L’idea di equilibrio
di Andrea Falegnami
{Sangue dal naso, cavatappi, catastrofi, adolescenza. Gente prima non c’è e un attimo dopo c’è, gente che manca da un momento all’altro, gentaccia che mena le mani, persone che ti danno una lezione, lezioni che vengono impartite da nessuno…}
Dopo tutto è pur sempre una storia…
[Da dove comincio? Be’ vediamo alcune tipologie d’incipit:
a. Immissione in media res; vi spiattello là per là una frase, tipo: “A Marco cominciò a sanguinare il naso solo al terzo pugno ricevuto” che voi sicuro già vi figurate Marco che fissa lo Zenith, coi tamponi emostatici nelle froge, a loro volta premute dalle sue mani incapaci di difenderlo ed io comodamente vi ho portato dentro la storia, sta a me poi farvici rimanere;
b. Presentazione immediata d’un personaggio: “Marco ha quindici anni e gli occhi neri e almeno fino ad oggi, non ha mai avuto bisogno di menare le mani in vita sua”;
tuttavia la mia preferita resta sempre la:
c. Presentazione d’una situazione banale e tranquilla, il che lascia supporre che di lì a poco si verificherà l’evento perturbatore, la Catastrofe.
Una catastrofe, nel senso più ampio che René Thom [[il fondatore della teoria delle catastrofi]] attribuisce a questo termine, è una transizione discontinua qualsiasi che si verifica quando un sistema dispone di più di uno stato stabile, o può seguire più di un cammino stabile di trasformazione. Chiaro, no?
La catastrofe è la tua prima festa, il tuo primo bacio, tuo nonno che muore, il menarca tuo o di tua sorella, la prima polluzione tua o di tuo fratello, la prima volta che compri un profilattico; i tuoi quattro, i tuoi dieci, i tuoi quattordici, i tuoi diciotto, i ventuno, i venticinque gli –enta e tutta la serie degli –anta; il tuo primo stipendio, la tua prima automobile, la tua prima station-wagon, la tua pensione d’anzianità. Battesimi, comunioni, matrimoni e funerali. Che ce ne s’accorga o meno, tutte queste cose sono catastrofi: semplici “salti” da uno stato d’equilibrio ad un altro.
Allora vediamo da quale stato d’equilibrio parte la mia storia].
Il [come già postulato] quindicenne {nonché “nigeroftalmo”} Marco sta per ricevere due batoste. La prima da un suo coevo, tale: Di Giovanni Andrea; la seconda, ben più pesante, dalla vita.
Marco, il Lun. Mer. Ven., suole recarsi al campo sportivo del suo paese – sede della a. s. VIRTUS CALCIO – per le solite due ore d’allenamento, dalle ore 17:30 alle ore 19:30. Il Di Giovanni e Marco fanno parte della squadra titolare. Una terza figura (questa volta non consociata della VIRTUS) ricopre un ruolo importante. Si tratta di Ponti Veronica, quindicenne amante delle cosce calciatrici in generale e di quelle più specifiche di R. Baggio, G. Vialli e C. Vieri. Ponti Veronica non è nata mica ieri, ma quindici volte fa; sa quindi riconoscere i propri limiti. Un giorno sarà velina, solo allora Roby – detto: “Codino” – sarà suo. Nel frattempo si rivolge a cosce più mingherle ancorché promettenti (calcisticamente parlando). Queste le motivazioni che la Ponti adduce a Michelozzi Domenica, sua confidente di sempre, quando da quella le viene chiesto: «Ma poi cosa ci trovi in quei due?».
Sì, è esatto, quei due, perché da un po’ (non so dire da quando sebbene potrei farlo [nessuno mi potrebbe smentire {la storia me la sto inventando proprio adesso, giusto?}]) Veronica ha preso a distribuire le sue uscite pomeridiane con annessi risvolti di forte petting, tra Andrea e Marco.
Un attimo quel giovane puledro che è Andrea, a mezzo di sovrannaturali succhiotti, pare aggiudicarsi la palma de “IL”; l’attimo dopo Marco, nient’affatto ronzino, forza le apparentemente inviolabili mutandine di Veronica cancellando così le lunghezze che li separavano. I cavalli procedono appaiati e – oramai da quel famoso po’ che non so dirvi ma che comunque s’è fatto eccessivamente po’ troppo – sempre concludono la corsa in un dead heat . Sempre sempre? Sì.
Sì?
Sì.
Sì! Lo pensiamo tutti: lo penso io {che lo sto pensando ora} e lo pensate voi [che lo state pensando proprio adesso {comunque dopo di me}] e lo pensano persino Marco e Andrea: Cavalli che sempre sempre tagliano in dirittura allo stesso istante? Significa che la corsa è truccata. Chi trucca la corsa? Veronica che evidentemente, più che indecisa nella scelta, è decisa nella non-scelta.
