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Il mazzero

di Arjuna Cecchetti

 

 

Pascal, come ogni pomeriggio, è al bar. È il giorno della Santa Pasqua, Gesù non è morto, Egli è risorto. La messa è finita a mezzogiorno ma le parole del parroco, Gaston, riecheggiano nella mente di Pascal. Parole intrise di speranza, speranza a sua volta impregnata di un mistero più grande. La Resurrezione. Una nuova vita tra le braccia del Signore. Pascal crede in Dio, eppure ogni volta che sogna la fede vacilla. Talvolta nemmeno le parole del parroco Gaston lo sollevano.

Pascal è al bar, seduto su una sedia di fronte ad una delle finestre affacciate sulla valle sottostante. Gli amici giocano a carte seduti attorno al solito tavolo. Miguel è il proprietario del bar, Pedro è l’amico con cui Pascal passa la maggior parte del tempo, ci sono anche Alfons e Bernard. Il sesto uomo nel locale è il vecchio Batista, il quale sonnecchia con la testa infossata tra le scapole, seduto di fianco al tavolo da gioco.

Pascal ha le occhiaie perché non ha dormito. Vorrebbe chiudere gli occhi e sprofondare nel sonno come il vecchio Batista, ma teme di sognare ancora. Non vuole, ha sognato troppo la notte precedente. Stende le gambe puntellando i piedi sul davanzale della finestra e butta indietro la schiena. Le palpebre rimangono aperte all’altezza delle pupille, non vuole chiudere gli occhi, se li serrasse e se il sonno prendesse il sopravvento egli si ritroverebbe di nuovo nel bosco attraversato dal ruscello e le tracce di sangue sopra le felci tornerebbero a tormentarlo. Per questo si ostina a tenere le palpebre aperte scrutando il paesaggio oltre la finestra.

A nord la vetta innevata del Monte Cinto riflette i raggi bianchi del sole, gli stessi raggi investono la chiesa gialla e solitaria costruita sul colmo della collina verde. Tre querce secolari crescono nei pressi del campanile. I rami delle querce sono decorati dalle nuove gemme che brillano al sole. L’albero risorge come Cristo. L’aria è tersa.

Miguel lo tocca su una spalla avvisandolo che stava russando. Pascal apre gli occhi e pensa che ha avuto fortuna, lo hanno svegliato prima che iniziasse a sognare il bosco giallo, il torrente e le scure tracce di sangue che macchiano le felci.

Si aggiusta sulla scomoda sedia del bar, fuori il panorama non è cambiato, anzi si. Sul sentiero che risale dal bosco sono comparsi dei forestieri. Due giovani coppie e due bambine. Gli adulti camminano lentamente, hanno le gambe pesanti e sulle spalle portano gli zaini, sono escursionisti di ritorno dalla valle. Le ragazzine potrebbero avere tra i dieci e i dodici anni. Questo osserva Pascal dalla sua posizione: turisti immersi nel verde luminoso della sua valle. Ma niente lo rallegra la sera della Santa Pasqua.

Tra un po’ li vedremo entrare, pensa.

Gli escursionisti hanno raggiunto le prime case del villaggio e le ragazze subito sono corse da Oreste, il gatto di Luis. Oreste si infila miagolando tra le loro caviglie. Questo osserva Pascal anche se niente lo rallegra.

Pascal sospira.

Cosa c’è Pascal, cosa ti rabbuia?

Nulla Miguel, ho riposato male. Perché non passi la spugna sul bancone e toglie quei bicchieri sporchi dalla vista?

Dopo, ora sono di mano.

Miguel torna al tavolo dei giocatori. Ad un tratto il vento apre la finestra accostata e trasporta dentro i rumori da fuori, le ragazzine stanno ridendo perché il gatto afferra i lacci delle loro scarpe mentre camminano. C’è altro nell’aria, c’è l’odore della primavera che ogni giorno si fa più intenso, e ci sono le voci del coro, nella sagrestia stanno cantando. Per alcuni secondi l’aria stantia del Bar des Amies si purifica.

