Tracce di vita
(Recensione aggressiva di 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire)
di Jacopo Guerriero
Un’idea ossessiva tormenta sociologi e critici del nostro paese: leggere i testi di chi ha meno di vent’anni come una cartina di tornasole sugli umori che, addirittura oltre la costellazione più tipicamente giovanile, attraversano l’intera società.
Pare sia il loro mestiere, non discuto, tutti dobbiamo mangiare. E’ sconcertante, però, osservare come, il più delle volte, proiezioni di teorie generali, astrazioni, definizioni di caratteristiche servano solo a dire “ai miei tempi era meglio di adesso”. Da “quei tempi”, da tutti i tempi bisogna prescindere. E’ l’invenzione il fulcro, la stella polare cui bisogna tendere.
I principi sociologi -ma anche i giornalisti di cronaca letteraria- non risparmiano il loro zelo invasato neppure per il libro di Melissa P., diciassette anni, catanese, che ha scritto un diario –100 colpi di spazzola prima di andare a dormire– trionfatore nelle classifiche estive.
Il racconto –pubblicato da Fazi- è la storia di un tentativo reiterato: la ricerca dell’Amore, anzi del Grande Amore Adolescente (quello che non arriva mai), attraverso la caduta in un abisso di deviazioni sessuali. La protagonista ha soltanto diciassette anni, i canali dello spettacolo mediale probabilmente non resisteranno alla tentazione: ergo attendiamo, impazienti, commenti di Alberoni e soci (magari nel salotto di Bruno Vespa..).
Per ora, in questo senso, va citata un’esemplare intervista a Melissa dell’improvvisata antropologa Paola Tavella su Io Donna e una recensione sentenziante di Luciana Sica su Repubblica.
Di questo genere di cose a me non frega un cazzo, se vi interessa riflettere in termini di scienze umane leggete qualcos’altro. Io continuo a pensare che sia necessario dar vita a un grande progetto per costruire consapevolezza attorno alla vera natura del mondo contemporaneo. Occorre aiutare la gente a prendere coscienza delle sfide, delle possibilità insite anche nel pensiero moderno e perfino post-moderno, nell’arco che conduce dal moderno al post-moderno e poi fuori dalla prigione. Occorre operare questa profonda demistificazione dei luoghi comuni delle culture imperanti, per dare spazio alla verità sull’uomo. A tutti i livelli, anche quando si parla di libri di teenagers.
A proposito: non è qui inopportuno ricordare ciò che capitò circa dieci anni fa a Enrico Brizzi: non ne ricordo tanti che scrissero che Jack Frusciante era un bel libro, almeno tanti che vollero farlo esimendosi dalla valanga di cazzate a sfondo psico-antropologico.
Molto meglio leggere e partire dall’occasione, vivere i libri come si è sempre fatto.
Dunque se un tempo esistevano le tardive eredi di Françoise Sagan quel tempo è morto. Chiara Zocchi è imbalsamata. Restano i bimbi di oggi che a tredici anni fottono e vivono il sesso al di là della sua necessità, come forza tirannica capace di ridurre la vita a un’unica dimensione (la scopata sacrosanta e dannata), negandosi però movimento e totalità. Melissa sembrerebbe l’alfiere della nuova generazione. Con infantile intransigenza, anche nel suo diario, Amore e Sesso vengono sentiti come entità duali e manichee, disincarnate in fondo. O l’uno o l’altro, come nei film americani. Qui c’è più sesso, naturalmente, e Melissa stringe i denti quando lo schifo le arriva addosso, si va oltre il limite e, alla sera, i cento colpi di spazzola –tradizionale consiglio delle nonne per mantenere lucidi i capelli- servono a ripulire le sborrate degli uomini che sporcano. Nella sua stanza la ragazzina resta sola con il cuore infreddolito, si piglia addosso qualunque schifezza purchè riconosciuta come perversa, inutile indagare il motivo, si ricordi che ogni noia è gravida di tedio e ostilità.
Il principe azzurro, oggi, non scala più le torri aggrappandosi alle trecce ma si è trasformato in un orco che, conosciuto occasionalmente, alle volte addirittura in rete, costringe la principessa ad esperienze lesbo, sadomaso e orgiastiche.
Questo accade nel mezzo del libro; gli estremi della storia sono invece -all’inizio-la perdita della verginità e -alla fine- un innamoramento di redenzione quasi platonico. Il tutto nel contesto di una trama che, almeno nelle ultime quaranta pagine, sembra una sequenza plastica serigrafica, prevedibile.