Si sa, naturale che lo si sa: la donna sceglie e l’uomo pugna. L’arbitro è venduto, ma non prezzolato. Si sa: Veronica continuerà così ad libitum: per sempre pivot.
Destituire l’arbitro è impensabile, annullare la competizione ancor di più, non resta far altro che acuirla. Naturale che alimentato dall’agone sportivo, fra i due giovani, sbuffi e reclami la giusta nemesi il sentimento di gelosia procuratogli dalle monche attenzioni che tanto a Marco, quanto ad Andrea la pivotante Veronica rivolge. Allora si passi alle mani.
Ricapitolando:
Stato#1: Marco/15enne/Ha Padre Madre e Sorella/Amico di Andrea/Ama Veronica/Calciatore in attività/Nessuna esperienza di lotta/Fisico sostanzialmente integro se si esclude una pregressa appendicite/Sobrio/Considera il padre una figura distante, seppur amica/Pene in condizioni di riposo;
Catastrofe#1: Colluttazione tra Marco e Andrea;
Stato#2: Marco/15enne/Ha Padre Madre e Sorella/Nemico di Andrea/Odia Veronica/Calciatore in modalità: pause/Una esperienza di lotta/Fisico sostanzialmente integro se si esclude una pregressa appendicite e un’abbondante epistassi (setto, per fortuna, ancora intero) /Sobrio/Considera il padre una figura distante, seppur amica/Pene in condizioni di riposo;
Marco le ha prese, educato com’è. Non sa letteralmente dove mettere le mani, così ha chiuso gli occhi e senza guardare ha mulinellato i pugni ora là, ora qua, ma sempre a casaccio. Andrea tenendo gli occhi aperti invece ha portato il colpo perfettamente e con tutto il corpo. Si è rapidamente messo in guardia mancina e ha sferrato una piedata sul didietro di Marco, mandandolo carponi. Tutto come gli ha insegnato suo cugino, il tre volte titolato “regionale pesi gallo”, Di Giovanni Lucio. Tutto tranne il calcio in culo, certo.
Marco decide che in squadra con uno così non ci sta e che per il momento sospende la sua carriera di calciatore.
E Veronica?
Puttana a prescindere. Uscissero fra loro quei due…
Prima cornuto. Adesso scornato.
Si va a casa a sentire mamma che urla io lo denuncio e ti sta bene a frequentare le puttanelle come la Ponti che già la madre era quello che era e non mi far dire altro.
A casa invece mamma non c’è ché ha accompagnato Francesca dal ginecologo, c’è però papà che lo interroga sull’accaduto:
{Digressione pleonastica, quella che segue…}
[La “P” è una consonante strana…è “labiale-occlusiva-momentanea-sorda”: un suono prodotto dalle labbra e che dura un attimo, tipo lo schiocco d’un bacio. È occlusivo perché l’aria che sale dai polmoni si strozza, come per un’emozione intensa; è sordo, perché non è “sonoro”: si fa sentire, ma senza clamore, senza sbraitare. La pi, insomma, mi sembra un suono appropriato in bocca a un padre. {A un buon padre, un padre così “buono” che te lo mangeresti, come sono buone da mangiare tutte le cose che cominciano per pi, come il pane, la pizza e la pasta col pesto; o i secondi tipo il pesce, il pollo, la porchetta impepata. I contorni con la pi , poi, sono gli unici che mangiano anche i bambini: le patate, i pomodori, i piselli, il purè. Anzi, no! ché allora dovrebbero abboffarsi pure di porri e di peperonata. Di certo non scansano la panna, i pinoli, le pesche, il plum cake, la profiterole o il gelato al pistacchio. Anche le cose che non si mangiano sono belle, come il pallone o la pioggia, i piragna e i pellicani {{e la piorrea, allora?}}. Persino la cacca pare puzzare meno se invece la chiami pupù!}]
Senza pontificare, pondera, posato e persino perito come solo sa porsi un padre che parli di pugni ricevuti dal pargolo.
«Pommerìes!», Papà capisce che lo scorno può ingigantire all’interno d’una psiche in via di definizione, creare una falla nella autostima di Marco e un domani magari diventare persino sconfitta. «Brindiamo» – continua il babbo di Marco – «sei un uomo, ormai! Bevi! Poi t’insegnerò qualche trucco». Sortisce l’effetto sperato: Marco era tornato a casa con il timore e l’imbarazzo di essere rimproverato dal genitore per non essersi saputo difendere. Trova un padre che scherza e dice che non è di queste cose che si deve preoccupare e che nella vita non bisogna mai essere violenti, ma si deve comunque essere pronti a fronteggiare la violenza in ogni momento, e che la colpa era stata sua che non lo aveva messo in guardia, e che ora rimedieranno. Ma ora brindiamo, dice.
