da “Previsioni e lapsus”
di Luciano Mazziotta
Avvenimenti
Succede. È successo più volte
sempre quasi fuori quadro di sbieco
tra le tempie e le lenti.
Succede che qualcosa si rompe
che si sgretola il soffitto sul sofà
appena intravisto nell’atto
di cedere, di essere cenere
bianca: crepa.
Avviene un principio
un seguito e un esito
che mentre succede accade una svista
ma già sapevamo sarebbe successo
che il bicchiere sull’orlo sarebbe
caduto.
Succede e anche spesso
dell’altro di fianco, un alone
di fatti, un lenzuolo disteso
che si alza atterra in giardino e ricopre
la nostra visione: un ospite
atteso e la pioggia di rane.
*
Promemoria
“Tutto col tempo diventa memoria”
(Aristotele, De memoria et reminiscentia)
…e dei lapsus, che farne dei lapsus?
Se ogni volta che inciampi interrompi
un tuo ciclo vitale, è per perdere il filo,
per riprendere fiato e iniziare
da un indizio non valutato.
La linea si spezza: è naturale si spezzi.
Prendi ad esempio la Karl-Marx-Allee:
la memoria è geometrica; la storia è
compatta, compatto è l’asfalto:
non ci sono buche né vuoti.
Gli edifici non ammettono fughe
né pause, se pausa è un salto tra tempi,
da un ordine ordinario a un atto involontario:
come quando ti chiamo col nome
cui vagamente pensavo e diventi
proiezione casuale di una faccia
che niente ha a che fare con l’originale.
Sì, ma dei lapsus, quanti lapsus
per fare una storia? In un’eternità
avremo tutt’al più formato un’anamnesi,
una vaga sensazione di ricordo –
come quel rumore intermittente
della freccia avvertito in dormiveglia
dopo un lungo tratto di autostrada.
Risvegliarsi è avere scelta: uscire
dai percorsi obbligati,
incontrare tombini e sostare.
Non sono eventi ma dati,
interferenze che tessono
un tappeto di dettagli marginali
al di sotto della microstoria:
sbadigli distrazioni impulsi
o scarti
necessari:
come le parole
dette giornalmente in modo compulsivo:
tu inciampi su reperti pentole cucchiai
conservati in pessimo stato e da qui
io ti scrivo.
*
Diminuitivi
A forza di ridurre e di sottrarre
resta ben poco: vocaboli affettivi
senza affetto, vezzeggiativi
privi di alcun vezzo e i diminutivi
che colgono ogni aspetto della vita
per difetto.
Ogni prova è provino e ogni camera
è camerino in cui inscenare
una sparizione per ossidoriduzione,
nell’ansia di accorciare
le distanze con chi o con cosa
è superfluo saperlo, basta
ridurre i tempi di percorrenza
o non percorrere affatto. Così
ridotti da comparire in riviste
criptozoologiche, quale grandezza
potrà ridarci corpo? Quale
misura renderci all’altezza?
Quale volume riempirci di spessore?
Quale tumore di diminuitivi
partorirà animali non più nascosti
ma attivi?
*
Trasloco
Sono cose queste che sposti. Cose:
Accumulo sui mattoni costosi.
Cose disabituate ad essere usate.
Ho portato contenitori capienti
che possiamo riempire di oggetti
sollevati da terra coi guanti e
gettati nel fondo dei recipienti.
Il passaggio
è epocale: dal pavimento
al cartone, dal disuso all’imballaggio:
è un ritorno allo stadio iniziale
che il soffio vitale del disinfettante
accelera – uccide batteri e inibisce
il contagio tra il mio tatto attuale
e quello remoto:
Anch’io domani
trasloco con gli altri cimeli
distinti in base a criteri
di inutilità e possibilità
di trasporto.
Qualcosa è disperso
qualcosa è nascosto qualcosa
è in attesa di disposizione
in un altro cartone e bisbiglia
la cosa che teme accoglienza negata.
