Quello che succede per davvero
di Sergio Baratto
A me sembra che la censura odierna conosca modi di raffinata astuzia, per conservarci nell’ignoranza e nasconderci le verità più scomode. Per esempio, perché i giornali non ci parlano del GATS? Cos’è mai questa sigla?
Se si ripercorre brevemente la cronistoria dell’ultimo anno politico, così com’è stata narrata dai mezzi d’informazione, vi si possono individuare due grandi “motivi” – il pericolo no-global e la guerra in Iraq. E poi c’è anche un tema invadente che, come in una composizione di pessima fattura, tende a sovrastare in volume tutto il resto. Sono le polemichette e le chiacchiere della politica partitica italiana.
Il meccanismo è in verità molto semplice: un politico del governo pronuncia una bestialità, i giornali la riportano con grande risalto, l’opposizione risponde indignata, i giornali titolano “È polemica”, il Corriere pubblica un editoriale equidistante che non sopisce la polemica; noi qui, dall’altra parte dell’edicola, quando ci si telefona o ci si incontra, tutti a commentare “Ma l’hai sentita l’ultima di Berlusconi, di Borghezio, di Gasparri…?”. La polemica lentamente si sgonfia, dopo le ultime dichiarazioni incrociate, tra un appello al presidente della repubblica e un uso smodato dei termini “responsabile”/”irresponsabile”. Trascorre un breve periodo di decompressione (in cui di solito domina la cronaca nera), poi si ricomincia. Me se si riesce ad estraniarsi per un attimo, se si esce dal circolo vizioso, appare subito lampante la scandalosa vuotezza di tutta la vicenda.
Ci distraggono con le cazzate, per dirla in breve, ci stordiscono di bestialità, di battute inaccettabili e proclami immorali ma fasulli, risucchiano come vampiri tutta la nostra attenzione e la nostra indignazione, perché non ce ne resti più nemmeno una goccia. Perché non ci accorgiamo di quello che succede per davvero.
E non è che si possa attribuire alla nostra destra la paternità di questo sistema. I governi di centrosinistra si erano dimostrati altrettanto bravi. Chi si ricorda dell’affaire Mugello, che tanto occupò le nostre anime politiche e le pagine dei nostri quotidiani nel già remoto 1997? Ricordate la querelle tutt’interna al centrosinistra “Curzi o Di Pietro”? Chi non prova l’impulso, a posteriori, di esclamare “Ma chissenefrega!”? E soprattutto, chi si ricorda come andò a finire? Eppure allora sembrava che l’orizzonte della nostra vita politica non andasse oltre la collina toscana, che il mondo fosse circoscritto alla nostra piccola Italietta. Ci aveva convinto, la joint venture tra politici e sacerdoti dell’informazione. Tutti a discutere di Mugello.
E intanto, cosa accadeva per davvero?
La crisi delle tigri capitaliste asiatiche induceva il Fondo Monetario Internazionale a incrude-lire i propri folli piani di salvataggio; in Argentina un’impennata del tasso d’interesse prean-nunciava la catastrofe che avrebbe travolto il paese di lì a quattro anni; con il più classico effetto domino, la “Normativa sui nuovi alimenti” adottata dall’Unione Europea, che imponeva l’etichettatura dei prodotti contenenti OGM, provocava l’immediata reazione delle grandi multinazionali biotech e l’apertura – tramite il governo degli Stati Uniti – di un contenzioso presso l’Organizzazione Mondiale del Commercio; si era alla vigilia dell’attuazione (fortuna-tamente sventata) del MAI (Multilateral Agreement on Investments – Accordo Multilaterale sugli Investimenti), che prevedeva di fatto, per le multinazionali, il diritto incondizionato di comprare, vendere e compiere operazioni finanziarie in tutto il mondo scavalcando le legislazioni nazionali e la possibilità di fare causa a uno Stato le cui leggi violassero gli accordi commerciali stabiliti dall’OMC.
Cose grosse. Peccato che nessuno avesse interesse a raccontarcele.