«Niente Champagne, papà…prendo il vino bianco?»,
«Sì, la Falanghina andrà benissimo, Marco.»,
«Papà non trovo il tirabusciò! Dov’è il tirabusciò? Dov’è che l’avete messo il tirabusciò stavolta?»,
«È lì nel cassetto.»,
«Nel cassetto non c’è niente.»,
«Guarda meglio.»,
«Ti dico che non c’è, Papà!» e poi Papà va a vedere e lo trova, occhi di adulto che sanno sempre dove guardare di preciso e non si perdono a fissare i riflessi argentei della forchetta, o lo specchio girato del cucchiaio, o la forma strana del pelapatate, o la scritta stainless sul coltello lungo, o quella stranissima coda di porco del, Ah! ecco dov’era il tirabusciò!
Stato#2: Marco/15enne/Ha Padre Madre e Sorella/Nemico di Andrea/Odia Veronica/Calciatore in modalità: pause/Una esperienza di lotta/Fisico sostanzialmente integro se si esclude una pregressa appendicite e una moderata epistassi (setto, per fortuna, ancora intero)/Sobrio/Considera il padre una figura distante, seppur amica/Pene in condizioni di riposo;
Catastrofe#2: Brindisi tra Marco e suo padre;
Stato#3: Marco/15enne/ha Padre Madre e Sorella/Nemico di Andrea/Odia Veronica/Calciatore in modalità: pause/Una esperienza di lotta/Fisico sostanzialmente integro se si esclude una pregressa appendicite e un’epistassi in via d’arresto (setto, per fortuna, ancora intero)/Brillo/Non considera più il padre come una figura distante, ma finalmente come un riferimento che può infondergli sicurezza con la sola presenza e capirlo/Pene in condizioni di riposo;
Papà sta in piedi di fronte a Marco e dice ridendo: «In guardia!». Marco, poco convinto mette il piede sinistro avanti e il destro indietro come quando va sullo skateboard. La posizione è quella ma intruppa comunque nella botta del padre, «Non startene fisso sulle gambe, il segreto è essere mobile, tieni il peso ora su un piede ora sull’altro, saltella, se stai fermo sei lento, su, offri meno corpo all’avversario! Ora tira! Più forte! Alza la guardia, attento! Non ridere!» ma è il genitore stesso ad offrire per primo un’ortopanoramica al mondo. Marco pare capire alla svelta, in fondo è solo un altro movimento armonico, come un dribbling, come il ballo, solo che non ci devi pensare. Solo farlo. Dribblare è la specialità di Marco, ma lui quasi non si rende conto quando lo fa; il ballo è uguale: se non ti lasci andare, se la compagna t’intimidisce, ti muovi come un orango con l’artrite. Capisce che cosa significa lottare. È diverso da fare a botte. Devi solo non avere paura. Pensare di essere un animale che esercita il suo diritto alla sopravvivenza, come il gatto che acceca il cane più grosso perché è stato messo alle strette. Perché funzioni il trucco però, devi essere certo di stare nel giusto. Decide che d’ora in poi non provocherà mai nessuno, solo si difenderà quando serve, perché questo è l’unico modo per uscirne comunque vincitori. Capisce che Papà gli ha insegnato un’altra cosa dopo la differenza tra un montante e un jab ed è una cosa anche più importante. Finisce persino di odiare Veronica: lui poteva smettere di frequentarla, non lo stavano mica costringendo. Troppo facile dare la colpa di tutto agli altri. Lui dov’era? Perché non ha detto no alle condizioni dettategli da quella ragazza? Perché non lasciare per primo il campo ad Andrea? Ne sarebbe uscito da vincitore. Sarebbe stato nobile nei confronti di un amico e, in ogni caso, lei lo avrebbe notato perché s’era comportato da persona consapevole di sé e dei propri mezzi, invece che da pupazzo disposto ad ogni suo capriccio.
Tutte queste considerazioni sbocciano spontanee mentre fa virtualmente a pugni col padre [ritualizzava un combattimento dal sapore vagamente edipico: {Freud da due soldi che non sono altro}].
Non tutti i cambiamenti vengono introdotti da Catastrofi. Certi sono silenziosi, lenti e minuscoli, ciononostante di essi ci rendiamo subito conto, perché una volta compiuti, ci appaiono passi enormi. Viceversa, spesso le più grandi catastrofi ci colgono del tutto alla sprovvista: ci travolgono, ma noi riusciamo a malapena a pensare: che è stato?
