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Che genere di discorso

[Queste note di poetica sono state sollecitate da Milli Graffi per il numero 43 de “il verri”. Hanno coinvolto anche Andrea Raos e Marco Giovenale, partendo dai testi contenuti nel libro a più voci Prosa in Prosa (2009).]

di Andrea Inglese

Che genere di discorso è la “prosa in prosa”? Questa espressione è frutto dell’invenzione del francese Jean-Marie Gleize, teorico e scrittore, che attraverso di essa gioca ambiguamente a proporre un sobrio manifesto e, nel contempo, a descrivere una nuova tipologia di testi apparsi intorno agli anni ottanta del secolo scorso. La formula, ovviamente, reca da un lato traccia di quella più consuetudinaria di “poesia in prosa”, ma dall’altro annuncia un oltrepassamento e una cesura con le categorie del passato. Additare una prosa elevata a potenza, una iper-prosa, significa allontanare le codificazioni di genere (i vari apparati formali e tematici), per individuare una zona indefinita, non di genere, forse equidistante dai generi, forse al di là dei generi. Gleize parla di “uscite” dalla poesia (Sorties, Questions théoriques, 2009), di scomparsa del genere, ma anche di nudità come principio. In ogni caso, senza voler approfondire il discorso teorico di Gleize, che per altro si presenta come astutamente frastagliato e fluido, possiamo ritenere questa nozione di un movimento duplice, di fuoriuscita da un genere e di penetrazione in uno spazio discorsivo non ancora identificato dal punto di vista letterario.

Mi sono occupato in due diverse occasioni di sviluppare una riflessione retrospettiva e genealogica su questa prosa proveniente dalla poesia, facendo riferimento soprattutto all’area francese (Passi nella poesia francese. Cronaca di un attraversamento, in Poesia 2008. Annuario, a cura di Manacorda e Febbraro, Gaffi, 2008 e Poesia in prosa e arti poetiche, in « Trivio », n° 0, I semestre 2008). Ora m’interessa evidenziare alcuni nodi teorici, che emergono dalla mia esperienza specifica di scrittura in prosa.

Ideologia e genere

Sono tempi, questi, in cui la denuncia dell’ideologia dominante e delle sue mistificazioni ha sempre meno effetto, come sempre meno efficacia sembra avere, nei fatti, ogni riferimento all’eredità novecentesca del pensiero critico. Si apre, quindi, un’opportunità decisiva per artisti e scrittori di sondare in modi nuovi ed inattesi questo presente, al di fuori di ogni dibattito d’attualità. Sotto la cortina dell’attualità e delle sue agende mediatiche vi è il territorio inesplorato del presente, ossia delle nostre vite, nella loro confusione, gioia, e miseria. I generi letterari sono troppo permeabili alle ideologie, sia a quelle vincenti sia a quelle perdenti, e in ogni caso subiscono, per accettazione o rifiuto, il repertorio tematico dell’attualità. Sganciarsi dai condizionamenti tematico-formali dei generi, significa costringersi ad approntare dei nuovi strumenti di captazione e di visione, in piena libertà e rischio.

Prosa e romanzo

Una questione del tutto ignorata da Gleize, e poco considerata anche da chi batte in Italia i sentieri di fuoriuscita dalla poesia, è quella relativa ai rapporti tra prosa e romanzo. Il romanzo novecentesco, dal modernismo in poi, si è presentato come uno dei generi più fluidi e più idonei alle sperimentazioni. Il terreno della “prosa in prosa” si può raggiungere anche rompendo i precetti dei generi narrativi (novella e romanzo): è il caso di Beckett, di Perec, di Maurice Roche, dei primi Handke e Strauss, ma anche di certe opere di Arbasino e della quasi integrale produzione di Manganelli. È ben vero che oggi, in Italia come e più di altrove, il romanzo appare particolarmente “vincolato”, e quindi il genere più di tutti alieno da pericolose sperimentazioni. Esso è stato in gran parte consegnato alla nostalgia o all’attualità, e comunque alle esigenze editoriali di leggibilità, non certo all’esplorazione del presente. Ciò nonostante è nella vicenda novecentesca del romanzo, oltreché nelle ultime correnti di scrittura post-poetica, che è possibile individuare un armamentario di tecniche e procedimenti utili a mettere in forma la scrittura in prosa.

Soggetto poroso: rumori di fondo, flussi, interferenze

La definitiva fuoriuscita dal canto lirico, ossia dal verso cha scandisce pubblicamente un’articolazione espressiva intima e privata (invocazione, balbettio, monologo spezzato, nominazione, ecc.), non coincide semplicemente con l’abbandono di un repertorio di convenzioni, ma annuncia la sparizione di una forma di vita, quella che permetteva la costruzione e la difesa di un’intimità emotiva, onirica, meditativa, che oggi è materialmente sempre meno realizzabile. Questa condizione, però, non apre per me uno spazio puramente procedurale, coincidente con una sorta di grado zero della soggettività. Non si tratta, insomma, di saltare a piè pari da una postura autoriale forte, da un’interiorità creatrice, densa di esperienza e di presupposti ideologici, verso l’uso aleatorio, puramente meccanico del cut-up o delle più recenti tecniche di googlism. Non credo, insomma, sia da ribadire, per l’ennesima volta, una scomparsa del soggetto, che è già fin troppo evidente nella nostra quotidiana condizione di assoggettati a processi materiali e culturali su cui abbiamo scarsissima presa.

