a questo post sono chiusi
…ma dove sono i 5 commenti segnalati?…
comunque sottolineo che lo stato italiano prende anche lui le impronte digitali e che ad Agamben, a cui va tutta la mia stima per il suo gesto, non avrebbe fatto male ricordarlo nel suo articolo.
Mi auguro, anzi voglio essere certo, che non ci siano ragioni censorie nella sparizione dei 5 commenti precedenti. Anche perché, allora, dobbiamo mettere in chiaro le regole.
Potete pubblicare, come fa ogni tanto Scarpa (vedi, ad. es., il suo Natale di Gesù Esposito), le vostre cose senza che si possa commentarle. Uno lo sa e si adegua.
Se invece si permette la replica sappiamo tutti che può essere anche “non conforme”. Su questa “conformità” occorre distinguere la diversità delle opinioni dall’insulto greve e inutile.
L’atto censorio in sé (se c’è stato) non porta da nessuna parte.
Anche perché avevo una cosa da aggiungere, una piccola cosa, che, ora, senza l’evidenza dei post precedenti può sembrare fuori luogo. E non è mia intenzione fare la perifrasi di ciò che è stato scritto non da me. Sono certo che è un semplice disguido tecnico. Vediamo di ripararlo.
Amichevolmente, Gianni
Non credo che lo Stato Italiano schedi tutti i cittadini stranieri che entrano, si rilevano le impronte digitali nel caso di richiesta del permesso di soggiorno, che è comunque una norma parecchio discutibile. Mentre “la legge Turco Napolitano prevedeva il rilevamento delle impronte digitali solo nel caso in cui uno straniero fosse fermato dalle autorità di pubblica sicurezza e si rifiutasse di consentire l’accertamento della propria identità.” (www.deputatids.it/documenti/immigrazione.htm)
p.s. Michael Rovner era tra le poche cose interessanti della Biennale di Venezia, ha colpito un po’ tutti. Per tornare a una vecchia immagine usata dalla Benedetti, un quadro dell’artista sudafricano William Kentridge, fino al 29 febbraio ci sarà una sua retrospettiva al Castello di Rivoli.
http://www.exibart.com/profilo/eventiV2.asp?idelemento=8043
Gentile redazione di NazioneIndiana, che dite, tiriamo fuori i cinque post fantasma (tra cui il mio?) Oppure facciamo finta di niente, all’italiana? Complimenti comunque. A forza di parlare di regime soft, avete imparato che “soft” significa morbido.
Scusa però, Tedoldi, io domenica sera vorrei vedere Raiot, e pur pagando il canone non posso, allora la forza polemica perché non la usi per quelle cose lì, che è una rete pubblica e non un blog privato?
Ah. Un “blog privato”. Capito. Grazie.
Cosa c’entra Raiot, scusa Andrea? Abbiate pazienza, ma Tedoldi ha ragione. Avevo letto il suo commento sul pezzo di Agamben. E si erano aggiunti altri due pezzi. A quel punto avevo altro da fare (il lavoro…); a sera mi sono ricollegato e i commenti di Tedoldi &C sono spariti. Ma che, c’è la censura qui dentro? Perchè se è così non va bene manco per il cazzo!!!! E voi sapete bene perchè!Spero di essere stato chiaro.
Sul pezzo di Agamben/Benedetti mi pronuncio come segue: gli USA hanno il diritto di difendersi dal TERRORISMO anche con questi mezzi, e Agamben e la dott.ssa Benedetti hanno il diritto di dissentirne e di non prestare più la propria opera per le univeritù americane.
Spero che qualcuno tra i redattori vorrà comunque spiegarci l’accaduto.
Un grazie e un saluto a tutti,
Chiariamo subito un punto: io sono per il moderatore. I messaggi con insulti gratuiti vanno cancellati. A mittenti che – sistematicamente – irridono o cambiano argomento o mandano messaggi criptici deve essere impedito l’accesso. Ma limpidamente, non in modo surrettizio. E mi rifiuto di pensare che i galantuomini di questa Riserva, in un post della quale mi è stato aspramente ricordato che la satira può e DEVE sconfinare nell’insulto personale, cassino silenziosamente un mio intervento SATIRICO in cui si prendeva garbatamente di mira un atteggiamento snobistico diffuso, generico, senza offendere nessuno. Anzi, arriverei a crederlo, dato che i moderatori potrebbero aver ravvisato del cattivo gusto nella mia spiritosaggine (le spiritosaggini sono sempre di cattivo gusto quando riguardano noi). Quello che NON VOGLIO credere è che lo abbiano fatto con l’intervento di Tedoldi, che è serissimo e congruente e al quale il mio voleva fare da pendant.
Sono talmente convinto che non c’è stata, nella sparizione, la volontà di persone che ammiro e rispetto (specie di Carla Benedetti, che accusa il mondo letterario e civile di scarso coraggio e in favore della quale, quando è stata querelata per aver attaccato Pedullà, c’è stata una levata di scudi) che riproporrei subito la mia frasetta, casualmente precipitata in qualche virtuale discarica. Non lo faccio perché l’intervento cardine è quello di Tedoldi, al quale chiedo di riproporlo.
PS: colgo l’occasione per rivolgermi a Raul Montanari, al quale avevo proposto un argomento – spedendo all’indirizzo che risultava dalle sue repliche nel sito – che forse, dati i problemi informatici evidenziati dal sito, non è mai giunto a destinazione. E’ così?
Io invece ho apprezzato molto la tattica della reciprocità dei brasiliani, che hanno bloccato per ore i cittadini usa negli aeroporti fotografandoli uno a uno con macchinetta digitale. Cheese.
Credo anche che chi sente di dover manifestare il proprio dissenso debba poterlo fare e come può, cioè in base al ruolo che ha. Agamben insegna all’università, mica fa il precario da maccheschifo donald. Quindi per protesta non insegna punto.
Diverso invece, e a mio avviso più interessante, è il discorso di chi agisce in casa propria prendendosene la responsabilità.
Oggi ad esempio i professori che insegnano a milano andranno al lavoro a piedi:)
(Sono spariti 5 commenti, ma non credo che si tratti di censura. Quindi riposto il mio, che tra l’altro vale anche e soprattutto oggi:)
Io credo semplicemente che ci siano problemi tecnici, ma non ho letto i famosi 5 interventi quindi non saprei, nel caso che siano stati volontariamente cancellati, dire se è stato giusto o no, ma ripeto secondo me questa finestra di commenti ha qualcosa che non funziona, ad esempio il counter è sballato.
Raiot c’entra nel senso che era un esempio macroscopico di censura (non come questa cavolata dei 5 commenti che appunto Tedoldi potrebbe riproporre verificando se era guasto o censura). A favore di Raiot, chi in questo colonnino si lamenta della cancellazione dei post, non ha detto una beata mazza, quindi volevo sottolineare come si può sentire uno che paga il canone e non può vedere (per censura) un programma che giudica di qualità.
Per per la difesa contro il terrorismo, vorrei ricordare che esiste la legge (pare strano eh?), e in casi come questo di diritti confliggenti (libertà personale – diritto alla sicurezza della collettività), la risposta se sia giusta o no la limitazione della libertà personale va pesata attentamente in base al rilievo costituzionale dei diritti che si vogliono limitare, alla efficacia di certe disposizioni e alla loro inevitabilità. Non mi sembra che con i rilievi digitali si combatta il terrorismo, ma potrei sbagliare naturalmente, e può anche darsi che l’ordinamento degli Stati Uniti valuti come assolutamente (sproporzionatamente) comprimibile la libertà individuale a favore della sicurezza pubblica. Da noi comunque, ancora, non è così (so che i fatti del G8 di Genova hanno dimostrato il contrario, ma dalle forze dell’ordine in quel caso sono stati commessi atti al di fuori dell’ordinamento.)
per andrea barbieri
sì, certo che il viminale prende le impronte solo dei richiedenti permesso di soggiorno e non di tutti i turisti e gli accademici in ingresso, e hai fatto bene a ricordarlo. ma per questo ti sembra meno grave?
il punto qui – ed è il punto centrale nell’articolo di A. – è lo sconfinamento nel “biologico” delle forme di controllo sociale, e tra gli usa e l’italia la differenza non è per niente abissale ed è solo di grado.
insomma, visto che si è parlato di snobismo, l’osservazione sottintesa nel mio post – secondaria ma non irrilevante – era semplicemente questa: non è necessario attraversare l’atlantico per trovare certe aberrazioni, perché non spendere due parole due sull’italia? in altre parole: professore, siamo qui! ci fili un pochino, per favore!
comunque, dov’è l’intervento di tedoldi?
perchè gli admin non si pronunciano per sciogliere questo clima un po’ ridicolo di sospetto che si è creato?
Anch’io voglio pensare che non ci sia malizia; insomma, voglio pensare che quei commenti (dei quali, personalmente, trovavo soltanto quello di Tedoldi -condivisibile o meno- senz’altro chiaro e netto e comprensibile e ben argomentato)siano spariti per dei problemi tecnici. Non voglio pensare che si pratichi la censura anche qui, dopo tutti i discorsi fatti, e qui mi associo all’ottimo Elio Paoloni. Si può discutere sul fatto che le ingiurie possano essere rimosse, ma l’intervento di Tedoldi, ancorchè acceso, era comunque un intervento civile; non ricordo ingiurie, parolacce ecc. Dunque, non volendo io credere alla censura, non volendolo credere io come altri lettori di NI, chiedo che qualcuno della redazione, prima o poi, voglia chiarire la cosa.
