Seminatori d’odio


di Alessandro Bertante

[Questa invettiva è uscita su Saturno, il 6 gennaio 2012. Dato che parla di un tema che ha a che fare con la responsabilità del lettore, la rigiro qui su NI nella speranza che se ne possa parlare senza vomitare dappertutto. Ovvio che, essendo un pezzo di un ospite non avrò problema alcuno a bannare, cancellare, bloccare, ogni tipo di inutile insulto o commento personalistico. – Di seguito al pezzo di Bertante, una chiosa, uscita oggi sull’Unità, di Marco Rovelli. G.B.]

Sono cinquanta, si conoscono tra loro e si odiano. Imperversano a tutte le ore e sembra non abbiano altre cose da fare che scrivere commenti, anche fino a tarda notte. Si ricordano di tutto, di ogni puntata precedente, e non perdonano. Insultano, minacciano, s’azzannano e soprattutto sono convinti che dietro ogni scelta editoriale ci sia il fiato nero di una consorteria di potenti a loro ostile. Perché sono vittime. Sono i commentatori dei blog letterari e prima o poi se pubblichi un testo qualsiasi di narrativa, saggistica o poesia, devi averci a che fare.

Fino a qualche anno fa sarebbero stati naturalmente confinati a rimuginare nelle loro anguste camerette ma adesso grazie alla caotica sarabanda del web 2.0 – nato con la speranza d’allargare ogni possibilità e diventato asfittico come uno sgabuzzino per le scope – sono liberi di spargere veleno senza pagare mai dazio. Da quasi un decennio questi cinquanta valorosi impediscono che nasca un serio dibattito letterario in rete, inquinando il lavoro di molte persone oneste e preparate (e penso a Nazione Indiana, Lipperatura, Vibrisse, Sul Romanzo, Le parole e le cose, Satisfiction, Scrittori precari) che stanno faticosamente cercando di creare nuovi luoghi di autorevolezza critica.

In nome di una bizzarra interpretazione del concetto di libertà d’espressione, i cinquanta valorosi si distinguono per l’astio e per la spontanea tendenza alla bassa insinuazione, sempre riferita a questioni private dell’autore preso di mira. Difficile che parlino del contenuto, spesso lo ignorano apertamente, rivendicando questa loro scelta in modo sdegnoso. Ma ciò nonostante s’esprimono con una violenza verbale sconcertante. I più cattivi e i più laidi sono anonimi, ovvero si nascondono sotto diverse e mutevoli identità, con le quali partecipano contemporaneamente al tafferuglio. Perché la rete è l’unico luogo del vivere civile dove l’insulto anonimo sia considerato sintomo – sgradevole ma certo dinamico – di democrazia e non un’infamia come da qualsiasi altra parte.

Per loro non esiste più nessun valore letterario condiviso ma solo mafie e raccomandazioni, favori e reciproci servilismi. Non esiste un canone estetico ma tutto è confuso in un calderone di provocazioni, ripicche e frustrazioni mai risolte. Si commuovono solo di fronte alla piattezza dell’orizzontalità, quella desolante mediocrità che ha concesso anche a loro di avere una voce. Ma sullo sfondo è facile riconoscere il ben noto linguaggio qualunquistico dell’Italia gretta e provinciale, quella deriva etica e civile che ci contraddistingue da anni e che è diventata oramai impossibile da sopportare.

***

di Marco Rovelli

La scorsa settimana Alessandro Bertante ha pubblicato un articolo sul Saturno, l’inserto culturale del Fatto quotidiano, intitolato “Seminatori d’odio”, dedicato a quella cinquantina di troll – disturbatori della comunicazione in rete – che “si distinguono per l’astio e per la spontanea tendenza alla bassa insinuazione, sempre riferita a questioni private dell’autore preso di mira. Difficile che parlino del contenuto, spesso lo ignorano apertamente, rivendicando questa loro scelta in modo sdegnoso”. La cosa tocca anche il sottoscritto, attivo in rete da molti anni ormai, e dal 2006 nella redazione di Nazione Indiana. Il problema è doversi confrontare da pari a pari con persone che hanno deciso – dall’alto del loro nickname, della loro identità mascherata – che al tuo ragionamento non contrapporranno un altro ragionamento, ma solo attacchi, entrate a gamba tesa, insinuazioni, insulti. Rivendicando pure sfacciatamente il diritto a farlo. Come, per fare un esempio, quella volta in cui ho pubblicato un articolo del mio quasi omonimo Marco Revelli. Al primo commento uno dei più aggressivi commentatori interviene in tono irridente e liquidatorio, senza contrapporre uno straccio di ragionamento. Più avanti, però, fa marcia indietro: “Non mi ero accorto che l’articolo era dell’esimio Accademico Marco Revelli. L’avevo banalmente confuso con Marco Rovelli. Con l’Accademico Revelli non mi va di polemizzare in modo becero”. Rovelli, invece, che di solito si sporca le mani in rete, dove il rapporto non può che essere da pari a pari, lo si può tranquillamente prendere a pesci in faccia. Quando poi li banni, ovvero gli impedisci di partecipare ulteriormente alla discussione, questi ti danno pure del fascista. E non c’è davvero atteggiamento più fascista di questo.

Print Friendly, PDF & Email

106 Commenti

  1. Io leggo abbastanza spesso qui, ogni tanto mi intrattengo in qualche giro di commenti, sono identificabile. A me questa dei 50 malvagi mi sembra una fantasia esagerata ed un po’ piagnona, considerata la possibilità di bannare e rimuovere commenti ed il solitamente costante rincalzo dei “fans”, ma si tratta ovviamente di una questione di sensibilità, poco da sindacare.

    btw – ottima questa nuova possibilità di autocorrezione a caldo!

  2. Elio, se tutti agissero come te allora uno non sarebbe spinto a scrivere un simile articolo :)
    Una testimonianza tra le tante: di recente ho fatto (o acconsentito a) pubblicare due articoli in rete dopo parecchio tempo. Avevo smesso, diradando molto anche i miei commenti, anche proprio perché ero (e sono) scoraggiato e deluso dalle dinamiche del blog e soprattutto da agenti “inquinanti” come quelli qui descritti con un po’ di enfasi. Ebbene, sono bastati questi due “postaggi” a scoraggiarmi nuovamente – con una precisazione: in un caso sono stato attaccato, cioè mirando alla persona privata anziché al testo o al mio operato pubblico nel suo insieme (come recensore occasionale), proprio da una delle «persone oneste e preparate» di cui parla Bertante. Il che forse rende le cose un po’ più complesse e meno manichee di quanto egli dica. Va detto, del resto, che l’uno come l’altro fronte seguono spesso logiche gruppali, di comunella e difesa di interessi particolari, di schieramento o personali, e che il «linguaggio qualunquistico dell’Italia gretta e provinciale» non è soltanto prerogativa dei «seminatori d’odio» del fronte anonimo e complottista, ma a volte anche degli altri – tanto che neppure l’articolo di Bertante, secondo me, ne è del tutto immune. Chi non ha peccato…

  3. Non lo so, il discorso di Bertante mi convince poco.

    È l’idea – o meglio il sentimento – che ci sia una dialettica buona e una cattiva, e che quella cattiva venga praticata da pochi sporchi brutti anonimi. Nell’era dell’etica per tutti – che è l’era che ci prescrive uno spazio di discussione pubblica tanto allargato quale quello della rete – bisognerebbe sempre partire da sé per fare autocritica. Trovare in sé il narciso, l’anonimo rompipalle, lo stalker, il compulsivo, l’impreparato… Partendo da sé si capisce un po’ meglio come funziona qualunque dispositivo di distruzione. È capitato a tutti, di esagerare nella tigna dei commenti, di pretendere considerazione, di aver pensato Chissene frega di Voltaire perché devo discutere con questo che considero uno stupido, di aver pensato Ma guarda sto scrittore che tutti considerano intelligente che banalità putrescenti scrive…
    Essere un commentatore riconoscibile anche su Nazione Indiana alla fine dà una certa identità. E Essere stessi, come direbbe Ehrenberg, è una gran fatica, ma alle volte è una fatica che si accetta di fare, anche se quel se stessi è solo un nick.
    Quando ero parte della redazione di Nazione Indiana sicuramente non ero dei più compulsivi nel cercare il dibattito, nel rispondere per le rime. Ma sicuramente molte volte mi sono autolegittimato in una gara ad avere ragione in cui una parte delle mie argomentazioni nell’avere ragione stava nell’asimmetria del dibattito (si commenta il post che ho scritto io, ragazzi, è la premessa – giusta beninteso).
    Con tutto questo non voglio nemmeno dire che Marco Rovelli non abbia la sua ragione. E che l’atteggiamento di paranoia e invidia di molti commentatori non sia molte volte simile a un fascismo. Ma voglio dire che quella paranoia e invidia ogni tanto riesco a vederla in me, in un modo che mi mostra quanto io non faccia parte di una bella comunità habermasiana-apeliana in cui c’è una condivisione comunicativa che neanche la Pentecoste, ma quell’illuminismo di cui mi sento esponente devo sottoporlo appunto a un piccolo esercizio di dialettica dell’Illuminismo costante: per ritrovare in me quello che blatera nella sua cameretta, quello che fa la vittima dei complotti editoriali, quello che un po’ come chiunque va ogni tanto alla deriva, etica e civile che sia.

    Per tutto quello che riguarda l’accalorarsi del dibattito – l’aspetto performativo e non informativo del linguaggio – dipende sempre secondo me dal contesto. Sul blog di minima et moralia dove ora sono redattore, all’inizio si aveva paura della deriva insultofora dei commenti. Io ero convinto che se il tono del contesto linguistico fosse stato sempre argomentativo, e quasi mai polemico, le polemiche sarebbero scivolate, evaporate, il tono argomentativo si sarebbe imposto da sé, senza filtri preventivi. È stato così: se leggete i pezzi di Minima et Moralia non troverete praticamente mai i commentatori che descrive Bertante. Perché? Perché i pezzi non hanno un linguaggio che li invita. Non chiedono quasi mai schieramenti immediati; al contrario di altri blog come Nazione Indiana. Quale è il rischio? Che Minima et moralia sia più noioso, più freddo, meno partecipato ovviamente, che non ci siano invettive, discussioni etiche e civili e letterarie che chiamino a scontrarsi, che non ci accalori, che non ci sia possibilità di una vera bella polemica a suon di invettive, che ci sia tutta una gamma di sentimenti non partecipi di questo dibattito. Alle volte penso sia un peccato. Sapevo in partenza che era una perdita, e che aveva i suoi costi.
    Si perde sempre qualcosa. I commentatori rabbiosi, livorosi, invidiosi, spesso – direbbe Wittgenstein – mostrano più che dire. Mostrano un desiderio di essere visti, riconosciuti, di partecipare: tocca a quelli come noi che si dicono capaci di fare funzionare dei contesti comunicativi, provare ogni volta a includerli in una discussione fertile. A sentirli simili a noi. A sperare una volta di più che da ogni fascismo possa generarsi qualcosa di diverso.

  4. io quoto pienamente harzie.
    Bertante parla come se i postanti dei blog (blog nominati da bertante) non usassero spesso gli stessi identici metodi dei commentatori accusati (anzi peggio visto che hanno, nel loro piccolo, più potere):-)
    Se problema esiste è malcostume dell’intera rete (anzi oserei dire dell’intero mondo letterario italiano acido, invidioso, incapace di apprezzare quello che davvero vale, ma anche e soprattutto incapace di sopportare critiche) e non certo di quei fantomatici 50, tra l’altro perchè non vengono nominati i 50? A me sembra che i commentatori nei blog siano ridotti talmente all’osso che 50 sia veramente un numero eccessivo a meno che quei 50 non siano 50 nick di uno stesso individuo (il che non sarebbe del tutto azzardato ipotizzarlo).
    Il commento nei blog è la salute della rete,l’unica salute, le offese personali se volano, si fa in fretta: si cancellano subito, nessuno accusera nessuno di fascismo, perchè le offese personali non sono permesse dalla netiquette di rete.Una cosa però sono le offese personali e un’altra le critiche alla produzione postata sia che sia in tema che OT ma sempre riferentesi a cose postate magari in precedenza.
    Poi per i più sensibili esistono i blog privati, i blog senza commenti, le pagine facebook e diecimila altri sistemi
    Io ho visto volare offese arroganti e cocenti in rete e direi che le maggiori venivano, non tanto dai commentatori, ma spesso e volentieri proprio da chi ha ispirato l’articolo di bertante che poi sembra essere il solito stratagemma per pubblicizzare un blog per ora poco visibile, non è la prima volta che succede, mi sembra che anche gilda policastro, per la sua entrata in rete, avesse scritto una articolo del genere, a mio giudizio riprovevole e campato in aria, ma almeno lei li aveva chiamati simpaticamente “leoni della tastiera” e non 50 immondi commentatori che operano nel buio. Altri articoli erano stati scritti sul Giornale e purtroppo Saturno ha uno stile molto simile al Giornale. Anzi a parte rari articoli tutto il Fatto tende ad avere quello stile, che si è visto anche nella vergognosa polemica di questi giorni del Fatto con il Manifesto che veniva accusato dal Fatto di non aver parlato di Malinconico perchè da lui dipendevano i finanziamenti ai giornali. Ecco le vere vergognose insinuazioni gratuite (magari solo per rubare qualche copia in più venduta) altro che le bischerate dette da qualche commentatore incontinente. Tra l’altro Il manifesto aveva parlato del caso Malinconico molti mesi prima del Fatto (ma questo il fatto si è guardato bene dal dirlo).
    E telese ce lo dimentichiamo che ha lasciato infamare giancarlo puecher da sallusti e non si è mai preso la briga di scusarsi e di rispondere a chi protestava? Beh, da che belle pagine arriva l’accusa a 50 fantomatici famigerati cretinotti di rete che poi via facciamola meno lunga, i blog hanno la moderazione e la possibilità di cancellare qualsiasi commento. Questa è proprio insofferenza per ogni critica, è voler portare paro paro il ferreo potere cartaceo in rete. Sulla carta solo chi ha potere può commentare e rispondere ad articoli che non gli piacciono. In rete possono farlo tutti, possibile che qualcuno che opera nella libera rete da anni abbia qualcosa in contrario? Da non crederci.
    geo

  5. Lo capisco quel che dici, Christian, e lo condivido. Ma detto questo non possiamo neppure sprofondare in una notte in cui le vacche siano nere. Che c’è una parte di carnefice e di vittima in ciascuno di noi è verissimo. Ma c’è da stabilire anche delle soglie da non oltrepassare. E se le si oltrepassano, va detto. D’accordo, si tratta din”ritrovare in me quello che blatera nella sua cameretta, quello che fa la vittima dei complotti editoriali, quello che un po’ come chiunque va ogni tanto alla deriva, etica e civile che sia”. Ma poi si tratta anche di ricordare alla Grace di Dogville che è talvolta il caso di dismettere l’arroganza del perdono, e capire che il perdono (o l’empatia, in questo caso) può essere una forma di arroganza.