Torna la mamma con Francesca, vede il volto di suo figlio contuso, ma vede anche che Marco e suo marito stanno bene insieme. Rilassati. Ma che stanno a fa’?, pensa. Una specie di gioco, sembra si picchino, ma ridono tutti e due. Un po’ brilli forse. Bella come atmosfera però! «Anch’io voglio giocare alla boxe!», fa Francesca mentre tira le orecchie al fratello e Marco che fa? Continua a ridere. Ieri era così nervoso, l’avrebbe picchiata sul serio sua sorella, mentre ora la guarda e ride. «Io so’ Lennox Lewis e tu sei Lucio Di Giovanni.»: Marco a Francesca; Francesca gli tira un pugno allo stomaco. Marco l’abbraccia come fanno i pugili stanchi; la spinge all’angolo; le dice ti voglio bene Fra’. La sorella disorientatasi per l’inaspettata dimostrazione di affetto, si fa meno combattiva e Marco ne approfitta per buttarla al tappeto – però sul divano – e alzare i guantoni invisibili al cielo facendosi da solo la telecronaca.
Marco che fa la vu di vittoria. Marco che invoca Adriana. Marco che manda baci alla credenza.
«Stupido, così non vale!», protesta Francesca, Mamma e Papà che ridono. Va tutto bene.
Tutto come deve andare. Liscio come l’olio. Senza scossoni.
Le catastrofi non sono molto frequenti. Il cambiamento raramente è un processo che procede per quanta discreti, il più delle volte le trasformazioni da uno stato ad un altro sono continue. Il pane lievita un po’ alla volta e anche se lo mandi giù a bocconi lo digerisci piano piano.
È così.
Forse…
(Forse però non c’è tutta questa differenza tra una trasformazione continua ed una a salti discreti. Forse le trasformazioni continue sono solo trasformazioni discrete fatte di tanti saltelli piccolissimi, così piccoli che noi non riusciamo ad apprezzare la differenza tra due salti consecutivi. Forse il fatto è che abbiamo solo la sensazione che le cose siano fluide. Come una pellicola è fatta di tanti fotogrammi, simili ma diversi anche solo per un dettaglio, ed è solo per una nostra incapacità che la successione delle tante immagini ci appare animata [Magari anche noi quando ci muoviamo, ci muoviamo per tranches minuscole e da cui possono dipanarsi tutta un’infinità di altre tranches –tutte ugualmente possibili, come in quel racconto di Calvino: “Ti con zero”. Magari anche i miei pensieri che mi si presentano così continui, in realtà non lo sono affatto. Magari penso attraverso miliardi di micro-pensierini elementari, ognuno per ogni neurone, un solo “0” od un solo “1” per ogni bit che ho a disposizione.
E se ne togliessi qualcuno di questi pensierini? Secondo me il “pensierone” funzionerebbe ancora. Sarebbe come togliere un solo fotogramma da un film. Neanche ce ne s’accorge. E se sostituissi qualche pensiero intermedio con altri pensieri, che magari non c’entrano nulla? Sarebbe come quando si immettono dei messaggi subliminali in un film…
A pensarci bene è quello che faccio di continuo quando divago, un po’ come adesso…{Visto? Non sembra che lo abbia – proprio adesso – pensato? La cosa che poi trovo divertente è che questa divagazione fuori dal seminato {{che poi tanto fuori non è!}} l’avessi già prevista prima di cominciare a raccontare questa storia}].
Alle immagini dei fotogrammi seguono altre immagini di altri fotogrammi possibili. Una cosa però! Non possono essere montate a casaccio né, soprattutto, al contrario. Sarebbe come quando mandi in Reverse Play una video cassetta, succedono cose strane: liquidi che dai bicchieri tornano nelle bottiglie; cocci che riformano un vaso; proietti che tornano proiettili nelle canne delle Remington, in cui si ricacciano, una volta fuoriusciti di spalle [intendo dire “di coda”{ma vuoi mettere “spalle” con “coda” quando poi deve venire la parola “petti”?}], da petti di cowboy che vanno in piedi da supini mantenendo arti e tronco perfettamente rigidi. Quando succede questo, è magia – o meglio: illusione.
Il mondo è un autoarticolato, piuttosto ingombrante, che viaggia tutto il tempo in una stradina angusta e a senso unico: non può tornare indietro, può solo percorrerla fino alla fine).
Gli stati si chiamano di equilibrio, ma se lo fossero veramente non ci sarebbe alcuna trasformazione.
L’equilibrio è un’astrazione.