Perchè se per caso s’è trattato di censura lo si potrebbe anche dire. Si potrebbe dire: Tedoldi & C hanno detto delle cose infami e noi abbiamo cassato la cosa. Ok, risponderei io, non mi va bene, non lo capisco, non mi ci trovo, ma mi adeguo. Personalmente faccio le mie critiche e vado avanti a seguire NI che comunque trovo spesso interessante. Ovviamente avrò qualche riserva (non indiana) d’ora in poi, ma insomma, nessuno è perfetto…
Suvvia signori, qualcuno ci tranquillizzi, dateci il nostro Valium giornaliero, fateci stare in pace con noi stessi e nella fattispecie con voi.
Grazie.
Può darsi che io abbia esagerato nel pretendere il ripristino dei 5 post fantasma. Voglio dire: “censura”? Per me non è censura quella su Raiot, non è censura quella a Santoro-Biagi e compagnia, figurarsi se è censura togliere di mezzo 5 insignificanti post da un “blog privato”. Forse un giorno – chissà, accade di tutto – capiterà l’occasione in cui mi metterò a gridare che le mie tremende verità sul Sistema sono state soppresse – ma ancora non credo di essere sì rincoglionito. Ma sì, chiudiamola qui.
A me risulta che lo Stato Italiano prenda le impronte digitali di tutti i cittadini maschi quando si presentano alla visita di leva. Almeno ai miei tempi (1986) era così. Mi sbaglio?
Risulta anche a me (1965)
(’86 era l’anno della visita di leva… non so se era chiaro)
Leggendo l’articolo e i commenti che sono stati fatti, io ho visto tre livelli di discussione che è importante tenere separati per non creare confusione ulteriore:
1)riguarda il contenuto dell’articolo di Agamben.
L’8 gennaio su Repubblica a pag.12 in un lungo articolo di D’Arcais,viene riportato che Bush apre agli illegali. Con il nuovo programma gli stranieri potranno lavorare per tre anni negli stati uniti con un visto speciale. Scaduti i tre anni il guest-worker dovrà tornare nel suo paese d’origine. Non viene menzionata la faccenda del rilevamento delle impronte digitali. Poi nell’inserto culturale(pag 42) ecco il pezzo di Agamben, in cui egli denuncia l’odiosa procedura e il suo conseguente rifiuto. Allora mi chiedo che razza di modo di fare informazione sia questo.
Per parte mia, non credo che rilevare le impronte digitali sia strumento per debellare il terrorismo, ma bensì di controllo. E qui ognuno è libero di dire la sua…certamente. Lo sconfinamento nel biologico per il controllo sociale è il punto nodale della questione, come ha fatto osservare Wilder in Italia si è arrivati al medesimo bivio quando c’è stata la “sanatoria” per le badanti e la conseguente discussione di mettere in regola i clandestini. Non ho idea se venissero prese le impronte ai maschi per la visita di leva, in ogni caso lo trovo aberrante allo stesso livello dei tatuaggi nei campi di concentramento.
2)la censura. Scusa Giordano, perchè ritieni che che non sia censura l’eliminazione di Raiot dal palinsesto rai? perché non è censura l’epurazione di Santoro, Biagi e compagnia? non sono polemica, vorrei solo capire li tuo punto di vista, non è chiaro dal tuo intervento.
3)la presunta censura o i problemi tecnici di NI.
Da lettrice di NI, chiedo a qualcuno della redazione una piccola spiegazione. Quando apparve il pezzo degli zibaldoni, ci fu un disguido tecnico e alcuni post furono cancellati per errore. Allora Dario si prese la briga e la pazienza di scrivere due righe per raccontare l’accaduto. Ora mi farebbe piacere che qualcuno avesse la gentilezza di spendere due minuti per fare altrettanto e dissipare nubi che inquinano la discussione. Il pezzo della Benedetti solleva problematiche importanti su cui sarebbe il caso di confrontarsi senza mettere in campo questioni che non c’entrano nulla.
un saluto
Facciamo come giustamente fa Gabriella, ragioniamo per punti.
1) Credo che tutto sia iniziato proprio con la questione Zibaldoni vs Scarpa. Abbiamo visto una sequela infinita di cazzonismi che sfociavano spessissimo nell’insulto gratuito. Ho già detto a suo tempo come gli eventuali provocatori debbano essere messi da parte, ma mi rendo conto che proprio quella discussione abbia “irritato” la sensibilità di chi gestisce il sito (di chi, insomma, sperava in un pubblico meno cialtrone).
Elio propone il moderatore. Bene. Se ne parli, se ne discuta, lo si “metta ai voti”. Ma evitiamo che serpeggi il dubbio di una censura, appunto, “soft”. Non farebbe bene a questo blog.
Il protratto silenzio sull’argomento, da parte di chi gestisce il sito, voglio interpretarlo semplicemente come mancanza di tempo effettivo (il lavoro, la famiglia, etc.). Aspetto paziente che qualcuno dica la sua, illuminandoci.
2) Io i “famosi” 5 interventi li ho letti. E ricordo perfettamente che qualcuno (chi, purtroppo, non lo rammento) parlava di un atteggiamento, da parte di Agamben, tipico di chi “sputa nel piatto in cui mangia”. Ecco, la questione non è da poco.
Innanzi tutto per la grevità dell’affermazione. E, poi, perché è una critica tipica di chi difende ad oltranza le posizioni del governo statunitense.
Vorrei dire la mia.
Vediamo se ho capito. C’è un professore attempato, non un noglobal dell’ultima ora, non un terrorista imberbe, che dice: “non sono d’accordo. Non ci sto.” Ha un’opinione, è nel suo diritto. Poteva fermarsi lì. Poteva aggiungere: “continuerò a dirlo nei luoghi dove mi è permesso, lo urlerò alle mie lezioni nelle Università americane”. Invece decide di dimostrare il suo dissenso, agendo con il suo corpo, mettendosi in gioco. È chiaro, chiarissimo, che Agamben rinuncia a qualcosa di importante. Non credo proprio che un uomo di accademia rinunci a cuor leggero di lavorare in istituti prestigiosi quali quelli americani. Non c’è “logica del profitto”. Cosa ci guadagna? Un anno a contratto all’Università di Vimodrone? Wow. Un vero pollo. E invece lui preferisce, nel nome delle sue idee, rinunciare ad un ruolo di prestigio per mantenersi coerente.
Poi c’è un’altra professoressa che lo rende noto. Poteva fermarsi lì. Poteva dire: “quanto è tosto Agamben.” E invece decide anch’essa di seguire il suo esempio. Cosa ci guadagna? Il plauso di quattro lettori di un blog italiano? Si inimica un intero mondo accademico tanto per fare “scalpore”? Non vi sembra un po’ riduttivo? Scusate: se veramente avesse continuato a tenere lezioni negli USA avrebbe “sputato nel piatto in cui mangia”, invece decide di non mangiarci più. Quindi perché usare tale fraseologia?
Perché c’è il desiderio di colpire per colpire. Il passo successivo sarebbe stato: “vattene a Cuba, dal tuo amico Fidèl”. Un classico. Oppure: “odiate gli americani poi vi mettete i jeans.” Tipico. Non si accetta l’idea che esista un dissenso. Ma come? Io che sto con i dissidenti cubani poi non posso dissentire dagli americani? Anzi: non posso dissentire dal Governo americano? Perché è qui la questione. Negli Stati Uniti stessi c’è chi (e sono molti) dissente da quel Governo. Sono tutti terroristi? Sono tutti filocastristi?
Oppure è tutta gente che non fa che esercitare un diritto che è proprio della democrazia, che ha una delle sue più feconde radici proprio nella tradizione culturale americana, nella tradizione sindacalista di inizio ‘900, nella difesa dei diritti degli afroamericani, nella difesa dei diritti degli omosessuali, delle minoranze etniche, delle donne, etc. etc.?
Che si sia d’accordo o meno con Agamben o la Benedetti non si può negare che stiano operando democraticamente, difendendo le loro idee. Senza il vilipendio di un popolo ma con il forte dissenso, nei limiti del loro “potere” effettivo e fattivo, nei confronti di una azione politica.
3) Proprio per questo, proprio perché credo in tutto questo, voglio la massima trasparenza, la chiarezza assoluta su un fatto che, magari, è solo stato un semplice problema di gestione. Oppure no. Ma ditemelo.
In amicizia, Gianni
Non so dire di preciso come sia successo che sono spariti i primi 5 commenti, ma è stato probabilmente per un mio errore. Me ne scuso
Carla Benedetti
E’ molto interessante che una discussione sulla censura finisca censurata, non trovate? E non è nemmeno la prima volta, in NI. E’ ancora più curioso, poi, come vengano tanto esaltati comportamenti così “antiacademicamente accademici” (uso questa perifrasi per non dire “sputare…”) in un contesto in cui si tratta di “biopolitica”, e cioè di quella cosa che riguarda i meccanismi minimi del potere, che stanno dappertutto, perfino dal salumiere, perfino in banca, perfino al cesso. Voglio dire che a me tutto questo esibire i gesti dei dottoroni mi sembra la più palese negazione dello spirito della “biopolitica”, che invece dovrebbe esaltare i gesti minimi di “contropotere”. Come, ad esempio, la lecita protesta in un “blog privato” (!!!) dei lettori che hanno assistito (non per la prima volta!!!) a una colossale censura.