La camera è già semivuota.
Ti metti seduta a osservare
la mia frenesia di bilancio:
l’ultimo slancio – il frigo calato
in balcone – ed è ora
di chiudere a chiave gli avanzi
esclusi unanimemente o in conflitto:
domani anche noi saremo in affitto.
*
Conversazione in ascensore (scala Alfa)
In due nell’ascensore si sta stretti.
È già evidente dalla porta
così minuta che permette
l’accesso uno alla volta:
io entro, lui aspetta,
cede il passo
– prego, avanti, vada lei. Ringrazio.
Occupo lo spazio calcolato
per non essere d’impaccio
– scongiurare il contatto. Si chiude la porta
e si parte.
Davanti a noi lo specchio. Si specchia
lui, l’altro, riflette, evitando
i propri occhi
ché quest’incontro gemmerebbe un terzo
e un nuovo coinquilino benché piatto
accrescerebbe l’imbarazzo: saremmo in tre poi
in quattro
se eventualmente decidessi anch’io
di seguirlo nella forma o nel riflesso.
Lo seguo. Mi adatto ai suoi gesti. Mi metto
in posizione davanti al riflettore.
Lo vedo scrutarsi imperfezioni
sul proprio duplicato, scovare cicatrici
acme sproporzioni. Lo vedo sbuffare.
Replico, sbuffo e cerco
le mie anomalie.
Le immagini rifratte
inosservate dirigono
l’immedesimarci
l’inseguimento all’uno – ognuno è imitatore ed
imitato,
sceneggiatore e attore di un film
sottotitolato, seguace e antesignano.
Si apre la porta dell’ultimo piano:
Scendo, mi scusi, mi scindo.
Lui prosegue il mio incubo di ascensioni
su piani illimitati, d’altezza inarrivabile
di sconosciuta origine.
Persegue la vertigine
nei segnali analogici che indicano
“posizione di cabina numero 3000”,
corporeità già erasa.
Scendo, mi scusi, mi scindo,
– si apre la porta di casa –
ho ancora bisogno di base.
LuxLu, una gioia leggerti, sempre.
con/cordo -complimenti
(sto rileggendo Dario Villa : credo che qui siamo a quei livelli, alti)
cielo, e io che pensavo che mazziotta fosse ‘solo’ fine commentatore e critico… e invece, guarda qua che poesie fantastiche, poesie curatissime ma piene d’agio, poesie precise, presenti al reale ma con scarti, con raptus tutti singolari, con canto aperto e angolo personale, tutto un solido armamentario poetico di rime, simboli, ritmo, colta meditazione messo in scena con timbro limpido… insomma: uno stile!
Sono molto felice di questo post, in particolare di queste poesie, che in parte già conoscevo. Luciano ha sempre avuto un suo stile ben riconoscibile, lo si nota anche nei suoi testi più vecchi. Un gran controllo, un ottimo dosaggio della terminologia che è, sì, attuale ma che non disdegna (non ha paura) di usare parole meno “comuni”. In questi nuovi testi c’è uno
scatto in avanti importantissimo. Luciano Mazziotta ha scelto, almeno per ora, la maniera in cui vuole scrivere, in quale direzione debbano andare i suoi versi. Il reale viene analizzato, scrutato, domandato e ogni tanto compreso. Ben restituito a chi legge, che non può restarne che affascinato e coinvolto. Di queste nuove poesie, infine, mi convince la grande sicurezza nello sviluppare un concetto a lungo, garantendo la tensione dei versi (che non sono pochi) dal primo all’ultimo. Ho stima di Luciano e stasera sono contento. Ringrazio Andrea per aver proposto i suoi testi qui.
Ringrazio tutti per i commenti e gli apprezzamenti.
Ringrazio Andrea per avere postato queste poesie ma anche (non solo ma soprattutto) per La Distrazione e per l’incredibile prefazione alle poesie di Jean Jacques Viton: i due testi che mi hanno più aperto gli occhi su “quello che si vede” dei resti.
tornerò successivamente meglio a rispondere a REnata ed a Gianni.