Si tratta, per me, di rendere visibile e tangibile la porosità del soggetto, che è di continuo attraversato da flussi mediali e di merci, che subisce di continuo le interferenze delle narrazioni d’attualità, che è rintronato dal rumore di fondo delle dinamiche collettive e incontrollabili. La figura, dunque, del soggetto individuale va disaggregata, per quanto riguarda l’intelaiatura delle sue identità sociali e delle sue riserve intime, affinché si rendano riconoscibili, attraverso la scrittura, le componenti molecolari dell’esperienza, che non sono propriamente né soggettive né oggettive, né naturali né culturali. I Prati sono delle superfici di captazione di queste scie di soggettività; essi permettono di allestire zone di transito per l’emersione di memorie parziali, falsificate, usurpatrici. La forma dell’enunciato che prediligo, incentrato sulla prima persona e sulla gestualità orale, più che riportare alla luce un’istanza narrativa affidabile, o distendere in forma lineare il canto lirico, realizza la soggettività in forma spettrale, di maschera vociferante, dietro a cui ogni artifizio meccanico è possibile. Piuttosto che ritrovare l’ombra della deliberazione d’autore nel processo impersonale del montaggio, come un tempo la si trovava nella scrittura automatica surrealista, preferisco lasciare emergere la più inquietante ombra meccanica dentro la voce che si vuole consapevole e individuata.

Soggetto significa inoltre corporeità, carne del mondo, materialità, gremito. Il ritrovamento del reale passa anche per il corpo, nella sua dimensione elementare, passiva, passionale. Senza investirlo ideologicamente, trattandolo da frontiera ultima – quasi mistica – dell’autenticità (body art), il corpo va considerato come medium esso stesso, luogo di transito, a volte sorgente, di flussi e interferenze, che si scontrano e sovrappongono a quelli meccanici, mediali, delle grandi industrie di merci simboliche. Nel mio lavoro in prosa, quindi, la voce è importante, almeno quanto lo è il suo sostegno ritmico, la sintassi della frase, una frase prolungata, passiva, capace di aprirsi e ramificarsi sotto la pressione dei flussi eterogenei. Mi è quindi estranea l’idea del lavoro sul linguaggio, come puro deposito, materia inerte, tale da escludere ogni forma di gestualità, ogni traccia, seppur spettrale, di un soggetto che, come direbbe Beckett, patisce e sussulta da qualche parte “dietro la vociferazione”.

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34 Commenti

  1. Caro Andrea
    permettimi di essere provocatorio, anche perché a me i tuoi Prati piacciono, però “la sparizione di una forma di vita, quella che permetteva la costruzione e la difesa di un’intimità emotiva, onirica, meditativa” io non ce la vedo proprio.
    Anzi io ci vedo proprio un’intimità emotiva, onirica, meditativa, che si esprime – diciamo così – con dei correlativi oggettivi, ed è sì porosa e attraversata da flussi mediali, ma non più e non meno di altre prose (e poesie) anche di qualità molto più bassa e di fattura più tradizionale (leggi banale).
    Persino il corpo, che in effetti emerge così bene nei tuoi Prati, non necessita di un tale sforzo per emergere.
    Insomma, a me pare che il punto non stia lì, e che quelle dell’antilirico, della porosità e del corpo, non siano che parole d’ordine attorno alle quali si può raccogliere una comunità, purché non vi si vada davvero a fondo.
    Io ho solo letto, e non udito; però anche dalla lettura visiva si capisce che quelle tue parole sono fatte per diventare un torrente di oralità, con un suo ritmo interessante, ossessivo, parodia (anche nel senso letterale di parole nuove su una melodia già nota) sia del verso che dell’andamento narrativo.
    Io quello che ci vedo è un incalzare del senso che è ancora più significativo del senso medesimo, dove il soggetto non è attraversato, ma sciolto in un andamento come quello di un mantra al negativo, in cui la collettività si riconosce e si accorda, ma in disforia. Non è che l’intimità onirica scompaia; anzi sembra essere proprio la dimensione che permette questa Stimmung disforica – una sorta di sogno ansioso compartito, di ruminazione interiore scoperta essere di tutti.
    Ciao
    db

  2. Il soggetto che descrive Inglese qui sopra (“che è di continuo attraversato da flussi mediali e di merci, che subisce di continuo le interferenze delle narrazioni d’attualità, che è rintronato dal rumore di fondo delle dinamiche collettive e incontrollabili.”) se non è al grado zero, è al grado 0.5.

    come potrebbe essere altrimenti, per chi crede che la scomparsa del soggetto non debba essere ribadita, perché “è già fin troppo evidente nella nostra quotidiana condizione di assoggettati a processi materiali e culturali su cui abbiamo scarsissima presa.”

    insomma Inglese sta proponendo di compiere (per l’ennesima volta?) il passo dalla Neoavanguardia (“riduzione del soggetto” al grado 0) verso il Postmoderno (soggetto apertomultiplo a grado 0.5)?

    repetita iuvant?

    nubar ach.