GRAZIE e tutta la mia solidarietà per la scelta di sospendere l’impegno preso.
con stima, gabriella
Caro Delgaudio, non esageri! Io sono un Indiano ma non sono un professorone (peraltro non credo che Carla possa essere definita così).
Ergo, da pari a pari, moderiamo i termini: qui nessuno ha attitudini censorie…
A rileggerla.
ma andatevela a pia’…
Signor Iacopo, si fa presto a dire “nessuno ha attitudini censorie”… ma la censura resta. E non solo: l’escusazione arriva solo dopo una ventina di interventi, cioè quando proprio non ne poteva più, la signora B., di tacere. E’ un caso la scomparsa dei 5 interventi? Secondo me, no. Come già abbondantemente dimostrato in altri casi, qui c’è una caterva di malafede. E di contraddizioni in termini grosse quanto palazzi.
delgaudio, ci vedo solo un po’ di sindrome da accerchiamento, del resto giustificata visti i trascorsi di questo blog (anzi, dei commenti su questo blog). tornando alla questione, ma cosa dicevano di tanto grave i cinque commenti cancellati? ero rimasto a quello fortemente critico di tedoldi, duro ma legittimo.
Il biopotere, la biopolitica, le analisi di Foucault sono acute come quelle di Mark Dery e Donna J Haraway. Rimane il problema di come agire per incidere. Sempre che si debba agire o piuttosto proprio perchè il biopotere potrebbe avere la sua forza nell’agire in sé, allora cosa? Foucault, Deleuze hanno compiuto (sopratutto Foucault) gesti rivoluzionari, per poi riconoscere a mente più fredda di non credere nelle rivoluzioni, nella funzione liberatoria della rivoluzione. Foucault tra l’altro ha tenuto uno straordinario corso al college di france tra il 1981-1982 cioè due anni prima di morire dove percorre un altra strada, una strada molto più faticosa, impegnativa, di trasformazione intima. Agamben ha ragione, ma sbaglia.
Per gabriella: US VISIT, il provvedimento cui si riferisce agamben, è entrato in vigore il 5 gennaio e mi risulta che i quotidiani, anche quelli italiani, ne abbiano dato notizia il giorno stesso. Se ti interessano i dettagli puoi recuperarli negli archivi on- line, anche con google news.
Per lumina, sul come incidere. La questione del biopotere può essere capovolta e affrontata anche dal basso. A questo proposito, segnalo un bell’intervento di Michael Hardt sul lavoro affettivo in materialiresistenti.clarence.com.
Ma nun ve pesa la testa?
Per Gina: grazie! causa ripetute influenze ho giusto perso la lettura dei quotidiani in quel periodo.
ciao
Scusatemi ma io proprio non ce la faccio a prendere sul serio quest’argomento.
Corpi sequestrati? Soglie? Biopolitica? Terribile? Aberrante? Inumano? Animalizzazione dell’uomo?
Ma che si fuma questa gente? Per quanto mi sforzi, non riesco a vederci altro che questo: chiedono a uno di far vedere le manine e quello non gioca più. Poi, essendo un intellettuale della Vecchia e Saggia Europa, si sente in dovere di sproloquiare. Che un giorno sì e uno no i figli di quelli che si sono fatti ammazzare per liberare noi da Hitler vengano paragonati agli hitleriani, beh, è una cosa a cui abbiamo fatto il callo. Ma lo si sostiene, di solito, in presenza di qualche morto, o almeno quando si muovono le portaerei. Che si gridi Auschwitz perché ti vogliono sbirciare i ditini, è delirio. Cosa urlerebbe il nostro eroe se frequentasse discoteche o convegni riservati di venditori, dove ti sparano il timbro sul polso?
Gabriella Fuschini, sei una criminologa? Hai un passato nei Servizi? Cosa ti autorizza a decretare che la schedatura delle impronte sia CONTROLLO e non antiterrorismo? Il “controllo”, oggi, si fa con tutt’altri mezzi, con strumenti elettronici sofisticati: intercettazioni, telecamere, foto satellitari, incrocio dei dati da bande magnetiche. Nessuno si sognerebbe di esercitare lo sforzo di seguirti – e magari controllarti politicamente – attraverso le impronte digitali: questo mezzo antidiluviano (recentemente è stato sostenuto che non sia affidabile: l’unicità di ogni impronta sarebbe una leggenda) serve unicamente a confermare la responsabilità dell’autore del reato – a reato commesso – o a individuare un pregiudicato o un sospetto nell’accesso a zone sensibili. Punto.
Se la cosa può far aumentare anche solo di qualche decimale il numero di probabilità di intercettare un terrorista (o un comunissimo delinquente) le mie impronte (che giacciono già da decenni in qualche archivio militare, come quelle di tutti i maschietti di questo paese) sono disposto a inviarle in ogni angolo della Terra, a stamparle sui biglietti da visita, a ingrandirle per manifesti murali, ad attaccarmele al collo. Cosa c’è di umiliante nel collaborare alla sicurezza propria e dei propri figli? E perché non ritenere umiliante anche la foto sul passaporto? Cos’è, tecnicamente, una scheda con le impronte? La raffigurazione di una parte trascurabile, normalmente anonima, del nostro corpo, molto meno immediata, molto meno controllabile – socialmente e politicamente – della raffigurazione del volto. La trovatina della scandalosa novità “corporea” è roba da causidico svanito in overdose da B-movie: paradossi, associazioni, voli della fantasia, letture transalpine, inconsulte premonizioni, il tutto shakerato e servito come dato dell’esistente. Il complottismo fantagotico colpisce ancora.
E noi dovremmo “sostenere il gesto”? Quel gesto (ritirare le manine e sprofondarle in saccoccia) non è un soprassalto di dignità: è l’espressione di una spropositata e tortuosa pienezza di sé. Significa credere che oltreoceano si stracceranno le vesti perché gli si è sottratto il Pensiero (del quale, si sa, gli italici intelletti detengono il monopolio).
Se poi davvero vogliamo metterla sul “serio” (e, ribadisco, mi costa uno sforzo immane), allora: chi ha qualcosa di importante da dire, va a dirla pure con l’inchiostro in fronte, e se qualcosa dell’accoglienza non gli è garbata, è ben felice di gridarlo proprio alle platee del paese responsabile. Si vada, si vada a dirlo a loro che sono dei Kapò: quello sarebbe, almeno, un “gesto”.
Caro Elio, sono un pò un rompiballe, dunque m’inserisco: l’amica Gabriella non fa parte dei servizi (almeno a me non risulta, però magari è una spia così brava che fa credere ovviamente a noi di essere una normale cittadina…).
Poi volevo dire (anzi chiedere) questo, a te e a tutti: non è che la misura adottata dal governo americano sia antiterrorismo E ANCHE controllo? Potrebbe essere anche entrambe le cose, no? I classici due piccioni con una fava.
Sono d’accordo anch’io che il controllo sui cittadini lo si fa con altri mezzi, più sofisticati. Anche tramite internet. Però quello che tu chiami “gesto”, e che io personalmente (ma siamo nel puro campo delle ipotesi, naturalmente, si va a naso anche con sè stessi nel campo dei sè e dei ma)non avrei mai fatto, è qualcosa di importante,secondo me, dal punto di vista dell’ideale. Io non avrei fatto quel gesto perchè credo non servi a nulla, o quasi, nel concreto (gli USA continueranno a fare quello che fanno), e anche perchè non lo vedo assolutamente nel modo in cui lo vedono Agamben e Benedetti, non lo vedo come un’usurpazione della libertà individuale, in sostanza.
Ma dal punto di vista della protesta individuale, da un punto di vista proprio ideale, il “gesto” di Agamben e Benedetti ha una forza da non sottovalutare. Non credo proprio che Agamben e Benedetti possano permettersi il lusso di rinunciare a quella carica a cuor leggero, e dunque dietro ci dev’essere per forza una forte spinta ideale, che io e te, Elio, possiamo anche non condividere, ma che è giusto rispettare- con una punta, da parte mia, di ammirazione.
Io apprezzo molto la tua vis polemica, però chi dà del kapò alla gente (Schulz) qui c’è solo il cavaliere,e ci basta e ci avanza…
Ciauxxxxxxxx
No, no, il Kapò l’ha dato anche Agamben (e non si è neanche sforzato di farla sembrare una battuta) ma sono d’accordo, in astratto, sul valore delle rinunce. Trovo infatti assurdo che qualcuno abbia tacciato di venalità quelle decisioni. D’altro canto per un intellettuale il gesto importante dovrebbe essere quello di far sentire la propria voce in ambiti il più possibile lontani, ostili, e – forse proprio per questo – influenti. L’impressione che ne ricavo, insomma, è di persone prevenute, che avevamo già intenzione di abbandonare il campo e hanno colto il primo pretesto – ingigantendolo.
Etica a parte, quello che trovo sconcertante è la carenza di acume, di vaglio critico: nell’ansia di trovare riscontri alla tesi della “degenerazione imperiale” si è fatta confusione tra tecniche che è opportuno discutere perché nuove e tecniche antidiluviane la cui adozione – o riadozione – rivela unicamente il grado di preoccupazione degli amici americani (anzi statunitensi, che qui fanno presto a darti dell’impreciso).
Con simpatia.
Beh, a me sembra convincente il discorso di Elio.
