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I due fratelli e lo Zio

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Di Andrea Inglese

L’antefatto lo conoscete. La coppia è giovane e inesperta, comunque non priva di entusiasmo. Hanno nomi importanti, che lasciano il segno: Adamo ed Eva. Tutto secondo copione: la convivenza, la scoperta della sessualità genitale, il primo figlio, bruttino ma robusto, dai tratti vistosamente semiti, la pelle olivastra, nero e riccio di capelli. Poi la nascita di un secondo figlio. Il primo era Caino, questo lo chiamano Abele. Subito lo viziano. Abele, poi, ha questa faccia da angioletto, un vero WASP, dai modi insopportabilmente eleganti, i boccoli d’oro, l’occhio celeste, sempre ironico, sprezzante, distaccato.

I genitori lo adorano. A Caino gli dà sui nervi, ma ne è soggiogato, lo ammira, cerca ovviamente di imitarlo. Ma il padre sa distinguere capre da cavoli, e non s’inganna. Un giorno al primo figlio gli posa le mani sulle spalle, e dice: “Con delle spalle così, figlio mio, il tuo strumento è la zappa”. Caino annuisce e di buzzo buono si mette a far l’agricoltore. Un lavoro infame, in realtà. Terreno arido o sabbioso, scarsità d’acqua, strumenti antiquati. Abele intanto bighellona in giro. Antipatico come la merda, gonfio di boria, e in più un culo pauroso. Trova sempre lepri indecise o inspiegabilmente paralizzate, che gli basta ammazzare da vicino, con una pietra. Oppure raccoglie bellissime zanne d’avorio di qualche bestia in estinzione. E subito se le appende al collo. Solo lui sa dov’è l’albero di ciliege. Le vespe non lo pungono mai. Appena butta l’esca, ecco che trote o lucci fanno a gara per abboccare. Mentre a Caino va tutto storto. Inciampa spessissimo, viene inseguito da cani feroci, si perde continuamente sulla via del ritorno e arriva a casa quando ormai Abele ha mangiato tutto.

Abele ovviamente decide di fare il pastore. “Così potrai continuare a bighellonare come prima”, gli ha detto il padre, con tono affettuoso. Si costruisce un bello zufolo. Grida ogni tanto contro tre o quattro capre. (Mai che abbia perso una capra, mai che una gli sia precipitata in un dirupo.) Cerca con grande cura gli ulivi dalla chioma più ampia e se ne sta sdraiato all’ombra a zufolare. Ogni tanto si alza e va a vedere Caino che zappa. Si siede al bordo del campo e urla al fratello: “Ti rompe, se suonicchio un po’?”.
“Non hai veramente un cazzo da fare tu!”
“Sei sempre di cattivo umore, fratello, lasciatelo dire.”
“Sarà così, ma le mie patate e le mie carote le mangi comunque volentieri.”