Stato#4: Marco/15enne/Ha Padre Madre e Sorella/Nemico di nessuno/Non odia né ama Veronica (forse gli è persino indifferente)/Calciatore in modalità: pause; Solo per il momento però, pensa di ricominciare Mer./Una esperienza di lotta/Fisico sostanzialmente integro se si esclude una pregressa appendicite e la presenza di formazioni coagulate nelle coane (setto, per fortuna, ancora intero)/Sobrio/Non considera più il padre come una figura distante, ma finalmente come un riferimento che può infondergli sicurezza con la sola presenza e capirlo/Si sente più sicuro, al punto di sapere che ammettere alla sorella di volerle bene non implica alcuna debolezza/Pervadente sensazione di serenità/Pene in condizioni di riposo;
Catastrofe#3: Incubo notturno;
Stato#5: Marco/15enne/ha Padre Madre e Sorella/Nemico di nessuno/Non odia né ama Veronica (forse gli è persino indifferente)/Calciatore in modalità: pause; solo per il momento però, pensa di ricominciare Mer./Una esperienza di lotta/Fisico sostanzialmente integro se si esclude una pregressa appendicite e la presenza di formazioni coagulate nelle coane (setto, per fortuna, ancora intero)/Sobrio/Non considera più il padre come una figura distante, ma finalmente come un riferimento che può infondergli sicurezza con la sola presenza e capirlo/Si sente più sicuro, al punto di sapere che ammettere alla sorella di volerle bene non implica alcuna debolezza/Ingiustificabile sensazione d’angoscia/Appena un accenno d’erezione peniena;
La mamma ha preparato una cena che, usando un eufemismo, si potrebbe definire “robusta”. Dopo, tanto Marco e Francesca, quanto Mamma e Papà hanno avuto bisogno di un tè, una cosa calda. Era meglio una camomilla, mi sa. Papà è andato a dormire assai presto: il lavoro, le preoccupazioni e un insopportabile palinsesto televisivo. Francesca ha cominciato a parlare con sua mamma di cose così. Aumentate assicurazioni bonus malus in seguito a para urti danneggiati; come ci si debba comportare quando si è in reggi seno e simultanea prossimità al para petto del terrazzino al lato di quello dell’appartamento del vicino dirim pettaio [Mi scuso…]; quale regalo Francesca vuole per Natale non è importante, ma raccomanda: «Che almeno quest’anno sia qualcosa da indossare!»; sfilate Fall/Winter di moda piuttosto banali quest’estate; canzoni tormentoni estivi fuori moda ; cantanti coatti ma bellocci che amano/vano attricette niente di che. Insomma neanche un discorsetto in cui Marco possa infilarsi al volo. Oltretutto non gli fanno cambiare canale. Marco allora va a lavarsi i denti e i piedi, poi prende dal bagno il Topolino N. 1497 – quello che sta lì da anni. Pensa che costava ancora Lire 1000! Se lo porta a letto. Arriva fino alla pagina dove c’è la pubblicità di un cagnolino giocattolo con un paio di scarpe da tennis, i ciucci rosa e i Ray-Ban a goccia. La didascalia:
“Corri con Poochie! Oggi la tua Poochie si sente Sportiva, ma dal tuo giocattolaio la puoi trovare vestita da Danzatrice Aerobica, da “Fan Club” e da… Dormigliona! “e s’addormenta:
Marco sta correndo palla al piede in direzione della porta avversaria, ma non è come al solito, sembra fare meno fatica e poi ripete lo stesso doppio passo un numero irreale di volte. Nei sogni è così che succede, le cose sono semplicemente una versione falsata di quella reale. Marco se ne rende conto, però, lo stesso corre e non ci pensa anche se contemporaneamente lo sa; si rende conto che si tratta di un sogno. Sugli spalti frattanto, i suoi genitori assieme a Francesca gli stanno facendo il tifo. Marco corre veloce e dribbla i suoi avversari uno dopo l’altro. È soddisfatto della sua azione di gioco. Si volta un secondo verso la tribuna per vedere la faccia dei suoi, ma i suoi sono distratti, parlottano fra loro senza interessarsi alle vicende ben più importanti del campo. Come possono? Come possono fare altro?, mentre pensa questo, Marco va rapido ad assaggiare – senza posate – il manto erboso. Dev’essere inciampato, crede.
Ma non è inciampato. Si volta e dietro di lui c’è Andrea Di Giovanni. Fa per rialzarsi, ma Andrea lo tiene a terra spingendolo sul petto col piede. Marco si divincola e Andrea fa per colpirlo. Marco schiva il pugno che sta arrivando da destra, ma è inutile: era una finta. Da sinistra arriva una legnata che gli fa troc sul naso. Poi i movimenti d’Andrea si fanno sempre più rapidi e per contrappasso quelli di Marco al rallenti. Marco guarda sugli spalti a cercare il sostegno, se non fisico, almeno morale dei suoi. I suoi non si sono accorti di nulla però.