La questione va affrontata SOPRATTUTTO dal BASSO – non ANCHE. Ma se dal BASSO si replicano gli stessi meccanismi censori che stanno in ALTO e con i quali ci si fa belli criticandoli, be’, allora le cose non vanno troppo bene.
Cornachia dice “sindrome di accerchiamento”: mica è poco!! Qui è sempre la stessa storia: AVERE ragione, ma SBAGLIARE, come dice lumina, cioè fare il solito uso strumentale della RAGIONE. Chiacchiere, insomma, senza etica.
Un po’ di domande: ma ai database di schedatura elettronica delle impronte digitali e della retina chi avrà accesso? La CIA? Il governo? Le amministrazioni locali?
Li ricordate Sacco e Vanzetti?
Come vanno considerati gli immigrati? Fasce socialmente forti o deboli? Minoranza o maggioranza? Se emigro in quegli accoglienti stati del Sud degli U.S.A. (tipo il Texas) e sono un regolare immigrato, facciamo messicano, chi mi dice che un poliziotto che abbia voglia di inguiarmi non possa farlo arbitrariamente dato che ha in mano le mie impronte? Le può mettere dove vuole…
Sto ponendo questioni iperboliche o è realtà di tutti i giorni?
Un saluto
ciai ragione a’ romole’ a questi je fuma la capoccia. fanno certi discorsi che me sembrano inteligenti perché usano nsacco de paroloni. do vonno anna’ a para’però nun lo capisco. ad ogni modo beati loro che scriveno così. mo’ te saluto romole’ sto a bottega e ce so li clienti. a rivedesse su sto sito. leggemo un po’ de libri però sinnò famo proprio la figura dei peracottari in mezzo a sti capoccioni!
giggetto hai rotto il cazzo, perché devi fare così il demente qua e non per cazzi tuoi in bottega da te? se sei gentile, evita di postare questi commenti che non sono né divertenti né utili né provocatori. alza il tiro o abbassalo. cheese
Va be’ se non te dispiace lo abbasso allora, me riesce mejio. sei un porello a’ raimo. sei alto un cazzo e barattolo e fai il grandone! ancora rigurgiti er latte e già te dai le arie! sei un bel tromboncino lo sai?
Giggetto (o come cazzo ti chiami, non oso sperare che tu ci dica il tuo nome): ti diverti? Ce l’hai uno straccio d’idea (gli insulti non valgono..)? Se no vai a farti un giro da qualche altra parte..non sentiremo la tua mancanza.
Caro Giggetto, in tv, su Retequattro, danno C’era una volta in America di Sergio Leone. E’ un film stupendo,perchè non fai come me e non te lo guardi?
Fa il bravo.
Negli Stati Uniti la tua spazzatura è tua. Anche se l’hai buttata nessuno può rovistarci, meno che mai la polizia. In molti Stati dell’Unione (non ho il polso su tutta la nazione, ho l’esempio visto con i miei occhi) sia la patente che i documenti di identità non hanno la fotografia. È il concetto di privacy, molto anglosassone, molto americano, che lo impone. Almeno formalmente è innegabile che un cittadino statunitense abbia una “protezione” legale unica al mondo. La legge. Pensate al talebano americano, che a Guantanamo non c’è andato. La legge del suo paese lo ha difeso, ha preteso (giustamente) un trattamento che rispettasse i diritti dell’uomo.
Ecco. È proprio questa la questione.
Nei secoli scorsi, nel seicento, nel settecento, etc. non c’è stato paese in Europa più avanzato, per quanto riguarda l’organizzazione sociale, la tolleranza e la legislazione, dell’Olanda. Poi però, la compagnia delle Indie faceva le cose più abiette, in giro per il mondo. Ecco. Appunto.
Spesso ho la sensazione che il massimo grado di libertà (con tutto quello che semplicisticamente qui comporta il termine) all’interno di una nazione “progredita” significa, nella nostra cultura (nostra. Tutta. USA, Francia, GB, Italia, Germania, etc.), la massima libertà di movimento, la massima illegalità nei confronti del resto del mondo. Ecco. È proprio questo che mi lascia dubbioso. Anzi: mi fa paura.
La mia è una cultura occidentale. Europea/americana. Il debito che ho nei confronti degli USA è innegabile e mai dimenticato. Però, insisto:
Esigo che si rispetti il diritto a dissentire. (Anche nel caso in cui non fossi d’accordo con chi dissente).
Al contempo il diritto alla critica. Criticare le scelte, però, proporre alternative, non attaccare la persona (niente sputi in faccia, niente volgarità, cattiverie) (lo so Elio, ora mi dirai: e tutta la menata sulla satira? Non tirarla fuori ti prego, sto semplificando ora. Lì il problema è la critica ai poteri, insomma è una lunga storia…).
Il rispetto cioè; il diritto dell’uomo in quanto tale.
Il diritto a difendersi, certo. Ma dai nemici, indipendentemente se sono dentro o fuori casa, se sono musulmani o cristiani integralisti, se sono del Nord o del Sud, senza distinzioni facili o comode. Difendersi significa anche il diritto ad avere un avvocato. La legge! Se vale per uno statunitense deve valere per tutti, però.
O tutti o nessuno, no?
Sacco e Vanzetti non andarono sulla sedia elettrica in quanto anarchici, diciamoci la verità, ma in quanto immigrati. In quanto estranei, baffuti, puzzolenti, mangiaspaghetti. In quanto “altri dai noi”, alieni. È successo lì, a inizio ‘900 e può succedere qui, da noi. Nessuno è esente dal panico dell’alieno. Meno che mai i governi assolutisti, dispotici, fondamentalisti, religiosi, che tengono in mano buona parte del mondo. Posti dove io NON andrei a viverci con la famiglia, ovvio. Questo però non vuol dire che io non debba dissentire, etc, etc., e fare in modo che con il mio esempio si aprano varchi anche in quelle parti del mondo.
Voglio un mondo migliore. Non acriticamente occidentale.
Perdonate un certo banalismo dettato dalla fretta. Vi abbraccio, Gianni
p.s. Rispondere alle provocazioni è, sempre, fare il gioco dei provocatori.
patetici…
Per Bondillo: apprezzo quello che lei dice ma non sono così sicuro sulle garanzie di cui possono godere oggi, all’interno del loro paese, i cittadini U.S.A. Il punto è quello posto da Agamben: con il progresso così rapido dell’archiviazione elettronica diviene necessaria una scelta: o si sostiene la necessità di interconnettere i diversi archivi, di modo da incrociare database con informazioni provenienti da diversi ambiti (giudizari, sanitari ecc.). Oppure si stabilisce che se io do un’informazione al mio medico di base lui dopo non se la deve rivendere a chicchessia.
La privacy anglosassone è una realtà: in Australia, negli anni’70, un milione di persone scese in piazza proprio contro l’introduzione della carta d’identità. Ma oggi è ancora così? Agamben si ribella proprio a un peggioramento della situazione. Ripeto, la questione centrale è: chi avrà accesso a quelle informazioni, alle impronte digitali?
Per preoccuparsi non è neppure necessario dipingere scenari foschi e futuri da fantascienza. E’ già successo che una minoranza di potere sia stata in grado di controllare per lungo tempo, con la tecnologia, una grande maggioranza di persone.
In Sudafrica il regime di apartheid si basava soprattutto sulla capillare analisi di tutti i dati di ogni oppositore del regime. La IBM ha fornito dal 1955 in poi i supporti per operazioni di questo tipo: controlli incrociati su occupazione e residenza, cose di questo genere..
L’integrità dei dati posseduti va sempre tutelata.
Un saluto.
P.S. Per chi vuole approfondire in questo senso: Luther Blisset, Mind Invaders, Castelvecchi, Roma 2000
Devo dire che rientrare qui dentro dopo un’assenza per lavoro mi procura imbarazzo, sono stata scoperta: il mio nome in codice è Gabrifusck e sono un agente del KGB infiltrato nella CIA… spero Elio tu non ne abbia a male per la mia voglia di scherzare nonostante il tono aggressivo del tuo commento. Per prima cosa io non ho DECRETATO niente…ho espresso un’opinione che può avere il peso della tua, sono per natura tollerante e mi irrito solo se mi insultano. Quindi non capisco i toni che hai usato nei miei confronti. Mi piace ragionare e accetto le critiche se mi possono far vedere altri punti di vista: non ho la verità in tasca e non mi è sembrato di affermare nulla di categorico. Non ho nulla contro il rilevamento delle impronte digitali, a patto che tutti i cittadini di uno stato siano soggetti allo stesso controllo, se vuole essere strumento per debellare il terrorismo, anche un residente può essere un terrorista, o no? Chi mi dice che la mia vicina di casa non lo sia? Perché è lecito pensare che solo i visitatori di uno stato possano commettere un attentato e non i residenti? Bada, sono domande che mi pongo: non ho certezze!Ho 43 anni e lo so anch’io che ci sono mezzi più sofisticati per il controllo sociale,per di più io facevo riferimento a quanto detto da un post precedente.
Ultima cosa: io credo di aver diritto di esprimere tutta la mia solidarietà a Carla Benedetti per la sua scelta, io esprimo questa solidarietà e non pretendo che lo faccia anche tu. E’ la mia opinione e non chiedo che tu la condivida. Tu hai tutti i diritti di esprimere il tuo pensiero, ma che bisogno hai di attaccare gli altri per affermare le tue ragioni?