“Perché, a te ti fa schifo il latte delle mie capre?” “No, certo, visto che è sempre mamma a mungerle.”
“Invece di sputare astio, ascoltati questo pezzo. L’ho composto ieri.” “L’hai cosa?!” “L’ho composto, l’ho creato, capisci, inventato.”
“Mioddio, e dunque saresti un artista.”
“Esattamente. So bene che per te è roba un po’ strana tutto ciò che non si mastica.”
“Suona Abele, che almeno quando suoni non dici stronzate.”
“Vuoi sapere come s’intitola?”
“Non me ne può fregare meno.”
“Innanzitutto è dedicato allo Zio.” “Figurarsi. Ti ha dato la mancetta per questo?” “E s’intitola Capolavoro per zufolo in si be molle maggiore (Op. 6). Ascolta.”
A casa, ancora peggio. Appena Caino entra, Adamo, sordo come una campana, incollato sulla poltrona, comincia ad urlare. Immaginatevi un tono tra il gioviale e il carognesco: “Caino hai preparato i regali per lo Zio?”
“Secondo te, babbo? Chi ha avuto l’idea?”
“Cheddici?”
“Cocomeri, asparagi e zucche giganti. Tutto pronto per il raccolto. A proposito il fratellino non ha pensato nulla?”
“Il pratolino?”
“Abele, babbo, Abele!”
“Ma che sei tonto, allora! Lo sai che tuo fratello se la cava sempre. Avrà già in mente qualcosa, vero Abele?”
“Bravo babbo. È che Caino deve avere il diritto di primogenitura su ogni idea. E poi ci tiene a fare bella figura con lo Zio.”
“Guarda, biondino, che se mi cala la saracinesca, non ci vedo più, e allora né il babbo né lo Zio potranno pararti il culo.”
“Il tonto si fa minaccioso. Quante volte sei volato per terra, oggi?”
“Fratellino, vieni un po’ in cucina.”
Adamo, che nel frattempo ha percepito solo un vago brusio: “Bravi ragazzi, preparate qualcosa che quando arriva mamma possiamo metterci a tavola.”
“Addio babbo, il maestro di Kung-Fu mi vuol dare una lezione.” Abele segue il fratello in cucina.
“Senti, ne ho piene le palle della tua aria supponente. Chi ti credi di essere? John Coltrane? Non fai un beato cazzo dalla mattina alla sera. In casa, non ti degni neppure di vuotare la sputacchiera di tuo padre. Ci devo pensare sempre io. Fuori, non fai altro che ciondolare in giro o soffiare in un pezzo di legno. Io in compenso mi spacco la schiena, aiuto mamma a cucinare, faccio tutti i lavori di merda!”
“Intendi dire che ti dovrebbero dare una medaglia? Possiamo vedere con lo Zio.”
“Abele…”
“Lo so, lo so, se ti cala la saracinesca, mi metti le mani addosso. Comunque sai dove trovarmi, vero? Ora se non ti dispiace, vorrei andare a farmi la doccia. Lo psicodramma lo possiamo riprendere in un altro momento, non ti pare?”