  3. Porcapaletta che botta.. mi devo riprendere!!

    lo rileggo la IV volta.. poi lo riprendo più tardi.. leggerlo 3 volte è necessario per intuirne un senso, c’è da dire che è comunque un testo tecnico capace di evocare immagini, e questo mi piace..

    Se non avessi palesato il mio sgomento avrei rischiato l’embolo.. scusate ^__^

  4. a nubar,

    “il passo dalla Neoavanguardia (“riduzione del soggetto” al grado 0) verso il Postmoderno (soggetto apertomultiplo a grado 0.5)?”

    La neoavanguardia = soggetto al grado zero? Una di quelle semplificazioni subito complicate e confutate dalla lettura di testi. Si pensi a buona parte di Pagliarani, a Sanguineti da Wirrwar per tutti i settanta, e al caso ancor più metamorfico di Porta, che anticipa piuttosto il soggetto apertomultiplo.

    Quanto al soggetto apertomultiplo, corrisponde bene a quello di “Prati”. Che sia un soggetto 0.5 non lo so. Se il soggetto lirico moderno è = 1, allora 0,5 mi piace, ma anche 0,66666666.

  5. trovo molto interessanti e istruttive le riflession di andrea inglese
    riduzione del soggetto al grado zero?
    non direi
    io partirei dalle riflessioni di farinelli
    “””
    …l’antropologia odierna .. considera il soggetto non più espressione di un campo delimitato. ma piuttosto di una serie di localizzazioni mutevoli, non più il prodotto di una situazione statica ma di un processo dinamico: attore, insomma non più interno a un ambito circoscritto da frontiere, ma una zona di contatto più o meno estesa, composta da relazioni, interazioni e comportamenti temporanei e interconnessi, di solito fondati su rapporti di potere radicalmente asimmetrici, cioè disuguali, e su limiti fluidi e mobili”

    un soggetto mobile, soggetto a contaminazioni e ibridazioni, un soggetto che deve fare i conti con la disintegrazione della nazione, intesa non solo ocme stato ma anche come lingua.

    e richiamerei le riflessioni che fa Massimo Rizzante (in scuola di calore due mi pare cita un suo testo) quando parla di affrancamento dalla dittatura dell’io e della nazione.

    la mobilità e l’ibridazione probabilmente comporta anche una ridefinizione dei generi.

    Vorrei chiedere ad andrea inglese se conosce la poesia di nicanor parra e cosa ne pensa

  6. caro daniele,

    grazie del tuo commento, che inizialmente non è apparso – succede di rado.
    Anche se ho scritto quello che ho scritto, e seppure non l’ho scritto a casaccio, sono scettico rispetto alla nozione di poetica. O meglio, ho raggiunto una certa idea di cosa sia la poetica: un campo di proiezioni immaginarie sul proprio fare. Queste “immaginazioni” hanno una loro funzione, ma forse indiretta, e che comunque va un po’ decifrata. In ogni caso la tua definizione di “sogno ansioso compartito” mi piace molto. Ma davvero io credo che le condizioni materiali del canto lirico siano in gran parte venute meno, e la ricostituzione di una visione intima del mondo passi per un corpo a corpo con materiali che presentano una loro inerzia, una loro bruta fattualità, mai completamente riscattabile dalla forma.

  7. Caro Andrea
    magari proprio perché la poetica può essere (ottimamente) definita “un campo di proiezioni immaginarie sul proprio fare”, le dichiarazioni programmatiche degli autori (me compreso, nella misura in cui talvolta lo sono) valgono sempre molto poco rispetto a quello che emerge dalla loro opera. Per questo, tra l’altro, hai il diritto di dire che Pagliarani, un secondo Sanguineti e Porta non mirano al grado zero del soggetto, nonostante le loro stesse dichiarazioni di poetica, visibili sin nel titolo di un volume di Porta (“Zero”, appunto).
    E forse l’antilirismo vale a sua volta come “proiezione immaginaria sul proprio fare”. La mia sensazione è che in un lavoro davvero ben riuscito (una grande poesia, o una grande prosa) l’io è automaticamente ridotto, perché se percepiamo un’opera come “di grande qualità” è comunque perché esprime un “sogno compartito” (euforico, o disforico, o quant’altro che sia). E a quel punto lì, il fatto che l’autore dica o non dica “io”, e che sia Corazzini o Eliot, non è particolarmente rilevante.
    Lo diventa, presumibilmente, se la qualità non è quella; e allora, nel cercare di capire che cosa non ci soddisfa, sarà magari la strabordanza dell’io, che non sentiamo corrisponderci. Certo che il povero autore non sa se sta producendo un capolavoro, una via di mezzo o una ciofeca; e le sue dichiarazioni (magari implicite) di poetica servono per organizzare la propria difesa se la sua opera non viene apprezzata a sufficienza.
    Non che la letteratura di oggi sia uguale a qulla di ieri, o debba esserlo, ma sono sempre più convinto che il punto non sta attorno alla riduzione dell’io, né in positivo né in negativo. Ma il discorso è troppo complicato per un commento a un post. Ci saranno occasioni meno compresse.
    Ciao
    db