  6. Leggo, e penso (okay: non sono la più blasonata dei pensatori, ma so che mi perdonerete): ma non è strano che la compulsione a dividere il mondo in buoni (qui) e cattivi (là, lontani, altri da noi) – e scusatemi per l’autocitazione – sia sempre più forte di qualunque altra cosa?
    Io non voglio essere provocatoria, davvero. Però, caspita: i «luoghi di autorevolezza critica» che cosa sono? Cortili derattizzati nei quali i «topi» (solo per capirci, mio dio) son sempre gli altri, gli estranei?
    Dopodiché: sì, certo, la rete è feroce. Ma anche la vita e le relazioni ordinarie.

  7. Marco, vedi,
    invochi un dio veterotestamentario a fare giustizia come in Dogville. Lei accetta quella soluzione dopo essere stata stuprata e offesa in ogni modo possibile. Io non so cosa direi. Penso che posso accettare ancora un bel po’ di offese dai commentatori sterili prima di chiedere giustizia e invocare un repulisti.
    Così come credo che rispetto alla difesa di cosa è morale e cosa no, mi abbiano aiutato molto più Primo Levi o Massimiliano Kolbe che tanti film sul nazismo abisso del male.

  8. Per me il perdono è una forma di forza. Ma per essere tale deve partire da un riconoscimento della propria violenza potenziale. In Dogville, perché Grace non mostra mai fino alla fine il suo lato oscuro? La sua aggressività? La sua impazienza?

  9. Georgia

    Perdonami ma non avevo intenzione di pubblicizzare nessun blog. Il pezzo è uscito nell’edizione cartacea ed è il primo che scrivo per Saturno.

  10. Condivido in pieno le analisi di GEORGIA e di RAIMO, obiettive e oneste su come stanno le cose. A me Bertante con quest’articolo ricorda quelli che, non appena emerge una qualche minima violenza (politica, sportiva, etc.), non sanno far altro che invocare o provare nostalgia per le Leggi Speciali. Mi immagino che se adesso venisse fuori qualcuno a proporre una legge per il controllo immediato delle identità dei blogger che scrivono commenti in Rete, Bertante sarebbe il primo ad applaudire – senza capire (forse) che con una legge del genere perderemmo TUTTI, non solo gli scostumati o i coprolalici, un altro pezzetto di libertà, a tutto vantaggio di chi ha bisogno di controllare i nostri discorsi, le nostre pratiche e le nostre vite. Ma ormai è così che funziona dappertutto: Diritto ed Economia sono le due immonde fiere con le quali il potere (o chi lo ama) ci ricatta quotidianamente, e la cosa più interessante è osservare come di volta in volta cambino i pulpiti dai quali queste fiere vengono invocate o aizzate.
    E poi quel riferimento alla cosiddetta “autorevolezza critica” – che è una cosa che ci si conquista sul campo (e bisogna ogni giorno mettere in discussione), non a chiacchiere o perché si è Autori o perché si detiene qualche potere. Mi viene in mente, non so quanto a proposito, l’immagine del buon Pannella di qualche mese fa, che, dopo aver salvato il governo Berlusconi, scende in piazza a Roma tra i manifestanti della sinistra a prendersi sputi (letteralmente) e offese, schiaffi (letteralmente) e insulti, senza batter ciglio. Nessuno di noi credo abbia amato Pannella quando ha dato la fiducia a Berlusconi (e a Cosentino, l’altro giorno…), ma io quando l’ho visto aggirarsi sorridente tra la folla inferocita e prendersi sputi, schiaffi e insulti SENZA REAGIRE, mi è sembrato qualcuno che andasse oltre se stesso, capace quindi di mettere in luce qualcosa di scellerato che sta ANCHE DENTRO DI NOI. Mi è sembrato, voglio dire, una persona intelligente e in grado di manovrare con vera sapienza il dispositivo nel quale è lui stesso implicato.

  11. Infatti, Christian, è proprio per non rovesciarsi alla fine in uno sterminatore che non è possibile accettare tutto. Ma qui rischiamo di allontanarci dal focus. Quel che voglio dire è che la tua prospettiva la condivido – e credo di adottarla spesso nella vita, ma questo riguarda me – ma è necessario tenere insieme prospettive diverse. Va bene dire capiamoci. Io (non posso che parlare per me) ci provo, credo anzi di eccedere nella voglia di puntualizzare e circoscrivere. Poi peró quando il segno si passa e necessario dirlo, e mappare uno spazio perchè non abbia a ripetersi.

  12. @ federica anche a me aveva colpito la incredibile presunzione e arroganza di chiamare “luoghi di autorevolezza critica” quei blog ;-)

    @ bertante a mio giudizio hai cominciato maluccio.
    Tra l’altro la cosa buffa è che io se da qualche parte ho trovato sporadicamente “autorevolezza critica” è stato nel blog di Marotta che tu ti sei guardato bene dal nominare … forse perchè non è propriamente in linea? o, ancor peggio, perché non scrive su carta stampata?
    Chiaro che il tuo era un articolo provocatorio per creare una polemica, se non volevi pubblicizzare un blog vuol dire che volevi dare visibilità al tuo articolo, direi che ci sei riuscito, ma ci sei riuscito in maniera banale e fastidiosa e a spese della rete, ma … tranquillo non sei certo il primo.
    Mio dio sono anni che dicono le stesse cose sui giornali (soprattutto di destra) la novità di oggi è che i blog, compreso NI (si veda il pezzo di marco su Unità) per la prima volta sono quasi tutti contenti. Che bello potersi liberare di ogni dissidenza sterminando come ratti i commentatori non in linea! ;-) (e pensare che basterebbe la semplice funzione del modera)
    Si la rete è stressante, ma se uno non ce la fa a sopportare (o addirittura ecumenicamente a perdonare) chiude i commenti, qui, in NI, credo sia possibile farlo post per post, oppure modera e fa passare solo quello che vuole, oppure cancella, ma farla tanto lunga sulla carta stampata non è un buon servizio alla libertà della rete che poi tutto sommato è quello che dovrebbe interessare sia i blogger che i commentatori, anzi tutti i cittadini democratici.
    Dai fatela meno lunga che i commentatori nei blog sono ormai un genere in via di estinzione (per disgrazia anche vostra)

  13. Giusto per dire chi è l’autore dell’enunciato ritenuto criminale da Marco Rovelli, enunciato estratto dalla discussione del primo link a fondo commento, nella quale Larry Massino non fu affatto fuori tema, e nella quale aveva capito benissimo che l’articolo era del sociologo Marco Revelli (tanto da opporgli un ragionamento di un suo pari per ” autorevolezza “, Emanuele Macaluso), ma dopo alcuni infruttuosi commenti, per niente fuori tema, cercò di sbrigarsela perché riteneva poco interessante discutere con Marco Rovelli, la cui enfasi No Tav – e movimentista in genere – ritiene politicamente immatura, diciamo così, in termini dogvelliani, alla Tom Edison Jr.

    https://www.nazioneindiana.com/2011/07/03/la-ragione-dei-barbari/

  14. Innanzitutto vorrei sgomberare il campo dall’accusa di conventicola, almento per quanto riguarda “Scrittori precari”, che ha ospitato una sola volta Bertante, nel gennaio del 2011, con un breve inedito (dunque, non credo avesse interessi particolari a farci pubblicità). In fondo, il suo articolo tratta anche di questo, per quanto sia uno dei punti meno commentati: del fatto che chi raggiunge una certa “autorevolezza critica” (o chiamiamola diversamente, che ne so, “visibilità”), venga spesso tacciato per principio di essere amico di qualcuno. Per quanto riguarda i 50 commentatori, sinceramente non so se si tratti di un numero ragionevole: posso solo portare ad esempio la nostra esperienza, dove dopo mesi di sfiancanti battute e discussioni (che potete tranquillamente ancora leggere) ci siamo trovati costretti a catalogare come spam (ebbene sì) un commentatore compulsivo, ma soltanto dopo che è passato a offendere personalmente. Per noi il problema si è posto in questi termini: è giusto che un commentatore depisti continuamente gli argomenti parlando dei fatti suoi ed impedendo ad altri di dar vita a una discussione sul tema del post? Ovvero non c’importava tanto il disturbo che poteva arrecarci in quanto gestori di un blog, ma del suoi comportamento nei confronti dei lettori. In un anno questa persona ha postato più di 200 commenti (più di quelli della stessa redazione!) finendo con l’occupare quotidianamente gli spazi… Ecco, in questi casi limite io ammetto la censura, perché risponde a un’altra forma di censura: quella di chi continuando a parlare di sé non vuol parlare d’altro.
    Per il resto credo che tutto dipenda dalle pratiche, ed ha ragione chi afferma che dipende da come s’imposta il lavoro di un blog e dagli argomenti che si affrontano: se si preferisce scrivere post volutamente provocatori, va da sé che si presta il fianco a certi tipi di dinamiche e viceversa (ma questo mi pare l’abbia detto meglio di me christian raimo).

  15. Il pezzo di Bertante lo trovo indifendibile, è un mix di generalizzazioni e luoghi comuni con l’aggravante di essere calunniatore e diffamatorio non tanto e non solo con i fantomatici 50 sobillatori di piazza web(prima generalizzazione insensata e falsa) quanto colla libertà che c’è in rete, attaccata in questo modo alle spalle, proditoriamente.
    E’ facile, signor Bertante, prendersela con 50 villici anonimi installando nei suoi lettori più ingenui una visione d’insieme posticcia e falsaria; perché non ha denunciato i modi di Loredana Lipperini? Perché oltre ai villici non ha parlato, come il buon Raimo, della parte e delle maniere degli autori dei siti cui si riferiva?
    Sono d’accordo con Georgia sia per quanto riguarda il sito di Francesco Marotta, sia per quanto riguarda l’intenzione di Bertante di promuoversi tramite una futile polemica.

  16. “Da quasi un decennio questi cinquanta valorosi impediscono che nasca un serio dibattito letterario in rete”

    è chiaro che, se fossi uno dei cinquanta, sarei estremamente compiaciuto da una frase del genere. molto netta ma anche piuttosto inesatta: in rete è da parecchio che esiste un serio dibattito letterario, tanto più di sostanza quanto più esposto (e resistente) all’impazzare dei troll. non accorgersene, concentrandosi sui troll, è davvero fissare il dito al posto della luna.
    quoto volentieri sia raimo che georgia. aggiungo anche, come indiano, che non posso non vedere che le polemiche cafone e distruttive dei troll compongono cmq una bella fetta del traffico generato da questo blog e, quindi, ne fanno almeno in parte la fortuna. e per concludere ricordo un detto di estrema saggezza che in rete viene ripetuto da anni ma, evidentemente, mai abbastanza: don’t feed the troll (per esempio, facendolo sentire più importante di quello che è).

  17. ghelli un solo commentatore? (temo quasi di pensare chi possa essere:-) Il tuo blog viene citato da bertante per un solo commentatore????? tutto ‘sto casino per uno solo? e gli altri 49 che, conoscendosi fra loro, avrebbero dovuto correre subito in suo aiuto?
    io non frequento il tuo blog quindi incuriosita sono andata a vedere (per qualche mese addietro, poi mi sono fermata) chi sia l’infame che addirittura ha ispirato un articolo su un supplemento letterario con il giornalista che chiede leggi speciali addirittura per difendere la critica “autorevole”. Beh sinceramente ho visto che i tuoi post hanno mediamente 1, 2 con un massimo di 7 commenti, dove si annida dunque questo fenomeno che commenta a tutte le ore anche a notte fonda?
    Io naturalmente non avevo parlato di conventicola e neppure detto che ospitaste bertante, ma per carità (mica si venderà per così poco) però sicuramente viene il sospetto che bertante sia stato imbeccato da qualcun altro più esperto visto che lui sembra conoscere molto poco della rete, se addirittura cita fra le vittime del terrorismo-trollante, anche chi come voi (per vostra grande fortuna) ne ha incontrato un solo esemplare.
    Suvvia ridimensioniamoci ;-)
    geo

  18. @Georgia: il blog non è mio, ma di un collettivo di scrittori.
    Quanto al numero dei commentatori citati da bertante, non conosco le esperienze degli altri blog: per certo nel nostro, che come avrai visto non ha moltissimi commenti rispetto ad altri, un commentatore che da solo ne ha collezionati più di 200 è un fenomeno senz’altro vistoso :-)

  19. mah, il dibattito letterario in rete si sviluppa su decine e decine di altri blog da almeno 15 anni senza problemi di troll o similari. basta leggerli, i blog.

  20. Georgia, ti chiedo, con molta serenità, secondo te l’esempio che ho citato è un esempio di commentatore non in linea da sterminare o si tratta di un insulto ad personam?