Eppure: diecimila copie bruciate in pochi giorni, a casa Fazi si coccolano la ragazzina come una gallina dalle uova d’oro.
Solo prurigine dell’italietta dei mostri, che nelle notti d’agosto sogna con Banfi e la Fenech, oppure c’è qualcosa di più?
Un diario parla di realtà e la realtà è sempre un coacervo impazzito di cause ed effetti. Scrivere un libro del genere ha senso solo in quanto atto creativo, se vengono poste in relazione le visioni di cui consiste la materia ultima dell’uomo con le categorie di banalità e quotidiano che il presente impone. Melissa non è una ragazzina paga dell’esistente. Molte volte il suo libro, probabilmente in modo involontario, si presta anche ad essere letto come il tentativo, programmaticamente estremo, di dare corpo a un “libro per adolescenti e padri”, un rapporto consuntivo, mascherato da racconto, sui quindicenni di oggi (si sa: i tempi cambiano, gli adolescenti scrivono ancora poesie ma fanno anche sesso in rete..). Però si può andare oltre. Melissa non è un caso, non va letta come un fenomeno di costume incarnato, su cui ogni idiota deve esprimere il proprio giudizio. Da sgrezzare, pulire, da lavare, ha anche un talento narrativo. Molte volte l’età la lega, è evidente, si aggrappa alla narrativa di genere erotico. Ti ammolla frasi da collegiale perversa che fanno appassire i fiori lontano un miglio. Ma poi è anche capace di vedere, di invadere. Insomma può crescere. Ci sono pagine in cui lo sfogo è davvero violento, privo della redenzione cui lo costringe, il più delle volte, la prigione bellettristica. La letteratura, anzi, diviene un modo per sopravvivere e quando Melissa si libera è capace di trovare un linguaggio che fa prendere forma al sogno, a una visione semplice ma non insincera.
E’ in questi momenti, anche se rari, che si incarna la dimensione ultima del libro, quella di un dolore mentale forte, vero, che va riconosciuto come tale. Non va studiato o analizzato.
Per cui spero bene che Melissa lasci perdere il superfluo e si dedichi all’essenziale. Spero bene che si appresti a non farsi raccontare stronzate da nessuno. Che continui a scrivere pensando tutto, integralmente, con la propria testa, riducendo al minimo ogni condizionamento.
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un commento a questo pezzo sul mio blog (blog? che parolaccia è? ;-) http://falsoidillio.splinder.it/1062513111#556069
Dal Blog in questione per comodità copio-incollo (Però la recensione non è di Dario Voltolini come è scritto sotto ma di Jacopo Guerriero. b.george, Voltolini non scrive così, e puoi verificare nell’ultimo Tuttolibri che contiene la sua recensione a un libro sui gruppi hard core torinesi dei primi anni ’80, “I ragazzi del mucchio” di Silvio Bernelli. Dalla recensione pare molto bello).
Letteratura e signorini
Interessante recensione di Dario Voltolini, su Nazione Indiana, a 100 colpi di spazzola prima di andare a dormire, di Melissa P. (Fazi editore), sonnolento caso letterario dell’estate. Non tanto per le opinioni su Melissa P. (a esser cattivi si potrebbe dire che di Melisse, tra i blog, se ne trovano a decine, alcune persino vere…), quanto perché, tra le righe, Voltolini allude al problema della differenza tra letteratura e bellettrismo (la ricerca pudica del bello, che come si sa non ha necessariamente a che fare con l’arte), tra poesia e diario.
Se si toglie un po’ di sturmundrang che quelli di Nazione Indiana ci infilano sempre (se non c’è strazio, sfiga e dolore non è vera letteratura…), rimane il nocciolo del problema, che provo a porre così: letteratura è presenza di un’ossessione, di un progetto, di una trasfigurazione, costruzione di un paradigma attraverso due piegature sovrapposte, una operata sulla frase e sul linguaggio, sul suono strumentale che diventa circolarità sonora, l’altra sul materiale di senso, sulla vicenda che diventa “storia”. Poi si può discutere di maggiore o minore bravura, di gusti e di idiosincrasie (come certo vitalismo tragico che sta dietro ad alcuni – non i più grandi – di NI). Ma senza quelle “pieghe”, non c’è letteratura, solo diario o lista della spesa o, appunto, bellettrismo da signorino. E questa, se non si capisce, è una mezza autocritica.
ops, domando scusa per la svista a Voltolini e a Guerriero
La svista è stata simpatica e non ha certo bisogno di scuse da parte mia. L’ultima riga del messaggio di b.georg, però, fa riferimento a un’autocritica che non penso debba riguardare Jacopo, ma caso mai me. Mi piacerebbe capire meglio la questione. Ciao.
