9 POESIE DI JÜRGEN RENNERT
Jürgen Rennert è nato nel 1943 a Berlino-Neukölln e dal ’53 ha vissuto nella DDR. Poeta, saggista e traduttore, si occupa di cultura ebraica e di letteratura yiddish moderna (di cui traduce, tra gli altri, Mark Rasumny, Scholem Alejchem e Isaac Bashevis Singer). È presente, in traduzione italiana, nell’antologia 100 POESIE DALLA DDR, curata da Christoph Buchwald e Klaus Wagenbach (Isbn, 2010), con il primo testo di questa selezione: Mein Land ist mir zerfallen.
I tre testi iniziali, tratti dalla raccolta Verlorene Züge (2001), indagano la complessa vicenda tra il singolo e il sistema politico in cui egli si muove, lì dove l’ingranaggio del potere agisce sul comportamento dell’individuo, alienandolo – di volta in volta – alla sua “ragion di stato”, “verità” collettiva, e follia omicida.
Seguono poesie da Märkische Depeschen (1976), dove domina un sentimento mitico-religioso dell’esistenza, che, dall’estraniazione individuale alla memoria collettiva, reca tracce di una “resistenza” umana e naturale al perenne incombere del “male”.
Infine, l’ultimo testo, tratto da poesie per bambini dal titolo Emma – die Kuh, esprime la necessità del “respiro”, nonostante tutto. (Davide Racca)
traduzioni di Davide Racca[1]
da Verlorene Züge (2001)
Si è dissolto il mio Paese
Si è dissolto il mio Paese.
Liquidato il suo potere.
Contro ogni ragione
levo un lamento.
Il mio Paese è stato ciò
che suo malgrado sono:
un’esperta creatura del mondo
con una crepa dentro.
Mi ha traviato il mio Paese,
ma non mi ha piegato. E
troppo mi ha mentito,
ma non sono così stupido.
Ripugnante il mio Paese
mi ha premuto al petto.
E mi dà alla luce alla fine
che non mollo.
Il mio Paese porta i tratti
che mi portano. Sono Io
la grande menzogna
del Paese. (Noi dice: Io.)
Mein Land ist mir zerfallen
Mein Land ist mir zerfallen.
Sein´ Macht ist abgetan.
Ich hebe, gegen allen
Verstand, zu klagen an.
Mein Land ist mir gewesen,
Was ich trotz seiner bin:
Ein welterfahrnes Wesen,
Mit einem Spalt darin.
Mein Land hat mich verzogen,
Und gehe doch nicht krumm.
Und hat mich was belogen,
Und bin doch gar nicht dumm.
Mein Land hat mich mit Wider-
Willn an die Brust gepresst.
Und kam am Ende nieder
Mit mir, der es nicht lässt.
Mein Land trägt meine Züge,
Die Züge tragen mich.
Ich bin die große Lüge
Des Landes. (Wir meint: ich.)
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Die Symmetrie des Leidens
Ergibt sich aus
Allgemeiner Verstrickung.
Druck erzeugt Gegendruck,
Leid gebiert Leid
Und Verrat den Verrat.
Die Mathematik der Passion
Gipfelt gigantisch im Plus.
Gott subtrahiert sich, da bleibt
Weniger als nichts. Multipliziert
Mit unserem ständigen Defizit,
Führt es beständig zum Kreuz.
La simmetria del dolore
Vien fuori
dal consueto intrico.
Pressione genera reazione,
dolore partorisce
dolore e tradimento
il tradimento.
La matematica della passione
culmina gigantea
in surplus. Dio si sottrae, lì
resta il resto di niente. Moltiplicato
per il nostro passivo permanente
conduce ineludibile
alla croce.
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Junge mit erhobenen Händen
In memoriam Leo Steiner (1912 – 1942)
Erneut vorm Nichts im Fin de Siècle. Leise
Schwärzt mir, was droht, die Augen ein.
Ich höre, wie die suspendierten Gleise
Nach Auschwitz nach Transporten schrein.
Die Ängste dumpf, die Grenzen fest geschlossen,
Das Land (t)räumt auf in Amnesie.
Und spreitet sich. Und kehrt in seine Gossen,
Was ins Gewissen schreit und schrie.
Ich fürchte nichts. Auch nicht mein Ende.
Man holt mich oder holt mich nicht.
Trotz aller Spasmen treibt es meine Hände
Wie Kraniche beredt ans Licht …
Giovane con le mani alzate
Di nuovo sull’orlo del niente Fin de Sìècle.
Ciò che minaccia piano mi annera gli occhi.
Sento come gridano i binari sospesi
per Auschwitz – per Trasporti.
Le cupe ansie, i confini ben serrati,
la terra (tr)ama in amnesia. E si diffonde.
E rivolta nei suoi fanghi ciò che grida
e gridò nella coscienza.
Non temo niente. Neanche la mia fine.