Arriva il giorno in cui Caino, dopo essersi sbattuto per dei mesi, conclude il suo raccolto di frutta e verdura. È orgogliosissimo, evidentemente. Ceste piene di cocomeri, zucche, lattughe, cavolfiori, patate, pesche, pere, susine. Uno spettacolo. Porta tutto in cima ad una collina, sudando come un maiale. Fa una decina di viaggi, scarpinando su e giù in modo scoordinato ed entusiasta. Sempre inciampa nei sassi, perde qualche frutto, si ferisce, impreca, riprende con frenesia il cammino. Alla fine compare anche Abele, ma fresco e riposato. Con una carriola trasporta alcuni agnelli del suo gregge già ammazzati. Ha tagliato e messo in vista le parti migliori, le più grasse. Caino sbianca in volto. Ma fa finta di nulla, continua a sistemare le sue ceste. Abele, messa bene in vista la carriola, sussurra al fratello: “Sai quali agnelli ho scelto da sgozzare e da offrire allo Zio?”
“Non è al primo posto nei miei pensieri.”
“Potrebbe sempre diventarlo. Ho sgozzato tutti i primogeniti del gregge, in tuo onore… Tonto!”
A questo punto Caino percepì nella risata di Abele un fragore immenso, assordante, come se sopra le loro teste degli immensi lastroni di vetro si frantumassero e cadessero verso terra. Durante la cerimonia con lo Zio, Abele fu brillante e seppe rallegrare la compagnia con battute. Caino fu più stordito del solito. Si aggirava scarduffato tra le ceste, parlava a sproposito, e quando alzava le mani al cielo due grossi aloni di sudore apparivano sotto le ascelle. Lo Zio, fin da subito, lo ignorò e invece si intrattenne volentieri con Abele. Anzi, col suo vocione baritonale fece anche qualche grassa risata alle battute di Abele sulla figa delle giraffe o sul puzzo di merda degli ippopotami. Alla fine della festicciola Caino era affranto. Tornandosene a casa per un sentiero solitario, incontrò di nuovo lo Zio. Caino lo salutò appena e fece per proseguire. Ma lo Zio lo trattenne. E picchiandogli col suo grosso dito indice sullo sterno, gli disse: “Dì, nipote, sei di cattivo umore per caso?”
“Abele mi provoca tutto il tempo. Prima o poi mi farà saltare i nervi.”
“Parli come un moccioso, nipote. Non sarebbe ora di crescere?”
“È inutile discutere, so bene che è il tuo preferito. Fin da piccolo te lo tenevi sempre sulle ginocchia, te lo toccavi e te lo accarezzavi tutto. E anche adesso lo fai, appena hai l’occasione. Con lui hai un rapporto morboso. Io invece non sono degno neppure di un grazie quando ti porto i cocomeri!”
“Oddio, i tuoi cocomeri…”
“Che cos’hanno i miei cocomeri che non vanno? Non hai visto come erano grossi? E le zucche, hai mai visto zucche così prima d’ora?”
“Ma cosa vuoi che me ne faccia delle tue zucche? To’ mi farò una minestra. Ma poi? La verità è che Abele ha il commercio migliore. Io sono un carnivoro mio caro e anche tutta la famiglia. I tuoi prodotti sono insipidi, insulsi come le tue idee. Sei un mulo, non sai far altro che zappare la terra… Pensi che l’umanità futura abbia bisogno di gente come te. Di un servizievole coglione che pulisce il sedere a sua madre e suo padre? Non hai iniziative, non ti sai inventare niente. Abbai sempre contro tuo fratello, ma non mordi mai. Ma non vedi come ti piglia per il culo? E tu cercheresti la mia solidarietà? Povero cocco… Noi siamo una razza di duri, cosa credi? Delle vere carogne. Dobbiamo mettere in piedi una grande impresa. Palazzi, armi e denaro. Questo è il nostro compito. Mica gli orticelli.
Caino ha le lacrime che gli rigano il volto.
“Già, ma la farina fatta col mio frumento serve sempre in casa. Le mie prugne e le mie lattughe si mangiano tutti i giorni e pure tu le mangi. Di agnelli, invece, non se ne può sgozzarne uno al giorno. E allora come campereste senza lo schifoso orticello?”
Lo Zio, seccato, inizia a bruciare roveti e ad aprire crepacci per terra.
“Quanto chiasso per due barbabietole! Va bene, ti daremo più pacche sulle spalle se è questo che ti manca. Dirò a tua madre di coccolarti un po’ di più, visto che hai tanto bisogno di affetto, poverino. Ma sappi che con il tuo zelo calvinista non si va lontano. La storia ha bisogno di tipi decisi, strafottenti, figli di puttana, proprio come Abele! E ora smamma che ho da fare!”

