Quanta iva dare agli ebook? E gli ebook sono davvero libri?
La campagna/hashtag dell’AIE, #unlibroèunlibro ha come fine il sensibilizzare sulla differente tassazione che vige oggi tra libro di carta e ebook. Il libro paga il 4% di IVA, mentre l’ebook paga il 22%: il primo è un libro il secondo è un servizio.
Apparentemente la richiesta è pacifica: se la tassazione al 4% è destinata ai prodotti culturali, perché Guerra e Pace cartaceo paga il 4% di iva e lo stesso identico testo in ebook paga il 22%?
Ne è nato un vivace dibattito in rete di cui cerco di circoscrivere alcuni punti di discussione per Nazione Indiana.
- Il primo punto è storico: davvero l’IVA dei libri è al 4% perché sono oggetti culturali? Vale forse la pena leggere un post di ben quattro anni fa di Mario Guaraldi dal quale si desume che l’IVA al 4% non ha a che fare con la pretesa culturalità dell’oggetto libro, quanto piuttosto a problemi legati al processo di vendita del prodotto libro. D’altronde se l’IVA fosse davvero legata alla culturalità del contenuto che si vuole vendere, dovrebbe variare appunto a seconda del peso specifico intellettuale del testo stesso. Come scherzava qualcuno su Facebook: compri Sanguineti? Paghi il 4% di IVA. Compri Fabio Volo? L’IVA sale al 25%. È evidente la improbabilità di un processo del genere, che – in ogni caso – rimarca che il prodotto culturale vive in numerosi media, e non è esclusiva dell’oggetto libro, anzi. Perché le barzellette di Totti stampate su carta dovrebbero beneficiare del 4% di IVA e il Don Giovanni di Mozart in CD pagare il 22%?
- Il secondo punto lo troviamo esposto da Giulio Mozzi, quando afferma che no, l’ebook non è un libro, specie per quel che riguarda i diritti del lettore. L’idea che mi pare voglia far passare il post di Mozzi è che con l’ebook ci siano meno possibilità d’uso rispetto al libro: un ebook non puoi prestarlo, rivenderlo, fotocopiarlo. È una tesi, quella di Mozzi, che trovo poco convincente. Se è vero che un ebook non può essere prestato, è vero che un libro non può essere backuppato, modificato o ampliato. Si tratta solo parzialmente di diritti, quanto di caratteristiche implicite al mezzo e al suo metodo di distribuzione. E la critica di Mozzi ha altri punti che appaiono fuori fuoco: non esiste una licenza d’uso universale per gli ebook. Se gli ebook che Mozzi compra hanno scritto che può leggerli solo lui è colpa di Mozzi e degli editori da cui ha acquistato che hanno scelto quella licenza d’uso. Senza contare che
i libri puoi fotocopiarli
mentre gli ebook no è una dichiarazione ugualmente impropria: il libro puoi fotocopiarlo con le restrizioni che vigono sul copyright, così come l’ebook, a seconda della licenza d’uso. Un ebook protetto da creative commons può essere molto più manipolabile di un libro di carta. - Del terzo punto hanno twittato alcuni addetti ai lavori, tra cui il sottoscritto: un ebook non è un libro di carta. Tutti i formati per fare ebook sono basati su specifiche nate per fare pagine web. Anche guardando verso il futuro, gli strumenti dei possibili nuovi standard e dei nuovi strumenti di authoring per la creazione di testi digitali non provengono se non in minima parte dal libro, ma sono invece figli di internet, del web, della rete. Se oggi la stragrande maggioranza degli ebook è fatta di libri pensati per la carta e poi digitalizzati in un formato ebook, è lecito pensare che gradatamente aumenterà la percentuale di titoli in cui la fonte non sarà più il libro di carta, ma che saranno nativi digitali: ebook, siti, app, web-app. Non si tratta peraltro di un gioco al risparmio: fare ebook costa. È un fenomeno che crescerà disordinatamente, che toccherà alcuni ambiti prima di altri (scolastica, informazione, entertainment, infanzia), ma di cui già oggi si vedono alcune concreti avamposti, anche in ambiti lontani dal new-tech. A proposito, avete notato che Tirature di Spinazzola dal 2014 esiste solo in ebook?
Quindi? Un libro è un libro? Oggi, in Italia, per un lettore occasionale un ebook assomiglia abbastanza ad un libro da non percepirne la specificità e aderire all’idea che un ebook possa avere la stessa IVA del sancta sanctorum cartaceo. A livello maggiormente pragmatico, l’IVA al 4% serve oggi principalmente a noi editori, per vari motivi, il più importante è che l’editoria tradizionale è in crisi. Nera. Stampare libri come se non ci fosse un domani non è una grande idea in questo momento. Progetti, anche storici, che rischiano di morire, potrebbero invece traghettare ad un digitale culturalmente consapevole. E sostenibile. La seconda, collegata strettamente alla prima, è che il mercato ebook in Italia viaggia ancora a percentuali trascurabili. Si vendono pochi ebook, e questi pochi si vendono spesso tramite soggetti transnazionali: come Amazon che l’IVA (al 3%) la paga al Lussemburgo. È un mercato che ha grosse prospettive di sviluppo e che sarebbe intelligente non soffocare con politiche fiscali vessatorie, perché il rischio è che l’arrosto rimanga crudo, nascosto in mezzo a un grande fumo nero.
In ultimo, la campagna dell’AIE ha il merito di sdoganare l’oggetto ebook, facendolo uscire dal ripostiglio della folkloristica stranezza e mostrando che dietro all’ebook e dietro al libro ci sono ugualmente storie, informazioni, emozioni, analisi. Visti gli ultimi dati sulla lettura in Italia, è passaggio di non secondaria importanza.
A partire dal 1 gennaio 2015, l’IVA da applicare nella vendita di servizi digitali da ditte UE a consumatori UE sarà determinata dal paese di residenza del consumatore e non più della ditta. Quindi, con l’anno nuovo Amazon dovrà applicare l’IVA italiana sugli e-book e non più quella lussemburghese.
Ho trovato interessante questo commento di Maurizio Codogno su Vibrisse:
Non è difficile né troppo costoso per un distributore implementare un sistema che a partire da un softDRM (cioè un file di testo) pemetta di cambiare la persona che lo possiede. Non è difficile per un editore modificare il softDRM in modo che l’acquirente possegga (e non abbia in licenza d’uso) una singola copia del libro con divieto di distribuirne copie ad altri. Chi non vuole farlo continuerà a tenersi l’Iva al 22% (in crescita, come per legge di stabilità) Tanto chi vuole copiarsi illegalmente l’ebook lo fa già ora.
La campagna non funzionerà per almeno due ragioni: la prima è che nonostante i proclami di Franceschini il governo non vorrà mai perdere quelle due o tre decine di milioni di euro di gettito, soprattutto ora che da gennaio anche comprare un ebook su Amazon porterà il 22% di iva; la seconda è che ai grandi editori va benissimo il DRM pesante. Però non mi pare appunto per nulla strano che sia rivolta ai lettori, mentre gli editori se ne stanno a guardare
Che poi riprende più o meno quanto detto da Stefano Quintarelli.
Ho sempre pensato all’ebook come alla versione immateriale del libro.
E’ un’esperienza sensoriale differente, ma i contenuti sono gli stessi, quindi il regime fiscale dovrebbe essere uguale.
Una cosa ovvia sembra però sfuggire agli addetti ai lavori:la versione cartacea dovrebbe comprendere i diritti per scaricare quella digitale; viceversa il prezzo dell’ebook dovrebbe essere scontato dal prezzo di copertina se in un secondo tempo dovessi decidere di acquistare fisicamente il libro.
Così magari potrei concentrarmi su cosa leggere, non su come leggere.