  21. il titolo “seminatori d’odio” mi mette già in partenza una certa orticaria, sarà che di odio e invidia nell’ultimo anno si è parlato così tanto da stravolgerne ogni significato, segnando spartiacque tra bene e male, buono e cattivo, che neanche secoli di catechesi erano riusciti sì a pontificare (vedi, per intenderci: http://www.ibs.it/code/9788804601876/berlusconi-silvio/laquo;l-amore-vince.html); ma entrando nel merito, credo proprio che non si possa tacciare come troll, o peggio “seminatore d’odio” chiunque esprima – anche anonimamente – il proprio dissenso. Ho letto spesso e volentieri vari commenti, qui come altrove, considerati “trolleggianti”, che al contrario avevano – a mio parere – qualcosa comunque da dire e su cui ragionare, facendo altresì la “fortuna” e del blog e del pezzo in questione. Che poi si venga a dire che “Insultano, minacciano, s’azzannano e soprattutto sono convinti che dietro ogni scelta editoriale ci sia il fiato nero di una consorteria di potenti a loro ostile. Perché sono vittime. Sono i commentatori dei blog letterari e prima o poi se pubblichi un testo qualsiasi di narrativa, saggistica o poesia, devi averci a che fare.“, mi sembra da un lato un’esagerazione, un’esasperazione e dei fatti e della percezione degli stessi, mentre in secondo luogo rifletterei su quella “convinzione da consorteria editoriale”, che non mi pare sia così fantasiosa a cominciare dalle calssifich(in)e ed i loro metodi di valutazione, per finire alle stesse scelte di pubblicazione online che, noi tutti (mi metto dentro come redattore di un collettivo), portiamo avanti nella convinzione della nostra più totale trasparenza. (ma quanti amici e quanti doveri ognuno di noi coltiva, sempre con consequenzialità e massima coerenza in materia di qualità e gusto?!)
    Per cui, sì, non si può negare che esistano frustrazioni violente che nella rete trovano sfogo ed espressione, così come esistono tanto in rete quanto nella vita una buona dose di cortigiani, approfittatori, deficienti, …
    basta non esasperare le cose, continuando a “lavorare” (? – sic!) con quella coerenza (…) di cui sopra.
    credo.
    nc

  22. Georgia

    Io non ho mai chiesto leggi speciali come tu dici, l’articolo è li e puoi rileggertelo con calma. E il singolo commentatore citato da Ghelli non ha ispirato il mio articolo, non lo conosco neppure. Perchè distorci i fatti?
    E poi mi dai candidamente del venduto, confermando quando dicevo: ovvero la pretesa che dietro a un’opinione ci deve ssere sempre qualche interesse occulto.

  23. sono in moderazione bene! :-)
    ergo non posso rispondere sia alla domanda di bertante che a quella di marco … non ho offeso nessuno solo sono in disaccordo con i due articoli
    Questa è la prova che infastidiscono i commenti di chi non pensa come voi e non chi offende o trolleggia

  24. A – Cosa pensi?
    B – Che siamo messi male. Tutti cercano azioni esemplari, dimenticandosi che l’essere umano non è maestro ma animale. Se decidi di tenere i commenti aperti, allora devi accettare tutti, anche il troll; altrimenti, puoi dirla come vuoi, ma applichi una forma di censura. Legittimo, certo; purché non si facciano poi discorsi libertari.
    A – Ma il troll impedisce la discussione …
    B – Palle! Se uno è interessato alla discussione il troll lo evita. Dove ci sono i troll, c’è l’umile lettore, l’interessato, il fedele ascoltatore; se il troll vince è perché gli altri non sanno giocare.
    A – Ma seminano odio …
    B – Anche questa è una grande palla! Seminare odio è un’arte. Ma ho il sospetto che questi intellettuali non sappiano nemmeno il significato della parola “odio” … Hai presente il poeta Majakovskij? Nei suoi versi traluceva la grazia dell’odio, la sia insopportabile, e proprio per ciò immensamente affascinante, smania di sgridare. E poi, chi non odia la guerra, il potere, la brutalita sbirresca? L’odio è una virtù.
    A – Il rito generoso di chi predilige la semplicità del negativo …
    B – Sai cosa diceva Manganelli? Che l’odio è una condizione intellettuale ed emotiva essenziale. Qui, però, mi sa che a Manganelli preferiscono Fabio Fazio.
    A – Ma l’odio del troll è deprimente, secondo alcuni …
    B – Lo vedo. Ti dirò: a me deprimono di più i moralizzatori. E non solo, come giustamente rileva la Sgaggio, perché agitano la solita odiosa tiritera dei buoni-e-dei-cattivi (come se il troll non fosse in ognuno di noi!), ma soprattutto per quel retrogusto di stalinismo che mi rimanda il loro discorso.
    A – Ah! Attento; ora devi spiegarti. Non puoi usare un termine così forte – “stalinismo” – senza argomentare.
    B – Ma chi se ne frega! O chiudono i commenti, o accettano quello che ho da dire. Sì, in questi discorsi ci scorgo il senso della miopia stalinista, la quale predilige affermare la propria potenza gerarchica alla libera espressione di chiunque, troll compreso. Se sono per la libertà di parola, lo sono per tutti. Se comincio a fare distinzioni, o a mettere regole, allora l’espressione non è più libera, bensì, per l’appunto, regolata; è ovvio che vince sempre chi fa le regole. Più dignitoso chiudere i commenti.
    A – ???
    B – Senza rilevare una contraddizione lampante: i troll sono sempre gli altri, mai gli amici. Nella discussione sulla lista dei parlamentari omossessuali in diversi, me compreso, sono stati additati come “omofobi” – e senza alcuna argomentazione! In quel caso, nessuno ha parlato di insulti o di troll e tutto è passato in cavalleria. In cavalleria, capisci; in territorio indiano!
    A – Torniamo agli articoli. Fai uno sforzo e spiega la tua avversione.
    B – Prendi la citazione di quell’ “aggressivo commentatore” nominato da Rovelli. Il commentatore in questione è Larry Massino. Che senso ha isolare quel commento dall’insieme dei suoi interventi? Larry Massino ha, nel tempo, prodotto un discorso riconoscibile e dignitoso, nient’affatto banale, e proprio per questa sua indubbia qualità può permettersi di “sbracare” ogni tanto. Anche il commento “irridente e liquidatorio” è da inserire nel suo universo di discorso. Pensaci: io intervengo diverse volte (sulla Libia, sulla crisi economica, sulla letteratura, etc.), ogni volta argomentando; se mi capita – e mi capita, essendo io un essere umano e non una macchina programmata per fare solo il Bene – se mi capita talvolta, dicevo, di limitarmi ad un perentorio “Che schifo!”, perché dovrei essere censurato? Chi mi banna, sta in automatico bannando tutto il mio discorso. Se mandi Salamov dentro un gulag perché dice, poniamo, che quel commissario è marcio, stai condannando tutta la sua opera. Mi scuso per il tono didascalico.
    A – Sì, hai argomentato; e, a onor del vero, molto di più che nei due articoli da cui siamo partiti.
    B – Con una differenza: quegli articoli, così poveri di argomentazione, sono pubblicati in spazi più sostanziosi che non quello dei commenti …
    A – Vediamo di entrare nei dettagli.
    B – Prendi il primo capoverso dell’articolo di Bertante. Cosa ci dice? Che esiste un manipolo di commentatori che sputano sul blog che leggono. Chi sono? Possiamo fare una scommessa; ho l’impressione che se ognuno dei castigatori proponesse dei nomi-nick, se insomma dicessero apertamente quali sono i commentatori-odio, il risultato sarebbe uno solo: la quasi perfetta coincidenza tra commentatori-troll e commentatori-critici. Il caso nominato da Rovelli lo dimostra: Larry Massino.
    A – Passiamo al secondo capoverso di Bertante.
    B – La cerimonia dell’autorevolezza critica … Più che autorevolezza, direi confusione … Se la critica non diviene autorevole a causa dei 50 fomentatori d’odio, è una critica ben poco sostanziosa: meglio che muoia! Ma non insistere, ti prego. Trovo l’articolo di Bertante consolatorio. Punto.
    A – Troppo perentorio …
    B – Hai presente il Benjamin di “Strada a senso unico”? Per stroncare un articolo bastano un paio di sue frasi. Passiamo oltre, ti prego.
    A – Passiamo al sotto-Bertante, a quello che scrive Rovelli.
    B – Che non è Revelli, per sua e nostra fortuna. Rovelli amplifica il Bertante, in fondo. Il discorso della “soglia” è il discorso di ciò che è permesso e di ciò che non lo è. Se uno scrive, senza argomentare, “questo articolo mi piace”, è tollerato e riceve persino il ringraziamento dell’autore; se un’altro scrive “questo articolo non mi piace” è additato come uno che non sa discutere e, talvolta, bannato. Se, come dice lo stesso Rovelli, non si può accettare tutto, allora si opera una censura a scapito di ciò che è ritenuto inaccettabile. Lo si faccia, purché, davvero, la si smetta di fare discorsi libertari.
    A – L’hai già detto.
    B – Meglio ripetersi. Ma ora devo uscire. Ho un sano e patologico bisogno di andare allo stadio.
    A – Finisciamo in eleganza …
    B – Talvolta, a fronte di certi articoli è difficile salvarsi dalla tentazione di fare il troll.

  25. Stan le rispondo, con molta semplicità: che non m’importa se altre volte il commentatore ha sviluppato un discorso coerente. Non accetto che la discussione scivoli sul piano dell’insulto. E del disprezzo ad personam più o meno dissimulato. Io non lo faccio e pretendo che gli altri non lo facciano con me. Uno può tranquillamente dire “questo articolo non mi piace”. Mai bannato qualcuno per questo, né ho mai negato il diritto di dirlo. Ben altra cosa è l’insulto e l’attacco ad personam. È questo che io giudico fascista. Non il rifiuto che la controargomentazione scenda su quel piano.

  26. Io non ho niente da aggiungere alla discussione. Trovo legittimo lo sfogo, anche se eccessivo, e trovo ragionevoli le critiche mosse.
    Scrivo un commento lo stesso perché credo che i commenti siano una risorsa, come lo sono i blog, e lo affermo così.

  27. Leggo con interesse i commenti a questo articolo.
    Mi ha sorpreso Marco Saya, che scrive: “mah, il dibattito letterario in rete si sviluppa su decine e decine di altri blog da almeno 15 anni senza problemi di troll o similari. basta leggerli, i blog.”
    Nazione Indiana nacque nel 2003, ricordo ancora alcuni dei primi articoli: 9 anni fa. Fu fra i primissimi lit blog in Italia.
    Penso a Lipperatura, dal 2004, 8 anni fa. Ma si potrebbero citare altri noti nomi, come per esempio Carmilla (nel 2000 o 2001 se non ricordo male, chi sa mi corregga).
    Almeno 15 anni, scrive Marco. A conti fatti: 1997. Ricordo internet di allora. Ricordo in particolare il veloce cambiamento vissuto da molti di noi, dal ’94-’95 in poi. Ricordo che nel 1998 leggevo alcuni lit blog statunitensi, avanti rispetto a noi di circa 4-5 anni nelle strutture delle redazioni dei blog collettivi (non solo letterari), nei bit italiani vi era ancora pressoché il vuoto cosmico sul fronte della critica letteraria online.
    Non vorrei sembrare pedante a Marco e ai commentatori, ma quindici anni no, proprio no. E cercavo, tentavo di trovare esperienze similari a quelle che seguivo dall’altra parte dell’oceano. In seguito vi fu un’accelerazione e oggi sembra che siano trascorsi lustri, ma non è così. Sono soltanto pochi anni che i lit blog si sono strutturati come tali, se di struttura possiamo parlare (intendo dire lit blog con una certa costanza nelle pubblicazioni e con la presenza di collaboratori autorevoli, poi i distinguo sarebbero infiniti…).
    Ho scritto questo perché, credo, l’accelerazione ha portato a una dolce anarchia nei commenti, ancora oggi non arginata, se non attraverso soluzioni drastiche o singolari. Un altro tema sul quale rifletteremo il 7-8 luglio 2012 a Thiene (VI), al primo festival dei blog letterari che sto organizzando. Magari qualcuno deciderà di venire ad ascoltare in carne e ossa i tanti lit blog che si confronteranno per due giorni.

    • Io mi riferivo a blog senza la presenza di collaboratori e 15 anni (1997) addietro esistevano, eccome se esistevano. Perchè poi fare riferimento, sempre, ai blog citati in questo caso dal Bertante? Pensate, davvero, che il “fior fior” degli intellettuali siano presenti, solo, in questi siti? Esistono anche i salotti reali, tipo quello del filosofo Roberto Caracci a Milano, a cui ho partecipato l’ultima volta con ospite la Roberta De Monticelli. Erano presenti tantissimi “esser pensanti” che non utilizzano la rete, non conoscono i social network ma scrivono, interagiscono e le loro opere sono conosciute, tutto qui. :-)

      • Marco, scrivi:
        “Io mi riferivo a blog senza la presenza di collaboratori e 15 anni (1997) addietro esistevano, eccome se esistevano. ”
        Giusto, ma quante visite uniche facevano al giorno? Questo è un altro tema non indifferente. Una cosa è quando si fanno 400-500 visite uniche al giorno, un’altra cosa quando sono qualche migliaio. Nei grandi numeri si sviluppano visibilità e maggiori rischi di incontro ravvicinato coi troll. Un troll che si rispetti non è interessato ai “piccoli”, bensì si diverte a colpire i “grandi”. E, bene inteso, il discorso non ha nulla a che fare con la qualità delle pubblicazioni del blog.

        Scrivi:
        “Perchè poi fare riferimento, sempre, ai blog citati in questo caso dal Bertante? Pensate, davvero, che il “fior fior” degli intellettuali siano presenti, solo, in questi siti?”
        Ma dai, chi è il pachiderma della letteratura che potrebbe rispondere positivamente alla seconda domanda? A me apparirebbe vecchio, limitato, per nulla aggiornato. Bertante ha espresso i suoi legittimi e opinabili riferimenti. Sono numerosi i lit blog interessanti, ce n’è per tutti i gusti. Per quanto mi riguarda, i fior fior degli intellettuali, come tu li appelli, li lascio volentieri al vaglio della storia, unica detentrice della verità.

        Parli delle persone che non utilizzano la rete per conversare di letteratura. Viva Dio che esistono. La rete non è il centro del mondo, credo che si possa vivere dignitosamente e con delizia anche senza internet, come si è fatto per millenni, poi però non ci si lamenti perché non si capiscono certe dinamiche contemporanee, se si rimane “fuori” credo sarebbe ardito pensare di criticare il “dentro” – nell’accezione vera – con cognizione di causa. Lo si può fare, non di rado snobisticamente.