  8. A.I., che scrivi: “La neoavanguardia = soggetto al grado zero? Una di quelle semplificazioni subito complicate e confutate dalla lettura di testi.”
    Può darsi, ma sono semplificazioni – come ha ricordato qui sopra anche Daniele Barbieri – adottate dagli stessi autori. [Vorrei sapere a chi pensavi allora quando parlavi di soggetto al grado zero]. Giuliani parla della necessità di “riduzione del soggetto” come produttore di significati in una delle Prefazioni ai Novissimi. E questo va di pari passo con la necessità di “limitare l’area semantica”. Ciò detto, può darsi che i testi di Porta, Pagliarani etc. e che la cose di Spatola e Malebolge siano più verso il soggetto multiploaperto (non a caso Joyce è uno dei numi tutelari di tutto il gruppo), ma resta il fatto che la “riduzione del soggetto” era uno dei punti fermi di poetica dichiarata. Con Barbieri credo anche io che le tue prose siano migliori delle tue dichiarazioni di poetica e possano andare un po’ oltre l’illustrazione del soggetto apertomultiplo, analogamente a quanto accadeva per il Gruppo 63. ma anche le dichiarazioni di poetica hanno il loro peso.

    ciao,
    nubar ach.

  9. caro nubar

    sono d’accordo, come hai visto, sullo scarto poetica-testi.
    Quanto al soggetto grado zero, i riferimenti sono infatti multipli. Ce ne sono senz’altro nella neoavanguardia, sia teorici che pratici. Giuliani, dici bene. Ma anche Balestrini. Poi c’è l’onda francese, con Tel Quel (Sollers, Denis Roche), e più in generale lo strutturalismo, quando influenza gli scrittori. Infine c’è anche un discorso interno agli autori di GAMMM. Penso che abbiamo sensibilità diverse su certe questioni. Mi riservo di postare anche il pezzo di Marco Giovenale e spero che Raos faccia altrettanto con il suo pezzo.

  10. Dei tre menzionati da l’inglès,solo Cadiot a me pare abbia qualcosa da dire di nuovo e significativo(specialmente nelle ultime opere) ,un’ideale mise en scene all’ennesima potenza di personaggi e parole che tanto sarebbero piaciuti al Flaubert di Bouvard e Pécuchet,e che ha trovato,a mio avviso,la massima espressione al fesival avignonese di quest’anno
    nell’allestimento di “Un nid pour quoi faire”.

    Va tutto bene nel manifesto-poetica qui illustrato con stile sopraffino,e va sempre benedetto ogni tentativo di uscire dalla palude,a patto che la montagna poi non partorisca il famoso topolino e che non si tratti dell’ennesima scopiazzatura dei cugini d’oltralpe,perchè tanto varrebbe leggere l’originale.
    Cadiot stesso (che non fa parte di nessuna neoavanguardia) resta iripetibile ,come un Leautremont,un Roussel..,non può appartenere a nessuna scuola e tantomeno avere allievi,solo imitatori.

  11. una cosa, per Daniele, se sei ancora nei paraggi…

    sul tuo ultimo intervento sulla dimensione lirica; io ho l’impressione che anche per te, assolutamente poco prevenuto su queste questioni letterarie, il termine anti-lirico possegga una sua connotazione negativa, quasi di tipo morale.
    Ora, io considero semplicemente che la lirica moderna, da Baudelaire e Leopardi in poi sviluppa una progressiva dialettica tra lirico e anti-lirico. Questa è una percezione ormai non più militante del genere, tanto che la si trova espressa anche in un saggio come quello di Guido Mazzoni, “Sulla poesia moderna”, che è un lavoro storico e teorico, ma non certo militante.
    A me sembra che ci sia il rischio di rimanere, su queste questioni, eternamente impaniati nella contrapposzione frontale e traumatica tra lirici novecenteschi tradizionali e neoavanguardia, dove sì i termini lirico e anti-lirico assumono connotazioni morali.

  12. Ho stampato la bella riflessione di Andrea Inglese e i commenti.
    Il “io” dilaga il romanzo con esperienza appassionante: quella di Angot,
    Houllebecq, Annie Ernaux. Mi sembra che la poesia parta anche dalla
    coscienza di un’ identità in fuga o spostata. Mi interrogo sulla parte autobiografica della poesia, ma une parte in rivolta, attraversata da frammenti di sensazione, di universalità, di spostamento.