Per finire, mi sembrava di avere usato toni pacati per poter proseguire la discussione sul contenuto dell’articolo e il mio grazie era diretto alla Benedetti in risposta alla sua spiegazione sui problemi tecnici del sito. Parto dal presupposto che chi scrive qui dentro sia dotato di onestà intellettuale. Nonostante la mia appartenenza ai servizi segreti, io tutti sti complotti non li vedo. :-)
Scusa, Gabriella, se sono risultato aggressivo. Il fatto è che questa stanza, che all’inizio mi faceva solo sorridere, comincia a sembrarmi un concentrato della mala fede di cui tu parli. A riprova della demenzialità di certi approcci, trovo qui sopra una “bibliografia essenziale” che invece di citare studiosi invita a leggere Luther Blisset. Quei libri li evito ma mi sembra che i tizi siano “fantasisti della paranoia”. E io, che sono costretto ad assistere alle sparate – o a libri interi – sulla paranoia dei cowboys (ma perchè vi agitate? cosa saranno mai un par di grattacieli? il mondo è bello, il cielo è blu) per non parlare di quei paranoidi degli israeliani che si permettono di tirar su recinzioni solo perchè gli ammazzano dieci ragazzini a giorni alterni, dovrei trovare nobile la paranoia dei professori?
Levate le serrature alle porte, era l’esortazione di un poeta. Bei versi, ma i professori lo hanno fatto davvero? Alzi la mano chi lascia la porta spalancata, di notte.
“Alzi la mano chi lascia la porta spalancata, di notte” – Gioco, set, partita per Elio.
Per Elio: io la lascio aperta la porta, spessissimo.
Non posseggo nulla, non ho la macchina, non ho la casa di proprietà, mi vesto da fare schifo, il mio computer è un catorcio… l’unica cosa che ho sono i miei libri, e quelli, si sa, non li ruba nessuno.
Giordano, va bene così? A chi va la partita ora? Stiamo facendo una gara a chi ce l’ha più lungo o vogliamo capire, discutere, etc., etc.?)
Per Jacopo: “formalmente”, ho scritto. “Almeno formalmente è innegabile che un cittadino statunitense abbia una “protezione” legale unica al mondo”. Fattivamente dobbiamo ancora, tutti, farne di strada.
Per Luminamenti: “Agamben ha ragione, ma sbaglia.” Bello, davvero, non sto sfottendo. Però spiegamelo, che io sono un po’ stupido. Tendi spesso, forse per desiderio di sintesi, a fare un elenco bibliografico più che a chiarire certe tue posizioni. Non ho la mente fresca, aiutami.
Per Gianni: ma che tono da stronzo hai stamattina?
Per Gabriella: lo sospettavo fossi una spia. Quindi non sei figlia di Maria?
Un abbraccio collettivo, Gianni
Gianni, la prox volta aggiungerò una postilla cautelativa: “trattasi di battuta di spirito, pregasi non risentirsi”. I libri che non li ruba nessuno è una leggenda metropolitana. Io stesso ho rubato un paio di volte, sia da Bibli che da Feltrinelli. Per quanto mi riguarda, fanno bene a chiudere con le saracinesche, la notte.
Mi sembra di essere a ottoemmezzo, con paoloni nel ruolo di ferrara. Botte massimaliste, ma la prima è stata quella su Auschwitz.
Chiaro che così la porta si chiude, e che non si arriva da nessuna parte.
Parlo da qui, da donna, maggioranza e/o minoranza, jacopo non è più questione nemmeno di quello.
E dico è vero. Esempio. Mi è capitato mi capita spesso di andare in giro da sola di notte.
E di avere detto grazie alle telecamere nei parcheggi. O di essere stata seguita, sempre in macchina, e di non essere riuscita a seminare chi mi seguiva e di essermi “rifugiata” nel parcheggio davanti al primo posto di polizia che ho trovato. Con telecamera. E adesso venite a rompermi le balle, mi sono detta. E se ne sono andati. Se ne sono sempre andati.
Il problema non è questo, credo. Il problema non è quello del controllo per assicurare ai cittadini un minimo variabile di sicurezza. Il problema sta nell’utilizzo del controllo di sicurezza per creare allarme sociale, manipolare il consenso e controllare le masse. E anche qui non è facile stabilire se e come. Tornando a US visit, considerati i precedenti dell’amministrazione bush, e il battage terroristico che si è fatto sotto natale profetizzando tonnellate di certissimi attentati a me il dubbio che sia manovra viene. Dico il dubbio. Poi c’è tutto il discorso sull’efficacia dei controlli, che mi sa davvero che quanto a sicurezza contro il terrorismo servono a poco, ma che sicuramente rimpolpano ulteriormente le banche dati, e moltiplicano le possibilità di abuso. Poi c’è tutto il discorso sugli effetti che una tale politica ha sull’altro da se, sul “nemico”, sul rafforzamento della sua(op)posizione. Basta solo vedere l’effetto che ha avuto sul personale della american aerlines – cittadini americani quindi “nemici”- il controllo reciproco messo in atto negli aeroporti brasiliani. Fotografati di fronte e di profilo (foto segnaletiche:). Impiastricciati d’inchiostro per le impronte, costretti a lunghe attese per i controlli. L’altro ieri un equipaggio ha dato di testa, rifiutando di sottoporsi alla trafila. Alcuni sono finiti in prigione. Altri rispediti indietro. Non è bello per nessuno essere trattato come un criminale. Poi ti viene da moltiplicare per centomilamilioni, e pensare agli effetti della guerra preventiva sulle popolazioni colpite. O a quello della politica israeliana sui palestinesi e viceversa. Non si tratta io credo, di giustificare o condannare la reazione di uno stato, di un professore, di un pilota, di un “resistente” o di un kamikaze per partito preso, in base a schieramenti e categorie vecchi e muffi, ma di cercare di capire davvero. Quanto alla partita, tedoldi, se andiamo avanti così mi sa che la perdiamo tutti.
Abbiamo capito che:
Gabrifusck è una spia del KGB… (Non l’avrei mai detto, è proprio brava!)
Biondillo ha di proprietà solo i libri.
Tedoldi non li ruba perchè lui li ruba solo nuovi.
Paoloni è il Giulianone Ferrara di NI.
Il governo brasiliano non può permettersi di dare lezioni di democrazia a quello statunitense.
Luminamenti ha gli elenchi…
Luther Blissett era più simpatico quando giocava nel Milan negli anni 80, il che è tutto dire…
Giggetto er carrettiere è sparito.
Gina si preoccupa per tutti e forse ha ragione.
Io faccio finta di fare lo spiritoso.
E intanto, come scriveva Enzensberger in “Middle class blues”:
l’orologio è caricato.
la vita è regolata.
I piatti sono lavati.
L’ultimo autobus sta passando.
E’ vuoto.
Non possiamo lamentarci.
Cosa aspettiamo ancora?
arrieccome franz! certo che m’hai proprio deluso tu! te sei rivelato un bel bacchettone! nun sembri lo stesso che ha scritto quel bel libro sanguigno! io l’ho comprato al supermercato. tutti i libri baldiniecastoldi stanno al supermercato. se ne fai ‘nantro de libro me sa che cor cacchio lo compro. coi sordi me ce compro mpar de pizze surgelate. te salustro.
arrieccome franz! certo che m’hai proprio deluso tu! te sei rivelato un bel bacchettone! nun sembri lo stesso che ha scritto quel bel libro sanguigno! io l’ho comprato al supermercato. tutti i libri baldiniecastoldi stanno al supermercato. se ne fai ‘nantro de libro me sa che cor cacchio lo compro. coi sordi me ce compro mpar de pizze surgelate. te salustro.
Peccato giggetto, pensavo tu fossi il proprietario dell’omonimo ristorante romano…e invece ti nutri di pizze surgelate come noi agenti
quando siamo di servizio. Dovrò trovare un altro ristorante per la cena sociale del KGB!
finarmente npo’ de ironia. bella, gabrie’!
ps: cio’ na pizzeria a tajo su via appia. “C’è pizza per te” se chiama. venghi a trovamme, co’ tutto er kgb. me fai piacere.
Giordano, scusa, stamattina avevo le palle girate. Comunque se qualcuno mi rubasse i libri in casa, mi farebbe incazzare e, al contempo, mi farebbe grandemente piacere. (ebbene sì, ti capisco, ne ho “grattati” anch’io, e più d’uno, nella mia vita).
Gina, chapeau! Ho “sentito” molto il tuo intervento.
Franz, cosa hai bevuto oggi?
A Gigge’, ma “c’è pizza per te” nun stava su ‘a Prenestina, in via Sabbaudia? Mej cojoni, se ce sta da imbucarse vojo essere er primo.
Ciao, Gianni
a Giggè, me dovessi ringrazià, artro che palle,t’ho citato pe fatte tornà! me sei simpatico perchè sei n’pò rompicojoni come me. Però nun dì fregnacce sur libbro mio, che ar supermercato nun se trova! Là de Bardini & Castordi se trova solo er Falletti. Poi ce trovi Amaniti che però pubblica co li grandi e una vera grande scrittrice che consijo a tutti, a Sveva gasati Modignani… In particolare consijo er suo “Er cigno nero”, l’ho visto ieri proprio ar giesse dove so annato a compramme i TUC; me so detto: “ma che, la Modignani Sveva Gasati mette un titolo che sembra un ristorante de moda…, la possino caricalla”!
te ringrazio pe er sanguigno, er mio libbro è proprio scritto cor core e cor sangue. (Ahò, poi l’hai visto er grande Sergio Leone ieri in tivvù?)