Questo Copia&Incolla è quanto ebbi modo di dire a proposito di Melissa P.:
“Tutto ebbe inizio con Lara Cardella, quando gridava che voleva pure lei i pantaloni.
Si dice che Lara Cardella denunciò un critico al tribunale di Messina o di Catania, perché secondo lei l’interpretava data dei suoi “pantaloni” non corrispondeva alla “taglia” del libro. Il giudice diede ragione al critico e torto a Lara Cardella. E questo è un dato di fatto. L’incidente non le ha comunque fatto danno: anzi, se non vado errato dai suoi pantaloni qualcuno ci trasse pure un film, che sinceramente non mi sono mai premurato di vedere, perché già tutto avevo letto nel romanzo della Cardella. Al tempo, l’opera prima della Cardella suscitò scandalo, ma oggi, rileggendo l’ingenuità delle pagine della Cardella, quasi ci/mi viene da sorridere. A tentare lo scandalo letterario, oggi che questo è prodotto industriale globalizzato e quasi sempre inventato di sana pianta, è Melissa P., una ragazzina che Vladimir Nabokov non esiterebbe a definire “lolita” se fosse ancora vivo. Ma chi, o cosa, accomuna Melissa P. e Lara Cardella? Quando parlava di “Lolita”, Nabokov raccomandava di evocarla con la “L” liquida, di pronunciare la prima sillaba che suonasse come lollipop (lecca lecca!?). Donne di parole e carta, semplici invenzioni di uno scrittore? Oggi non più: le lolite scrittrici esistono, almeno per una certa fetta del mercato editoriale. “Cento colpi di spazzola prima di andare a dormire”, il romanzo di Melissa P., è un secondo “Volevo i pantaloni”, niente di nuovo per cui scandalizzarsi fintamente, per sport, per hobby o che altro. Il libro è stato lanciato da una mirabile e riuscita campagna pubblicitaria, è innegabile. Ho come la netta impressione che l’editoria si stia indirizzando verso la massiva promozione di libri scritti da lolite e “lotiti”. Un mercato, evidentemente, florido che attira e gli editori e il pubblico. Tuttavia ci troviamo di fronte a libri che riescono a durare nella memoria giusto il tempo della moda. Dubito ampiamente che domani il nome di Melissa P. lo ricorderemo nell’Olimpo dei grandi scrittori. Ad ogni modo, Vladimir Nabokov, forse, oggi, sarebbe entusiasta delle lolite scrittrici, un pò meno dei loro scritti. Tutto ciò sta a significare che non è importante saper scrivere (almeno per una certa fetta del mercato editoriale); è invece indispensabile essere “una moda molto giovane”, e far finta di parlare di grandi temi “adulti”. Se la mia analisi è minimamente corretta, comprendo perché all’estero gli autori italiani sono pressoché ignorati.
Io non so che fine abbia fatto Lara Cardella, se scriva ancora o se si sia inventata come donna matura abbandonando la letteratura. Chiunque abbia notizie in merito, può scrivere alla Redazione di King Lear
Purtroppo l’editoria è già da un po’ di tempo che promuove storie generazionali spacciandole per casi editoriali. L’importante è che siano opere prime di lolite (o “loliti”), altrimenti non potrebbero funzionare. Il meccanismo per cui libri come “Volevo i pantaloni” e “100 colpi di spazzola prima di andare a dormire” funzionano è assurdo, ma non privo di una sua logica: il pubblico è affamato di storie scandalistiche stile Novella 2000, e in estate, sotto l’ombrellone a mostrar le chiappe chiare ma anche i seni siliconati, un romanzo scritto da una lolita che descrive i suoi primi maldestri approcci sessuali è forse quanto di più appetibile il lettore medio – o semplicemente disimpegnato – abbia voglia di leggere. Le dichiarazioni pseudo scandalistiche dei Vip non sarebbero un buon romanzo, perché le loro storie si consumano presto, nel giro di qualche estate, e riproporle ogni estate è difficile anche per il paparazzo più incallito. Scrivere poi un libro scandalo sui Vip non interessa a nessuno. Si fa prima ad andare in edicola. Ma le storie adolescenziali fanno gola perché non vengono da voci note, ma dalla “donna di strada”, o dall’”uomo di strada”, prendendo a prestito il titolo dell’ultimo Cd di Piero Pelù. L’uomo comune, il giovane adolescente, la donna comune, la giovane adolescente, sono appetibili, hanno il sapore di un gossip lanciato da una qualche anonima portinaia, e quindi sono invocate e digerite con tutta tranquillità. Ma se esaminiamo i libri di Lara Cardella e Melissa P. ci rendiamo conto che sono essenzialmente dei “gossip” scritti con garbo, ma niente di più. Le esperienze sessuali adolescenziali raccontate non sono scandalo, ma la “Lolita” di Nabokov è ancora un libro difficile da digerire, in alcuni casi censurato dal lettore stesso che rifiuta di leggerlo per intero. Perché? Nabokov sfidava il rigido moralismo borghese proponendo fantasie psicologiche come terapia curativa per le sue proprie ossessioni, mentre le “lolite scrittrici” descrivono solo la loro iniziazione alla vita di coppia, o sessuale se si preferisce. I primi rapporti sessuali, i giovani cominciano ad averli intorno ai quindici anni, o anche prima, ormai lo sappiamo. E gli adulti sono curiosi di sapere come avvengono, che cosa provano, e come è potuto accadere tanto presto.