Sono abbastanza d’accordo con Gianluca, specie quanto allo sconto sul cartaceo per chi ha già il digitale. Il libro è piaciuto e vogliamo averlo nello scaffale. Il primo caso mi sembra meno cogente: per portarlo in viaggio, regalare il volume?
Le argomentazioni di Mozzi hanno senz’altro un fondamento in relazione al prestito o regalia. La licenza dovrebbe quanto meno consentire un certo numero di passaggi, visto che non costa poi tanto meno del cartaceo. E, a margine, se produrre l’e-pub non è così economico, come mai le “svendite” sono tanto frequenti? Ogni giorno mi arrivino offerte stracciate. Suppongo perché non è possibile il macero e l’obsolescenza è più rapida.
E colgo l’occasione per reiterare la mia protesta. Il software free è tenuto in spregio offensivo dai principali editori. Linux non legge il DRM! Abbastanza ridicolo, se si considera che gli utenti, più avvezzi al digitale, lo apprezzano in genere anche come lettori.
Infatti non compro i DRM. Rompere i sigilli non è difficile, ma mi attengo per principio alla legalità.
Virginia scrive: “in relazione al prestito o regalia. La licenza dovrebbe quanto meno consentire un certo numero di passaggi”
Finché si vende una licenza d’uso e non un file, non usciamo dal doppio binario dell’iva (al 22% sugli ebook quindi) e non riusciamo a fare funzionare il digitale per le sue piene potenzialità.
ancora: “come mai le “svendite” sono tanto frequenti? Ogni giorno mi arrivino offerte stracciate. Suppongo perché non è possibile il macero e l’obsolescenza è più rapida.”
In realtà la vita di un ebook è lunghissima e il costo di magazzino molto basso, quindi sull’ebook si può fare tutto il marketing sofisticato che si vuole, comprese le offerte civetta, la segnmentazione dei clienti eccetera.
Sul software libero: io non acquisto ebook malfunzionanti nativamente con ADE, solo in casi isolati compro ebook resi difettosi nativamente col DRM Amazon.
La polemica sulla doppia iva di “un libro è un libro” comunque va avanti. Segnalo questo articolo di oggi: http://www.huffingtonpost.it/tomaso-greco/un-libro-e-un-libro-balzello-letteratura-digitale_b_6131370.html?utm_hp_ref=italia-economia
Interessante, anzi no perché non dice molto di nuovo :-) e semplicemente tiene caldo l’argomento. Io come si sarà capito penso da un lato che l’abbassamento per gli ebook aiuterebbe a muovere un mercato e aiutare alcuni bravi (come fabrizio, a cui ho chiesto il commento pubblicato qui), dall’altro lato sono con Stefano Quintarelli: se proprio deve essere, allora, almeno arridatece i nostri diritti.
Quintarelli in pratica spiega perché non è possibile abbassare l’iva sugli e-book (si tratta di un servizio, norme europee ecc.).
La nota cui fa riferimento non appare: a quali servizi si riferisce?
errore: diritti, non servizi
Le svendite sono frequenti perché vengono utilizzate – ad esempio- come canale promozionale per salire nelle classifiche degli store per poi tornare a prezzo normale una volta che si è abbastanza in alto. A differenza di un libro cartaceo/novità che staziona in vetrina per due tre mesi, poi finisce in costina, poi sparisce e dopo un anno è già fuori catalogo, gli ebook possono godere della cosiddetta onda lunga: vendere relativamente poco per tempi molto lunghi.
Le licenze possono deciderle gli editori. Noi abbiamo anche pubblicato alcuni ebook in CC che potevano essere comperati ma anche copiati legalmente (proprio qui su nazione indiana ad esempio).
[…] dall’AIE, Associazione italiana editori Un libro è un libro. Su Vibrisse, ad esempio, o su Nazione Indiana, o su quotidiani nazionali come La Stampa, o sui vari blog olit-blog parsi per le galassie della […]
[…] dobbiamo ricordare – lo fa per esempio l’editore digitale Fabrizio Venerandi – che in Italia “si vendono pochi ebook, e questi pochi si vendono spesso tramite soggetti […]