Bello trovare qui questi testi. Un piacere leggerli e rileggerli. Eh, si. Sono versi densi e allo stesso tempo pieni di vuoti. Perché per me l’originalità di Luciano sta soprattutto in questo muoversi a zig zag tra i tic della quotidianità, senza mai inciampare negli spigoli. Anche quando si finge spettatore di un teatro delle cose, che è spesso uno spettacolo di mimi se non un teatro d’ombre, c’è in lui come l’irrequietezza di provare ad andare oltre quei riflessi, oltre la volontà dei gesti. Grazie Andrea e grazie Luciano.
Ho letto su vari siti i commenti di Luciano, sempre sottili e di incredibile precisione. Adesso leggo io suoi versi che mi ricordano certe cose di Dario Villa, come è stato detto, e mi sembrano rientrare in quella che potrebbe essere definita un ripensamento della lirica. Anche Andrea con La distrazione mi sembra un giusto accostamento. Complimenti!
Molto interessanti.
Strumenti a parte (una versificazione piuttosto “arrotondata”, con rime, assonanze, ecc. a sorreggere un periodare dall’arco strutturalmente equilibrato, regolare), attitudine prima del soggetto poetante mi pare in questi testi l’illustrazinoe di un concetto, il ragionamento e la deduzione di senso, verità e pregnanza a partire da un esempio o da una situazione elementare, esistenzialmente collegata o innescata (attitudine “didascalica”, per così dire, che per certi aspetti mi sembra accomuni questi lavori a libri, peraltro abbastanza diversi, come “La distrazione” e “L’attimo dopo”).
Complimenti e saluti,
Alessandro
Luciano è Luciano, con il suo stile e le sue deduzioni a punta di lancia “arrotondata,” come osserva Broggi, eppure ugualmente testarde e ficcanti anche se a volte un minimum di asciugamento in più non nuocerebbe ma il tempo è tempo e aver uno stile e la sua età sono atout non indifferenti, auguri
Avevo già letto qualcosa di questo libro su “Imperfetta Ellisse”. Un modo interessante, schietto di fare poesia. Non si perde in sfumati lirici e comunica, si segue bene. Per mio gusto personale (ma ripeto: è solo il mio gusto e non mai un “difetto” dei testi!) il tema è fin troppo esposto (non a caso si parlava di didascalismo), la poesia ruota troppo scopertamente intorno ad esso, come se volesse a ogni costo “dimostrare”. La musicalità è evidentissima, talmente cantilenante (per come la leggo io) che mi conduce con agio verso la fine del testo, mentre mi sarebbe piaciuto un maggiore gioco tra slancio e impedimento, un contrappunto tra narrazione e qualche condensamento: il semplice punto di vista di un coetaneo. Ciao!
Vi ringrazio uno per uno per i commenti e gli spunti.
Vorrei fare delle piccole notazioni, sul mio lavoro, proprio partendo dai problemi che sollevate come “Modelli”, “Posizione-prospettiva”, “Lingua-Stile”, ed in questo senso vorrei rispondere pubblicamente a quanti hanno detto anche in privato qualcosa su questi testi.
Sui Modelli.
Enrico e Vincenzo parlano di Dario Villa, Alessandro e Vincenzo parlano di Andrea Inglese, altri in privato hanno trovato sfondi “pascoliani” e assonanze con Giudici e Caproni.
Rivelo che, fatta eccezione per Villa che conoscevo pochissimo e di cui ho ordinato il libro proprio oggi su vostro suggerimento – e che mi ha stupito per la veridicità del vostro accostamento -, c’è tutto questo nella mia formazione e nelle mie letture.