1. GATS: Grandi Ablazioni Tenute Segrete
E funziona ancora, questo metodo, eccome se funziona. Recentemente, andando al lavoro, sono passato davanti a una bottega del commercio equo e solidale. Aveva la vetrina tappezzata di fogli e manifestini. Chissà perché davano l’idea di non essere mai stati letti. Non sembravano consumati dallo scorrere degli sguardi. Anche per me, è stato un caso (il fatto di essermi fermato per cercare l’accendino) che mi sia caduto l’occhio sul volantino. Sì, perché stavo pensando a tutt’altro, ero reduce da una discussione (in cui peraltro eravamo tutti della mede-sima idea) sul razzismo leghista. Erano i giorni in cui Bossi chiedeva l’uso del cannone contro gli immigrati. Non si parlava che di quello.
Cioè non si parla assolutamente di GATS. Gianni Riotta non si infervora sulle pagine del Cor-riere, mentre ci spiega le meraviglie di quell’accordo. Almeno fosse così. Invece no, le informazioni bisogna andare pazientemente a cercarsele su internet, penetrando nelle zone “sovversive” della controinformazione e scremando le notizie serie dai deliri complottistici, o sui fogli della sinistra (dove giacciono seminascoste tra pubblicità della Benetton e celebrazioni del trash). Ma per farlo, bisogna sapere già in partenza cosa si cerca, e questo, mi sembra, è un altro circolo vizioso.
Per correttezza, sono andato a verificare sull’archivio telematico del Corriere della Sera. Vi si possono leggere (a volte gratuitamente, più spesso sottoscrivendo un abbonamento) tutti gli articoli comparsi sul quotidiano dal 1992. Ho inserito la parola “GATS” e limitato la ricerca all’ultimo anno e mezzo: dal 1° gennaio 2002 al 17 luglio 2003. Risultato: trovati due articoli. Il primo è uscito il 27 gennaio 2003, s’intitolava “E i disobbedienti preparano già la sfida al G8 di Evian”, citava di striscio il GATS senza spiegare cos’è e per il resto era il solito articolo sui no global arrabbiati e sovversivi a cui il Corriere ci ha abituati da Genova in poi. Il secondo (comparso il 18 febbraio 2002) si è rivelato essere la recensione di una mostra di pittori catalani a Parigi.
Poi ho inserito la parola “Borghezio”, e mantenuto lo stesso arco temporale della ricerca pre-cedente. Risultato: 129 articoli.
Infine, ho inserito la parola “Mugello” e limitato la ricerca al solo anno 1997. Risultato: 463 articoli.
Il fatto è che (un po’ come nel 1997) oggi si è alla vigilia di avvenimenti cruciali, che avranno delle ripercussioni enormi anche sulle nostre vite, e non certo metaforicamente. Che saranno immensamente più esplosivi, per gran parte dell’umanità, del cannone ad aria compressa di Umberto Bossi o delle battute volgari di Berlusconi. Perché nessuno ha interesse a raccontarceli?
2. Cosa succede per davvero?
Succede per esempio che in Messico, a Cancún, tra il 10 e il 14 settembre 2003 si terrà la quinta conferenza ministeriale dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (OMC o World Trade Organization, WTO). L’occasione è particolarmente importante, perché in quella sede si prevede che i negoziati sull’applicazione del GATS entrino nella loro fase finale. Le decisioni che vi dovessero venir prese, andrebbero a incidere in maniera profonda e definitiva sulla vita economica e sociale del mondo intero. Non è un’esagerazione, se si pensa che dell’OMC fanno parte circa 140 paesi – vale a dire la quasi totalità dell’economia mondiale.
Il GATS, dunque. Cosa mai sarà? Una mia amica suggerisce scherzosamente che sia l’acronimo di Great American Trains Show; qualcun altro lo confonde con un musical sui felini. Nella realtà, purtroppo, sta molto più prosaicamente per General Agreement on Trade in Services, “Accordo Generale sul Commercio dei Servizi” (l’acronimo italiano – AGCS – è ancora più ignoto). La sua base teorica si fonda su un’emanazione del dogma liberista: se il principio vuole che tutto vada considerato come una merce, non si vede perché i “servizi” debbano sfuggire a questa regola.
Il duplice obiettivo del GATS è la progressiva liberalizzazione del mercato dei servizi e la creazione per esso di un sistema di regole comuni. Così lo definisce l’OMC: “il primo accordo multilaterale atto a fornire diritti legalmente vincolanti al commercio di tutti i servizi”.