Non è scandaloso il libro di Melissa P., mentre è terribilmente ipocrita il gusto voyeristico degli adulti che spiano i propri figli attraverso le pagine di un libro, che potrebbe essere tranquillamente il diario nascosto nel cassetto di una comunissima adolescente dell’anno 2003 di Nostro Signore! Ci tengo a precisare che non siamo di fronte a un “Doppio sogno” di Arthur Schnitzler o a una “Lolita” di Vladimir Nabokov, ma solo davanti al nostro finto perbenismo. Scrive Giuseppe Farese a proposito di “Doppio sogno”: “La caratteristica immediatezza schnitzleriana nel presentare con pochi tratti essenziali situazioni e personaggi tocca ancora una volta in Traumnovelle il culmine della maestria narrativa. La bambina sorpresa dal sonno mentre legge una fiaba, il tenero sorriso dei genitori, l’ingresso della governante che accompagna a letto la piccola, Fridolin e Albertine, finalmente soli, sotto il caldo chiarore della lampada: una tranquilla famiglia borghese della Vienna di Schnitzler. Ma la facciata inganna, la realtà è un paravento illusorio e nasconde un groviglio di dubbi, di angosce, di aggressività, di desideri repressi che, una volta liberati, coinvolgeranno i personaggi in una ridda di avventure reali, fantastiche e sognate, costringendoli a percorrere le stazioni della loro crisi alla ricerca affannosa di una verità che non esiste se non nel tentativo, precario ma forse il solo valido al momento, della reciproca comprensione. La trama di quella che si potrebbe definire una “commedia dei disinganni e dei desideri insoddisfatti” – nessuna delle avventure erotico-surreali di Fridolin giungerà a compimento, l’orgia di piacere e di libidine incontrollata di Albertine è solo un sogno! – si dipana lungo il filo dell’alienazione, della vicendevole estraniazione dei due personaggi principali.” Corre una bella differenza fra i sogni, o realtà inventate, delle lolite scrittrici e la psicologia freudiana del “Doppio sogno” di Schnitzler. Le prime scrivono di sé mortificando ogni possibile inserto psicologico per dar corpo a un erotismo adolescenziale meramente autobiografico inventato (!), mentre Schnitzler opera analisi psicologica nel ventre dell’erotismo traducendolo in sogni e pulsioni represse. E’ chiaro che i due approcci all’erotismo sono nettamente diversi, ed è ancor più chiaro che il primo si esaurisce nella storia raccontata, mentre il secondo si estende nella nostra psiche per esaurirsi forse in un “doppio sogno” finché morte non sopravvenga, comunque non prima d’esser stato consegnato alla memoria delle generazioni future. Per certi versi, le scrittrici lolite reinterpretano il “doppio sogno” di Schnitzler sceverandolo di ogni (im)possibile psicologia.
In Francia, qualche anno fa, ma recentemente, Virginie Despentes con il suo romanzo fintamente on the road, “Baise moi” (Scopami), sollevò una certa attenzione di critica e di pubblico. La legge della Despentes è: “Bisogna abusare”, almeno quando si scrive narrativa. E anche il film tratto da “Baise moi”, prodotto da Philippe Godeau e Dominique Chiron, per la regia della stessa Despentes insieme a Coralie Trinh Thi (sceneggiatura sempre della coppia Despentes/Trinh Thi), fece un certo scalpore: giustificato o ingiustificato? A parer mio, il film era il tipico pulp utile a produrre una buona dose di noia e qualche lavoro di mano per adolescenti alle prime armi, anche se il film venne spacciato come opera adatta agli intellettuali. La Despentes ha abusato, sì, è vero, ma solo di se stessa: ne è prova che oggi è già storia passata. Anche lei “enfant terrible”, prodotto francese, è stato un flop, almeno per la storia della letteratura. E’ troppo facile essere “enfant terrible”: dopo due anni appena, ciò che fa male è scoprire che la prima ruga ha negato ogni voglia di scrivere dell’adolescenza di cui non ci si ricorda più se non con un certo pudore e costumato imbarazzo. Guardi indietro, guardi te com’eri, e scopri che eri “normalissima”, e l’imbarazzo cresce oltremodo, quindi non scrivi più di “te”.