Se il punto, tentato ma non sempre raggiunto, di questi testi è dare voce agli oggetti, agli scarti, Luciano Anceschi – altro nome per me più che importante per l’elaborazione di una poetica astratta che non so se sempre riesce ad attuarsi – in “Le istituzioni della poesia” iniziava il suo saggio mettendo proprio in evidenza l’importanza futura che avrebbe avuto Pascoli in tutte quelle poetiche dell’oggetto che si sarebbero affermate nella cosìddetta linea limbarda e che sarebbero tornate per ondate nel corso di tutto il Novecento, aggiungerei ora io, con un revival degli anni 0. Penso ad esempio ad Inglese e a Giovenale, ed alla bellissima traduzione di Giovenale di quel poema di Jennifer Scappettone, Poema oggettuale.
Ora il punto è, al di là di Pascoli, nei confronti del quale mi sono sempre sentito attratto, fare notare che dei rifacimenti di Pascoli sono state scritti tanto da Giovanni Giudici – antiavanguardista fino all’estremo – e da Sanguineti – che in un certo senso è stato quello più fedele alla linea novissima. Cosa c’entra tutto questo con la mia poesia? C’entra perché parlare di modelli oggi significa, a mio parere, relazionarsi con una confusione babelica di giganti del secolo passato, travalicando le soglie dello scontro poetico che ha caratterizzato tutti i “pro” e gli “anti” del Novecento. La mia genereazione non può che attenuare la militanza nei confronti del passato – a canone più o meno strutturato – e dunque rapportarsi molto disinvoltamente con Giudici e con Sanguineti, con Montale e con Pagliarani, con Corrado Costa e con Franco Fortini. Quindi, sì dei modelli ci sono ma proprio dalle vostre reazioni mi sembro confortato: significa che in un certo senso è riuscito il compromesso – in piccolo ovviamente – tra lirica-monodica e sperimentalismo.
Su i nuovi poeti citati anche da Alessandro: La Distrazione per me è stato un libro fondamentale. L’attimo dopo l’ho molto apprezzato. E poi, ancora sui noverrimi, annoverei per tante ragioni della mia formazione in questi anni anche Ogni cinque bracciate di Frungillo.
Sulla prospettiva e lo sguardo.
A reificazione ormai data l’oggetto si può o solo guardare o tentare un’assimilazione e quasi un’identificazione con esso. Renata Morresi parla di testi “presenti al reale ma con scarti” e Gianni Montieri di “reale analizzato e ogni tanto compreso”. Il mio intento è focalizzarmi su quell’ogni tanto, non perché ci siano dei “barlumi” di comprensione ma perché la comprensione, l’atto cognitivo di un tutto può sorgere, nella mia presente elaborazione, solo dall’interstizio e dal sommerso. Il macro non è stato così tanto falso e abusato. Il micro ci domina – faccio in questo caso l’esempio dei bit. La scommessa è una “storiografia poetica” antierodotea: se Erodoto introduceva i suoi libri volendo “impedire che perdano la dovuta risonanza imprese grandi e degne di ammirazione realizzate dai Greci come dai barbari”, l’intento è proprio opposto: ridare un senso ed un valore “conoscitivo” alle piccole cose come sbagliare il nome di una persona con la quale si sta parlando, o una conversazione in ascensore. Non a “buone cose di pessimo gusto” ma a cimeli e suppellettili. Quanto a quest’ultimo punto mi sento di ringraziare particolarmente Alessandro per le sue parole.
Sulla lingua e stile.