Di “servizi”, l’OMC ne ha classificati 160. Nella nostra vita quotidiana ne usufruiamo continuamente: telecomunicazioni, servizi bancari e postali, acqua, sanità, istruzione, sistema pre-videnziale, raccolta dei rifiuti, rete fognaria, distribuzione dell’energia, manutenzione delle infrastrutture, trasporti… Tutti servizi pubblici. Tutte merci.
Secondo le stime dell’OMC il settore dei servizi rappresenta oggi il 60% della produzione e dell’occupazione totali nel mondo. Il piatto è troppo ricco, si capisce, perché a nessuno venga voglia di metterci sopra le mani.
Se il GATS verrà ratificato nella sua forma attuale, per i settori sopraelencati le conseguenze saranno decisamente sostanziose: il mercato dei servizi si aprirà alle imprese straniere, mentre agli stati nazionali sarà di fatto impedito qualsiasi tentativo di regolamentazione e controllo. Naturalmente i principali beneficiari dell’Accordo saranno i soliti colossi transnazionali. Dopodiché, al limite, si può sempre credere che la loro irruzione nelle fragili economie dei paesi in via di sviluppo non procuri alcun danno ma rechi tanto beneficio.
Ma le privatizzazioni dei servizi sono già una realtà da anni, si potrebbe obiettare.
Sì. Ma c’è una piccola, astuta gabbola, che si chiarisce solo se si tiene presente che una delle clausole contenute nel GATS vieta a governi e amministrazioni pubbliche di introdurre norme discriminatorie nei confronti degli investitori stranieri. In questo senso, per esempio, la quota di azioni (golden share) che uno stato o un’amministrazione pubblica detengono con la tra-formazione degli enti pubblici in Società per Azioni (e che dovrebbe garantire un certo pote-re di controllo), diventerebbe illegale. È un’eventualità assurdamente possibile, quella per cui un’azienda faccia causa presso l’OMC a uno stato nazionale (o addirittura a un’amministrazione comunale). Che vinca la causa, poi, è un’eventualità tutt’altro che remota.
I più informati controbattono che il GATS esclude dal proprio raggio d’influenza (art. 1.3) i “servizi forniti nell’esercizio dei poteri governativi che non siano forniti su base commerciale o in concorrenza con uno o più fornitori”.
Altra gabbola: come si sa, pressoché ovunque in Europa (tanto per restare dalle nostre parti) ampi settori dello stato sociale vengono già forniti a condizioni di mercato. Per questo motivo, cadono automaticamente nell’area d’influenza del GATS.
Istruzione, sanità, previdenza… I servizi pubblici che non vedano la concorrenza di fornitori privati sono sempre meno: e non è molto consolante sapere che tra questi pochi vi sono la di-fesa nazionale e l’emissione di moneta legale.
La terza obiezione richiede una digressione un po’ più lunga e un breve viaggio retrospettivo a Buenos Aires.
3. Adesso piangi pure, Argentina
“Basta con questi preconcetti criptocomunisti! La privatizzazione non è necessariamente un male: la libera concorrenza contribuirà a mantenere sotto controllo i costi dei servizi, e poi le aziende proprietarie avranno tutto l’interesse a fornire un servizio conveniente e di qualità, pena la perdita di clientela”.
Si potrebbe rispondere con un elenco anche sommario dei disastri del tatcherismo (il padre spirituale dell’odierno neoliberismo) in Gran Bretagna, ma sarebbe fin troppo facile.
Si prenda invece il caso più recente e noto della catastrofe economica argentina. Laggiù è stato il Fondo Monetario Internazionale, ma l’effetto è stato analogo. Tutta la faccenda è molto complessa perché la si possa riassumere in poche righe. Sommariamente, i fatti sono più o meno questi: a fronte di una crescente crisi economica, il governo liberista argentino chiese un prestito al FMI; il FMI, com’ è suo costume, subordinò l’erogazione del prestito a una serie di revisioni economiche strutturali, tra cui la privatizzazione della quasi totalità dei servizi pubblici; le imprese straniere si gettarono a pesce sulla svendita dello stato sociale argentino. Gli utili derivati dalla gestione privata dei servizi pubblici, dove credete che siano finiti? Sono stati reinvestiti in Argentina, per il miglioramento degli stessi, oppure sono fuggiti lontano, in quelle ardite speculazioni finanziarie che James Tobin proponeva ingenuamente di tassare dello 0,1 %?