Poco dopo uno degli escursionisti apre la porta a vetri e rivolto al resto della comitiva fa loro cenno di entrare.

Venite, è aperto!

I forestieri entrano portando nel bar il gaio rumore di ogni famiglia nei giorni di vacanza. Miguel, però, continua a tenere le carte in mano e a seguire la partita non mostrando alcuna urgenza di alzarsi per raggiungere il bancone e servirli. Sulla lastra di zinco sono rimasti i vecchi bicchieri che attendono di essere messi nell’acquaio e i cerchi di alcol che andrebbero puliti con la spugna. Miguel ha dato un’occhiata alla situazione del bar poi è tornato alle carte. Con un orecchio ascolta gli escursionisti parlare tra loro, non sono corsi, vengono dall’Italia. Perlomeno non sono francesi.

Pascal stesso ha intuito la provenienza dei forestieri ma nemmeno lui si volta per osservarli. Miguel si occuperà di loro, pensa.

I turisti si guardano intorno, uno dei due padri si è già seduto sullo sgabello, una ragazzina lo ha seguito facendo lo stesso. Le madri posano i rispettivi zaini sopra il tavolo accanto alla finestra e osservano il panorama che si gode da lì.

Miguel, alto circa un metro e novanta, sessanta anni, posate le carte si alza e con passo pesante va a servirli.

Una delle due donne, in ottimo francese ordina due cole e quattro pastis. Miguel recupera i bicchieri sporchi, passa la spugna, prende tre vetri puliti e la bottiglia di Damì, serve i tre, poi spinge i bicchieri verso gli adulti; dal frigorifero sotto al bancone trae due bottigliette di cola, le stappa e le spinge in direzione delle ragazze, entrambe sono salite sugli sgabelli alti. Miguel non dice una parola per tutto il tempo. Pascal, due volte guarda verso gli escursionisti, le donne hanno un ché, pensa. Nel frattempo Miguel, silenzioso, ha lasciato il banco ed è tornato al tavolo da gioco dove lo aspettano Pedro, Bernard e Alfons. Batista sonnecchia come un gatto, il cane Poncho, bianco come latte avariato, è entrato a curiosare.

Una delle due ragazzine, la più grande, sta mettendo in fila davanti a sé le zollette di zucchero. È attratta dalle zollette, in Italia non si trovano.

Cavolo! Ma come ti vengono queste cose! La sgrida il padre.

Uno spruzzo di coca è uscito a getto dalla bottiglietta riversandosi sullo sgabello e poi sulle mattonelle del pavimento. Sul banco è rimasta la carta di una delle zollette di zucchero.

Il padre cerca freneticamente i tovaglioli di carta ma i contenitori di latta sul banco sono vuoti. Nessuno fra i giocatori si è accorto della bibita versata sul pavimento. Passati alcune secondi anche ai turisti non interessa più e riprendono chi a sorseggiare i pastis e chi a succhiare dalle cannucce.

Dalla posizione del sole Pascal giudica che il tramonto arriverà tra mezz’ora. Sospira e pensa che tra poco attraverserà il paese in compagnia di Pedro, insieme andranno dalle bestie per dar loro l’acqua e chiudere l’ovile. Come sempre. Gli ultimi raggi del giorno illuminano la neve bianca sulla cima del Cinto mentre la chiesa gialla incastonata tra le grandi querce è già in ombra. É il giorno della Santa Pasqua. Il Signore risorge è la prova che Egli è divino e che possiede il potere dell’amore. Egli ama. Ama tutti?

No, Pascal non si sente amato, si sente truffato. Anche Pascal ha un potere, ma non è quello dell’amore, né della vita, né della resurrezione. Eppure è un potere. Un potere altrettanto divino.

Finalmente la donna che parla francese con ottimo accento riesce ad attirare l’attenzione di Miguel e Miguel sorride e dice che non c’è alcun problema e si alza dal tavolo da gioco e con lo stesso passo pesante, che evidentemente è il suo passo, entra in un piccolo stanzino e poi esce con un mocio che passa velocemente sotto lo sgabello dove insiste la chiazza della bibita rovesciata.