Marco urla:« ! ! , !», ma suo padre non lo sente o semplicemente vuole ignorarlo. Nel frattempo Andrea ha preso a tirargli i capelli con la sinistra, mentre con la destra gli dà continui diretti al viso. Gli colpisce tutto quello che si può colpire su di un viso: naso, occhi, orecchi; mento, fronte, gola; zigomi, sopracciglia, denti e nel colpire i denti si graffia una mano. Marco ha in bocca il sapore del sangue, ma non sa dirlo… Vede le nocche della mano d’Andrea insanguinate, ma non sa dire se quel sangue è il suo o del suo aggressore onirico. Nel sogno è tanto suo quanto d’Andrea, è un sangue comune. Ne è la riprova il fatto che la cosa più dolorosa non sono quei colpi inferti, ma l’indifferenza mascherata da sordità del padre di Marco e infatti pare soffrirne anche Andrea. Marco richiama ancora una volta il padre:« ! , . ; . , ? ? ?» e ancora una volta il padre non lo ascolta. Marco vede Francesca che chiama suo papà e questi si volta subito verso di lei e allora Marco capisce. Non è il padre che è sordo. È lui che è muto. Disperato, senza più alcun dente in bocca, non prova neanche più a reagire alle percosse, solo grida:« ! ! ! …
…PAPÀ ! PAPÀ ! PAPÀ !» urla Marco supino nel letto. Apre gli occhi e vede i suoi che gli stanno di fronte e lo calmano, o almeno ci provano. Marco racconta il sogno al padre, di come non gli uscissero le parole e di come dopo ogni colpo avesse sempre meno denti. Il padre continua a rassicurarlo e gli dice che è normale. Francesca e la Mamma se ne vanno lasciandoli soli, fra ometti. Papà gli dice che è normale, che sono cose che sognano tutti alla sua età, che le sogna ogni tanto anche lui, che non deve, che non può preoccuparsi. Marco però è ancora agitato: il sogno era bruttissimo, il rumore sordo dei denti che si spezzano, il sapore del sangue simile alla terra dei campi da tennis, il naso che si storce, la faccia invasata di Andrea mentre lo picchia e soprattutto l’indifferenza di suo padre che parla d’altro con altri che non è lui.
Marco piange senza piangere. È come se gli spruzzassero il liquido delle lenti a contatto sulle guance. Singhiozza. Il moccio al naso…
Va avanti per dieci minuti buoni.
«Ti senti meglio adesso?», «Sì, grazie papà.». Si soffia il naso con un fazzoletto che gli viene offerto; in bocca sapore di terra, come nel sogno. Guarda nel fazzoletto e vede i resti ormai seccati dell’epistassi del giorno addietro. Già è finito tutto, non è una cosa grave, ha ragione papà: pensa Marco. Il padre lo guarda in silenzio. Ha la faccia stanca, è stata una giornata faticosa anche per il padre. Marco si chiede se l’esperienza del padre derivi da una pratica navigata. «Papà?», «Dimmi.», «Tu hai dovuto fare a pugni molte volte in vita tua». Che tipo di domanda è? Gli interessa davvero a Marco una cosa del genere? No, vuole solo conoscere un po’ più dell’infanzia di suo padre, farselo più amico attraverso una confidenza. Neanche. Vuole solo fare un po’ di conversazione, parlano così poco tra loro che ora che ha scovato un filone, ne vuole cavare il massimo possibile. Il padre non gli risponde, anzi sembra pensare ad altro. È strano, sembra addormentato. «Allora?», «Allora che?» fa il padre, «Te l’ho detto, hai fatto a botte tanto spesso?», «No, io non ero così stupido da finire in situazioni del genere.». Per Marco l’incantesimo è finito, il padre gli risponde come al solito. «Scu-scusa…» balbetta Marco. «Scusa un corno, ci dovevi pensare prima. Sei solo un ragazzino, una mezza sega, un buono a nulla.». Marco abbozza una protesta visto che il padre sta esagerando, tanto da rendersene conto persino lui stesso, col solo risultato però d’irritarlo ancora di più: «Che c’è? Scotta il fatto che dica le cose come stanno? Sei un coglione! Il figlio più idiota di tutti i minorati che potrei aver avuto se quella vacca di tua madre fosse stata a un passo dalla menopausa. Sei un aborto mancato, un cazzo tonto, un minchione. Non vali un cazzo, rincoglionito che non sei altro! Be’ che c’è da guardare a quel modo? E chiudi quella bocca, cazzo! CAZZO! CHIUDI QUELLA FOGNA DI BOCCA! Sei un cretino. Che cazzo ci fai fuori dal Cottolengo, mentecatto! CHIUDI QUELLA FOGNA DI BOCCA DI MERDA! MI PARE UN CESSO SFONDATO SENZA I DENTI CHE TI SEI FATTO ROMPERE COME UN FINOCCHIO!». «Ma…, ma…»: Marco – a bocca aperta. «Adesso poi, non mi fai neanche dormire la notte coi tuoi incubi da frocetto.» Mentre parla, suo padre gli sputacchia saliva ad un centimetro dal naso. Avverte indistintamente l’odore del pasto serale, evidentemente non digerito, misto ad altri odori della bocca di suo padre: trippa al