Sud Reloaded – Pier Paolo Pasolini
A me basterebbe, lo giuro, la resurrezione della mia terra. effeffe
da Pagine Corsare
La Terra di Lavoro
da Le ceneri di Gramsci
di
Pier Paolo Pasolini
Ormai è vicina la Terra di Lavoro,
qualche branco di bufale, qualche
mucchio di case tra piante di pomidoro,
èdere e povere palanche.
Ogni tanto un fiumicello, a pelo
del terreno, appare tra le branche
degli olmi carichi di viti, nero
come uno scolo. Dentro, nel treno
che corre mezzo vuoto, il gelo
autunnale vela il triste legno,
gli stracci bagnati: se fuori
è il paradiso, qui dentro è il regno
dei morti, passati da dolore
a dolore – senza averne sospetto.
Nelle panche, nei corridoi,
eccoli con il mento sul petto,
con le spalle contro lo schienale,
con la bocca sopra un pezzetto
di pane unto, masticando male,
miseri e scuri come cani
su un boccone rubato: e gli sale
se ne guardi gli occhi, le mani,
sugli zigomi un pietoso rossore,
in cui nemica gli si scopre l’anima.
Ma anche chi non mangia o le sue storie
non dice al vicino attento,
se lo guardi, ti guarda con il cuore
negli occhi, quasi, con spavento,
a dirti che non ha fatto nulla
di male, che è un innocente.
Una donnetta, di Fondi o Aversa, culla
una creatura che dorme nel fondo
d’una vita d’agnellino, e la trastulla
– se si risveglia dal suo sonno
dicendo parole come il mondo nuove –
con parole stanche come il mondo.
Questa, se la osservi, non si muove,
come una bestia che finge d’esser morta;
si stringe dentro le sue povere
vesti e, con gli occhi nel vuoto, ascolta
la voce che a ogni istante le ricorda
la sua povertà come una colpa.
Poi, riprendendo a cullare, cieca, sorda,
senza neanche accorgersi, sospira.
Col piccolo viso scuro come torba,
in un muto odore di ovile,
un giovane è accanto al finestrino,
nemico, quasi non osando aprire
la porta, dare noia al vicino.
Guarda fisso la montagna, il cielo,
le mani in tasca, il basco di malandrino
sull’occhio: non vede il forestiero,
non vede niente, il colletto rialzato
per freddo, o per infido mistero
di delinquente, di cane abbandonato.
L’umidità ravviva i vecchi
odori del legno, unto e affumicato,
mescolandoli ai nuovi, di chiassetti
freschi di strame umano.
E dai campi, ormai violetti,
viene una luce che scopre anime,
non corpi, all’occhio che più crudo
della luce, ne scopre la fame,
la servitù, la solitudine.
Anime che riempiono il mondo,
come immagini fedeli e nude
della sua storia, benché affondino
in una storia che non è più nostra.
Con una vita di altri secoli, sono
vivi in questo: e nel mondo si mostrano
a chi del mondo ha conoscenza, gregge
di chi nient’altro che la miseria conosca.
Sono sempre stati per loro unica legge
odio servile e servile allegria: eppure
nei loro occhi si poteva leggere
ormai un segno di diversa fame – scura
come quella del pane, e, come
quella, necessaria. Una pura
ombra che già prendeva nome
di speranza: e quasi riacquistato
all’uomo, vedeva il meridione,
timida, sulle sue greggi rassegnate
di viventi, la luce del riscatto.
Ma ora per queste anime segnate
dal crepuscolo, per questo bivacco
di intimiditi passeggeri,
d’improvviso ogni interna luce, ogni atto
di coscienza, sembra cosa di ieri.
Nemico è oggi a questa donna che culla
la sua creatura, a questi neri
contadini che non ne sanno nulla,
chi muore perché sia salva
in altre madri, in altre creature,
la loro libertà. Chi muore perché arda
in altri servi, in altri contadini,
la loro sete anche se bastarda
di giustizia, gli è nemico.
Gli è nemico chi straccia la bandiera
ormai rossa di assassinî,
e gli è nemico chi, fedele,
dai bianchi assassini la difende.
Gli è nemico il padrone che spera
la loro resa, e il compagno che pretende
che lottino in una fede che ormai è negazione
della fede. Gli è nemico chi rende
grazie a Dio per la reazione
del vecchio popolo, e gli è nemico
chi perdona il sangue in nome
del nuovo popolo. Restituito
è cosi, in un giorno di sangue,
il mondo a un tempo che pareva finito:
la luce che piove su queste anime
è quella, ancora, del vecchio meridione,
l’anima di questa terra è il vecchio fango.