Allora, mie care lolite scrittrici, io vi voglio bene, le vostre storie le leggo anche, ma la letteratura è ben altra cosa. Per far scandalo veramente dovreste riuscire a produrre un libro come “Doppio sogno” o come “Lolita”; non è sufficiente indossare i pantaloni, spazzolarsi la passerina, raccontare gli approcci sessuali, perché a me fanno sorridere, e, ad un certo punto, mi annoiano a morte. Ci sono passato prima di voi, e so. Però non ne parlo in un libro, non ne faccio un romanzo. Il vostro raccontare di “sesso” non è quel nichilismo doloroso, ubriaco, scanzonato di Charles Bukowski, e non è neanche l’”Urlo” di Allen Ginsberg, è solo un semplice pigolio enfatizzato dal passaparola delle portinaie che leggono le vostre storie con la stessa consapevole ingenuità con cui si emozionano davanti alla copertina dell’ennesimo Harmony. Io vi auguro fortuna, ma so che questa aiuta gli audaci dotati di talento innato e non la letteratura “mordi e fuggi”.
Intanto due case cinematografiche si sono già messe in contatto con i tipi Fazi per trarre dal libro di Melissa P. un soggetto cinematografico. Ovviamente, non sarà la “Lolita” di Nabokov ritratta mirabilmente da Stanley Kubrick, ci possiamo scommettere sin da ora i nostri gioielli di famiglia.”
Cari saluti a Tutti,
G. Iannozzi
Credo ci sia un frainteso, Dario. L’autocritica riguarda in primo luogo me stesso e le cose che di solito posto sul mio blog (in quanto scrittore della domenica) ed e’ anche una parziale apertura di credito rispetto alle cose che tempo fa diceva Tiziano (Scarpa), con cui invece polemizzai privatamente. Continuo a essere in disaccordo totale con l’obiettivo di quell’antico suo pezzo (polemizzare con “i blog” in quanto unita’ autoriale e’ sensato quanto pescare sardine col bazooka), ma ciononostante confesso che la mia personale riflessione sulla pratica letteraria (da, ripeto, scrittore della domenica, ma ahivoi esiste anche questo – o forse esiste “solo” questo? Ehhhh…) e’ stata arricchita da alcuni di quegli spunti. Da qui l’autocritica. Nei commenti alle stesso post ho cercato di spiegare meglio la cosa, non so dire se con buon esito.
Caro b.georg, peccato: ero pronto ad autocriticarmi e invece l’autocritica era tua. Sono comunque disponibile.
Ciao.
A questo punto b.georg, se hai come direbbe Scarpa i controcazzi, entri in una Feltrinelli, compri “Primaverile (uomini nudi al testo)” e definisci l’autocritica di Dario (Voltolini).
No, no, intervengo per sollevare b.georg da ogni obbligo d’acquisto di un mio libro. Hai la dispensa ufficiale, stai sereno.
Ciao
Uhm, effettivamente su certi autori prendo dei modi un po’ nazisti :-)
Toste le recensioni di Iannozzi.
Caro Andrea, be’, ogni tanto anche io intervengo su certi autori un pò “duramente”. ;-)
Ti ringrazio: detto da te che le mie recensioni sono toste, ti assicuro che è complimento non da poco.
Cari saluti,
Giuseppe Iannozzi
P.S.: C’è un refuso nella rece che ho postato: “perché secondo lei l’interpretava” ovviamente è “perché secondo lei l’interpretazione”
“Intanto due case cinematografiche si sono già messe in contatto con i tipi Fazi…”
Che cosa curiosa, oibò! Però bella da immaginare queste case cinematografiche che s’incontrano con i tipi di Fazi…
Apprezzo lo stile dell’articolo. Veramente ben scritto. Ma trovo che l’autore sia veramente troppo ottimista sul destino di Melissa….secondo me non solo il romanzo fa cagare, ma in futuro non possiamo attenderci niente di meglio da questa signorina Lado…sono stato cattivo?
Ma no dai in fondo è tutto un gioco.