In un modo o nell’altro i commenti di Renata, di Vincenzo e di Alessandro vanno verso un’unica direzione. Renata parla di “solido armamentario”, Vincenzo di ripensamento della lirica e Alessandro di versificazione “arrotondata” e Viola auspica un “asciugamento”. Nell’ultimo incontro di Ricercabo Ivan Schiavone, mio coetaneo, diceva che la nostra generazione vive in una condizione di “lirismo di ritorno”. Sposo in pieno questa definizione, spingendomi oltre e chiamandola, in certi casi “classicismo compulsivo”, con il quale intendere l’ansia, repressa e quasi impossibile, visti i modelli e i giganti che ci troviamo alle spalle, di chiudere il verso in strutture tradizionali quali l’endecasillabo, il novenario e il settenario. In alcuni casi è chiaro che si rischia il manierismo, in altri, basta mettere il verso-gradino per “fingere” sia il verso chiuso che il verso libero. Entrambi sono una finzione perché alla fine il risultato non è in ogni caso quello progettato. Quanto alle rime sono fermamente convinto che 1) bisogna restituire validità filosofica e “conoscitiva” alla rima, per tanto tempo, vedi il gruppo 93, utilizzata con sfondi ironici o, pirandellianamente, umoristici, come nel caso di Patrizia Cavalli – altro mio punto fermo. 2) La rima, l’assonanza può essere a-funzionale, ovvero non si tratta di una messa in rilievo ma di “compulsione ritmica”: insomma, se consideriamo, sulla scia di Agamben, le due grandi aree della poesia come “elegiaca” o “innodica”, col ritmo compulsivo mi piace l’idea di restituire un tono “innodico – e uscita da sé” all’elegia e un tono “elegiaco – e regressione al sé” all’inno.
Come al solito ho scritto dilungandomi e facendo una sorta di “autoanalisi” o, meglio, “autodiagnosi” delle patologie di questi testi…spero di non avervi annoiato o di non essere risultato banale. Erano dei concetti che volevo esporre. Vi ringrazio ancora per l’opportunità. Non me ne vogliate per la lunghezza e l’ “autocommento”.
un saluto ed un ringraziamento a ciascuno di voi.
Luciano
Conosco le poesie di Luciano da un pò di tempo, ho letto alcuni suoi versi tratti da ” Città biografiche” e altre sempre pubblicate col titolo ” Previsioni e lapsus” su Absolute che già comprendevano anche due delle poesie pubblicate su Nazione Indiana: ” Trasloco” e ” Conversazione in ascensore”. Leggendo queste nuove poesie, non posso che essere pienamente d’accordo con Gianni Montieri, quando dice che Luciano ” ha scelto un percorso” e ” ha fatto” uno scatto in avanti nel suo modo di intendere il proprio lavoro e la continua rappresentazione del mondo e del reale.
Sposo anche l’accostamento che hanno fatto Vincenzo Frungillo e Alessandro Broggi avvicinando la poetica di Mazziotta a quella di Inglese e Gezzi.
Io, di mio, metterei anche il Pagliarani di ” Lezione di Fisica e Fecaloro” e il Majakovskij dei poemetti più apocalittici, tipo ” A piena voce”.
I pezzi che mi sono piaciuti di più in assoluto sono il finale di ” Avvenimenti”, direi quasi da epifania:
” Succede e anche spesso/dell’altro di fianco,un alone/ di fatti, un lenzuolo disteso/che si alza atterra in giardino e ricopre/la nostra visione:un ospite/ atteso e la pioggia di rane”.
Apprezzo molto anche alcuni pezzi della seconda poesia ” Promemoria”:
” La memoria è geometrica/la storia è compatta/ compatto è l’asfalto/ non ci sono buche nè vuoti”.
Versi che spiegano la continua ricerca di Luciano, nella perfezione geometrica e reale della storia e della filosofia; altre due fonti e matrici della poesia di Mazziotta.
Infine un altro pezzo bellissimo e riuscito della seconda poesia è: “Risvegliarsi è avere scelta: uscire dai percorsi obbligati/ incontrare i tombini e sostare”.
In questi versi si muove una libertà di movimento e di strasformazione adatta e riuscita.
Chiudo dicendomi d’accordo con Luciano quando parla delle sue poesie, dicendo che il compromesso tra lirica e sperimentalismo è riuscito.
Non solo in queste poesie si da senso alle piccole cose del quotidiano, ma le si conosce nell’interezza di qualcosa di unico per noi.