Et voilà!

Sorride Miguel. A quel punto la donna dice che farebbe loro piacere offrire ai presenti un giro di pastis. Lo deve dire due volte perché all’inizio quell’uomo grande e grosso pare non capire il suo proposito. È tradizione nei paesi corsi che quando si entra in un bar si debba offrire un giro di pastis a tutti gli uomini presenti. Miguel sorride e si fa cordiale. Versa nuovo pastis nei vetri dei forestieri e riempie nuovi piccoli bicchieri per i compaesani presenti. Sveglia anche il vecchio Batista. Pascal riceve il suo bicchiere, alza lievemente il sopracciglio scuro per ringraziare i forestieri, ma non porta nemmeno il vetro alle labbra. Tiene il bicchiere con la sinistra, la mano trema, poggia il bicchiere sul davanzale e continua a guardare la chiesa chiedendosi perché proprio lui?

Poco più tardi è il turno di Miguel, adesso è lui che vuole offrire un giro. Rimbocca di liquore giallo i bicchieri dei forestieri e stappa altre due bibite per le ragazze. Uno dei due padri, il più alto, sta raccontando che loro vengono spesso sull’isola, hanno cominciato prima ancora che nascesse la bambina. All’inizio per vacanza, ma ora hanno delle collaborazioni di lavoro. Racconta. Hanno una casa che usano quando vengono. Miguel chiede in quale paese abbiano la casa e dice che conosce il paese e che una volta o due c’è pure stato. Anche Pedro, Bernard e Alfons si sono alzati e sono venuti al bancone per prendere i bicchieri e poi si sono fermati interrompendo la partita. Il vecchio Batista ha trascinato una sedia lungo il muro, ha afferrato il bicchiere e si è messo seduto ad ascoltare gli altri. Il cane Poncho è tra gli sgabelli delle bambine, lecca i rimasugli zuccherosi della bibita sul pavimento e si lascia accarezzare la schiena dalle due.

Pascal beve d’un fiato il pastis e osserva i suoi amici. Pedro è il più gaio di tutti, offre un terzo giro. Offrirà anche il quarto, pensa tra sé Pascal. Poi trae dalla tasca della camicia il pacchetto di sigarette e scansando la sedia si alza e si avvia alla porta per fumare. Il cielo si è fatto indaco e fuori l’aria è fresca e dentro l’atmosfera è allegra.

Pascal accende la sigaretta, dall’interno giunge il chiacchiericcio.

Gli escursionisti, appagati dal pastis e dalla convivialità condivisa al Bar des Amies, escono rumoreggiando sulla strada. Pascal che non ha avuto voglia di condividere alcunché prima, non vorrebbe nemmeno averci a che fare ora, ma il padre che parla il francese chiede per quale via dovrebbero prendere per raggiungere il ristornate.

Pascal aspira dalla sigaretta, poi fa loro un cenno con la testa piegandola verso sinistra.

Di là.

Pascal con lo sguardo segue il gruppo incamminarsi verso la chiesa, poco oltre troveranno facilmente il ristorante. Infine esce anche Pedro.

Andiamo a chiudere le bestie? Gli fa Pedro.

Certo, certo, ma lasciamo che quelli arrivino al ristorante non ho voglia di starli a sentire. Dice Pascal all’amico.

Pedro è ancora allegro. Non sa. Non ha visto il bosco, non ha notato le macchie rosse sulle felci, né ha risalito il torrente. Egli non sa di essere stato un cinghiale. Pensa tra sé Pascal.

Andiamo, su. Dice ancora Pedro battendo sulla spalla di Pascal.

I due amici si avviano. Tagliano il paese. Quando giungono alla chiesa Pascal scopre che allora è vero che stanno cantando gli inni. Dalla sagrestia emerge il coro di voci maschili. Pedro, invece, non pare dar peso a questo. Pedro non da peso a nulla di nulla, nemmeno quando ha divorziato ha dato peso alla cosa. Pensa Pascal.

Pascal, cos’hai?

Niente Pedrito, niente.