    Per esempio l’occhio di Suzanne Doppelt coglie la strutura del paesaggio, l’occhio diventa universale e nello stesso tempo fissato al suo oggetto.

    Colonne d’aveugles d’Andrea Inglese offre frammenti di identità notturna, quarto di lemone: l’individualità nel flusso dell’appartamento.
    Quaderno di frammenti di individualità.

    Andrea Raos offre un’anima poetica mescolata alla natura, alla sabbia, al mare ( Luna velata) o al vertigine di uno sciame devastatore.
    Una poesia della pulsione violente dell’individualità, oscillando tra l’universalità ( uomo fiore, uomo lupo, uomo orso, uomo neve) e un individualità fatta di dolore ( le api migratrici)

    I quatro testi crudeli scritti evocano un dialoguo doppio (crudele e tenere) fatto con sè. Il poeta dà une sortie all’io centrale.

    Il campo poetico odierno è un tentivo di appropiazione del disumanizzare
    che minacia tutti.

  13. Veronique, è l’umanizzazione a minacciarci tutti, più di quanto sia vero il contrario. I parametri attraverso i quali si umanizza escludono gran parte degli esseri, non abbastanza educati… Quello che è peggio è che includono precise categorie di esseri che se si va a spulciare risultano mostruosi peggio dei disumani.

    Sul grado 0,666 del soggetto lirico moderno, che dire?

  14. L’industria del soggetto, che sforna giornalmente uomini e donne di cui sono state preimpostate proprietà organolettiche ed elenco delle prestazioni, non ha ancora capito (e non capirà mai) di rifarsi ad un prototipo di essere umano quale abbiamo ereditato dalla storicità di filosofie e rivoluzioni letterarie che è al 99% irrazionale. Ricordiamoci che le avanguardie non hanno mai finito di dire realmente tutto su questo irrazionale. Nuove strategie e nuovi percorsi per perdersi fruttuosamente sono possibili anche dalle ultime file. Ben vengano nuove forme di scrittura e ben vengano le dichiarazioni di poetica. Tutta la vita è uno sforzo di definizione.

    In questo spirito ottimistico, ringrazio Andrea Inglese per l’immensa suggestione di un soggetto poroso.

  15. La scrittura è un atto egocentrico, l ‘1 non è che il punto “0”.. sotto il quale vi sono solo tentativi di risalita al punto “1” ^__-

  16. per quanto poi, in termini di pratica di scrittura, sia sicuramente la riflessione sul romanzo che mi attira di più del ragionamento di andrea, mi sembra che la chiave sia proprio il concetto di “soggetto poroso” – ma anche interrotto, lacunoso, lamellare. che è poi il principio di un ordine altrettanto poroso, interrotto etc. etc.. ovvero un buon modello di romanzesco che eviti i vincoli, che andrea individua, della nostalgia e dell’attualità – entrambe, direi, ipoteche di una richiesta più o meno isterica per un soggetto compiutissimo, classificabile, targhetizzabile.

  17. Andrea, giusto per capirci, e visto che la tua osservazione sul moralismo o meno del termine anti-lirico mi sembra interessante, dove metteresti il Garcia Lorca del Romancero Gitano? Non vi si dice mai “io” e non c’è nessun io lirico apertamente presente, ma lo stile è quanto di più classico (in realtà, barocco) abbia potuto produrre il gongorismo spagnolo di quegli anni.
    È una domanda vera, non provocatoria. Magari stiamo solo usando le stesse parole in maniera diversa.
    db

  18. forse un problema di fondo, più che con la lirica, è con lo (o: con un certo diffusissimo & maggoritario) stile assertivo o asseverativo che prevede e precostruisce un lettore al quale sta bene (ed è legittimo stia bene) farsi dire integralmente dall’autore quali cliché o tavole di corrispondenze o codici fiduciari mettere in campo per la lettura del testo. quali mappe del territorio usare per orientare lo sguardo che dal nero tipografico sul bianco della pagina conduce al senso, al quid veicolato o chiaroscurato da quella grafia, da quel nero.

    una testualità che chiede di più al lettore, o che chiede altro (anche un “altro” solo parzialmente “nuovo”) è sempre esistita. ne accenna giustamente Jenny Haniver pochi commenti più su.

    a comprenderla valgono tanto gli sforzi degli scrittori (anche di riflessione sul proprio lavoro), quanto – e forse di più – critiche e suggerimenti dei lettori, dubbi, tracce nuove sulle carte.

    valgano, in questo, non solo le note di Barbieri qui, ma anche quelle in http://guardareleggere.wordpress.com/2010/07/04/della-poesia-e-della-lirica-in%C2%A0prosa/, che Daniele aveva segnalato qualche tempo fa (e a cui personalmente mi scuso di non aver ancora dedicato annotazioni/commenti appropriati – dopo troppo tempo, ammetto).