Complimenti a Luciano e grazie ad Andrea Inglese per averle pubblicate.
con ritardo, Luciano, leggo i tuoi testi e mi colpisce soprattutto “Avvenimenti”, che non conoscevo e che pare a me il più convincente (insieme anche alla narrazione-indagine se vogliamo filosofica di “Conversazione in ascensore”).
Mi sembra che tu abbia – in “Avvenimenti” particolarmente – con decisione risolto quei problemi di “tono” che inficiavano parte dei testi del tuo primo libro: è stato notato, giustamente, che hai intrapreso un percorso preciso, nettamente delineato: in questo percorso, l’approccio raziocinante e discorsivo, l’accumulo se vogliamo di exempla probanti, la tendenza insomma illustrativa notata anche da Broggi, realizzano un ventaglio di funzioni incardinate in versi assai composti e misurati e che soprattutto – eccetto forse che nel caso di “trasloco”, in specie là dove scrivi: “Il passaggio / è epocale” – non patiscono più quella che alla mia sensibilità appariva come una fondamentale indecisione tra ironia e serietà (sembrerebbe tu abbia scelto, dunque, anche *quale* Giudici tenere in immagine; di Sanguineti, e nei tuoi versi vedevo soprattutto indizi del Sanguineti esegeta di Gozzano, mi sembra sia rimasto ben poco). C’è molto lavoro, insomma, anche per quanto riguarda la volontà di posizionamento in una più o meno precisa area della produzione contemporanea, la scelta e costruzione di una propria genealogia e di un proprio contesto, ecc. In qualche caso questa “volontà” si sente anche troppo, e il materiale culturale, il *sapere* che precede l’atto concreto della scrittura, ha il sopravvento, con esiti che rischiano qui e là la didascalia o l’ “estetizzazione=traduzione in versi” dello stesso *sapere* previamente dato, accertato (come a dire: io spezzerei una lancia in favore di un controllo retorico minore – con una battuta: meno previsioni, e più lapsus). Sono notazioni frettolose e probabilmente grossolane, ma volevo lasciarti almeno uno stralcio di riflessione prima di farti, anche io, i miei complimenti.
un saluto e a rileggerti,
f.
Innanzitutto mi scuso con Luca e Fabio
per il ritardo con cui rispondo ai loro commenti densi di spunti. In secondo luogo vi ringrazio e provo questa volta a non dilungarmi.
Luca vede nei miei testi il Pagliarani di Lezioni di fisica & fecaloro e il Majakovksij apocalittico. Io non li avevo citati proprio perché, come ben sai, questi due autori per me costituiscono un’ossessione. Majakovksij è la mia ossessione adolescenziale e Pagliarani quella un po’ più “matura” – riesco per esempio a trovare geniale e commovente anche quel semplice “se intanto tu volessi rispondere” che conclude la lettera sulla pietà oggettiva indirizzata a Franco Fortini.
Fabio.
IL tuo commento è preciso e attento e chiaramente legato alla lettura pregressa di quanto avevo scritto in “Città biografiche”.
Un sintagma mi ha colpito particolarmente del tuo commento: “indecisione tra ironia e serietà”. Concordo pienamente con questa tua “diagnosi” e mi pare ne avevamo parlato già in precedenza. Parlare di “risoluzione” di problemi di tono mi sembra una grande dimostrazione di stima e per questo ti ringrazio. Diciamo che dal punto di vista soggettivo considero la partita ancora aperta.
La battuta “meno previsioni e più lapsus” è da standing ovation. Proverò a seguire il tuo consiglio anche se ultimamente mi riesce un po’ difficile. Non aggiungo altro seguendo ancora il tuo spunto sulla “volontà” troppo esibita.
A rileggerci e grazie a tutti per la lettura
Luciano
[…] Luciano Mazziotta: l’impressione e’ quella di trovarsi di fronte a calchi di materia putativa disomogenea, fonicamente ipotattica e di retrogusto espressionista (10 Gen 2012, Nazione Indiana, https://www.nazioneindiana.com/2012/01/10/41276/) […]