La bici e la morte #1
di Tiziano Scarpa
Un mese fa ho comprato Tour de France Soundtracks dei Kraftwerk. L’ho ascoltato al tramonto, con gli auricolari, per due o tre sere di seguito, facendo lunghi giri in bicicletta nei boschi brandeburghesi. Il disco contiene poco meno di un’ora di musica plumbea, più cinque minuti di colori spalancati e felicità inventiva. In Tour de France Soundtracks quasi tutto è greve sfondo, ben poco si staglia in primo piano. Nessun ritornello memorabile. I rari decolli melodici vengono schiacciati sulle nervature ritmiche, quasi dovessero essere repressi.
Al confronto, il vecchio pezzo Tour de France, che risale al 1983 e che qui viene ripresentato in coda al disco, è un’esplosione di gioia: persino gli ingranaggi delle rotelle del cambio, in quel brano, cantavano sopra l’asfalto, stormi di uccelli spauriti si alzavano in volo al passaggio del gruppo di ciclisti. Li immaginiamo ripresi in video dall’elicottero, con un’inquadratura vastissima che inghiotte vorace tutto il paesaggio che c’è. Quante melodie dolcissime, quanta troppoumana commozione avevano riversato nei loro dischi di venti, trent’anni fa questi cantori del post-umano!
TITANIUM
Carbonio-alluminio
Telaio titanio
A metà agosto, i giornali tedeschi hanno celebrato l’evento. Era da diciassette anni, dai tempi di Electric Café (1986), che i Kraftwerk non registravano un album intero tutto nuovo. Le recensioni hanno dovuto spiegare agli stessi tedeschi chi siano, o meglio chi siano stati negli anni Settanta e Ottanta Ralf Hütter e Florian Schneider, che cosa ha significato questo gruppo nella storia del pop. Il tono dei recensori era rispettoso, non certo entusiasta. Alcuni hanno fatto notare che un quarto di secolo fa questi suoni si presentavano come esoterismo elettronico rivelato alle masse, emesso da macchinari inauditi, ingombranti, costosi, spesso assemblati dai musicisti stessi, mentre oggi qualsiasi deejay dilettante può produrre suoni sintetici e modificare le forme d’onda sonora con un personal computer o una playstation.
ELEKTRO KARDIOGRAMM
Minimo
Massimo
Battiti al minuto
Elettrocardiogramma
Dopo le autostrade, la radioattività, i treni, i manichini, i robot, le onde elettromagnetiche, la luce al neon, le antenne, le centrali nucleari, la calcolatrice tascabile, il personal computer, questa volta i Kraftwerk cantano la bicicletta. Può sembrare una ritrattazione umanistica, una regressione al sudore, alla fatica, alla retorica sacrificale da Gazzetta dello Sport: nel brano Elektro Kardiogramm si campiona un respiro in affanno, e il battito di un cuore sotto sforzo stambura al posto della sezione ritmica. In bicicletta il corpo si robotizza con un gesto semplice, un meccanismo che per noi ormai è diventato un’abitudine, ma che è sommamente innaturale. La pedalazione non esiste in natura, è la bici ad averla evocata, inventata, nel moto circolare delle nostre gambe, appena un secolo e mezzo fa: la bicicletta, nella forma in cui la usiamo oggi, con trasmissione a catena e pneumatici, è stata messa a punto nei decenni 1870-1880. Basta una postura, un movimento ripetuto, e diventiamo all’istante robot. La macchinizzazione del corpo non è fantascienza. È già avvenuta da almeno centocinquant’anni.
AERO DYNAMIK
Perfezione
Meccanica
Aero dinamica
Materiale e tecnica
Aero dinamica
Condizione e fisico
Aero dinamica
Postura e tattica
Aero dinamica
In bicicletta il corpo è la forza motrice e il carico da trasportare. In bici il corpo è fonte e destino del proprio lavoro. In mezzo, fra questa origine e questa destinazione, c’è la bicicletta. Perciò la bici produce due viaggi. Il primo, banalmente, è quello che prevede una partenza e un arrivo, uno spostamento verso una meta. Il secondo viaggio, meno evidente, è quello dell’energia che parte dal motore muscolare, si convoglia nel mezzo meccanico, si scarica nel trasporto del corpo medesimo, impegnato a lavorare per il proprio trasloco. In bici è come se il corpo si nascondesse, perché si nega in quanto carico e fardello, travestendosi da puro motore. In bicicletta, il lavoro del corpo ritorna al corpo e lo oltrepassa, non solo perché lo spinge avanti, come fa qualsiasi passo di un essere umano che cammina, ma perché smentisce la sua pesantezza, ne riduce l’attrito, lo alleggerisce. Il lavoro prodotto dal corpo in bicicletta lo disincarna, lo spiritualizza. Il ciclista orbita intorno al pianeta come un satellite di superficie. Mentre un filone dell’estetica degli anni Novanta, inconsapevole discepola dei Kraftwerk, ha celebrato l’homo cyberneticus, connesso alla macchina tramite complicati dispositivi elettronici, con le carni confuse e indistinguibili dalle loro protesi tecnologiche, i due saggi di Düsseldorf ora sillabano che per diventare uomini-macchina basta montare sul sellino e spingere sui pedali.
TOUR DE FRANCE (2003)
RadioCorsa informazione
Trasmissione televisione
Reportage in motocicletta
Videocamera e macchina fotografica
Presentazione delle squadre
Viene dato il via
Si bruciano le tappe
Si lancia la corsa
I corridori cronometrati
Per la prova della verità
I monti le valli
I gran premi della montagna la passerella
Oltre lo striscione dell’ultimo chilometro
Maglia gialla all’arrivo
RadioCorsa informazione
Trasmissione televisione
Reportage in motocicletta
Minicamera e macchina fotografica
Il Tour de France è gara, è sport, è scarico di energia senza scopo, senza necessità. È un’attività virtuale, è realtà impastata di immaginario. Si mobilita un’incredibile quantità di maestranze, funzionari, giornalisti, investimenti economici, logiche spettacolari per organizzare la solita produzione di un risultato simbolico, tutto giocato all’interno di regole cerimoniali, gerarchie di valori autistiche: che senso ha altrimenti “tagliare il traguardo”, che cosa significa veramente “arrivare primi” fuori dallo sport, nella vita cosiddetta reale? Il Tour, nell’essere un „giro”, indica che non c’è un vero viaggio, ma soltanto una gita anelliforme: come il viaggio del signor M. nel racconto di Dario Voltolini, la mappa del Tour rappresenta idealmente un giro di pedivella, traccia sulla carta una pedalata geografica. Il Tour si muove per tornare viziosamente al punto di partenza: ma si tratta di un circolo virtuoso, proprio perché il Giro-Tour spiritualizza il movimento, lo colloca su un altro livello, lo affranca dalle necessità della vita, come quella di doversi spostare da Narbonne a Toulouse per lavoro.
Nota: quelli citati in corsivo sono i testi del disco. Nell’originale sono cantati (o meglio, pronunciati) in francese, tedesco, inglese.
(1. continua)