  19. Ragazzi,
    perdonate la mia natura noiosa non che porosa estremamente.. hem.. assorbente direi, ma volevo rendere nota una cosa che mi ha aperto la possibilità di capirvi..o meglio di “capirci” qualcosa(lo ammetto il problema è mio ^__^): ho riletto tutto(post e commenti) dopo aver fatto una lettura fugace del pensiero filosofico di Gianteresio Vattimo e i suoi concetti di “pensiero forte” e “pensiero debole”..quando parla dell’indebolimento dell’io.. in qualche modo ci ho visto il soggetto poroso..

    Se ho detto una castronata compatitemi, io sono qui per capire, amici come prima ^__-

  20. ares
    nessuna castronata, infatti già nubar aveva messo in realazione la riflessione sul soggetto qui fatta con il modello postmoderno di soggettività…
    nessuna novità sul piano concettuale, quindi, si tratta semmai di (provare a) mostrare come concetti e pratica poetica, forme di vita e scritture, camminano assieme.

  21. sì, il paragone con il postmoderno non è fuori luogo però non mi sembra sufficiente. in effetti, almeno secondo me, il soggetto di cui stiamo parlando ha una dimensione politica essenziale e forte. l’ordine che cerca di istituire è un ordine del mondo e nel mondo, è una proposta d’ordine, non ha solo una valore diciamo gnoseologico ma etico-politico, appunto. nel postmoderno (o, forse meglio, nella sua vulgata) questa dimensione politica è spesso obliterata; specie in italia in cui anzi, se non ne sto dicendo una delle mie, il postmoderno è stato lo strumento filosofico del riflusso, per così dire.

  22. sì, gherardo, infatti il postmoderno – categoria parecchio fluida – ha diversi aspetti e anche antitetici tra loro; in italia, ad esempio, la rivista baldus, anche rifacendosi ad analisi di Jameson e altri, aveva lavorato sul concetto di post-moderno critico, e la polemica era appunto nei confronto del “pensiero debole”

    poi questo tipo di categorie da visione dall’alto io preferisco non usarle, e viaggiare più rasoterra, costruendomi dei concetti-immagine basati sul rapporto circoscritto che emerge tra il testo e la mia esperienza;

  23. “La definitiva fuoriuscita dal canto lirico, ossia dal verso cha scandisce pubblicamente un’articolazione espressiva intima e privata (invocazione, balbettio, monologo spezzato, nominazione, ecc.), non coincide semplicemente con l’abbandono di un repertorio di convenzioni, ma annuncia la sparizione di una forma di vita, quella che permetteva la costruzione e la difesa di un’intimità emotiva, onirica, meditativa, che oggi è materialmente sempre meno realizzabile.“

    “credo che le condizioni materiali del canto lirico siano in gran parte venute meno, e la ricostituzione di una visione intima del mondo passi per un corpo a corpo con materiali che presentano una loro inerzia, una loro bruta fattualità, mai completamente riscattabile dalla forma”.

    Non potrei essere più d’accordo.

    Direi di più: penso che l’avvento dei media sullo schermo dell’arte e, pur con qualche ritardo, della poesia e della scrittura di ricerca, renda definitive l’implausibilità e l’irrealtà delle loro stratificazioni esistenziali e naturalistiche, anche straniate o traslate.

    Mi sono soffermato molto anche su questo passo, che, benchè sia solo la premessa alla tua dichiarazione di poetica, mi sembra il più problematico e quindi il più fertile di interesse:

    “Sono tempi, questi, in cui la denuncia dell’ideologia dominante e delle sue mistificazioni ha sempre meno effetto, come sempre meno efficacia sembra avere, nei fatti, ogni riferimento all’eredità novecentesca del pensiero critico. Si apre, quindi, un’opportunità decisiva per artisti e scrittori di sondare in modi nuovi ed inattesi questo presente, al di fuori di ogni dibattito d’attualità. Sotto la cortina dell’attualità e delle sue agende mediatiche vi è il territorio inesplorato del presente, ossia delle nostre vite, nella loro confusione, gioia, e miseria. I generi letterari sono troppo permeabili alle ideologie, sia a quelle vincenti sia a quelle perdenti, e in ogni caso subiscono, per accettazione o rifiuto, il repertorio tematico dell’attualità. Sganciarsi dai condizionamenti tematico-formali dei generi, significa costringersi ad approntare dei nuovi strumenti di captazione e di visione, in piena libertà e rischio.”

    L’assunto nel suo complesso mi sembra molto chiaro, ma insieme ricco di impliciti; quello che ho sentito più forte è che una scrittura di denuncia all’ideologia dominante debba passare ipso facto per “le cortine dell’attualità”. E che la ricerca al di là degli steccati dei generi codificati sia pienamente possibile, naturale, solo oltre “il repertorio tematico dell’attualità”.