È stato l’anno scorso giusto? Che cos’è che avevi sognato di questo periodo?

Lo sai Pedro. Ne abbiamo parlato a lungo proprio su quella panchina laggiù.

Hai sognato ancora vero?

Un bosco di carpini con le foglie gialle, un torrente e un cinghiale.

Nient’altro?

Senti facciamo che vai a chiudere tu le bestie, ti scoccia?

Che hai?

Voglio ascoltare il coro e credo che mi metterò a pregare. I maiali sono a posto, devi rimettere soltanto le capre.

Va bene Pascal, ma tu tirati su, prega e poi più tardi ci rivediamo al bar e questa volta giochi che così non ci pensi.

Pascal allunga il passo entrando nella sagrestia.

Pedro non dà troppo peso alla figura dell’amico che sparisce dentro la chiesa, tuttavia comincia a pensare al bosco, al torrente e al cinghiale. Però Pedro non sa delle chiazze di sangue sulla felce, e nemmeno della caccia che è seguita, e nemmeno del cinghiale ferito dalla schioppettata di Pascal. Quello era un sogno, appunto, e ai sogni Pedro non dà peso. Di sicuro però avrebbe riservato al sogno la giusta attenzione, se avesse saputo che il cinghiale aveva la sua faccia.

 

***

 

Dai digli cos’è un mazzero, è una cosa da brividi!

La lampadina sopra i fornelli è l’unica accesa nella cucina e diffonde una tenue luce gialla che lascia nell’ombra una buona metà della stanza. La finestra accanto al tavolo è priva della tenda e dà sul selvatico giardino ora buio. Tra i piatti della cena fumano alcune tazze colme di tisana di erbe corse. Dalla mensola di legno pendono le foglie verdi di una pianta da interno.

La ragazzina già indossa il pigiama di cotone felpato e siede sulle cosce della madre.

Il mazzero è un signore che si sogna la gente che muore. Dice la bambina.

Racconta per bene.

Gli occhi della bambina si fanno più grandi del solito, poi trovate le parole dentro di sé ricomincia.

Beh, il mazzero inizia sognando che è a caccia. Insegue un animale, un cinghiale o un cervo, e lo segue lungo un fiume poi spara all’animale e lo uccide e quando lo raggiunge e lo gira, scopre che il cinghiale ha il volto di una persona che conosce.

Oh cazzo! Scusa la parolaccia.

Dai, digli quello che succede dopo.

La madre si è portata la tazza alla bocca per sorbire la tisana.

Dopo che il mazzero ha riconosciuto il volto della persona che si è sognato poi sa che quella persona morirà entro l’anno, forse addirittura entro il mese. E quindi deve andare da lui e aiutarlo a morire.

Come l’accabadora in Sardegna?

Più o meno. Fa la madre.

Quindi il mazzero ha il potere di sognarsi le persone che stanno per morire? Chiede ancora uno degli ospiti.

Si, e dopo deve rassicurarle se non gli sembrano pronte per il trapasso. Una cosa così, insomma.

Fammi capire: il mazzero sogna di andare a caccia di un cinghiale, lo abbatte e poi lo rigira e il cinghiale ha il volto di uno del villaggio, giusto?

Si, ma non scordarti il fiume, la caccia si svolge nel fiume. Il fiume è il confine.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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Giorgio Mascitelli
Giorgio Mascitelli ha pubblicato due romanzi Nel silenzio delle merci (1996) e L’arte della capriola (1999), e le raccolte di racconti Catastrofi d’assestamento (2011) e Notturno buffo ( 2017) oltre a numerosi articoli e racconti su varie riviste letterarie e culturali. Un racconto è apparso su volume autonomo con il titolo Piove sempre sul bagnato (2008). Nel 2006 ha vinto al Napoli Comicon il premio Micheluzzi per la migliore sceneggiatura per il libro a fumetti Una lacrima sul viso con disegni di Lorenzo Sartori. E’ stato redattore di alfapiù, supplemento in rete di Alfabeta2, e attualmente del blog letterario nazioneindiana.
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