        • Condivido molto di quello che hai scritto. Partendo, però, dall’ultimo punto forse “certa letteratura” avrebbe bisogno di tirarsi fuori da certe dinamiche contemporanee, insomma prendersi una pausa di riflessione, la rete crea, spesso, dei “loop neuronali” favorendo processi di manutenzione, conservazione e asettiche riedizioni dietrologiche che nuocciono gravemente allo “stato avanzamento lavori”, anyway! Timbrare il cartellino in rete non ha molto senso e molti lo fanno per arrivare al 27 della propria visibilità…( anche perchè me lo dicono ) come coloro che se si dimenticano il cellulare a casa vengono colti da attacchi di panico e da qui forse parecchi pachidermi della letteratura risponderebbero in modo positivo a quella domanda. ( ho sintetizzato al massimo, non amo dilungarmi )

  28. i troll veri e propri, quelli insomma un po’ patologici, sono rari e davvero meritano di essere sempre ignorati, e a volte decisamente cassati, senza alcuna finta menata sulle procedure democratiche, ecc. (

    chi tiene i commenti aperti, sa che deve gestirsi anche questi casi strampalati e rompipalle; ma concordo con marco, gestire non vuol dire subire

    concordo poi su quanto detto da molti: l’invidia è invece moneta corrente dei rapporti umani, e particolarmente accentuata nell’ambiente letterario, e quindi ce la ritroviamo in noi, a fianco, sopra e sotto.

    Ma poi ci sono vari altri cocktail normali: ottusità, arroganza, fischi per fiaschi, suscettibilità, paranoia, ecc.

    Ognuno se ne prenda un pezzo e avremmo già un notevole inquinamento del tutto “naturale” di quello che dovrebbe essere un virtuoso dibattito letterario

    ciò nonostante, come già si è detto, i dibattiti ci sono in rete, e la rete ha permesso a un sacco di iniziative di esistere e a talenti validi di esprimersi attraverso mezzi più economici e con un raggio d’azione molto più ampio di qualsiasi rivista letteraria cartacea – senza nulla togliere all’importanza delle buone riviste letterarie cartacee

  29. ps
    in ogni caso “seminatori d’odio” è davvero eccessivo; anche perché la locuzione, in Italia, oggi, rinvia a realtà ben più diffuse e inquietanti

  30. A – Bussano; che faccio, apro?
    B – Apri, apri. Sono appena tornato dallo stadio e un po’ di sragionamento mi può solo fare bene. Abbiamo vinto e non c’è inconveniente che possa rendermi triste.
    A – Hai letto la risposta di Rovelli?
    A – Sì. Mi piacerebbe chiedere a Rovelli che cosa intende per “insulto” o per “disprezzo ad personam”. Vedi, amico mio, questo è uno degli inconvenienti di essere ignorante come me: le parole le prendo nella loro semplicità. Non sono un uomo di lettere, io.
    A – Non ti seguo.
    B – Ora, prendi questa frase: “So che nel tempo alcuni di questi ‘attaccanti’ si sono tramutati in votanti, e dunque la contestazione era finalizzata, nella maggior parte dei casi, a un unico scopo: farne parte”. In pratica, cosa ci sta dicendo il commentatore? Che i contestatari ambiscono al posto di potere, e che quindi i loro rilievi sono finalizzati non alla discussione, bensì all’arrivismo (e tralascio il commento su quel “so” esibito in quel modo!). Cosa c’è di diverso da quel denunciare i troll che parlano, anziché di contenuti, di mafie o di servilismi reciproci?
    A – Assolutamente nulla.
    B – Prendi quest’altra frase: “mi tocchi rispondere pure a una persona che inteloquisce con me solo per malevolenza, e per sovrabbondanza di tempo libero”. Si tratta, in tutta evidenza, di un attacco personale. Rovelli scrive di non sopportare il disprezzo ad personam. Sacrosanto. Perché non ha mai detto niente su commenti analoghi a quelli da me riportati? Ora, i due autori dei commenti non sono mai stati ripresi o invitati a moderare i toni né, tanto meno, bannati; anzi, godono della simpatia della redazione e sono spesso ospitati in home. E dire che gli stessi autori non sono nuovi a frasi del genere. Ecco, questo chiederei a Rovelli: come se lo spiega?
    A – Forse ti risponderebbe che non ha senso estrapolare quei commenti dalle discussioni dove sono stati fatti.
    B – Esattamente come non ha senso estrapolare una frase di Larry Massino dall’insieme dei suoi commenti.
    A – Un cortocircuito. A parte che tutta questa separazione tra “persona” e “idea” mi sembra – come dire? – manichea? E’ il termine giusto?
    B – Io non mi permetterei mai di giudicare delle idee; le persone, questa vanno giudicate, e in particolare i loro comportamenti. Nei commenti, il comportamento è la lingua – ecco, colpo di genio: l’emozione è nel criticare la grammatica. Tutto il resto è vuota fraseologia. Anche un insulto può essere immensamente meglio scritto di un giudizio articolato …
    A – Meglio lasciar perdere …
    B – Piuttosto, non ti sembra che anche continuare a tirare in ballo psicologismi di bassa lega (indicare i troll come frustrati, rancorosi, invidiosi, paranoici, etc.) è metterla sul personale?
    A – Bella domanda …

  31. Stan, io non giudico le persone. Qui ho a che fare con degli enunciati. Non conosco le persone dietro questi enunciati e non mi permetto di farne la radiografia psichica. Soprattutto, non mi interessa. Mi interessano solo gli enunciati offensivi, non il loro movente. E mi interessano da qualunque parte provengano, le assicuro. Per quanto mi riguarda, è così, e io parlo per me.

  32. Massino, tu ritieni le mie posizioni movimentiste e dunque immature, e io ho un’opinione delle tue posizioni politiche altrettanto negativa dal mio punto di vista. Con questo, per quanto io ritenga le tue posizioni deleterie, non mi prendo il diritto di liquidarti: se mai, provo a confutarti e smontare le tue argomentazioni. Questa è l’unica possibilità dialogica e democratica.
    Nella fattispecie io ti invitai ad argomentare le tue posizioni – dacché nel tuo primo commento eri intervenuto con due righe liquidatorie nei confronti del lungo e argomentatissimo articolo di Revelli. (E già altre volte eri stato nei miei confronti liquidatorio, lo sottolineo). Tu non provasti minimamente ad argomentare alcunché contro gli argomenti proposti da Revelli nel suo articolo. Finché appunto dicesti, Non mi va di polemizzare beceramente con Revelli ecc…
    Insomma, tu stesso confermi che non hai voglia di dialogare con chi giudichi con posizioni che non ti vanno a genio, e ti prendi il diritto di liquidarlo. Io questo non lo accetto. Non lo accetto in generale e soggettivamente. Mi prendo dunque il diritto di rifiutare queste posizioni non-dialogiche.
    (Ah, giusto per dire: Marco Revelli fece una lunga recensione nel 2006 al mio primo libro. Ci siamo trovati più di una volta in situazioni comuni e abbiamo un ottimo rapporto. Abbiamo per qualche tempo diretto insieme una collana editoriale. Ovviamente lo leggo sempre. E ti assicuro che io sono movimentista quanto lui [di quel mio primo libro così “movimentista” ed estremista disse che l’avrebbe voluto scrivere lui] – o meglio, rispettando il principio di autorevolezza: io sono movimentista quanto lui).

  33. un po’ però vien da ridere.
    in un post che stigmatizza i troll ci si sarebbe aspettato che i troll venissero a riva come foche in bocca alle orche.
    e invece le orche mangiano planton. :-)
    dai su, rilassatevi.
    la cosa non è seria come potrebbe apparire.
    [del resto un simile post ha fatto il pieno di commenti, il mio compreso, distogliendo l’attenzione da cose ben più serie, come ad esempio la storia di Baye Lahat]

  34. I cinquanta malvagi e sabotatori troll sono effettivamente fastidiosi. Quanto i cento tra scrittori, editor e agenti letterari che usano da tempo facebook e blog come manganelli per comporre le loro privatissime questioni o per sfogare ripicche legate a un premio o a una pubblicazione mancata o alla buona accoglienza che uno riceve e l’altro no.

  35. Georgia,
    per la precisione “leoni da tastiera” era una locuzione inventata da WM3, non da GP.
    E, dopo anni che mi conosci, insomma, ancora col sospetto che ti si metta in moderazione… è mai accaduto che lo abbia fatto? Quante volte ti avremo spiegato che nell’antispam ogni tanto ci caschiamo tutti, redattori di NI compresi?
    Ecco, è proprio la sindrome del sospetto quella che ammala le discussioni. E non da oggi, ben inteso, fin dai primi commenti che io ricordi, non solo qui su NI.
    E la cosa, per me, non ha necessariamente a che fare col nick o meno: Georgia, per dire, la conosco da tanto tempo. Non so nulla di lei, quanti anni abbia, dove viva, come si chiami per davvero, etc., ma ho sempre apprezzato la sua coerenza, continuità, passione, etc. e perciò, anche quando non ero d’accordo, non mi sono mai posto il problema di sapere chi sia “davvero”, o tacciata d’essere una troll, che si nasconde il volto, o cose così. (che uno poi nel suo blog voglia rispondere solo a chi si firma per intero, sarà pure lecito, no? Non io, che non me ne frega nulla, ma uno può fare quello che vuole, o deve sottostare necessariamente alla legge della maggioranza telematica?)
    Abbiamo comunque un bel dire che ai troll non bisogna dare da mangiare. Non basta. Da fuori è più facile. Leggendo i commenti degli altri blog siamo tutti più urbani, ma poi se parli con i gestori senti la loro esasperazione, la fatica. Se lo vivi sulla tua pelle un commento che per altri può sembrare divertente, per te è graffio, dolore, bruciatura. Quando, in programmi tipo Paperissima, uno scivola su una buccia di banana gli spettatori ridono di lui, ma io, non so perché, penso sempre a quanto stia soffrendo quello a terra.
    (chiosa: più un blog è frequentato e più è alta la probabilità di imbattersi in rumore, è inevitabile. Molti blog non hanno rumore non perché ben educati, ma perché poco frequentati. Purtroppo, però, neppure questa è una legge universale: ho esperienza di “piccoli” blog assaliti da un unico troll che ha ridotto allo stremo delle forze il tenutario).
    Il tema lanciato provocatoriamente da Bertante, con tutte le sue volute esagerazioni, è un tema importante. La richiesta di responsabilità dell’autore è continua, necessaria e pressante in rete. Ma mai sia violare l’idea che pure il commentatore abbia le sue, di responsabilità!
    Io, conoscete la mia politica, non ho mai cancellato un insulto a me rivolto. Solo gli insulti rivolti ad ospiti. Ma, detto ciò: perché bisogna insultare? Invadere il campo, appropriarsi di discussioni, manipolarle fino allo stremo, esasperare persone che lo fanno con passione e/o militanza?

    Ok, vado a nanna.

  36. Chi sale sul pulpito prende le pernacchie
    e a questo non potete ovviare in nessun modo,
    ma più che lamentarvi di esser spernacchiati,
    e prima che cominci il lancio degli ortaggi,
    sarebbe il caso vi guardaste bene intorno:
    le chiese sono vuote ed i partiti, pure
    gli stadi iniziano a svuotarsi poco a poco;
    l’autorità fondata sopra una divisa,
    fa dell’intellettuale una mezza calzetta:
    l’intellettuale vive di argomenti e lotta
    sul campo giorno dopo giorno disputando,
    -ma il mondo, alle sue spalle, gira, come sempre,
    molto più interessato agli atti che ai discorsi;
    l’autorità fondata sopra la divisa
    di intellettuale laureato in qualche modo,
    non regge il dito teso di un bambino, in strada,
    che osserva le pudenda svolazzanti e ride
    di quel vestito nuovo di cui tanto, tanto,
    s’era discusso a corte, in piazza e in ogni dove.

    C’è chi sul pulpito non vuol salire, e resta
    dentro la massa innominata cui appartiene,
    uomo tra gli uomini, senza alcuna divisa,
    senza che il cumulo delle sue azioni possa
    donargli l’evidenza che appartiene solo
    al paradigma della paranoia, al sire
    sopravvivente canettiano, e all’indice
    che da una mano punta sulla folla intera.
    L’autore volle un tempo il pubblico fedele,
    plaudente ed assorbito dalla superiore
    consapevolezza, erudizione, turgida
    capacità di spremer l’esistenza umana
    per trarne un qualche distillato di saggezza;
    ma è già andato sepolto il tempo in cui s’accorse
    di esser soltanto uno tra i tanti, tra i passanti,
    alla deriva sul ponte di londra, quando
    aveva ancora senso il rimaner scioccati
    dallo spettacolo della propria vuotezza.

    Chi sale sul pulpito prende le pernacchie,
    specie quando per pulpito scambia un gradino.

  37. Mi sono cercato e letto lo scambio Rovelli-Massino, talmente cruciale da mandare un’eco fin sull’Unità. Massino non insulta direttamente però i suoi modi esprimono inequivocabilmente disprezzo, e proprio di natura “personale”, come ha orgogliosamente ribadito in questo thread. Una tale licenza sconvolge quel saggio protocollo, modellato sulle scienze naturali, che contempla uno scontro spietato ma però limitato alle idee, lasciando la persona come “intangibile” – ed in fondo irrilevante – sullo sfondo. Questa utopia si dissolve immediatamente nell’irrapportabilità delle intolleranze estetiche (tipico di arti e letteratura): ci sarà sempre qualcuno che da minime connotazioni della tua espressione pretende di dedurti l’intera anima, come cantano i Baustelle.
    Ora di fronte all’esperienza un po’ sconvolgente di uno che punta proprio alla tua “essenza” non credo che esistano ricette universali. La cosa più furba sarebbe forse ingaggiare segretamente l’interlocutore malevolo come collaudatore non retribuito delle proprie espressioni e, in una tale ottica, “tenerselo cattivo”, randellandolo ogni volta che risulti possibile. Nello scambio impressiona invece il reiterato tentativo di Rovelli di ingaggiare Massino su di un piano oggettivo, “pseudo-scientifico” (perché in realtà la questione è ideologica e largamente affettiva, cioè determinata dalle storie e relative appartenenze ben più che dalla “razionalità” valutante) – ottenendo soltanto nuove manifestazioni di disprezzo. D’altra parte Rovelli scrive sull’Unità, gode dell’esperienza del palco e degli applausi, è pieno di fan e di amici meravigliosi che lo amano e lo rispettano, insomma è quasi famoso. Perché mai lo turbi tanto un cane sciolto che ha preso l’abitudine di far pipì sotto la sua statua non mi risulta affatto chiaro.