Mi si venga a prendere o meno. Nonostante
a ogni spasmo si sospinga le mie mani
come eloquenti gru verso la luce …
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da Märkische Depeschen (1976)
Bild mit dem Hahn und dem Grenadier
Für Anna Seghers
Ich bitte um Asyl. Ein Grenadier,
Der seinen Schatten sucht, den er verlor
Im Feuer der Progrome, und
Der Schlachten schlug mit Worten, die
Sich Gott erfand, bevor
Ihn Einsamkeit und Schweigen überfiel.
Ich bitte um Asyl. Ich bin
Von gestern hergekommen, eine Meile
Vergesslichkeit trennt mich bereits von meinem Land,
Das mir noch anhängt, das seine Stille
Aussendet, um mich einzuholen.
Ich bitte um Asyl. Mein Hahn
Sitzt schon auf eurem Dach. Wenn ihr
Mich fortschickt, denunziert
Er den Verrat, den ihr an einem euresgleichen
Verübtet. Bitte, laßt
Mich wohnen unter euch.
Ich bitte um Asyl. Habt keine Furcht.
Die Monde schweigen, und die Sonnen
Erblindeten, als sie den Tag
Im Rauch der Krematorien erblickten,
Wo Luft gehügelt stand und Wind
In schwarzen Stiefeln patroullierte.
Ich bitte um Asyl. Kein Wort
Birgt mehr, was ich besaß. Die Hand
Ist taub, mit blasser Tinte
Spürt meine Feder Zeichen auf,
Die leer sind, dunkle Ornamente
Am fahlen Himmel der Gedächtnislosigkeit.
Ritratto col gallo e il granatiere
Chiedo asilo. Un granatiere
che cerca le sue ombre,
perse nel fuoco dei pogrom
e combatté battaglie con parole
che ha inventato Dio
prima che solitudine e
silenzio lo cogliesse.
Chiedo asilo. Sono
giunto qui da ieri, un miglio
di dimenticanza mi separa
già dal mio Paese, che mi grava
ancora e non intende lasciarmi
e trasmette il suo silenzio
per riprendermi.
Chiedo asilo. Il mio gallo
siede già sul vostro tetto. Se mi
scacciaste denuncerebbe
il tradimento che voi a un vostro
simile perpetrereste.
Vi prego, lasciatemi
vivere tra voi.
Chiedo asilo. Non abbiate
paura. Le lune tacciono
e i soli accecarono, quando
scrutavano il giorno nel fumo
dei crematori, dove restò
collinata l’aria e pattugliava
in stivali neri il vento.
Chiedo asilo. Più nessuna
parola racchiude ciò che
possiedo. La mano è sorda,
con pallido inchiostro la mia
penna traccia segni
vuoti, oscuri ornamenti
nel cereo cielo
dell´oblio.
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Unermüdliche Aufforderung
Tritt ein, nimm Salz wie Hoffnung
Aus der Schale, hier ist die Liebe Brot,
Nimm Platz und schreite. Aber zahle
Mit dir, und wirf das Lot der Maurer,
Die in Babel bauten,
Hier läuft man nicht davon,
Hier übersetzt man, fremden Lauten
Entrann man nur in Babylon.
Komm bücke dich, an diesen Bohlen
Ist schlechter Halt zu fassen, das Haus
Steht abbruchreif, wir holen uns Licht
Von den Landstraßen. Den maßstab
Unserer Karten
Bestimmen alte Träume,
Hier schlaf ein wenig, und wir warten
Und hängen Fenster in die Räume.
Brich von dem Dach dir, nimm vom Keller,
Wir wohnen schon im Schatten des Turmes,
Den wir schneller, noch steht er nicht,
Berechnet hatten. Tritt ein, nimm Salz
Wie Hoffnung aus der Schale,
Hier ist die Liebe Brot, nimm Platz
Und schreite, aber zahle mit dir,
Und wirf das Lot.
Inesauribile preghiera
Entra, prendi sale dalla ciotola
come speranza, ecco il buon pane,
siedi e avanza. Ma includi anche te
nel conto e getta il filo a piombo
del muratore che edifica a Babele,
di qui non si va via, qui si traduce,
si sfuggiva ai suoni estranei solo
a Babilonia.
Dài, chìnati, la peggior sosta da fare
è su queste panche, la casa
da demolire, luce ci portiamo
dalle strade maestre. Vecchi sogni
chiariscono le scale delle nostre
cartine, riposa un po’ qui, noi
aspettiamo e appendiamo
finestre nelle stanze.
Spézza del tetto per te, prendi
dalla cantina, noi abitiamo già
nelle ombre della torre che, a ben
vedere, ancora non si tiene. Entra,
prendi sale dalla ciotola come
speranza, ecco il buon pane, siedi
e avanza, ma includi anche te
nel conto e getta il filo a piombo.
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Partisan
Ich lebe
Unter Menschen.
Niemand bemerkt,
Daß ich hier fremd bin.
Mein Hochmut
Sprengt die Brücken,
Die mir geschlagen werden.
Die Lüge,
Die ungebeten bei mir einwohnt,
Geht aufrecht
Aus mir heraus.
Nehmt euch kein Beispiel
An den Erfolgen
Meines verzweifelten Krieges.
Partigiano
Vivo tra uomini.
Nessuno nota
che qui
sono straniero.
La mia arroganza
mina i ponti
che mi vengono gettati.