sugo, sigarette e stomatite. Marco è impaurito e a tratti chiude gli occhi. «Di che cazzo ci hai paura, eh? Idiota! Hai paura che ti spacchi il grugno?», il padre frattanto gli fa annusare le dita chiuse a pugno. «Papà…calmati, ti prego…», «IO NON MI CALMO NEANCHE PER UN CAZZO, IMBECILLE! E chiudi quel buco di culo che tieni al posto della bocca che ti ci entrano le mosche…» non fa neanche in tempo a finire la frase che comincia a tossire. «Papà? Papà ti senti bene?» il padre gli tossisce contro cose che gli rimbalzano addosso. Quando toccano la fronte di Marco, Marco sente tic, tuc, tac, toc. Fanno proprio schifo quelle cose che gli tossisce addosso suo padre. Oramai ne avrà tossite un centinaio. Marco guarda in basso e vede che tutte quelle cosette non sono altro che tante piccole merdosissime mosche pelose e che una per una cominciano a battere le ali cercando di volare, senza riuscirci. Girano in tondo facendo quel fastidiosissimo ronzio di quando sopravvissute ad una scarica, s’impegnano come matte per andarsene dal fondo della lampada fulmina-insetti. Qualcuna riesce a volare via. Tutte quelle mosche. Il fiato nauseabondo di suo padre ad un centimetro. Lui che non riesce a chiudere la bocca e quelle mosche che riescono a volare via dal suo letto che ci vanno a fare il nido dentro. Si sente la bocca piena di affarini pelosi tutti vibranti. Bzzzz, bzzzz, bzzzz!
Stato#6: Marco/15enne/Ha Padre Madre e Sorella/Nemico di nessuno/Non odia né ama Veronica (forse gli è persino indifferente) /Calciatore in modalità: pause; solo per il momento però, pensa di ricominciare Mer./Una esperienza di lotta/Fisico sostanzialmente integro se si esclude una pregressa appendicite e la presenza di formazioni coagulate nelle coane (setto, per fortuna, ancora intero) /Sobrio/Non considera più il padre come una figura distante, ma finalmente come un riferimento che può infondergli sicurezza con la sola presenza e capirlo/Si sente più sicuro, al punto di sapere che ammettere alla sorella di volerle bene non implica alcuna debolezza/Ingiustificabile sensazione d’angoscia/Pene in erezione;
Catastrofe#4: Minzione;
Stato#7: Marco/15enne/ha Padre Madre e Sorella/Nemico di nessuno/Non odia né ama Veronica (forse gli è persino indifferente)/Calciatore in modalità: pause; solo per il momento però, pensa di ricominciare Mer./Una esperienza di lotta/Fisico sostanzialmente integro se si esclude una pregressa appendicite e la presenza di formazioni coagulate nelle coane (setto, per fortuna, ancora intero)/Sobrio/Non considera più il padre come una figura distante, ma finalmente come un riferimento che può infondergli sicurezza con la sola presenza e capirlo/Si sente più sicuro, al punto di sapere che ammettere alla sorella di volerle bene non implica alcuna debolezza/Ingiustificabile sensazione d’angoscia/Pene afflosciato;
Marco ha l’abitudine di dormire con le persiane tirate su, così apre gli occhi non appena inizia ad albeggiare. Sa che ha avuto un incubo, ma non se lo ricorda. Si ricorda solo che c’entrava Andrea Di Giovanni, in qualche modo. Si alza prima che suoni la sveglia e constata la regolarità di ben altro riferimento invariante: la sua erezione mattutina. Altro che periodo di vibrazione degli atomi o velocità di propagazione delle onde elettromagnetiche. Ci si potrebbe dare il segnale orario alla televisione, con la sua erezione mattutina. Tra l’altro stamattina è una di quelle prepotenti. È quel tipo d’erezione – anche piuttosto fastidiosa, in casi come questi – che non ti dà pace. Ci sono delle volte che se ti rilassi e pensi, che so, alla definizione di logaritmo, pian pianino ti s’ammoscia: sta lì che spunta dall’apertura del pigiama e ti guarda lucido con quel fare indisponente da bulletto di periferia, allora tu fai il disinvolto, fissi una mattonella e reciti: il logaritmo in una certa base di un certo argomento, è quell’esponente al quale va elevata la base per ottenere l’argomento stesso, e lui, a forza di piegamenti in sincrono col tono cardiaco, si rende nuovamente presentabile a mamma e papà; in vece questa è una di quelle che non ammette alcuna definizione matematica di pronto soccorso; anzi, è una di quelle che più cerchi di non pensarci e più ti si contraggono quei muscoletti là – sotto lo scroto, tra la base del pene e le pallocche [Distribuisco qua e là elementi di realismo e di vita vissuta, per far sì che vi immedesimiate meglio, così ve lo dimenticate che c’è uno iato tra il racconto e voi, che addirittura il racconto è inventato {ma se poi ve lo faccio notare, come adesso, non si perde l’effetto voluto?}].
Se la sta facendo sotto, quindi non può aspettare oltre. Si alza ma, nell’inutile tentativo di camuffare lo stato in cui si trova, cammina piegato, come un vecchio reso curvo dall’artrosi. I suoi lo vedono che sta andando svelto svelto a bussare alla porta del bagno: «Buongiorno Marco. Guarda che in bagno c’è tua sorella.», ecco una di quelle cose che proprio non ci voleva, Francesca quando sta in bagno ci mette le ore. «Fra’, sbrigati che non ce la faccio più!», «Un attimo!»: ribatte la sorella. Poi apre. Marco si fionda dentro e chiude la porta; lo caccia fuori dai calzoni del pigiama e cerca d’indirizzarne la punta verso il fondo della tazza. Nello stato in cui ha quell’affare, può pigliare solo che il pulsante dello scarico. Più lo spinge verso il basso, più quella testa di cazzo si alza. Cambia strategia: s’inclina verso il basso tenendo il palmo della mano sinistra poggiata alla parete, mentre con la destra abbassa il tiro dell’arma da fuoco. Pare possa farcela. Da una qualche parte del cervello parte un treno d’impulsi nervosi diretti verso il suo pisello, gli ordini sono di allentare la presa e consentire così la minzione. Il segnale parte, ma la pipì non zampilla: nel pisello (Marco l’ha visto su un manuale d’educazione sessuale) c’è un sistema che in caso d’erezione, non consente all’orina di usare la corsia preferenziale dello sperma. Una specie di valvola deviatrice azionata meccanicamente dal sangue. Ecco un’altra sensazione sgradevole, pensare: su, forza piscia! e un valvolame che dovrebbe essere al servizio del tuo rubinetto te lo impedisce. Dopo qualche secondo però, a fatica, parte la pisciata. Rumore di pioggia su di una tettoia di plastica; il getto in pressione – spesso quanto uno spillo, per via della congestione peniena – centra esattamente la tavoletta. Contrordine! e nuovamente viene richiusa la valvola. Oddio!, Marco non ce la fa più e passa a soluzioni più estreme. Sposta le tenda e piscia direttamente sul muro della doccia, così, senza neanche guardare. Il sollievo è grande, ci penserà poi a lavare muro e tavoletta. Un po’ alla volta, liberato dal pesante giogo della vescica, gli s’ammoscia ma ci mette comunque tre minuti sani sani a portare a buon fine l’operazione. Ora, il momento più delicato: la maledizione dell’elastico dello slip. Ha fregato i migliori, Marco però è un veterano. Mentre la si fa, a meno di calar
vorrei aggiungere dotte dissertazioni, caute citazioni, lievi ma non incisive note di polemica. invece niente. mi viene solo da dire che chi ha scritto questo è bravo, davvero. perdonami, ma quando ce vo’ ce vo’.
io non rieco manco a pensare alle citazioni, alle polemiche…
chi ha scritto sto racconto è maledettamente bravo
credo che sia stato postato da Raimo per mostrare la capacità dei talent-scout di minimum fax, ma credo che non ce n’era alcun bisogno… sono senz’altro una delle migliori case editrici e basta… chiudiamola così…
anzi Raimo, facci leggere altre cose del genere
thankzzzzzzssssszzzz!!!!
che palle…
Divertente e toccante: semplicemente splendido. Complimenti a Raimo per aver scovato un simile talento nel mare di scrittori presuntuosi ed asettici in cui ci troviamo.