Caino torna a casa. Il papà sonnecchia, la mamma spella le fave, Abele si taglia le unghie dei piedi. Caino dice tra i denti al fratello: “Me ne vado a dormire, sono stanco.”
“Ma bravo primogenito! Ne hai fatte di corse su e giù per la collina. Un sonnellino ti farà bene.” E giù una risata fragorosa.
“Dopo io e te dobbiamo parlare.”
“Ma certo primogenito, ai tuoi ordini! Vuoi spiegarmi il tuo metodo per fare la cotognata?” E giù un’altra bella risata di pancia.
“Ti vedo un po’ gasato, fratello. Pensi di rompermi i coglioni ancora a lungo?”
“E io ti vedo immusonito come un fruttivendolo che non ha smerciato neanche un’arachide.” E qui, scosso dalle risa, Abele scivola per terra.
“Facciamo una cosa, va, andiamo adesso a parlare…”
“Come preferisci primogenito, basta che riesca a risollevarmi da terra.”
Abele si alza e assieme al fratello infila la porta di casa. Camminano senza rivolgersi la parola per un bel po’. Abele ogni tanto scoppia a ridere. Caino ha gli occhi iniettati di sangue. I denti bianchissimi di Abele. Gli occhi imporporati di Caino. Giungono in luogo riparato.
“Ti è dunque calata la saracinesca?
“Se ora non la pianti, ti meno come non ti ha mai menato nessuno in vita tua!”
Abele salta addosso a Caino e con un’abile mossa di judo lo fa volare per terra.
“Cane!” urla Caino.
“Bau!”, gli risponde Abele, precipitandosi su di lui e immobilizzandolo con una presa micidiale.
“E adesso primogenito?”
“Ammazzami pure se vuoi! Sono stufo della vita. Ammazzami, tanto hai vinto.”
E giù una scoppiettante, salivare, risata di Abele sulla faccia stravolta di Caino.
“Come sei melodrammatico primogenito. Ti prendi troppo sul serio?”
“Basta, lasciami andare e torniamo a casa.”
“Non così a buon mercato fratello.”
“Che cosa vuoi?”
“Che dici ad alta voce: sono il più gran coglionazzo della compagnia.”
Abele stringe la morsa su Caino.
“Sono il più gran coglionazzo della compagnia!”
“Non ti facevo così remissivi primogenito. Mi hai sorpreso stavolta. Beh, tanto meglio!”
Abele lascia la presa e si alza. Si toglie la polvere di dosso. Caino rimasto immobile per terra, s’infila, non visto, un sasso nella tasca. Abele tende la mano a Caino. Caino la afferra e si rialza. “Hai visto ? – dice Caino – lo Zio ci stava guardando.”
Abele si volta divertito. Caino lo colpisce alla testa con un sasso. Anzi lo colpisce di continuo, ininterrottamente, per un quarto d’ora. Gli è calata la saracinesca. Vede tutto nero con grandi lampi di rosso e di giallo. La testa di Abele è una poltiglia. Assomiglia alla cotognata. Caino butta il corpo in una buca.
“Che tu possa ingrassare le formiche!”
Dopo neanche un’ora, Caino sta già zappando nel suo orto. Sente che lo Zio lo chiama: Fa finta di nulla. Piomba nell’orto lo Zio e schiaccia con i suoi fettoni gli asparagi.
“Dov’è tuo fratello Abele?”
“Sono forse la balia di mio fratello?”
“E mi credi così imbecille da non sapere nulla? Cosa hai fatto squilibrato?”
“Che me lo chiedi a fare se lo sai?”
“Tu hai la testa marcia, sei guasto!”
“Mo vediamo chi ha le palle in famiglia. Hai visto? Non sei contento?”
“Che stai dicendo sciagurato?!”
“Palazzi, armi, denaro. Sono pronto Zio. Non era questa la prova che volevi?”
“Miserabile, io non ti ho chiesto nulla. Quello che hai fatto, lo hai fatto di tua iniziativa. E te ne assumerai tutte le responsabilità.”
“Non essere vigliacco Zio! Lo sai benissimo che tu hai commissionato questo assassinio! Tu mi hai provocato, mi hai trattato da checca, da moccioso. Volevi vedere scorrere il sangue tra noi. Volevi che tirassi fuori l’odio. Volevi il gesto infame. Eccotelo. Siamo soci, adesso. Complici! Palazzi, armi, denaro…”
“Soci un cazzo, imbecille! Hai saputo uccidere tuo fratello, hai saputo colpirlo di spalle. Non lo hai neppure seppellito. Hai dato il suo cadavere in pasto agli insetti. Ma sei sempre il babbeo di prima. Tu solo pagherai per tutto questo!”
“Come pagherò per tutto questo? Che significa?”
“Significa che ti denuncerò, adesso, senza perdere neppure un minuto. E tutta la terra saprà del barbaro atto che hai commesso. Tutta la terra saprà che sei una canaglia. E lo sapranno anche le generazioni future. Io scriverò il verbale che ti accuserà. Il verbale che ti esibirà come la più fetente e vile carogna che mai l’umanità abbia conosciuto.”