4. Il comportamento dell’UE
L’insulto più diffuso è “protezionisti”. Lo pronunciano con una sorta di voluttuosa indignazione; sulle loro bocche suona come un misto aberrante di oscurantismo e cecità morale. L’accusa, implicita ma neanche tanto, è di antimodernismo. D’altra parte non è quello che si vuol intendere per esempio quando si dice che “sono i no-global i veri conservatori”?
In teoria, il protezionismo è il nemico numero uno dell’OMC e, per la nota proprietà dell’auto-identificazione teleologica, lo è anche – così dicono – dell’umanità e del progresso.
In pratica, il comportamento dell’Unione Europea nella faccenda del GATS costituisce a questo proposito un esempio interessante e istruttivo.
Nel marzo di quest’anno l’Unione Europea ha presentato presso l’OMC le richieste di liberalizzazione dei servizi che intende fare ai paesi terzi. I paesi coinvolti sono 109, 50 dei quali sono tra i più poveri del mondo. A questi l’UE chiederà l’apertura pressoché totale del settore dei servizi alle proprie imprese. Naturalmente, a conferma della tesi secondo cui gli stati nazionali non sono più che semplici passacarte, la trattativa che ha portato alla definizione della bozza unitaria di proposta si è svolta nella più totale segretezza. Né l’opinione pubblica né i parlamenti dei singoli membri dell’Unione sono mai informati del contenuto della discussione.
La faccenda si fa ancora più interessante se si va a vedere qual è l’atteggiamento dell’UE rispetto ai servizi che è disposta a liberalizzare. Sorprendentemente, si scopre che la proposta dell’UE sembra concedere poco, e soprattutto esclude settori importanti come l’istruzione, la sanità e – guarda caso – l’acqua. Sembrerebbe proprio una doppia posizione, questa che pretende la difesa dei propri servizi e chiede nel contempo agli altri di liberalizzare completamente i loro. Bisognerebbe domandarsi quanto, nella fase di negoziato vero e proprio, sarà in grado di mantenerla, dato che lo scopo del nuovo round del GATS (quello che dovrebbe concludersi proprio a Cancún) riguarda precisamente l’estensione oggettiva e soggettiva dei servizi cui si applicano i principi teorici dell’Accordo.
Detto questo, guai ad attribuirle un atteggiamento “protezionista”! Solo José Bové e i suoi amici meritano quello sporco appellativo.
Se poi l’UE riuscisse a imporre la propria volontà (il che, come si è visto, è alquanto improbabile), resterebbero i gravi danni che l’Accordo può portare alle popolazioni del Terzo Mondo. Di fronte ai quali, in effetti, sono possibili due reazioni: possiamo considerarli come danni arrecati a noi stessi oppure fregarcene. Qui da noi finora la seconda opzione è stata di gran lunga la più praticata.
Materiali e informazioni su WTO, GATS e la conferenza di Cancún si possono reperire sui seguenti siti:
www.attac.org/italia/privatizzazioni/nogats.htm
http://www.manitese.it/mensile/103/wto.htm
http://www.nadir.org/nadir/initiativ/agp/free/cancun/
http://www.esteri.it/polestera/wto/omc.htm
Immagine: http://www.gats-stoppen.de/
I commenti a questo post sono chiusi
Dal sito di attac segnalato nell’articolo:
“Negli ultimi mesi, autorevoli editorialisti nostrani hanno sostenuto che Tobin avrebbe rinnegato la sua proposta di tassazione degli scambi valutari, considerandola ormai un inutile retaggio del passato. Pur con tutti gli sforzi, non sono riuscito a trovare una sola citazione di Tobin in grado di confermare la “notizia”. Al contrario, ho potuto notare come, appena pochi mesi fa, egli sia tornato a sostenere l’assoluta validità teorica e la fattibilità pratica della sua proposta. Con i tempi che corrono, il disguido non dovrebbe meravigliarci: Marx non avrebbe esitato a parlare di “pugilatori a pagamento”
Per quello che ne so Tobin prese le distanze non dalla tassa sulle transazioni finanziarie ma dal movimento antiglobal.
Poi volevo dire che gli ultimi tre link non funzionano.
Ho ricontrollato i link. Quello del sito ufficiale del WTO a me si apre senza problemi; gli altri due che dici in effetti no, ma non saprei dire perché, dato che sono corretti.
Ora i link funzionano: era una questione di sintassi (era ripetuto due volte http//)
Ciao
Dario