Volevo dì ar mio amico Gianni che me so bevuto lo yougurte… Me sà che me fa male, vero Giggè?… Quanno nun bevo er vino de Marino e Frascati e faccio er salutista de straforo poi sparo cazzate. Scusateme tanto.
così mi piaci. un giorno se na’nnamo da candido a via delle medaje doro. lì cianno er vinello bianco secco o er rosso asciutto. poi fanno un petto de pollo a’ fornara che manco mi madre. se portamo pure raimo, che dici? a quo gnappetto je famo beve la cocacola però. o ‘na tazza de latte che je piace tanto. oh. s’è capito che je sto affa’ a’ pubblicità occurta?
nun so se sì è capito, so o dici tu… ma varda che vojo che bevemo tutti er vino, capito? E nun fa lo spiritoso co Raimo, fa er bravo, se no chiamo Ninetto Davoli… e pure Pino er fornaro…
Ciao giggè,
a parte gli scherzi, ogni potere esercita modi coercitivi ma se vogliamo parlare di massimi sistemi nulla supera quanto racconta solzenicyn in arcipelago gulag, per metodicità e “casualità”. che sorte avrebbe ciascuno di noi?
Su TTL di oggi, a pagina 4, c’è la recensione al libro di Franz, Le cose come stanno.
che è ttl?
Aggiungo un mio ultimo, ostinato:) commento a questa faccenda, che mi è stata tra l’altro molto utile, visto che vivo, e mi occupo di “comunicazione”.
Mi riferisco all’”effetto bomba” del pezzo di agamben pubblicato da benedetti. E sotto parecchi punti di vista.
Mi viene in mente a questo proposito il “vecchio discorso” di andrea inglese sull’uso dei saperi.
Quello di agamben è il testo di un filosofo. Non il delirio di un alcolizzato che vomita stronzate a caso sul biopotere e poi decide di spedirle a repubblica. Agamben si occupa di biopotere da una vita. E ne parla, seppur da filosofo:) a ragion veduta. Si può essere d’accordo o meno con quello che sostiene. Si può prescindere da agamben e parlare di biopotere da punto di vista dell’uomo della strada, visto che tutti, bene o male, il biopotere lo viviamo sulla nostra pelle. Si può persino sostenere che il biopotere non esiste, che non lo viviamo e che non ci riguarda. Ognuno è libero di pensarla come vuole, in base alla propria esperienza, e alla valutazione che da della propria esperienza.
Ma non si può, io credo, attaccare la persona, e il professionsta agamben senza conoscere il suo lavoro.
Concetti come quello del biopotere, dell’”animalizzazione dell’uomo”, e della “nuda vita”, per non parlare delle sue idee sull’olocausto, che tra l’altro, a quanto mi risulta hanno dato luogo anche ad accuse di revisionismo, hanno una preciso significato e una precisa connotazione filosofica. E nel caso in cui si decida di giudicare Agamben per il suo gesto, questi significati e queste connotazioni io credo, vanno tenute ben presenti.
Qualcuno, blondie:) credo, ha chiesto delucidazioni a lumina, che come sappiamo ne sa una più del diavolo. Chiedere a chi sa. Credo che questo sia un buon passo e non a vanvera.
Un altro aspetto invece, capovolgendo la situazione, è relativo all’uso consapevole ed efficace dei media da parte di chi ha una conoscenza specifica, in questo caso filosofica, e prendo ad esempio agamben e benedetti. Mi spiego.
Non tutti i lettori di repubblica, credo, come del resto i quelli di questo blog me compresa, sanno di filosofia e sono avvezzi alla sua terminologia. Se lo scopo di uno scritto spedito a un quotidiano ad alta tiratura quindi popolare, o pubblicato su un blog come questo aperto alla vasocomunicazione è quello, come io credo, di suscitare attenzione, promuovere una una riflessione o dare il via a una discussione costruttiva, credo che il linguaggio dovrebbe essere appropriato al contesto e trasversale. Il più possibile trasversale. Non dico appiattito verso il basso. Semplicemente un po’ più comprensibile, magari e più articolato.
Nelle versioni inglese (http://info.interactivist.net/article.pl?sid=04/01/15/0344234) e francese (http://www.lemonde.fr/web/article/0,1-0@2-3232,36-348677,0.html) del pezzo di agamben che tra l’altro sta facendo il giro del web, c’è ad esempio un cappello esplicativo, e qualcosina in più rispetto a quello pubblicato qui. Se avete voglia dateci un occhiata. L’effetto sul lettore, dico sul lettore profano, mi sembra diverso. No ho visto il pezzo pubblicato su repubblica, e quindi non so se la signora benedetti abbia tagliato qualcosa per motivi di spazio, o perchè non la riteneva importante, o perchè semplicemente intendeva promuovere una riflessione sul biopotere più vasta e in un certo senso indipendente dal gesto di agamben. Non aspettandosi, ovviamente, la levata di scudi del no martini no party. O forse è stato agamben stesso a modificare il pezzo destinato all’estero. Non so. Però l’effetto è diverso. Mi sembra diverso.
Infine e in ogni caso ringrazio tutti, perché questa discussione, per me almeno, è stata davvero interessante. Grazie al tema in primo luogo, ma anche e soprattutto alle dinamiche di relazione.
Ciao
Hai ragione Gina, sono andata a leggere la versione in francese e paradossalmente è molto più chiara di quella italiana. Dico paradossalmente perché quella francese è stata tradotta dall’italiano. Su Repubblica mancava il cappello introduttivo che in effetti spiega meglio le ragioni di Agamben. E qui non è riportato integralmente, ci sono un paio di passaggi in meno ricostruiti però dalla Benedetti nell’introdurre l’articolo. Quello che è chiarissimo è il fatto che Agamben sottolinea che la sua è una tesi filosofica e non storica. Come dici tu possiamo accettare o meno la tesi fondante le sue argomentazioni ma rispettare la persona che le promuove. E qui mi piacerebbe chiedere a chi non è d’accordo con lui qual è la tesi fondante di un’argomentazione contro. Quello che è interessante è il rapporto tra cittadini e stato che viene a trasformarsi secondo Agamben, con i provvedimenti presi.
In ogni caso, grazie per la dritta.
ciao
Bene, Gina, condivido molte delle tue considerazioni. Io non conosco né le altre versioni né i cappelli né la biografia di Agamben. E non ho intenzione di conoscerle: argomento su ciò che mi viene proposto. Non mi si faccia passare però per argomentazioni filosofiche (quasi un limbo a parte) quello che era – se non nelle intenzioni di Agamben almeno in quelle di Benedetti – un invito all’azione: la chiamata, attraverso l’esempio (apprezzabile, ho già riconosciuto, perché penalizzante) a una sorta di boicottaggio unilaterale.
Una mera speculazione filosofica non necessita di “sostegni”, di eroi, di una “nazione” culturale che richiama gli ambasciatori.
A proposito di speculazione, senza spirito polemico e con tutto il rispetto per studiosi che in fondo non conosco, pure Nietzsche è uscito pazzo. Non è soltanto una battuta: specializzandosi in un ambito, perfezionando una tesi, si finisce per porre tutto il reale sotto il segno della nostra creatura. L’ineffabile Sigmund, uno che non è uscito pazzo, anzi sosteneva di guarire gli isterici, volendo ricondurre tutto a una ferrea teoria unitaria ha finito per ridicolizzare (anche se non quanto i suoi ortodossi seguaci) una stupenda intuizione.
Insomma, che il passato di uno studioso renda comprensibile certe sue posizioni estreme non deve esimerci dallo stigmatizzarle, se crediamo.
Ciao.
Per elio e stavolta brevemente : centri il punto.
La chiamata all’azione, come la definisci tu, è di agamben in primo luogo, e poi di benedetti. La quale però nell’introdurre il pezzo sottolinea anche l’opportunità di aprire una riflessione più ampia sulle nuove tecnologie di potere. Quindi gli spunti di discussione sono almeno due, cioè il gesto e “la riflessione”.
Ora. Che il pensiero preceda l’azione mi sembra francamente e in ogni caso auspicabile:). Quanto all’impegno civile degli intellettuali invece, almeno da parte mia , niente pregiudiziali. Il tutto si gioca sulla libera valutazione dei contenuti, e dell’efficacia dell’atto.
ciao
Se si vanno a leggere le ultime tre righe del capitolo Tienanmen a pagina 69 del testo la Comunità che viene (Bollati Boringhieri)non credo possa portare grandi vantaggi seguire il gesto di Agamben. Inoltre, se si legge tutto il libro di Agamben che ho citato, la scelta di Agamben, qui testimoniata dalla Benedetti, va inquadrata non tanto nella ricerca di una nuova appartenenza e azione politica (assolutamente fuorviante interpretare in questo modo Agamben, a meno che lui non mi dica che ha rinnegato ciò che ha scritto nei suoi libri), quanto piuttosto in una singolare, quanto decisiva per lui, operazione di redenzione personale che coincide con una sua visione dell’inoperosità, che non significa inerzia. Mi rendo conto che senza la lettura del testo La Comunità che viene di Agamben, queste mie parole sono praticamente incomprensibili, quindi forse sarebbe opportuno leggerlo. Filosofia prima e politica coincidono in Agamben, quindi singolarità esposta al non salvabile. Agamben non credo proprio pensi che con il suo gesto, anche se fosse seguito, possa cambiare granché. In lui qualcosa però cambia, è questo che a lui interessa testimoniare. In sè il prestesto del suo gesto è una goccia nell’oceano del biopotere, lo preoccupa di più la deriva che ne può fluire e sceglie, a modo suo, di salvalguardare ciò che non è salvabile, ciò che è irreparabile. Sa che il suo gesto è inutile e vuole salvare questa inutilità! semmai invita a compiere altri gesti inutili, differenti, non corporativi, ma singolari, l’intima improprietà come la chiama lui! Leggetevi il libro e poi ditemi se ho detto cazzate! ho tentato di indicare una traccia non del mio ma del suo pensiero, sempre che l’abbia capito sufficientemente in questi anni.