    (Per quanto mi riguarda, sono e restano praticabili anche le risposte contrarie (credo si possa “sondare in modi nuovi e inattesi questo presente” pur continuando a praticare strategie testuali mirate alla denuncia dell’ideologia dominante; e si possa lavorare oltre i generi tradizionali anche a partire dal repertorio tematico dell’attualità).)

    [A margine, alcune riflessioni:

    “Non si tratta, insomma, di saltare a piè pari da una postura autoriale forte, da un’interiorità creatrice, densa di esperienza e di presupposti ideologici, verso l’uso aleatorio, puramente meccanico del cut-up o delle più recenti tecniche di googlism”.

    Non sono naturalmente le sole strategie possibili per mettere tra parentesi il “soggetto”, ce ne sono molte altre. E, ancora, ci sono le modalità di Beckett in letteratura e di Feldman in musica, che sono tutto tranne che puramente meccaniche e stocastiche. Per altro verso, il less is more (non il less is less) dell’attenuazione delle istanze autorali, in molti casi notevoli è quasi sempre un mezzo – finalizzato a una poetica, di tipo “civile” – e raramente un fine. Così nelle migliori (più convincenti e più “politiche”) opere d’arte contemporanea.

    “Piuttosto che ritrovare l’ombra della deliberazione d’autore nel processo impersonale del montaggio, come un tempo la si trovava nella scrittura automatica surrealista”

    Questo in effetti lo vedo come un falso problema, che poteva valere proprio soltanto per la vecchia scrittura surrealista, dove infatti l’automatismo costituiva “ancora” un modo per ripiegare su se stessi, soffermandosi sui propri ricordi e sulle proprie sensazioni, poi straniati nel flusso della forma (in breve, il surrealismo, complice la psicoanalisi, era ancora introversamente chiuso sull’io, sprofondato nel suo inconscio).]

    Un abbraccio ad Andrea e un saluto a tutti,
    Alessandro

  24. sono molto ignorante su queste tematiche, le mie letture per di piu’ sono scarse, quindi le mie piu’ che affermazioni sono sensazioni, dubbi interrogativi di lettore, cui magari voi autori potrete dare qualche risposta oltre a discutere tra di voi.
    Se è vero che il soggetto non solo è liquido ma sempre più articolato in entità diverse, per provienza terriotoriale linguistica e culturale, se è vero che il soggetto non piu’ fisso e immobile (v. citazione di farinelli all’inizio) è se è vero che siamo di fronte a una proliferazione di culture e di esperienze e di immaginario senza terriotrio
    parlare di riduzione del soggetto sia pur in modo elegante, m isembra esercizio sterile.
    io parlarei di soggetto capace di essere mobile e capace di assorbire la molteplicità del mondo, prendendo le distanze dal proprio io, dalla propria e presunta cultura, dalla propria lingua.
    Una scrittrice messicana Cristina Rivera garza, scrive romanzi in spagnolo e poesia in inglese. Lei dice che solo prendendo le distanze dalla lingua madre puo’ riuscire a esprimersi in versi.

    Ultima cosa se posso permettermi
    Non è questoil tempo di teorizzare come facevano le avanguardie storiche,
    questo è il tempo di sperimentare, sporcarsi le mani, confondere la propria vita con l’arte.

  25. Ho sentito più volte l’esigenza di argomentare su questa specifica questione che mi interessa molto, ma alla fine ho sempre rinviato per varie ragioni, spaventata dalla complessità e dalle mie deficienze comunicative, però, dal momento che la cosa torna a riproporsi con certa insistenza, farò un tentativo.
    Innanzitutto, avevo letto quel numero del Verri e non posso che essere pienamente d’accordo con la definizione di Milli Graffi sulle dichiarazioni programmatiche dei singoli autori di prosa in prosa come “stupendamente divergenti” e sì che divergenti sono, dopo le dichiarazioni, le singole modalità compositive e gli esiti, e questo lo ritengo un merito perché la problematicità è antidogmatica.
    Nello specifico, sul soggetto lirico – soppresso- che è punto nevralgico di una, ormai, lunga tradizione poetica, è stato detto tanto e altrettanto ignorato e se però è vero che resta uno dei capitoli più controversi, è altrettanto vero quello che diceva qualche commentatore, cioè il rischio – non per i poeti qui chiamati in causa, ma per tanti altri più giovani, inesperti, di mestiere meno scaltrito, di assumerne la posa, sposarne la formula acriticamente, con l’unico fine di ottenere ascolto, consensi, entrare in una conclave di prestigio. (in questo per nulla dissimile dal credito che conferisce un versificare qualunque di manierismo, per un’altra conclave di un altro prestigio) parlare di conclave e concistoro, penso dopo averlo appena scritto, ci può pure stare se non manca, detto con umorismo, certa vocazione pretesca alla compunzione, a frenare i bassi istinti egoisti e narcisisti, a sposare l’interesse comune, la collettività, il fuori da me, piuttosto che l’ombelico del mondo.
    Scendere un po’ di peso, concedersi meno spazio perché l’altro, il mondo, possa averne a sufficienza per un incontro minimo sul foglio, è uno sforzo apprezzabile.
    Quanto vi sia, in tutto ciò, anche nelle migliori intenzioni, di illusorio, credo sia noto a tutti, e occorrerebbe tenere sempre a mente che forse non esiste nessuna maniera, per poeti e scrittori, di sbarazzarsi dei propri narcisismi mascherati e travestiti che siano. Dopo di che, si può proseguire il ragionamento, e a tal proposito trascriverei solo un passo della famosa prefazione ai novissimi di Alfredo Giuliani, che chiarisce tutto il resto :
    “Due aspetti delle nostre poesie vorrei far notare: una reale riduzione dell’io, quale produttore di significati, e una corrispondente versificazione, priva di edonismo, libera da quella ambizione rituale che è propria dell’ormai degradata versificazione sillabica e dei suoi moderni camuffamenti. Quanto alla riduzione dell’io, bisogna intendersi. Anche qui, soprattutto qui, l’artefatta polemica sui contenuti non reca alcuna schiarita. Troppo frequentemente, nelle poesie che vorrebbero essere le più aliene dall’intimismo, l’io si nasconde con orgoglio e pervicacia dietro una presunzione di oggettività. Le apparenza, come di solito, ingannano. In realtà – e ciò spiega perché diamo importanza a un certo orientamento metrico- il tono non solo fa la musica del discorso, ma ne determina l’operatività, il significato. Così la riduzione dell’io dipende più dalla fantasia linguistica che dalla scelta ideologica. Non c’è, si capisce, un solo modo di apertura. […]