  38. La cosa più furba sarebbe forse ingaggiare segretamente l’interlocutore malevolo come collaudatore non retribuito delle proprie espressioni e, in una tale ottica, “tenerselo cattivo”, randellandolo ogni volta che risulti possibile. Nello scambio impressiona invece il reiterato tentativo di Rovelli di ingaggiare Massino su di un piano oggettivo, “pseudo-scientifico” (perché in realtà la questione è ideologica e largamente affettiva

    bravo elio credo che tu non solo abbia toccato il vero cuore del problema, ma hai saputo anche spiegarlo per bene.
    Ogni blog letterario infatti ha il suo interlocutore malevolo che viene allevato e coccolato, ognuno se lo sceglie a sua immagina e somiglianza, basta vedere il rapporto lipperini/angelini che va avanti da anni con reciproca soddisfazione ;)
    Rovelli è fondamentalmente un buono che crede davvero si possa cambiare il mondo, e che sia possibile farlo solo conoscendolo (tutto sommato anch’io in parte ci credo) … e quindi cerca di cambiare anche massino e non riuscendoci spesso gli saltano i nervi, non è l’unico di NI che si comporta così anche il buon biondillo cercò di cambiare il re dei commentatori scomodi: l’innominabile.

  39. per la precisione “leoni da tastiera” era una locuzione inventata da WM3, non da GP
    Peccato mi faceva piacere aver trovato una cosa intelligente, che mi piaceva, da attriburle.

    E, dopo anni che mi conosci, insomma, ancora col sospetto che ti si metta in moderazione … è mai accaduto che lo abbia fatto?
    E’ vero, NON mi hai mai moderato TU, nazione indiana invece lo ha fatto all’inizio (sicuramente raos e poi un altro che ora non ricordo).
    E’ vero alle volte i commenti si impigliano, è capitato anche a me però di solito è sempre successo per un motivo tecnico (tipo link o altro) ieri niente di tutto questo, ma lasciamo perdere non è certo un problema, è cosa più che normale che una paranoia sicuritaria dall’alto provochi poi paranoia anche dal basso che poi a sua volta fa diventare cronica quella alta fino ad arrivare alla commissione (o diffusione) di articoli infingardi e privi di serio contenuto reale come quello di bertante con la coda di quello di marco.
    Affrontiamo seriamente il problema dei fantomatici 50 commentatori. Potete farci qualche nome (o qualche nick che è lo stesso), chi sono? Potete linkarci post recenti dove i 50 si sono presentati spalleggiandosi l’un l’altro (visto che si conoscono), se non fate degli esempi tutto diventa una farsa marziale come le armi di sterminio di massa di triste memoria.
    Non penso che tutto giri intorno al solo massino (troppo onore sarebbe per lui). Abbiamo accertato che per Scrittori precari il problema non esiste e non si capisce come mai bertante lo abbia tirato in ballo: un solo scocciatore-moderato nel passato e nessuna traccia del battaglione dei 50 che si conoscono fra loro.
    E per Nazione indiana? Chi sono i famigerati 50 (bastano i nick naturalmente). Arrivati a questo punto dovete fare nomi, ed esempi, dei responsabili che impediscono davvero ogni seria discussione, altrimenti potreste essere accusati di fiancheggiamento delle iperboliche esagerazioni di bertante ;-)
    L’altra sera Fabio Volo si lamentava in tv anche lui dei commentatori dei blog (deve essere il tormentone del momento, come se non bastasse lo spread) e come esempio portava un nick (che non ricordo ma sembrava un nick da ragazzina) che arrivava e diceva che Galimberti non era granchè … sinceramente vi sembra un delitto dirlo? Ma come Volo e galimberti hanno diritto di parola ovunque, vendono centinaia di migliaia di copie e li disturba un nick che commenta in rete che galimberti non è granchè?
    No, dico ma vi rendete conto da che parte vi state schierando con le vostre paranoie pseudo-securitarie?
    Una discussione VERA non la disturba nessuno (a parte un vero paranoico troll e sono rarissimi, figuriamoci se si riesce a trovarne 50) anzi semmai gli da sale. Senza sale poi non se la mangia nessuno se non i soli padroni di casa con pressione alta;-).
    P.S
    Favolosa la possibilità di correggere il commento anche se si finisce in moderazione o impigliati, permette di cambiare il commento, così da non ritrovarselo inutilmente dopo giorni.

    • D’accordissimo con Georgia. A mio avviso, Bertante lancia il sasso e nasconde la mano: chi sono i seminatori? Cosa hanno seminato? Vorrei che queste accuse fossero un po’ più circostanziate, altrimenti l’articolo è fuffa. Sono volati insulti personali? O erano semplicemente sgradevoli critiche nel merito, e quindi più facili da cancellare che da affrontare? Finché questo non sarà chiarito, nessun giudizio è possibile, e la discussione perde di senso.

  40. Dopo qualche giorno a riflettere sul mistero della libertà (che mi pare sia proprio un mistero per qualcuno) stamani si è arrivati a completare lo sbarco missionario nell’aldilà, che consisteva (in fin dei conti) nel mettere una foglia di fico (espunte le spine) sulle vergogne della censura… peccato che non si capisca che la censura non va rattoppata di foglie di fico, perché è verticalmente e orizzontalmente ignominosa, fronte-retro, dalla testa ai piedi, per intero, come una tac total body.

    Non riesco davvero a capire alcuni autori e alcuni commentatori, per il semplice motivo che non capiscono che non esistono declinazioni della censura, censura etica, morale, decorativa, dignitosa, indegna, esiste solo la censura.
    Nel caso di Rovelli questa misura è stata adottata varie volte, io non voglio fare il moralista, non lo vado a giudicare non mi importa, ma non si bara coi tarocchi! Si ammette serenamente che ha censurato. Punto. Ho visto io Rovelli usufruire della licenza che gli permette di togliere i commenti sgraditi (nel post Il totalitarismo dell’era presente ha fatto il vuoto di quelli di Massino dove c’erano solo concetti e argomenti avversi a quelli di Rovelli), o di chiuderli proprio tappando la bocca a tutti indistintamente. Cosa c’entra questo atteggiamento colla vocazione a redimere l’umanità – Georgia come ti vengono?
    nonostante ciò, Rovelli manda l’embolo di una conversazione con Larry Massino sulle pagine dell’Unità, senza localizzare il post di partenza, senza dare il nome/nomignolo del suo interlocutore, senza insomma fornire ai suoi lettori la completezza delle fonti così da poter verificare il contenzioso, farsi una idea loro… al solo scopo di fabbricare in casa delle pezze d’appoggio al discorso sul biasimo che la libertà di internet ispirerebbe, biasimo captato dai radar delle generalizzazioni dell’articolo (anch’esso infondato) di Bertante, al quale l’articolo di Rovelli fa da sostegno (un po’ come nel film Amici miei quando i bischeracci fan finta che la torre di Pisa traballa e stan tutti lì a mantenerla…).

    Ora io domando a chi di dovere: qual è veramente il problema? perché volete per iscritto il consenso dei vostri lettori a tenervi la porta aperta alla censura?
    Io non do il mio consenso teorico a questa pratica, che reputo in controtendenza con la natura inclusiva di internet, dove chi scrive da ciocco viene isolato bene dalla stupidità che autonomamente promana, e se invece crea dissenso ben venga, la democrazia è garantita.

  41. promemoria:
    undadoaventifacce il gennaio 15th, 2012 alle 03:07

    Chi sale sul pulpito prende le pernacchie
    e a questo non potete ovviare in nessun modo,
    ma più che lamentarvi di esser spernacchiati,
    e prima che cominci il lancio degli ortaggi,
    sarebbe il caso vi guardaste bene intorno:
    le chiese sono vuote ed i partiti, pure
    gli stadi iniziano a svuotarsi poco a poco;
    l’autorità fondata sopra una divisa,
    fa dell’intellettuale una mezza calzetta:
    l’intellettuale vive di argomenti e lotta
    sul campo giorno dopo giorno disputando,
    -ma il mondo, alle sue spalle, gira, come sempre,
    molto più interessato agli atti che ai discorsi;
    l’autorità fondata sopra la divisa
    di intellettuale laureato in qualche modo,
    non regge il dito teso di un bambino, in strada,
    che osserva le pudenda svolazzanti e ride
    di quel vestito nuovo di cui tanto, tanto,
    s’era discusso a corte, in piazza e in ogni dove.

    C’è chi sul pulpito non vuol salire, e resta
    dentro la massa innominata cui appartiene,
    uomo tra gli uomini, senza alcuna divisa,
    senza che il cumulo delle sue azioni possa
    donargli l’evidenza che appartiene solo
    al paradigma della paranoia, al sire
    sopravvivente canettiano, e all’indice
    che da una mano punta sulla folla intera.
    L’autore volle un tempo il pubblico fedele,
    plaudente ed assorbito dalla superiore
    consapevolezza, erudizione, turgida
    capacità di spremer l’esistenza umana
    per trarne un qualche distillato di saggezza;
    ma è già andato sepolto il tempo in cui s’accorse
    di esser soltanto uno tra i tanti, tra i passanti,
    alla deriva sul ponte di londra, quando
    aveva ancora senso il rimaner scioccati
    dallo spettacolo della propria vuotezza.

    Chi sale sul pulpito prende le pernacchie,
    specie quando per pulpito scambia un gradino.

  42. A – Diciamoci la verità: ci tocca applaudire di nuove Georgia.
    B – Sì, applaudiamo. E facciamoli, questi nick!
    A – Sicuro di non fare parte dell’elenco?
    B – Confesso che mi piacerebbe. Ma la mia etichetta è rigorosa e non consente deroghe. Non insulto, anche se mi piace diprezzare le persone.
    A – Vai controcorrente.
    B – Ho molti dubbi sulla distinzione tra “idea” e “persona”. E’ una distinzione che non mi convince. Quando arrestano un dissidente cinese per le sue idee, chi portano in cella è il corpo, non l’idea; e il corpo non è distinguibile dalla persona. Quando Sanguineti dice che Cassola = Liala intende comunicare il fatto che, per lui, Cassola scrive come Liala. Ma l’atto di scrivere è della persona, non della penna. Puoi girarla come vuoi, ma Sanguineti se la prende con la persona-autore di nome Cassola, anche se il suo giudizio parte dal tipo particolare di scrittura. Se Cassola ritiene di non avere niente a che fare con la scrittura di Liala, può considerare quello di Sanguineti un insulto; e con una certa ragione. Un insulto critico, se vuoi.
    A – Non è ortodosso, però è legittimo.
    B – Sono eterodosso per natura, mi conosci. Anche scrivere male dell’esimio professor Revelli è legittimo. Ora, questo signore ha accesso ad alcuni quotidiani, in uno dei quali, solo un mese fa, ha scritto delle idiozie senza senso a sostegno del Governo Monti. Perché mai non potrei scrivere, sotto quell’articolo, poniamo postato in questo blog, che sono tutte puttanate?
    A – “Puttanate”? Non è un termine critico.
    B – Ma è questo il problema: io commento l’articolo in un blog. Dammi lo stesso spazio in un quotidiano e ti scrivo, in sole cento battute, una critica precisa del suo articolo! Se non posso farlo, cribbio!, mi si permetta il sofisma: “sono tutte puttanate!”. E te lo dice uno che non disdegna l’argomentazione.
    A – Tu quali nick metteresti nell’elenco?
    B – Nessuno. Per me il troll non esiste. E’ un’invenzione di chi si crede santo.
    A – Sei il solito esagerato.
    B – Mettiamola così: i troll sono irrilevanti. Chi si accapiglia per nominarli, sbaglia bersaglio. Perché, chi può, non usa lo spazio dei quotidiani per scrivere due note di merito sui commentatori positivi? Perché usare così malamente quello straccio di potere che hanno? Io, molto semplicemente, direi che fanno prevalere il loro risentimento personale, cadendo nello stesso inciampo di cui accusano i troll. Ma io scrivo meglio di un cavallo, ed è bene cambiare argomento.
    A – Di cosa parliamo?
    B – Di calcio. E’ più divertente.
    A – No, ti prego! Fammi un nome, uno soltanto, un nick in collera, uno che deride facilmente l’interlocutore, un nome che da fastidio, pronto a stare sull’argomento ma anche, appena si scalda, a impennare sul personale, pieno di iracondia, assai colto e che parla di Leopardi con la stessa facilità con cui manda affanculo, fine non propriamente fine, grande abbastanza da infilarsi nella cruna del disprezzo, oh, ti prego, un nick, uno soltanto, straparla per me!, sii gentile, fammelo questo nick, fammi sentire lo scroscio delle acque battesimali!
    B – Ti accontento. Anzi, farò di più: aiuto Bertante e Rovelli a precisare scientificamente il loro pensiero. Ecco i nick dei 50 seminatori di odio: Andrea Che-fa-la-corte-alla Leon Essa, Cornelia di Morte, Bambola che Straparla, Gilda Auto Promossa, Giorgio Liquido, Emilia Devota, Tony Perdetempo, Desdemona Puttana, Seba Insolente, Crono Onirico, Sexi Madonna, Parrucchiere l’Inglese, Ofelia Ama, Tommy Fuori Tema, King Tranviere, Giocasta l’Indiana Mancata, Aspirina Taciturna, Mirco Profeta, Bizzaro Bengodi, Ilda S-finge, Arpa Faticosa, Gelateria Sconsacrata, Stasera Frode, Chiara Mente, Marco De Anarchia, Papa Guerriero, Pizzicagnolo Bugia, Femmina A-Vanvera, Fedele Stupido, Sarto Ri-Annodato, Gesù Analgesico, Augusto Conferenziere, Breve Pausa, Memè Latticino, Vico Lo Stretto, Giustino Sbagliato, Azio Assurdo Diffuso, Arcangelo Flipper, Dario Pamphlet, Gabriele Noooo!, Giulia Alfa, Gian Renzo Rebel (dubbi: ribelle o rebelaisiano?), Alice Bisbetica, Prima Grammatica, Giannino Virgola, Teo Mite Peccatore, Tema Troppa Fatica, Carmelo Archivio, Whisky & Life, Gianni Vigile Urbano, il Maligno in persona.

  43. L’articolo di Bertante fotografa meravigliosamente, con la forza dell’inconsapevolezza (?), i malvezzi stessi della società letteraria. Quanti troll, quanti avvelenatori non potremmo additare fuori dalla Rete? Forse un po’ più di cinquanta.
    Concordo totalmente con l’opinione espressa da Jan.

    • Mi associo a questo commento di Pinto. Aggiungo che gli “operatori culturali” (redazioni, editor, traduttori, ecc.) costituiscono in larga parte la fetta sana, di buona volonta’ e di apertura al confronto nella societa’ letteraria, al contrario degli “autori”. Sara’ perche’, come gia’ scritto altrove, una competenza e’ certificabile quasi oggettivamente, a differenza di un talento, e quindi meno aperta alla polemica di principio, di ideologia o di poetica.