“Non puoi farmi questo! Tu mi vuoi fregare! Vuoi tirarti indietro dopo avermi torturato per anni ed anni. Dopo avermi messo con le spalle al muro. Mi hai fatto sentire una merda, un’assoluta nullità. Tu più di tutti hai contribuito a rendere Abele insopportabile nei miei riguardi. Tu lo gasavi, gli hai tacitamente concesso di disprezzarmi, di trattarmi come uno zimbello. Hai… hai sempre pilotato tutto. Ecco, ti sei servito di me!”
“Sei patetico Caino. Ma il destino che ti spetta ancora non lo conosci. Dovrai scappare. Sei un delinquente oramai. Il peggiore degli assassini. Per te non ci sarà più pace.”
“Tu sei delinquente quanto me, tu sei il vero mandante di questo assassinio, come puoi denunciarmi?!”
“Fregnacce! Non esiste una prova, una sola, che io ti abbia ordinato di far fuori tuo fratello. Nulla di simile è mai uscito dalla mia bocca. Ciò che tu hai dedotto, attraverso la tua mente malata, sono affari tuoi. E dei tuoi eventuali psichiatri. Credi forse di potermi incastrare? Di tirarmi in ballo? Stai sognando, tesoro! I tuoi stanno già sguinzagliando i cani. Il tuo processo è già stato scritto da me. Ricordati! Io sono lo Zio, io ho tutti i mezzi che voglio. Io so leggere e scrivere. Tu sei un contadino analfabeta!
“Ma non capisco, allora… Perché lo hai fatto? Se mi odiavi, potevi spingere Abele ad uccidermi. Ora hai comunque perso il tuo nipote preferito…”
“Balle! Che vuoi che m’importi a me di odio e amore! Non sono mica un imbecille come te, una marionetta delle passioni. Tu che t’indigni, soffri, covi la rabbia… Ti dico solo questo: tu mi sei molto più utile di Abele. E questo basta. È tutto ciò che occorre. Abele, sì, lui era mille volte più brillante, intelligente, simpatico di te. Ti menava per il naso ventiquattr’ore su ventiquattro. Ma era troppo fortunato, troppo sicuro di sé, per diventare un vero delinquente, uno scellerato della tua risma. Ma tu credi che io possa dire in giro che sponsorizzo i tagliagole? Pensi che la mia fama crescerebbe in modo così incontrastato, se dicessi che per mandare avanti il mondo avevo bisogno di un killer squilibrato, senza scrupoli e facilmente manipolabile? Chi mi darebbe credito, caro nipotino? Io pregherò sempre per Abele, piangerò per lui, e sempre maledirò il suo vile e sanguinario fratello!”
“Ma che sarà di me dunque? Verrò processato e poi impiccato?”
“Sei un vero cerebroleso Caino! Ma è anche per questo che ti ho scelto. I processi non mi piacciono. Non servono a nulla. Si parla sempre troppo nei processi e c’è il rischio che salti fuori qualche incongruenza, qualche strana ipotesi, piste inizialmente non prese in considerazione… Per questo, mio caro, sono qui per dirti: ti denuncio. Ma anche per dirti: scappa. Scappa subito. Che non ti prendano. Il processo potremo ben farlo in tua assenza. L’importante è che si abbia in mano il trucidato.”
“Ma se mi prendono, mi ammazzeranno! E poi dove posso andare? Non ho neppure un soldo!”
“Oh come ti preoccupi! Non mi conosci ancora bene, nipote. Ho già pensato a tutto io. Avrai una borsa piena d’oro, un cavallo fresco e un passaporto falso. Dimenticati il tuo nome. E sopratutto dimenticami. Nella borsa troverai una cartina. Vi è indicato il percorso che dovrai fare. Te ne andrai nella terra di Nod, a oriente di Eden. È un posto insalubre e maledetto. Nessuno verrà a cercarti lì. Sul posto ti attende una giovane baldracca. Sbattitela a piacere e fai molti figli. Insegna loro l’arte del coltello, della prostituzione, della razzia e dello stupro. Insegna alle donne a simulare sempre, ad abbindolare i maschi, a dirigere con menti fredde i loro cuori avvampanti. Insegna agli uomini, che la violenza semplifica il mondo e fa risparmiare un sacco di tempo. Insegnagli che la tortura raddrizza i sentimenti più ribelli e aggiusta anche le operazioni matematiche errate. Il vostro compito è costruire una città. La prima città. Palazzi, denaro, armi. E aggiungi pure: bordelli e piazze di spaccio. Mi hai inteso bene? Ora va! Va! E che la terra ti sia maledetta.”

(Apparso su “Nuova Prosa”, novembre 2003.)

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1 commento

  1. Molto bello questo Abele versione Gastone (in senso Disney). Davvero buono il lato “psico-esistenziale”, meno convincente quello “politico”.

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