La lettura di Luminamenti mi sembra abbastanza azzeccata, quanto ad Agamben, poi c’è la questione di come questa scelta personale risuoni in ognuno di noi. E in me risuona diversamente dal solito invito a firmare una petizione per i diritti umani. E suona diversamente dallo starsene belli passivi e spettatori di quello che accade. E forse al di là delle sottigliezze teoriche di Agamben, il suo è un gesto per trovare un punto, un’occasione, per sentirsi implicato, laddove ognuno di noi, intellettuale o meno, sembra essere ai margini, sempre sul bordo del campo, sempre in fondo al tram, che se ne va condotto da altri, secondo logiche che ci sfuggono in parte o del tutto.
Come possiamo sentirci “implicati” in fatti di cosi vasta portata come il mutamento legislativo che investe i paesi occidentali nell’epoca del terrorismo?
Quindi il primo punto su cui riflettere è: mi sento implicato, toccato, ho spazi di reazione, reali, simbolici, ecc.?
E poi, secondo punto, che cosa mi muove, che cosa mi allerta, muta il mio quotidiano compromesso con il mondo? E’ il terrorismo che rappresenta il problema cardine, quello che più mi tocca, mi riguarda? Oppure le tecnologie di controllo diffuse in modo più sofisticato nei paesi ricchi e democratici dove io vivo?
Per quanto mi riguarda, rispondere alla seconda domanda vuol dire porsi un problema di GERARCHIA degli eventi, di priorità dei problemi dannosi.
Ora, il terrorismo non è per me il problema primo da risolvere. Non è quello che pesa direttamente su di me, sulla mia vita e di quelli che mi stanno intorno. Quotidianamente, i danni, la sofferenza, l’intollerabilità delle situazioni derivano da: DISPARITA’ SOCIALI, ossia il vecchio scontro di classe, ossia il vecchio SFRUTTAMENTO; che ancora esiste, sempre esiste, nelle sue forme nuove ed aggiornate. Poi, esistono le varie forme di ESCLUSIONE, che vanno dalla discriminazione spicciola all’esclusione organizzata e pianificata dall’azione attiva e politica sui propri destini (l’esclusione attraverso il controllo, la manipolazione e a volte la repressione). Poi esiste tutta la serie di effetti, vicini e lontani, di queste primi e fondamentali fattori di crisi, di sofferenza, di ingiustizia permanente. Ed esiste anche il terrorismo. Quello islamico.
Ma quando Sandro Viola scrive su Repubblica (prendo l’esmpio del giornale moderato, progressista moderato)che l’11 settembre “ci ha reso consapevoli di quanto sia assolutamente vulnerabile la nostra vita d’ogni giorno (l’andare in ufficio, il salire su un aereo, il rasentare una sinagoga)”, io vorrei rispondergli che la nostra vita (quella di una parte di noi cittadini delle demcrazie occ. ecc. ecc.) è innanzitutto vulnerabile, e ormai da tempo, in quanto RISCHIAMO DI NON ANDARE IN UFFICIO, perché non ci vogliono a lavorare, o se ci andiamo anche 10 ore, rischiamo di non poter comunque salire su di un aereo, PERCHE IL NOSTRO SALARIO NON CE LO PERMETTE. La vulnerabilità è già qui, nelle nostre vite, creata e prodotta dall’occidente per suo uso e consumo, prima ce venissero dei kamikaze ad aggravarla.
Quindi, certo che il terrorismo esiste, è una minaccia, una questione seria. Ma nonostante tutto quello che vogliono farci credere alcuni, NON è al primo posto. Anche se domani Bin Laden si converte alla non violenza e tutta la sua banda pure, la mia VULNERABILITA resta. Qui. In occidente.
Eh, Inglese dice una cosa importante aggiungendo questo significato alla parola “vulnerabilità”. Si parla sempre poco del lavoro, come se fosse una cosa secondaria.
Mi associo!
1. Lavorare
2. Vivere
3. (Eventualmente) consumare.
TARIFFE DA: 10,00 euro
Promozione acquistabile dal 17 al 25 Gennaio 2004,
volabile dal 19 Gennaio al 31 Marzo 2004, valida sui seguenti voli.
Venezia Marco Polo – Roma Fiumicino
Milano Orio al Serio – Roma Fiumicino e vv
Bari – Roma Fiumicino e vv
Catania – Roma Fiumicino e vv
Palermo – Milano Orio al Serio e vv
Milano Orio al Serio – Bari e vv
Catania – Milano Orio al Serio e vv
da volareweb.com
La sai una cosa, Elio?
L’anno scorso io e il mio socio abbiamo organizzato un viaggio a Bilbao, per vedere il Guggenheim (andare, vedere, tornare, tutto al risparmio). Abbiamo preso al volo (è il caso di diro) un’offerta di volareweb. 1 euro a tratta. Figata. peccato che fra tasse, sicurezza, prenotazioni via inet, carta di credito etc. ho pagato 80 euro. Conosco uno che direbbe: “vaffangulammamete!”.
Ciao, gianni
Paoloni la sua battuta era prevedibile, ma di scarsa efficacia. Anche se i viaggi in aereo costano meno di una volta, ossia costano quanto i treni e a volte anche meno, ebbene bisogna poi pagare all’estero vitto e alloggio, mostre, concerti, discoteche. Si risparmiano cento o duecento mila vecchie lire, ma bisogna essere pronti a sborsarne comunque un cinquecentomila. La clientela che si è spostata in massa sui voli a basso prezzo era la stessa già assai privilegiata che per motivi di lavoro, o di vacanza, prendeva normalmente i treni che costavano meno degli aerei.
Se i problemi di sfruttamento, esclusione, impoverimento sociali fossero risolti da volareweb o easyjet, caspita sarebbe davvero un bel colpo. Marx non ci poteva ancora pensare, ma Lenin si… Quanto tempo e sangue sprecato.
ATM.
Tariffa tratta Gambara – Sesto Marelli Euro 1,00
” – Cadorna S.Nord ” 1,00
De Angeli- Stazione Centrale 1,00
Stipendi medi lavoratori ATM:
chiedere ai COBAS…
Ai dieci, su quelle tratte, vanno aggiunti non più di 26 euro. Meno del treno. Meno anche della bicicletta se ci metti pranzi e pernottamenti.
Ma come rinuciare al piacere del “stavamo meglio quando…”.
Già, quando, esattamente?
Quando il carrozzone Alitalia, istituzionalizzato, protetto, ipersindacalizzato, ci teneva per le palle?
Quando non c’era l’euro?
Quando c’era Lui (nel senso di Craxi, statista notevole a cui però non bastò la favorevole congiuntura mondiale e dovette indebitare figli e nipoti)?
Quando?
Prendo atto delle spiegazioni, lumina. Ma mi viene da chiederti ancora una cosa,cioè se hai letto anche stato d’eccezione (bollati boringhieri 2003). Ho qui una vecchia recensione di Negri, che ho conservato con l’intenzione di acquistare il libro, cosa che peraltro non ho ancora fatto. Titola: il frutto maturo della redenzione. Mi chiedo se sia da interpretare anche in questo caso dal punto di vista personale. Naturalmente sei liberissimo di rispondere o no e quel che vuoi, anche cose tipo leggitelo tu il libro, parassita:)
Poi.
Concordo con la sostanza delle considerazioni di andrea inglese (paoloni sei irriducibile:), però è in questo senso che il testo di agamben mi ha personalmente infastidito.
Insomma non c’è un cazzo di “nuovo”, di sostanzialmente nuovo nella condizione biopolitica globale. Ma solo un aggravarsi continuo e costante della situazione, e agamben lo sa bene. Si vede anche dal testo.
Aggiungo che se, per qualsiasi motivo, si decide di condurre la battaglia (il gesto inutile, l’inutile battaglia:) sul piano mediatico, e di utilizzare una tecnica centrale del subvertaising come il “meme dell’apocalisse” bisogna saperlo fare. Altrimenti l’allarme ti si ritorce contro.
Nel senso che un atto inutile può anche apportare degli utili vantaggi.
Ma agli altri, cioè a quelli che (non) combatti:).
Concludo con un dato sul sicidio, atto violento e definitivo che ben si può definire come “inutile, non corporativo ma singolare” (lumina naturalmente non è il tuo pensiero. E nemmeno quello di agamben. Ho solo preso le tue riflessioni come spunto).
Da una ricerca oms, ripresa anche dal corriere il 4 ottobre 2002.
“Ogni anno nel mondo ci sono 1.600.000 morti violente. Il 55% sono suicidi. Il 18% conflitti armati.