  44. Stan, splendido il tuo elenco!
    Molti miei colleghi di redazione non hanno compreso perché abbia pubblicato questo pezzo di Alessandro (che ringrazio per la disponibilità. E’ stata una mia idea, non sua). Molti, anzi non l’hanno apprezzato.
    Io invece sentivo che questo era un tema che doveva trovare modo di essere discusso. Sono felice che in fondo l’auditorio non ha schizzato fango, ma speravo che ci fossero commenti più strutturati e non semplicemente difensivi. Bertante non è uno scrittore che frequenta “da dentro” i blog letterari. So che ha una attività quotidiana su FB (io non ho l’account, quindi non ne conosco le dinamiche) che probabilmente ha modalità totalmente differenti. O forse no, io davvero non lo so.
    C’è stato un gran parlare di come FB possa aver tolto lettori ai Blog. Non ne sono mai stato troppo sicuro. Forse ha spostato le discussioni, le ha polverizzate. Forse ha decantato il rumore, l’ha distribuito, non ne ho idea. Però vi voglio confessare che ho voluto pubblicare questa invettiva e ho voluto pubblicarla di sabato, cioè in uno dei giorni della settimana con minor accessi, perché ho cercato di fare una sorta di esperimento: vediamo se i commentatori, sempre pronti a dimostrare l’irresponsabilità altrui, sapranno essere responsabili. Se questo di Bertante fosse un pezzo “superficiale, mal posto, irrilevante, un salto indietro di 10 anni” a che tanta volontà di commentarlo? Di esserci a tutti i costi? Non sarebbe stato più logico evitarlo, lasciarlo in commentato, “non dargli da mangiare”?
    Eppure? Eppure , forse, che ci piaccia o meno, con tutte le durezze e semplificazioni tipiche di chi non vive sulla propria pelle la questione, tocca nervi vitali. Ce li tocca e ci fa innervosire.
    Intermezzo: non credo, Georgia, che il rapporto Lipperini/Angelini, come scrivi, “va avanti da anni con reciproca soddisfazione.” Anzi, sono certo che uno dei due ne soffra assai. Lo viva come una continua violazione personale. Non permettiamoci di buttarla sempre in burletta. Quello che per te, o me, o chissà altri, potrebbe essere un simpatico commentatore, per qualcun altro è un chiodo, un dolore, una ferita continuamente aperta. L’uso dominante della rete non è sempre quello giusto, ognuno ha il diritto di esperire la rete con le sue modalità e sensibilità. Non abbiamo il dovere di avere tutti la pellaccia dura. Vedo che qui qualcuno ha nostalgia di Ruttoman. Come ben sapete io l’ho pure pubblicato in HP. Per quanto se la sia presa pure con me, col suo modo surreale di commentare, non mi ha mai dato particolare fastidio. Anzi, conoscendola è una persona talentuosa e simpatica. Ma se, dopo averlo avvertito più e più volte, che il suo proliferare di commenti e di nick, feriva – e giuro che “ferire” non è una parola detta a caso – qualcuno della redazione, se non ostante ciò insisteva – forse perché non davvero consapevole della ferita – perché dobbiamo sentirci in colpa se lo si banna? Vedete, la cosa curiosa è che lui per primo non ha mai rivendicato alcunché. Con signorilità ha detto: “ok, nessun problema”. Molti altri invece urlano, strepitano, sventolano paroloni, parlano di censura, regime, fascismo. Che è sempre quello degli altri, mai il proprio. Non ci vogliamo mai porre nei panni dell’altro, la certezza di avere ragione non ci abbandona mai.
    Oltre 50 commenti in neppure 24 ore (commenti, ben inteso, non sbracati) significano qualcosa, non trovate? Altri post, più densi, più approfonditi, non hanno ricevuto altrettanta attenzione. Perché qui, che ci piaccia o no, si parla di noi. Ma se il pezzo di Bertante è “debole”, perché non riesco a leggere una discussione “forte”? un salto di qualità? Qualcosa, qui, da parte di noi commentatori, che sappia “mettere in bolla” un tema, che, ci piaccia o meno, ci urtica?

  45. Elio, apprezzo la tua argomentazione. È vero, sarei più furbo ad agire in quel modo forse, ma ho questo chiodo fisso, in questo è vero che non sono abbastanza furbo, pretendo rispetto e pretendo il rispetto di quel protocollo, e il disprezzo personale non fa parte di quel protocollo. Non sono una statua, e non considero nessuno un cane, è per questo che non lo tollero, e mi ostino ogni volta a portare la discussione sul piano della battaglia di idee.

  46. Io invece sentivo che questo era un tema che doveva trovare modo di essere discusso. Sono felice che in fondo l’auditorio non ha schizzato fango, ma speravo che ci fossero commenti più strutturati e non semplicemente difensivi. Bertante non è uno scrittore che frequenta “da dentro” i blog letterari

    Beh se il tema era così importante …potevi scriverlo tu invece di lasciarlo a persone non competenti dell’argomento.

    Anzi, sono certo che uno dei due ne soffra assai. Lo viva come una continua violazione personale. Non permettiamoci di buttarla sempre in burletta. Quello che per te, o me, o chissà altri, potrebbe essere un simpatico commentatore […]

    Per me non è affatto un simpatico commentatore, anzi (a volte è intelligente ma simpatico proprio mai) ma neppure la gestione di lipperatura è simpatica. E lo dico con cognizione di causa visto che mi sono trovata nella condizione (io che NON sono affato permalosa o altro) di NON frequentarla MAI più, considerato l’atteggiamento “simpatico”, “civile” e soprattutto “democratico” degli stetti collaboratori e protetti di loredana lipperini. Io penso, a differenza di te, che i due e-poli si somiglino e che tutti e due vivano il loro personale anacronistico conflitto come una ferita (a modo loro naturalmente) che in fondo li gratifica.
    Nazione indiana è diversa, va detto che è quasi un miracolo di rete. Persino i suoi troll (o pseudo troll) sono fatti di una pasta diversa. Anche per questo è quasi incomprensibile il tuo aver postato un articolo così rozzo, come obbiettivamente è quello di bertante (non che quello della policastro sul manifesto fosse meglio,eh?) che sinceramente si adatta più allo spirito di altri vecchi e nuovi blog che a quello di NI Ma forse non è un caso che gli altri facciano gli gnorri e fingano di non saperne nulla se non in sporadici commenti ;-). Rozzo perchè della rete sembra capire poco o nulla, rozzo per mancanza di conoscenza e se un articolo del genere poteva anche interessare 10 anni fa è difficile che oggi possa provocare commenti strutturati e intelligenti (come da te desiderati) al massimo puoi sperare di far ciccia (cioè numeri), al massimo puoi sperare di provocare commenti ironici come il favoloso finale di stan (mi sono piegata in due dal ridere davanti allo schermo).
    Levami un’ultima curiosità: ma la foto del post l’hai scelta tu?
    E …. fateci i nomi dei famigerati 50 …. oddio a me sinceramente ne basterebbero 5 … si vede lontano un miglio che bertante preferisce lo stile iperbolico ;-)

  47. Detto tutto questo: ieri ho dedicato uno scritto caso di Baye Lahat, che ho cercato di far conoscere a livello nazionale. Non c’è stata là alcuna cascata di commenti. Eppure, per me quello è il senso del fare rete. Il resto, sono fastidiose incombenze connesse, a cui vorrei dedicare meno tempo possibile.

    • Caro Marco, hai ragione su questo punto, quindi ti rispondo qui per dirti che ho letto ieri stesso l’articolo sulla storia di Baye, e se non ho commentato è stato perché “incommentabile”, nel senso che l’unica parola che mi ripetevo ossessivamente era ed è: “pazzesco”. A volte le cose che hanno veramente rilievo, importanza e senso, vengono lette con pudore e anche – come in quel caso – con dolore. Quel silenzio (che altrove può essere diffusione) non significa necessariamente indifferenza, c’è molta più indifferenza qui, in questo ciarlare del nulla, credimi.
      ciao.

  48. Marco ma mica mi staraii diventando un po’ troppo lamentoso?
    di solito i post impegnati hanno pochi commenti, l’importante è leggerli non certo commentarli, i post fatui e leggeri invece si commentano in libertà e spesso manco si leggono, è cosa diffusa in rete.
    Poi siete buffi prima scrivete parole infuocate sulla stampa contro i commentatori (ultimamente direi che siano stati non più di 50 :-) e poi vi lamentate che non commentano … vedete di mettervi d’accordo con voi stessi.
    Il tuo tempo, a quanto dici, deve essere preziosissimo (a differenza di quello di altri) e quindi fai benissimo a “dedicare meno tempo possibile” alle cose futili e umorali. Ad ogni modo pure tu, e scusami se te lo faccio notare, hai dedicato all’argomento non un semplice post ma addirittura un articolo su un quotidiano nazionale. Sinceramente non me la sento di condannarti, ma se evitavi di farlo era molto meglio ;-)
    A proposito che titolo aveva il tuo articolo, dedicato a bertante, sull’unità che non sono riuscita a trovarlo? a me i particolari incuriosiscono sempre molto.

  49. Chi ha una certa età informatica ricorderà magari usenet. La maggior parte dei news reader, gli equivalenti dei moderni browser, avevano un kill file, un antenato di filtro anti-spam che eliminava dei messaggi sulla base di regole (come ad esempio il nome dell’autore del messaggio). La caratteristica importante è che il filtraggio avveniva direttamente sul computer del lettore, non sul server.

    Il vantaggio di questa soluzione è che lettori diversi possono avere regole di filtraggio diverso. Io posso decidere di eliminare i commenti di Dinamo Seligneri (è solo un esempio, neh?) altri che traggono invece profitto dalla loro lettura possono tranquillamente continuare a leggerli.

    Implementare un kill-file per i moderni browser lo può fare mediante estensioni e script. Chi adopera Firefox può installare l’estensione Greasemonkey [1] e preparare uno script per NI.

    Ad esempio, questo script fa scomparire i commenti di Dinamo Seligneri, di Georgia e di Larry Massino (di nuovo, nulla di personale, sono solo esempi):

    // ==UserScript==
    // @name Kill file for Nazione Indiana
    // @include https://www.nazioneindiana.com/*
    // ==/UserScript==

    var killfile=[
    “a[starts-with(@href, ‘http://ilpontelunare.blogspot.com’)]”,
    “a[starts-with(@href, ‘http://georgiamada.wordpress.com’)]”,
    “a[starts-with(@href, ‘http://accademia-inaffidabili.blogspot.com’)]”,
    ]

    for each (var item in killfile) {
    var snap = document.evaluate(
    “//div[@class=’comment-author’][” + item + “]/following-sibling::div[@class=’comment-text’]”,
    document, null, XPathResult.UNORDERED_NODE_SNAPSHOT_TYPE, null);
    for (var i = snap.snapshotLength – 1; i >= 0; i–) {
    snap.snapshotItem(i).style.display = ‘None’;
    }
    }

    Dovrebbe essere abbastanza chiaro come adattare lo script ai propri gusti.

    [1] https://addons.mozilla.org/en-US/firefox/addon/greasemonkey/

  50. “Se questo di Bertante fosse un pezzo “superficiale, mal posto, irrilevante, un salto indietro di 10 anni” a che tanta volontà di commentarlo? Di esserci a tutti i costi? Non sarebbe stato più logico evitarlo, lasciarlo in commentato, “non dargli da mangiare”?”

    @gianni: la tua ingenuità è davvero confortante. per te, più che altro ;-)
    direi che i tuoi 60 e rotti (ad ora) commenti te li sei meritati.

  51. Gherardo, le questioni “note ai più” non significa che non debbano essere riposte. Se la stampa e alcuni blog ci stanno tornando su è il sintomo di qualcosa. Io cerco con chi frequenta la rete da anni (me e te compresi) di ritornare a ragionare su certe cose, farne una verifica. Non credermi così ingenuo. Non crederti così sgamato.

  52. Il mio tempo è prezioso come quello di tutti, Georgia. Era per riportare il discorso sulla rete a quello che è il suo senso vero, tutto qui.

  53. più che seminatori d’odio molti commentatori sono dei tossici, avrebbero bisogno di stare in una comunità di recupero per sei mesi per poi ritornare a dargli il loro giocattolino tecnologico. :-)

  54. sì, gianni, scusami, ho perso la pazienza, ma per favore non fare il finto ingenuo (e io non farò il finto sgamato).
    che la questione dei troll sia sempre stata usata (tra le altre) in modo strumentale per sminuire un lavoro di critica e produzione che fuori dalla rete, ad un certo punto, non ha più trovato modo di darsi è, credo, una cosa su cui possiamo concordare. che a forza di esempi lampanti di serietà, profondità, professionalità, e tutte le altre -tà che ti vengono in mente, si sia riusciti a mostrare come tutti i caratteri che possono sembrare disfunzionali sono negli effetti i tratti di un modello culturale altro e, spesso, molto più dinamico e ricco di quanto sia quello su carta o in radiotelevisione, suppongo sia un altro punto di accordo.
    ora, se vuoi riproporre all’analisi uno di quei “tratti disfunzionali” per la centesima volta, va bene ma, almeno, mettiamo sul tavolo una qualche analisi di sostanza, non l’ennesima versione della vulgata per cui la rete è il regno degli insulti e delle scorregge.
    metterla così ti frutta certo un dato numero di commenti (in cui per altro ti vengono ribadite le stesse cose che in rete si ripetono dagli anni ’90, e quindi senza portare avanti l’analisi di un millimetro) ma dimostra solo che il pregiudizio (nel caso: di bertante) dà fastidio ai più e che i più cercano spesso di smontarlo. nel frattempo però hai dato spazio per l’ennesima volta ad un atteggiamento che non è tanto miope quanto ideologicamente orientato e che, in buona sostanza, serve solo a puntellare lo status quo.