La menzogna,
che intrusa mi abita,
va diritta
fuori di me.
Non prendete ad esempio
i successi
della mia guerra disperata.
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Parksänger
Des Sterblichen Hoffnung erhebt
Sich aus der Asche
Unsterblicher Wahrheit:
Ein Vogel mit versengten Flügeln
Und rauchgeschwärzter Kehle.
Aber sein einsames Lied
Tröstet und besteht.
Immer wissen welche
Noch den Refrain, den Worte
Nicht auszudrücken vermögen;
Auf alten Wegen im erblühenden Park
Formen sie lautlos
Unüberhörbares
Sichtbar zu Strophen.
Cantore del parco
La speranza del mortale si leva
dalla cenere di verità immortali:
un uccello con ali bruciacchiate
e la gola di nerofumo. Ma
il suo canto solitario continua
a esistere e confortare.
Sapere sempre quali
i refrain, le parole incapaci
di esprimere; nei vecchi sentieri
nello schiudersi del parco
silenziose
si formano intense
visibili in strofe.
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Bericht eines Sehers
In die gefährlichsten der Nächte
Bellt kein Hund. Da sind
Wir trostlos. Und unsere Ruhe
Ist ein verlorener Stein. Unsere
Fährte führt
Vom Nichts ins Abernichts.
Kein guter Stern macht uns weinen.
Furcht durchlöchert unser Herz, durch das
Der stumme Wind geht. Alle Ferne
Wird unerreichbar und die Zugbrücken
Bäumen sich auf vor
Unseren langen Schatten, die in
Den Gräben ersaufen.
Wir nicht;
Wir sind schon gewesen
Vor allen Progromen.
Jahve hat unsere Stirnen gezeichnet.
Hinter denen bereitet
Er seine Botschaften.
Von Mal zu Mal
Beschwert unsere Lieder
Dann ein Entsetzen, die knotige Zunge
Versagt den Dienst und ein Schrei
Fährt durch jegliches Geäst.
Blütenschnee deckt
Mählich den Boden und morgens
Kehren wir heim
Wie gewöhnliche Leute.
Rapporto di un visionario
Nessun cane abbaia
nella più pericolosa
delle notti, dove disperati
siamo e la nostra calma
é una pietra persa. Dal niente
le nostre tracce
si dirigono al proprioniente.
Nessuna buona stella
ci fa piangere. Passa il vento
muto dove un timore
crivella il nostro cuore.
Tutte le lontananze sono
irraggiungibili e si levano
i ponti alle nostre lunghe
ombre che nei fossati
affogano.
Noi no; noi
siamo stati già
prima di ogni pogrom.
Jahvé ci ha segnati le fronti
dietro cui prepara
i suoi messaggi.
Di volta in volta
pone un peso sulle nostre
palpebre, e poi un orrore,
le lingue nodose ricusano
le opere e un urlo attraversa
ogni ramo.
Petali di neve
coprono polverosi selciati
e di giorno
noi gente ordinaria
rincasiamo.
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da Emma – die Kuh. Kinderbuch (1980)
Die schöne Luft
Plötzlich stellte sie sich stur
Und begann zu weinen:
“Warum muß ich immer nur
Unsichtbar erscheinen?”
Sanft durchsträhnte ich ihr Haar,
Wo ich es vermeinte,
Wo sie leicht wie Seide war,
Bis sie nicht mehr weinte.
“Schönste Dinge”, sprach ich, “sind
Kaum noch zu erblicken.
Aber wenn sie fehlen, Kind,
Werden wir ersticken!”
La bella aria
Improvvisamente mette il broncio
e viene alle lacrime: “perché devo
sempre apparire invisibile?”
Le carezzo dolce le chiome, dove
le indovino leggere come la seta,
finché non la smette di piangere.
“Le cose più belle”, le dico, “sono
quelle che non si fanno notare. Ma
quando vengono meno, bimba,
possono soffocare”.
[1] Ringrazio Andreas F. Müller e Miriam Houtermans per i suggerimenti e il costante confronto.
I commenti a questo post sono chiusi
1000 grazie a Domenico Pinto e a Davide Racca per questo prezioso articolo, che mi ha permesso d’incontrare un esponente così efficace della nuova poesia tedesca, in grado di guardarsi dentro e attorno ad un tempo.
Credo che l’ultima strofa di “Ritratto col gallo e il granatiere” sia tra le cose più disarmanti e sincere che possa scrivere un poeta condannato all’esilio nella sua stessa terra: quella terra di tutti e di nessuno che è il linguaggio.
la bella aria, è veramente splendida
grazie a Davide per averci regalato versi di Resistenza, che non è dimensione determinata storicamente, ma stile di vita necessario “with a deep distrust and a deeper faith” come direbbe Fenoglio!
Ieri sera Jürgen Rennert mi ha scritto dicendosi commosso per l’attenzione ricevuta da Nazione Indiana e i commenti.
Ringrazio anche io.
d. r.
“Bild mit dem Hahn und dem Grenadier” così attuale.
“Die schöne Luft” folgorante nella sua semplicità.
Grazie al poeta e grazie al traduttore