Sono dati dell’organizzazione mondiale della sanità, che per la prima volta ha stabilito una mappa dettagliata delle morti violente registrate in una settantina di paesi del mondo: circa la metà è dovuta a suicidio, almeno un terzo ad omicidio, e un quinto alla guerra. “Ma è soltanto la punta di un iceberg, ha spiegato ieri Etienne krug , direttore del dipartimento per la prevenzione delle violenze dell’oms durante la presentazione del documento a bruxelles “perché la maggior parte degli atti di violenza è commessa in famiglia e non è denunciata.”. Negli stati uniti, tra il 1952 e il 1996, sono triplicati i suicidi di adolescenti e di giovani adulti, dal 1980 al 1996 sono raddoppiati quelli fra i 15 e i 19 anni. In Gran Bretagna, l’1.3% dei piccoli tra i cinque e i dieci anni ha tentato di uccidersi o si è autoinflitto ferite”.
Ora. Io non ho nulla contro la tecnologia e il “progresso” anche se lo metto tra virgolette. Anzi. Quindi con tutto il rispetto per chi ha posto la domanda credo che la questione non sia tanto quella del quando stavamo meglio. Ma del come stiamo adesso. E mi sa che mica stiamo tanto bene.
Ho scoperto ieri da qualche parte (Carmilla?) che il suicidio dei lemming è una bufala. Da un lato questo rende ancor più sconcertanti i dati qui sopra (il suicidio come la più grandiosa e caratterizzante delle applicazioni propriamente umane) dall’altro mi spinge a dubitare anche delle cifre riportate. Quella che mi mette maggiormente in sospetto è la percentuale infantile. Già che si mettano sulla stesso piatto il suicidio e l’automutilazione – o la ferita – mi sembra quanto di meno scientifico – anzi di meno sensato e basta – si possa dare (le ferite autoinferte sono quasi fisiologiche: per i più grandi sono addirittura riti di passaggio). Che a cinque anni si possa tentare il suicidio consapevolmente, beh, diciamo che finché non lo vedo non ci credo. Ma siamo al mondo per essere stupiti.
Che dire? Qui ci vorrebbe un altro post per riflettere sul suicidio. O sul fatto che la portata catastrofica della guerra (spauracchio universale) appaia così ridimensionata. Innocua, umanissima.
Croce e delizia delle statistiche.
Paoloni compredo la tua reazione. E sotto parecchi punti di vista.
“Il non ci credo” è comune, e indicativo. Prima di tutto dell’effettivo impatto sul singolo, in questo caso non sprovveduto:) del battage mediatico che organizza e monopolizza “l’attenzione” creando false priorità d’intervento e di riflessione su problemi secondari, quanto meno dal punto di vista quantitativo.Come ad esempio la guerra.
Poi c’è la questione della statistica. Io stessa la prendo con le pinze. Quando ho visto quella che metteva la nigeria, dico la nigeria, al primo posto come stato più felice del mondo mi sono venuti i brividi. I brividi per il tasso di infibulazione, che c’è in nigeria. I brividi per amina, e safya. Avranno loro, le donne infibulate quindi per sempre private del piacere, o condannate a morte per leggi assurde, avranno queste donne fatto parte del pool, del campione interrogato che ha fatto della nigeria la nazione più felice mi sono chiesta? Mica, mi sono risposta, che vadano a cagare.
Ma qui si tratta di contare i morti. Il dato è li da vedere (la ricerca come ripeto viene dall’oms e la notizia è nell’archivio del corriere). Facciamoci pure la tara, consideriamolo pure un semplice indicatore di disagio. Ma guardiamolo in faccia. Guardiamoci in faccia. Guardiamoci intorno. Ripensiamo ale piorirità. Quanto ai riti di passaggio, per piacere no. Non ti rispondo nemmeno:).
78 commenti
il moltiplicarsi caotico dei commenti funziona meglio di qualsiasi censura.
i lemmings? forse è il caso di fermarsi qui (poi fate voi)
cari amici mi sembra che ildibattito sia andato a parare da altre parti. siamo finiti a parlare del suicidio e dei lemmings. qualcosa su questo tema potrei testimoniarlo in quanto psicologo, ma preferisco soprassedere poichè non mi sembra questa (con tutto il rispetto per le autorevoli persone presenti al dibattito virtuale)la sede. ritorno sul motivo del contendere, ossia la libertà, perchè è questo il nocciolo della questione, possiamo usare paroloni fin che ci piace, possiamo essere più o meno chiari (alcuni, scusate ma non sono molto chiari), possiamo partire da gigetto er carrettiere e finire coi lemmings, ma perchè finirla qui (scusa Perfavorebasta)? dove la nostra individualità di individui si sente lesa se a new york ci chiedono le impronti digitali? io penso che questo è un problema non circoscrivibile in una o più formule. insomma, agamben e la benedetti hanno rifiutato il sistema, e hanno, per quel che riguarda la loro dignità di individui liberi, ovviamente ragione. se io gerardo carotenuto vado a new york per parlare in una università mi sottopongo al rito delle impronte digitali e non ho nulla da ridire ma anzi (dico per dire) prendo il posto lasciato dal prof. agamben o dalla prof. benedetti, a quel punto ho ragione anch’io. poi il resto sono chiacchiere.
vorrei però concludere facendo presente all’esimio dott paoloni che le cifre sui suicidi evidenziate dalla cortese gina sono probabilmente sottostimate.
con i miei migliori saluti a tutti i gentili amici di NI
No Gina, non ho letto Stato d’eccezione,sebbene conosca la sua tesi del rapporto tra violenza e diritto. Né conosco questa recensione di Negri, sebbene conosca la sua posizione antigiuridica che colloca Spinoza come il filosofo della potentia, tradizione antigiuridica che passa da Machiavelli e approda a Marx. Secondo Negri invece la concezione giuridica del mondo è elaborata da Hobbes, Rousseau, Hegel. La concezione giuridica del mondo implica:
1)che le forze hanno un’origine individuale o privata; 2)che devono essere socializzate per produrre i rapporti adeguati che corrispondono loro; 3) che, quindi, c’è mediazione di un Potere (Potestas);4)che l’orizzonte è inseparabile da una crisi, una guerra o un antagonismo di cui il Potere si presenta come soluzione, ma la soluzione antagonista.
In Spinoza, filosofo guida di Negri, non è così.
In Spinoza le forze sono inseparabili dalla spontaneità e dalla produttività che rendono il loro sviluppo possibile senza mediazione, cioè la loro composizione. Spinoza pensa immediatamente in termini di moltitudine e non di individuo. Se il popolo si rivolta, per definizione, ne ha il diritto e, per definizione, il diritto del sovrano scompare ipso facto. Questo è il pensiero di Negri, ma non credo proprio che Agamben aderirebbe!
Dice Agamben in Filosofia, vocazione messianica e classe sociale, “che decisiva è soltanto la capacità di rimanere fedeli a ciò che – pur incessantemente dimenticato – deve restare indimenticabile, esige di rimanere in qualche modo con noi, di essere ancora – per noi in qualche modo possibile. Rispondere a questa esigenza è la sola responsabilità storica che mi sentirei di assumere incodizionatamente”. Questa è la redenzione di Agamben (da Posse, Castelvecchi, aprile 2000). Insomma, tradotto ancora più semplicemente: faccio una scelta su qualcosa per non dimenticare cosa c’è in ballo. Se non facessi la mia scelta, il dimenticato, ciò che ci attraversa tutti i giorni come un golem silenzioso, si manifesterà in noi come distruttivo e perverso, il ritorno del rimosso di Freud. Per Negri ogni posizione metafisica e trascendentale va respinta. A me la posizione di Agamben sembra trascendentale, ma bisognerebbe chiederlo a lui, dato che poi sui quotidiani dà altre impressioni, non so.
Sui suicidi infantili ho letto anni fa il testo Bambini che non vogliono vivere di Israel Orbach, Giunti Ed. Sembrerebbe che il fenomeno è sottostimato. Lessi poi un articolo su Le Scienze sull’alto tasso di suicidi nelle scuole giapponesi. Non saprei che dire, sono letture antiche e non ho approfondito.
lei caro luminamenti cita un testo di fondamentale importanza, e dunque mi giunge l’obbligo di felicitarmi con lei per la sua cultura, orbach è un luminare nel campo. dice correttamente sulla sottostima del fenomeno. vorrei ricordare ai gentili amici che tale fenomeno è sempre esistito e a questo proposito ricordare un grande film di roberto rossellini, germania anno zero; il finale vede proprio il povero preadolescente disperato buttarsi da una casa macellata dai bombardamenti.
Preadolescenti, certo. Sono i “cinque anni” che non mi convincono.
Velocemente: grazie lumina! Qualcosa su giuridico e antigiuridico so. Secondo negri non so se a torto o a ragione, nell’ultimo agamben emerge una linea spinozista e deuleuziana.
Se ti interessa la rece la trovi anche qui http://www.generation-online.org/t/negriagamben.htm prima in inglese e poi in italiano. Mi sa che la questione, anche in questo caso, è complessa. Comunque acquisterò il libro. Grazie ancora e ciao.
è ovvio caro dottor paoloni che sono in maggior parte preadolescenti, lei ha ragione ma solo in parte. in quanto (soprattutto in giappone, come ha ricordato luminamenti) il fenomeno purtroppo colpisce anche se in minor parte anche bambini in età prescolare.
con i miei saluti più cordiali.