  55. un po’ questo post mi ricorda la lista dei dieci omosessuali omofobi che tanto rumore fece in rete, e la tanto temuta deflagrazione ebbe il suono che fa un pomodoro sotto la suola di una scarpa. splash.
    qui poi non ci sono neanche i nomi, quindi non si capisce neanche di cosa si sta discutendo, qual è la linea di demarcazione tra il troll e il dissenziente.
    come già detto sono “rozze” le premesse, astiose, direi anche puerili.
    sarà un troll stan con i suoi dialoghetti, o bertante un flamer?
    chi è davvero, qui, il seminatore di odio?
    in ogni caso preferisco i dialoghetti di stan ai moralizzatori di grana grossa, e di odio se n’è sparso poco, tra i commentatori, con buona pace di bertante! :-)

  56. Concordo con molte cose che scrivi, Gherardo. Ma la mia domanda implicita è: perché dopo 20 anni di rete e 10 di blog, dopo che molto (tutto?) è cambiato, quando la rete ha trovato altri orizzonti, quando in molti addirittura parlano di morte dei “blog”, e quando molti dei pionieri di questa esperienza scrivono su quelle pagine culturali che 10 anni fa mai avrebbero accolto, perché proprio ora si torna a parlare di ciò e in questi termini?
    Parli di puntellare lo status quo, ma a me pare che lo status “ante”, 10 anni fa!, sia differente da quello “quo”. Non è cambiato niente nei pregiudizi reciproci? Com’è possibile?

  57. Poco da commentare sopra il caso
    di Baye Lahat;
    mandare mail, mobilitare
    la mia rete di conoscenze,
    questo è quello che devo fare;
    non c’è niente da discutere
    su quell’articolo,
    il luogo dei discorsi è definito:

    a Cagliari, domani, sede Asarp,
    in via Romagna, nella Cittadella
    della Salute, padiglione E,
    alle ore undici della mattina.

    http://stopopgsardegna.com/2012/01/14/avviso-di-conferenza-stampa-e-incontro-pubblico-i-diritti-negati-del-cittadino-senegalese-abdou-lahat-diop/

    @Biondillo

    Il cosa di cui sintomo è il discorso
    che stiamo qui affrontando tutti insieme
    è quell’insana voglia di una cattedra,
    la nostalgia di un pubblico plaudente,
    che dopo l’istruzione delle masse
    ed il livellamento culturale
    prodotto dalle scuole sopra tutti,
    è solo un’illusione lamentosa.

    E’ bello dar diritto di parola
    per farsi dire quanto si è migliori;
    ma quanto ci ferisce, poi, scoprire,
    che nelle vaste terre desolate,
    nascosti dal più grigio anonimato,
    esistano degli uomini capaci
    di demolire i tanti bei discorsi
    sui quali volevamo rinsaldare
    il nostro caro ruolo stabilito
    d’intellettuali, letterati, vati,
    coscienze critiche del mondo intero;
    e a furia di distruggere discorsi
    arrivano a mettere in dubbio il ruolo,
    il modo in cui l’abbiamo procurato,
    e il modo in cui lo perpetuiamo ancora,
    entrando nel profondo a disturbare
    il fondo scuro dell’anima nostra
    che da quel ruolo trae le sicurezze
    che le consentono di andare avanti
    dimenticando quel vecchio problema:
    “noi siamo gli uomini di paglia, siamo
    gli uomini vuoti”, i Bloom, lo siamo tutti.

  58. Questo è il classico caso in cui è impossibile prendere posizione.

    Epékho kài diasképtomai.

    Peraltro al sottoscritto, nella sua minimalità ontologico-letteraria, è capitato di perdere tempo a rispondere puntualmente anche alle male parole.

    (Con modi compassati, da Fassino prima maniera.)
    Forse si dovrebbero smorzare i toni da tutte le parti.

  59. Cinquanta piantatori di grane in quindici-venti anni di critica letteraria via blog: pochini. Sarebbe potuta andare meglio.
    C’è di peggio, di un gruppo poco nutrito di persone a vario titolo soddisfatte del loro parassitare: c’è l’indifferenza più completa.
    C’è gente che pagherebbe e c’è gente che paga, per attirarsi l’attenzione di un guastatore.

    La libertà d’espressione, per quanto la vogliono smenare certi commentatori, qui non centra niente. Uno che entra in un locale non suo per imbrattarlo, o impreziosirlo, con i suoi slogan, è uno che sta mancando di rispetto e di legalità, non uno che sta manifestando il suo diritto a dire e fare quello che gli gira.

    La libertà è che ciascuno, se si procura i mezzi e ne ha le capacità, può aprirsi un locale suo, e, sulla Rete, ciascuno può aprirsi il suo blog dove offrire a chiunque il suo pensiero.

    Libertà non è abusare dello spazio dei commenti concesso da un sito di letteratura online. Libertà è magari copiare il link che rimanda all’articolo e scriverci sotto le proprie considerazioni. Libertà non è approfittare della visibilità altrui per mettere in vetrina il proprio pensiero “contro”: meritevole o vomitevole che sia.

    Per questo trovo sia da pusillanime l’articolo sull’Unità di Bertante. Pensi sia ciarpame il contenuto di un commento al tuo articolo? Lo cancelli senza stare a pensare a censure di regime o a comportamenti fascisti. Poche ciance, basta un poco di ragionevolezza, non c’è bisogno di chiedere il permesso a nessuno. Il lettore va messo al suo posto, ch’è principalmente quello di leggere.

    Atteggiamenti diversi finiscono sempre con l’equivocare la benemerita tolleranza con il deleterio lasciar-fare. Seppoi la preoccupazione è di non volersi perdere un lettore che sia uno, per quanto piattola, e di non voler mai sentirsi chiamati censori e oscurantisti, da persone che sono la miglior giustificazione addotta dai censori e dagli oscurantisti per agire contro tutti gli altri, siamo di fronte a una mollezza coi suoi calcoli, una mollezza che i suoi guastatori se li merita eccome.

    Ragionare va bene, ma cadere nell’immobilismo da politicamente corretto è vizioso. Nazione Indiana è un collettivo che punta a rappresentare una autorevole voce critica, e non solo, della letteratura. Se ne prenda anche la responsabilità. L’uguaglianza non deve essere un gioco al ribasso, ma una sfida a far di meglio.

    Quindi, io propongo: boicottateli tutti, i boicottatori, fin quando il potere – moderatore – ce l’avete voi.

    Questo non significa che non sbaglierete. Non significa che sarete sempre giusti ed equi. Non significa che non sarete mai egoisti, opportunisti, furbetti, scorretti.

    Però spero non vi siate messi in testa di diventare proprio questo. Qui si parla di Letteratura, no? La Religione degli Uomini Probi lasciamola alle messinscene da Palazzo.

    Un saluto da lettore senza aspirazioni assolutistiche!,
    Coda

  60. I c.d. disturbatori sono ovunque in rete. Ed è vero che ti danno del fascista se li banni o li escludi dalla tua cerchia, impedendo loro di pubblicare commenti. E’ però anche vero che in materia letteraria è difficile creare dibattito, perché le persone che leggono non sono una moltitudine. Il loro scopo è attirare l’attenzione, come i bambini, che se non ci riescono con le buone, fanno i capricci. Proviamo a ignorarli, alla lunga (purtroppo bisogna aspettare), dovrebbero stancarsi.

  61. Leggo solo ora questo post e subito ho pensato: Chissà se

    @georgiamada

    ha commentato per prima o per seconda… beh, CVD, sta andando avanti ad oltranza, vedo…

    Le tattiche di geo sono le solite: in rete bisogna accettare tutto, non c’è nessuna diversità tra anonimi e chi scrive in rete da anni esponendosi di persona, chi è senza peccato scagli la prima pietra.

    Tutte cazzate.

    Ha ragione al 101%

    @ il Marco Rovelli del primo commento,

    quando è troppo è troppo, e non tutte le vacche sono nere.

    Questo tanto per iniziare.

    A

    @Raimo

    dico che compie un errore di analisi per troppa buona fede, quando cerca di spiegare il comportamento dei troll anonimi. Ti rendi conto, Raimo, di quante spiegazioni devi dare (per loro c’è la mafia letteraria, per loro non c’è un canone estetico ecc.) per giustificare un comportamento che mira a infangare la persona, a insultare, a impedire discussioni serie? Be’, quando le spiegazioni di un fenomeno sono tante e contorte e ne esiste una semplice e lineare, come diceva un certo Occam, quella è la prima da considerare. Ed é: si tratta di gente in malafede, che sa quello che fa, che si prefigge di fare tutto quel che fa, e che proprio perché si rende conto del danno che apporta resta anonima.

    Quindi, che la si finisca con i pagnistei, si identifichino i troll, per quanto possibile, e li si bannino, evitando di cascare nei ricatti morali (che sono fatti in malafede, che hanno un’etica perversa alla base) del: non siete democratici, non permettete libertà di espressione ecc.

    Aggiungo che accettare una discussione mettendosi sullo stesso piano di un troll è un atto civilmente discutibile, e che contribuisce a educare una generazione di adolescenti e giovani irresponsabili. Lo vedo ogni giorno a scuola. Ho conosciuto decine di adolescenti che si addestrano di pomeriggio a partecipare a discussioni, da anonimi, per il gusto di rovinarle e di offendere persone esposte in prima persona. Molti di loro sono dei fannulloni con poco talento. Ma alcuni sono molto intelligenti, i tipici ragazzi del “ha molte capacità ma non si applica”. E ci credo, si applica in cose più emozionanti, trasgressive. Sono gli stessi adolescenti che a lezione ti rispondono: “che cazzo vuole?” quando chiedi loro di stare in silenzio, gli stessi che negano l’evidenza quando vengono giustamente sanzionati per un comportamento scorretto, forse la rete li ha troppo abituati a ledere i diritti altrui potendo contare sull’anonimato e credono di poterlo fare anche nella realtà in 3D, ed è sempre uno svegliarsi da un sogno, per loro, accorgersi che la rete non la realtà.

  62. Scusate non riesco a star dietro alla discussione, ho problemi nella “realtà in 3d” che mi allontanano dalla rete.

    Dico, veloce, ad Antonio Coda che Bertante, forse, la pensa proprio come te, perché gli dai del pusillanime?

    E a Lorenzo: giuro che non ho capito la prima parte del tuo commento: manca una parte? Eri ironico, non lo eri? (ho letto male?)

  63. Non ero ironico, Gianni, Geo da sempre difende la presunta libertà di scrivere su internet tutto, insulti compresi, senza mai giudicare troll nessuno, mettendo sullo stesso piano troll anonimi e autori di blog esposti in prima persona, ed è molto brava ad intorbidire le acque su questo argomento, che le piace molto, e quindi mi aspettavo scorrendo i commenti di vederne presto uno suo, come è appunto accaduto.
    E cosa scrive alla seconda riga del suo primo commento?
    “Bertante parla come se i postanti dei blog (blog nominati da bertante) non usassero spesso gli stessi identici metodi dei commentatori accusati (anzi peggio visto che hanno, nel loro piccolo, più potere):-)”

    Le tattiche di Geo sono ormai note, no? Tutto sullo stesso piano. Troll? Sono come gli autori di blog. Anonimi e persone esposte in prima persona? La stessa cosa. Volete fare la morale a chi scrive per Libero? Il contesto non conta nulla, ognuno è libero di scrivere dove vuole e guai a giudicare la sua scelta (e voi che lo fate siete come lui ecc.). Volete boicottare Berlusconi? Allora non dovete farlo solo con Mondadori ma anche con questo e quest’altro, e dato che non è possibile farlo sempre su tutto, è sbagliato boicottare e basta. Per lei non c’è mai nessuna soglia da non superare, nessuna sfumatura da dare nei giudizi, nessun distinguo da fare, tutti fanno tutto e basta. E alla fine? Alla fine chiude con un sorrisetto, o anche due.
    A tutto questo si aggiunga una curiosità morbosa per il pettegolezzo (chi l’ha detto? ditemi i nomi!) e una certa pedanteria sul controllo delle fonti unita a una predisposizione al pensiero dietrologico – tutte cose, avrai notato, non a caso tipiche di chi pur essendo riconoscibile in rete, come lei, vuole mantenere l’anonimato.
    Non è forse così?

  64. Rileggendo, comunque, sento il bisogno di fare una precisazione.
    L’articolo si concentra su chi rende difficile la discussione nei blog, senza distinguere chi insulta da chi esprime giudizi critici nel merito. Nel mio primo commento mi sono concentrato su chi insulta, disprezza, o comunque entra nelle discussioni con l’intento dichiarato di spalare merda, anonimo o no.
    Il caso di Massino con Marco Rovelli è emblematico. Massino si è autodenunciato: ha dichiarato di voler fare una polemica becera con Marco, meritevole ai suoi occhi di tanto onore. Perché Marco avrebbe dovuto dire “accomodati”? Perché dare spazio a chi volutamente vuole entrare per spargere merda?
    Lo stesso si può dire, e a maggior ragione, con chi insulta la persona, chi dà del mafioso, chi cerca di squalificare l’interlocutore con la cultura del sospetto, della malafede – ripeto: è chi fa sempre così a essere in malafede.

    Nel caso in cui, invece, si voglia mettere in luce come molte persone intervengano nelle discussioni di critica letteraria esprimendo giudizi negativi in modo irritante, io ci andrei piano a bollarli come troll e a bannarli. Distinguerei sempre il giudizio sulla persona dal giudizio nel merito, per quanto superficiale e volutamente polemico, o intenzionato a depistare la discussione. Infatti, pur comprendendone il ragionamento, non sono stato d’accordo con Marco quando ha cancellato (se ricordo bene) un commento di chi irrideva come ridicolo il dichiarare eccezionale, storico o quant’altro un incipit di un libro se non erro di Aldo Nove. Se si tessono le lodi di un’opera letteraria, o di parte di essa in un blog aperto a tutti, mi sembra inevitabile dover accettare anche i più superficiali giudizi di chi considera quell’opera una schifezza. Anche se, mi rendo conto, o meglio immagino, che ci sarà chi ha studiato una tecnica da troll senza insulti volta a distruggere le migliori discussioni, e in quei casi occorre studiare bene, nello specifico, come arginare quell’intrusione.

  65. Rispondo a Gianni Biondillo:

    io condivido l’analisi di Bertante, ma non l’azione pubblica che ne fa seguire,nel senso: se c’è una cinquantina di persone, per di più in linea di massima già individuata, affetta da sindrome dell’abbandono, da rivalsa da complesso di sottostima eccetera eccetera, non li addito come inestirpabile teppaglia da una testata nazionale: molto più semplicemente gli tolgo la terra di cultura, li sbatto fuori per quegli incivili che sono.

    Ti chiameranno fascista, censore, blatereranno ancora battendo il ferro della vittima persistente con il quale si saranno voluti bollare a vita.