    Ovviamente, l’inclinazione a far parlare i pensieri e gli oggetti dell’esperienza è un atto individuale, di me che scrivo e che non voglio affatto nascondere la mia soggettività. La riduzione dell’io è la mia ultima storica possibilità di esprimermi soggettivamente[…] Dialettica, se vogliamo, dell’alienazione.[…]

    E questo è un percorso validissimo, cui io stessa ho cercato di attenermi, con tutti i mie difetti e tentativi maldestri e poco riusciti, ma comunque fisso il pensiero al modello, finché sotto pressione mi è saltata una valvola e anziché buttarla via, come al solito, perché totalmente incongruente con quanto finora sostenuto, ho cominciato ad interrogarmi sulle antitesi e le ho trovate non meno valide e spinose e controverse, costringendomi a rimescolare le carte. E allora, solo per spiegare come nessuna operazione, se assunta criticamente, con buona dose di problematica consapevolezza sia da scartare, trascrivo qui un passo da Caosmosi di Felix Guattari:

    “Le mie attività professionali nel campo della psicoterapia così come il mio impegno POLITICO e CULTURALE, mi hanno spinto a mettere sempre maggiormente l’accento sulla soggettività in quanto prodotta sia da istanze individuali che collettive ed istituzionali.
    Considerare la soggettività dal punto di vista della su a produzione non implica alcun ritorno ai tradizionali sistemi di determinazione binaria., infrastruttura materiale- sovrastruttura ideologica. Indifferenti registri semiotici che concorrono a generare soggettività non implicano rapporti gerarchici necessari, fissati una volta per tutte. Può accadere, ad esempio, che la semiotizzazione economica divenga dipendente da fattori psicologici collettivi, […] La soggettività è infatti plurale e polifonica, per riprendere un’espressione di Michail Bachtin. […]

    Ci soffermeremo sommariamente su qualche esempio. L’immenso movimento scatenato dagli studenti di Piazza Tienammen aveva certo per obiettivo parole d’ordine di democratizzazione politica. Tuttavia, appare pressoché certo che i carichi affettivi contagiosi di cui era portatore debordassero dalle semplici rivendicazioni ideologiche. Tutto uno stile di vita, una concezione dei rapporti sociali (a partire dalle immagini veicolate dall’Occidente) e un’etica collettiva, si sono trovati messe in gioco E a lungo termine i carri armati non potranno nulla! Come in Ungheria e in Polonia, sarà la mutazione esistenziale collettiva ad avere l’ultima parola! Tuttavia, i grandi movimenti di soggettivizzazione non si svolgono necessariamente in senso emancipatorio[…]
    Si può dire che la storia contemporanea è sempre più dominata dal montare di rivendicazioni di singolarità soggettiva – conflitti linguistici, rivendicazioni autonomiste, questioni nazionaliste – che in un’ambiguità totale esprimono aspirazioni alla liberazione nazionale, ma si manifestano in ciò che io chiamerei riterritorializzazioni conservatrici della soggettività”[…]

    In pratica, tutto questo sproloquio per dire che in sintesi, non solo il soggetto è poroso, come scriveva Inglese, e quindi è solo relativamente e approssimativamente districabile tra io e non io, per cui, concludeva, non è dopo tutto precisamente qui la questione; perché è invece, stando a Guattari, nonché a tutta un’altra corrente di studiosi dei media e tecnologie comunicative, è invece esattamente QUI (nella soggettività) la questione.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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