Se misuri nel mondo, in cuore, la delusione
senti ormai che essa non conduce
a nuova aridità, ma a vecchia passione.
E ti perdi allora in questa luce
che rade, con la pioggia, d’improvviso
zolle di salvia rossa, case sudice.
Ti perdi nel vecchio paradiso
che qui fuori sui crinali di lava
dà un celeste, benché umano, viso
all’orizzonte dove nella bava
grigia si perde Napoli, ai meridiani
temporali, che il sereno invadono,
uno sui monti del Lazio, già lontani,
l’altro su questa terra abbandonata
agli sporchi orti, ai pantani,
ai villaggi grandi come città.
Si confondono la pioggia e il sole
in una gioia ch’è forse conservata
– come una scheggia dell’altra storia,
non più nostra – in fondo al cuore
di questi poveri viaggiatori:
vivi, soltanto vivi, nel calore
che fa più grande della storia la vita.
Tu ti perdi nel paradiso interiore,
e anche la tua pietà gli è nemica.
1956
I commenti a questo post sono chiusi
Mi sono commosso. Grazie Francesco Forlani
Questa Pasqua di Rigenerazione mi consente di dedicarmi alla lett(erat)ura, senza la fretta e l’oppressione di prorogabili impegni. E devo dire, a mente sana e risorta, che leggere Nazione Indiana – saltando da uno scritto all’altro, senza un preciso ordine o una scelta – è un gran bel leggere.
Dovevo dirlo, ma gliene fregherà mai niente a qualcuno? si muore vivendo. Pace.
a me frega eccome
anche se non sono nessuno
effeffe
Un caro saluto al mio Comunista (dandy) preferito.
Senza sospettare l’omaggio di Pier Paolo Pasolini, ho contemplato dal cielo stagionale-una splendida giornata d’agosto- la pianura del lavoro-
il corpo giallo- si vedevono le case, e all’orizzonte il blu del mare, la breccia verso Capri. Sentivo l’incontro impossibile della terra crudele, arsa e il mare nella sua evasione, l’incontro tra il sogno e la terra che tiene prigionieri gli uomini- Pier Paolo Pasolini sembra dipingere i personnagi del presepe in una santa pagana fame di vita. Per capire quasta terra degna si deve scendere dalla colline, accarezzare il pelame
del buffale, camminare in un sentiero attraversato di paludi, non fugare il sole e la tenacità della terra.
Ecco perché questa poesia mi è cara: per la simplicità , la comprensione.
Si deve svelare il miraggio del mare, per sentire l’odore della terra del lavoro .
Come Carlo Capone, quasto testo mi ha commossa.
QUESTO
Agguingo- ma non voglio invadere questo post dei miei commenti che Pier Paolo Pasolini senza essere nato in terra del lavoro, ha sentito la vera filosofia campana fatta di vita, di coraggio. Ha sentito il cuore propio
della pianura, traducendo la parola dei volti, la parola del sole, la parola del dolore, la parola degli animali. ha sentito la vera preghiera di questa terra dove i treni partono con i sogni.
Aggiungo (mi scuso per gli errori)…
Ho fatto un commento, ma ha sparito. In quello spazio è partito?
Spero ritrovare la mia idea. Ho ancora le parole nella mente. ma le ho sperdute.
Era una giornata d’agosto soffocante.
Da una colline arsa, in pieno cielo, ho contemplato la pianura della terra del lavoro. Non ho mai saputo nuotare in terra,
non conoscevo lo splendore della poesia di Pier Paolo Pasolino.
Ho intuito l’incontro impossibile della terra gialla con il mare. Era una breccia verso Capri uno spazio per evadere, quando gli uomini di questa terra conoscono i giorni lunghi
senza immaginare l’acqua, in un’attesa del lavoro, dei piccoli gesti che ti danno l’impressione di vivere.
Era un lavoro duro in contatto con la tenacità della terra. Il poeta Pier Paolo Pasolini non è nato a Caserta, ma ha tradotto la parola gialla degli uomini, ha tradotto il pelame nero del buffale, la parola della case, la parola del cuore vero, la parola eterna. ha raccolto la gioia e il dolore.
Oggi l’ora è contraria. Il tempo si aspetta davanti a una nave senza ali.
Si deve scendere dalla colline per camminare tra le case addormentate,
prendere nella mano le canne della palude, accarezzare il pelame del buffale. Si deve svelare il miraggio del mare.
Come Carlo Capone questa poesia mi ha commossa: è une preghiera semplice della vita.
Si conosce bene il cuore di una terra meridiane, quando ha molto perduto nella vita;