    Sarebbero due piccioni in un colpo solo: tu te ne liberi, e loro potranno continuare a pasciersi nella propria patologia, potendosi ancora credere vittime del mega-complotto alle loro spalle.

    (Ho volutamente tenuto fuori da questo commento ogni riferimento alla compassione, che pure ci vuole ed è alla base della rieducazione civile, ma spero che l’intento pedagogico si esplichi altrove, e non su questo blog di letteratura anche militante, non nel senso sinistroide, ma in quanto alternativa al mainstream).

    Pusillanime, vero, è un termine da bullo, scelto perché anche definire la sporca cinquantina come questo gruppo terribile di sonnambuli che toglie il sonno anche alla ragione degli altri è un calcare la mano.

    Conclusione del ragionamento: però ogni tanto lasciateli sfogare, nei commenti. Se sporcano qui, faranno meno danni altrove.

    Un saluto!,
    Coda

  66. marco rovelli il 8 aprile 2009 alle 12:33

    (Scusa Domenico se continuo l’OT)
    Tiziano, non capisco dove stia, in questa sede, la minorità ontologica nella scelta del nome “di fantasia”. Un nome è un segno sui generis che funziona per designare (anzi, per indicare) il soggetto di un’enunciazione. In questo funziona tanto quanto un nickname. Sta per qualcuno che può essere soggetto singolo o collettivo.
    La riconoscibilità – l’attribuzione di un’istanza a un soggetto in carne ed ossa, soggetto di una storia “reale” (ma cos’è reale?) – può far valore, sì, ma ciò è determinato dal contesto. In un contesto di parole e di argomentazioni, il ragionamento è garante di stesso, si garantisce attraverso la sua stesso auto-esposizione, nel suo far segno a se stesso: se è stringente, ciò che conta è la sua morsa, non chi lo impugna. Il nome, qui, coincide con l’efficacia dell’argomentazione.
    Io, qui, mi sono firmato con il mio nome vero (ma che cos’è “vero”?), ma il mio ragionamento avrebbe avuto il medesimo valore anche se mi fossi firmato “il garante”, per dire.
    Dire ad Alcor “io non so chi sei” (a parte il fatto che qui lo sappiamo tutti benissimo chi è – dunque, ancora una volta, il contesto) non inficia per nulla la qualità della sua istanza, che (giusta o sbagliata che sia) mette in questione un meccanismo, e insistendo sul piano logico e argomentativo richiede una risposta sullo stesso piano.

    https://www.nazioneindiana.com/2009/04/08/quale-qualita/

  67. vete visto che nella classifica, più o meno di qualità, la prima nella narrativa è Elena Ferrante? A lorenzo deve essere venuto uno stranguglione visto che è anonima.

    Occorrerà “studiare bene, nello specifico, come arginare quell’intrusione”;-)

  68. I troll fanno parte del sistema dei blog come le erbacce di quello del giardino. Chi è pratico della rete lo sa bene, così come sa che rimuoverli rientra tra i compiti del buon giardiniere, compito che svolge senza animosità poiché è consapevole che la loro presenza, ancorché fastidiosa, è normale. Per dire, a volte sul sito SIC, che mi capita di moderare, arriva qualcuno che, rigorosamente senza argomentare, dice che la scrittura collettiva è una vergogna (e bla bla). Dopo un paio di ban non si fanno più vedere.
    Credo altresì che danno al dibattito cagionato dai troll, almeno laddove vi sia un giardiniere, sia davvero molto piccolo, se non prooprio nullo. Esiste peraltro un’alternativa, praticata con successo da alcuni, che è il blog senza commenti.

  69. Se le pubblicazioni fossero sempre come
    quella sul caso Baye Lahat, informazione
    di servizio, oppure come quella sopra il mito
    di Daniele Ventre, accademica, approfondita,
    non avremmo nessun Troll di cui parlare male:
    nel primo caso conta la diffusione, certo
    non il dibattito in sede di commento, conta
    l’aggiornamento sulla situazione, non certo
    lo scatenato confronto di ideali e sberle;
    nel secondo caso, per potere dissentire,
    dovrei maneggiare la materia, l’apparato
    bibliografico di riferimento, sarebbe
    davvero ridicolo tentare un arrembaggio
    alle argomentazioni con una breve nota,
    sarebbe più sensato scrivere, in altro luogo,
    una risposta in grado di entrare nel profondo
    allo stesso livello; in sede di commento,
    il meglio che si possa, è suggerire i link
    in cui quella risposta possa essere trovata,
    se se ne ha conoscenza, altrimenti stare zitti
    (il troll non ha, non dico appigli, ma neanche voglia
    d’impegnarsi in discussioni di un certo livello,
    lampante sarebbe la giustizia nel suo bando
    qualora intervenisse in quelle discussioni).

    Ma se già l’articolo che viene pubblicato
    è superficiale e pieno di livore, falso
    nel suo furore generalizzante, robaccia,
    insomma, da giornale; com’è che si pretende
    da chi commenta ciò che non si è in grado di dare?
    Se la premessa della discussione è viziata,
    così sarà la discussione, ed ogni caduta
    di stile, ogni ridicola invettiva sul niente,
    troverà il suo spazio d’elezione, la sua casa.
    E se poi non c’è pazienza nell’incomprensione,
    volontà di tradurre i linguaggi frammentati
    del presente, esploso in mille pezzi, l’uno all’altro,
    come ben spesso è capitato di vedere,
    conviene chiudere le sezioni dei commenti,
    smetterla di fingere interesse ad un discorso
    che trae la sua ragion d’essere da un’eguaglianza
    di principio, non di fatto (il che poi sarebbe
    per forza appiattimento, invece che uguaglianza).

    Infine: per esser disturbati dai commenti,
    bisogna prima leggerli, bisogna, insomma,
    testimoniare l’importanza che si è dato
    ad un contatto con la gente random che passa
    e decide di fermarsi il tempo necessario
    ad iniziare una qualche comunicazione;
    di gente stronza è pieno il mondo e non ha senso
    macerarsi sulla sua esistenza, inseguirla
    sul suo terreno d’elezione, poi (l’invettiva
    generalizzante a cazzo di cane), mi pare
    sia il modo per mostrarsi alquanto somiglianti
    ad essa, solo con mezzi di molto superiori,
    perchè tra un articolo di giornale ed un commento
    sul blog di qualcun altro non c’è alcun paragone.

  70. ma un bel “non ragioniam di lor” etc? capisco che possano spesso urtare, ma è appunto quello che vogliono..non dar loro retta è l’unico mezzo, anche perché i 50 o i 5 a ben vedere ripetono sempre un’identica loro solfa

  71. Ribadisco quel che dissi, Winston. Infatti la questione non è quella del nickname in sé. Ma è quella della modalità dell’interlocuzione.

  72. […] Link al post di Alessandro Bertante e Marco Rovelli sui Troll 0.000000 0.000000 Share this:FacebookStumbleUponDiggRedditTwitterEmailStampaLike this:LikeBe the first to like this post. Taggato con: alessandro bertante, blog letterari, dibattito in rete, Il Fatto, marco rovelli, nazione indiana, rubriche, saturno, solo 1500, Troll, Trolley Pubblicato in: articoli, ATTUALITA', gianni montieri, Rubriche, solo 1500 ← Inediti – di Mirella Crapanzano Commenta per primo […]

  73. Ora che la tempesta di commenti sembra che si sia placata, posso riflettere sul fatto che la massima parte dei pronunciamenti sono negativi, a volte perfino sprezzantemente, sull’articolo di Bertante.
    Come in altre occasioni, vedo che la tentazione di distruggere una tesi che si considera errata è così forte da non fare vedere come il silenzio sia la condanna più forte, l’unica realmente definitiva, mentre la stessa decisione di partecipare al dibattito conferisce al testo una sua dignità, ne giustifica per questa stessa scelta di intervenire un suo significato.
    In ogni caso, trovo infantile credere che esista un modo ottimale per risolvere un problema così strettamente connesso alla nostra stessa natura umana ed ai rapporti interpersonali che non può che trovare risposte particolari, differenti volta per volta.
    Nel mio blog, non affermerei mai che non censurerò mai, anche se l’avrò fatto in due anni cinque o sei volte. Allo stesso modo, non pretendo di dare dignità teorica alla scelta, ripeto occasionale, di censurare un commento, lo reputerò il male minore e quindi sarò pronto ad assumermi i costi inevitabili di tale scelta: ma non facciamo sempre così nella vita, cosa c’è da teorizzare su una questione come questa?

  74. Io credo che ci si possa solo vergognare di firmare articoli quali quello apparso il 7 gennaio scorso su ‘Saturno’, l’inserto culturale de “Il Fatto Quotidiano”, segnalatomi ieri da Paolo Ferrucci. Intanto il titolo:

    SEMINATORI D’ODIO (sic)

    Cazzo, si palerà sicuramente della questione palestinese, o del nodo balcanico, o del dissidio ceceno… pensa subito uno. E invece no, Nino dei Lupi, che lo stesso Giulio Mozzi ha paragonato a chi prende a cannonate le mosche, ha poi chiarito senza alcun senso del ridicolo che intendeva alludere a un plotoncino di circa cinquanta troll (“Eran cinquanta, eran giovani e forti, e li vorremmo morti”) che, a suo dire,

    “impediscono che nasca un serio dibattito letterario in rete, inquinando il lavoro di molte persone oneste e preparate (e penso a Nazione Indiana, Lipperatura, Vibrisse, Sul Romanzo, La parole e le cose, Satisfiction, Scrittori precari) che stanno faticosamente cercando di creare nuovi luoghi di autorevolezza critica”.

    Tutti sanno che in rete le mode passano in fretta: dopo la fase dei newsgroup, attualmente è in forte declino proprio quella dei blog. Quale miglior pretesto, per alcuni blogger sempre più lagnosi e nevrotici, per giusitificare la propria perdita di visitatori, che darne la colpa ai commentatori non in linea con il loro pensiero (per ‘troll’ intendono soprattutto questi) ?

    Curiosamente SCOMPARSO il mio commento lasciato ieri, in cui ricordavo per l’ennesima volta come sia stato RETROCESSO A TROLL da Madame Lipperini, (“regina dei troll” in un post satirico di sua cugina Lapeperini) dopo anni di tranquilla frequentazione di Lipperatura, solo dopo aver preso a dileggiare il movimento autoreferenziale New Italian Epic, e di come la mia stessa raccolta di post satirici “LA BUFALA DEL NEW ITALIAN EPIC” sia stata rimossa dal catalogo di ilmiolibro.it di Repubblica.it (acquistata anche da un critico letterario): forse unico esempio di CENSURA LIBRARIA dai tempi della abolizione dell’Indice dei libri proibiti.

    Altro che troll seminatori d’odio. Sti qua seminano sempre più squallidi inviti alla censura…

    Eccetera. Il resto da me.

  75. Fatto sta che l’articolo di Bertante non mi piaceva. Dopo certe idiozie che ho visto qui e altrove e certe prese di posizione oltre ogni tollerabilità, comincio a capirne il senso. C’è poi da credere che alcuni fra quelli che sollecitano a fare i nomi possa esserci qualcuno in mala fede pronto alla minaccia di querela. Solita merda italica.

    • Inutile parlar dei trolleggianti
      che traviano le sane discussioni:
      il troll è un mostro obeso che le ingoia,
      le discussioni, nei nomi e cognomi

      che invadono lo spazio del commento,
      del tema dato all’argomentazione,
      per lasciar spazio all’altarino sacro
      del piccolo amor proprio di ciascuno,
      un mostro che sprigiona dal furore
      egomaniaco dell’Autore e del suo doppio,
      antitesi che vuole spodestarlo
      dal pulpito, dal trono, dalla cattedra:
      il troll è sintesi.

  76. Lucio, e qui la chiudiamo che abbiamo altro da fare tutti, il pezzo non è finito in archivio, altrimenti come potresti commentarlo?

I commenti a questo post sono chiusi

articoli correlati

Non chiamatela Banlieue

di Gianni Biondillo
Innanzitutto: non è una banlieue. Smettiamola di usare parole a sproposito, non aiuta a capire di cosa stiamo parlando. E, a ben vedere, non è neppure più una periferia. Dal Corvetto a Duomo ci vuole un quarto d'ora di metropolitana, siamo ormai nel cuore della metropoli lombarda.

Il venditore di via Broletto

di Romano A. Fiocchi
Sono trascorsi molti anni ma mi ricorderò sempre di quel giorno gelido di fine gennaio in cui lo incontrai. Lavoravo come fotoreporter da circa tre mesi, mi aveva assunto in prova l’agenzia Immaginazione.

Il cuore del mondo

di Luca Alerci
Vincenzo Consolo lo incontrai, viandante, nei miei paesi sui contrafforti dell’Appennino siciliano. Andava alla ricerca della Sicilia fredda, austera e progressista del Gran Lombardo, sulle tracce di quel mito rivoluzionario del Vittorini di "Conversazione in Sicilia".

Apnea

di Alessandro Gorza
Era stata una giornata particolarmente faticosa, il tribunale di Pavia l’aveva chiamata per una consulenza su un brutto caso. Non aveva più voglia di quegli incontri la dottoressa Statuto, psicologa infantile: la bambina abusata coi suoi giochi, i disegni, gli assistenti sociali e il PM, tutti assieme ad aspettare che lei confermasse quello che già si sapeva.

Spatriati

Gianni Biondillo intervista Mario Desiati
Leggevo "Spatriati" e pensavo al dittico di Boccioni: "Quelli che vanno", "Quelli che restano". Il tuo è un romanzo di stati d'animo?

La fuga di Anna

Gianni Biondillo intervista Mattia Corrente
Mi affascinava la vecchiaia, per antonomasia considerata il tramonto della vita, un tempo governato da reminiscenze, nostalgie e rimorsi. E se invece diventasse un momento di riscatto?
gianni biondillo
gianni biondillo
GIANNI BIONDILLO (Milano, 1966), camminatore, scrittore e architetto pubblica per Guanda dal 2004. Come autore e saggista s’è occupato di narrativa di genere, psicogeografia, architettura, viaggi, eros, fiabe. Ha vinto il Premio Scerbanenco (2011), il Premio Bergamo (2018) e il Premio Bagutta (2024). Scrive per il cinema, il teatro e la televisione. È tradotto in varie lingue europee.
%d blogger hanno fatto clic su Mi Piace per questo: