Tradurre ASByatt
di Anna Nadotti
[Reading and Translating ASByatt: From a Liquid to a Solid State. Universiteit Leiden, February, 9th, 2010]
Il tempo passa per gli scrittori. E passa per i traduttori.
Le circostanze esterne cambiano, oppure no, ma ci influenzano.
Cambia di certo il nostro mondo interiore. Per via dell’amore e della morte, per via dei nuovi nati e per gli anni che s’assommano, per gli amici incontrati e per quelli perduti, per gioie e tristezze, per soddisfazioni e delusioni. E non solo. Cambiamo perché vediamo, leggiamo, ascoltiamo e impariamo. Cambiamo perché ri-vediamo, ri-leggiamo, ri-ascoltiamo e impariamo di nuovo.
Sono ormai vent’anni che Fausto Galuzzi e io traduciamo AS Byatt, e certamente non siamo gli stessi di venti anni fa. Giacché le nostre vite procedono separate, connesse soltanto – seppure per mesi e mesi! – dalla traduzione dei romanzi e dei racconti di ASB, in questa sede dirò qualcosa di me.
Tutto cominciò con l’ “intraducibile” Possession, che Einaudi decise di affidarci. Era il 1990. Ma io avevo già tradotto Sugar per me sola, cercando un sollievo dopo la morte di mio padre. Cosa che ha cambiato il mio modo di guardare i dipinti di Van Gogh e di Vermeer. E le parole, un nero su bianco che ho cercato di rimettere nero su bianco, sono diventate un rimedio per qualcosa di molto privato, molto intimo. Più che una traduttrice in quell’occasione io sono stata una figlia adulta alla ricerca di ricordi attraverso i ricordi di un altro. La pubblicazione è avvenuta molto dopo, e la sua veste editoriale, Zucchero ghiaccio vetro filato (niente punti, niente virgole) è stato qualcosa di nuovo, per la parentela che io vedevo e che Byatt ha accettato di vedere tra i colori, le forme e la mutevole consistenza dello zucchero e gli esseri trasparenti che lei aveva nel frattempo impresso nel ghiaccio e nel vetro. Elementi di vita umana e sovrannaturali Elementals:
Una sconosciuta mi scrisse: “Grazie per aver tradotto Zucchero. Mi ha aiutata a superare un periodo davvero critico della mia vita”; e un’artista, anche lei sconosciuta, “Ho letto Zucchero e dopo ho sentito il bisogno di altra Byatt, così adesso sto leggendo tutto quello che trovo in italiano”.
Il mio modo di fare critica letteraria in tutti questi anni è stato caldamente sostenuto dai personaggi di ASB. Mi piace pensare certi suoi personaggi femminili come donne la cui fisicità cartacea (un ossimoro quanto mai pertinente) è solo un avatar. Allo stesso tempo, quando traduco, mi ricordo di tante donne che ho incontrato durante seminari e conferenze, ognuna con proprie parole specifiche, il proprio corpo e la propria storia, la propria soddisfazione nel leggere ASB, e nel discutere degli uomini, delle donne e dei bambini che vivono nelle sue trame.
Mi piaceva il teatro – Shakespeare e Peter Brook erano già nella mia testa e nei miei pensieri – ma, con Frederica Potter e con Alexander Wedderburn, il teatro ha improvvisamente acquistato sfumature più complesse. Mi sono chiesta a lungo perché, e la mia risposta è stata che il Quartetto è un teatro di vita nel quale ho trascorso anni, e questo mi ha resa piú consapevole del peso delle parole in quella particolare rappresentazione che è la traduzione. Penso che Fausto possa dire lo stesso.
Conosco piuttosto bene la National Portraits Gallery ma, anche in questo caso, non l’avevo mai visitata con il fantasma di Frederica Potter al fianco. Non avevo mai guardato i vari ritratti di Elisabetta I con quella intensità, ogni dettaglio un significato, ogni sfumatura di colore una intuizione.
Il Victoria & Albert Museum è stato un’esperienza ripetuta più volte, dalla fine degli anni Sessanta, quando ero una studentessa di letteratura inglese, ai primi anni Novanta quando ci sono andata con mia figlia, studentessa di architettura. Poi, nell’ottobre 2009, ci sono tornata con Kersti Juva, la traduttrice finlandese di ASB, e siamo andate alla ricerca del ritratto del principe Albert nella sua cornice rotonda, del nascondiglio di Philip Warren, e anche delle sale oggi scomparse dove i ‘padri’ ballavano con le ‘figlie’. Così facendo ci siamo rese conto di quanto il Museo sia cambiato. I suoi spazi nuovi o completamente rinnovati erano piuttosto irriconoscibili. Il museo diretto da Prosper Cain sembrava un museo al di là dello specchio. Uno dei tanti miracoli della narrativa di ASB che, in quanto traduttori, dobbiamo visualizzare… rendere visibili per i lettori.
Stavo dicendo che il traduttore cambia, così devo ammettere che il mio sguardo è stato influenzato, in quest’ultima circostanza, da una visione che è frutto dei miei frequenti passaggi in India. La gigantesca statua della regina Vittoria, assisa al centro del grande maidan (l’enorme spianata) di Calcutta, aggiunge qualcosa alla mia percezione del tempo e, come posso dire, of power and powder, del potere e della polvere. Sentivo quasi che una tale superfetazione di sguardi potesse funzionare come una lanterna per trovare le parole nei corridoi del Museo, qualcuno inondato di luce, qualche altro polveroso di una diversa polvere.
Istanbul rimane dov’era, con Pamuk che cammina nelle strade, ma c’è anche il genio che la narratologa di ASByatt rinchiudeva nella bottiglia. Quell’adorabile narratologa, un essere di second’ordine, che passava le sue giornate china in grandi biblioteche ove scorreva, interpretava e decodificava fiabe per l’infanzia e pubblicità di vodka per il mondo adulto.
E allora, vi chiederete?
Sto cercando di spiegare che per me è complicato discutere della singola parola o della singola frase senza considerare e vedere l’insieme, senza visualizzare i dettagli dell’insieme (l’ingegnoso pianino verticale di cui tanto abbiamo discusso, è un buon esempio), senza ascoltare tante voci, ognuna col proprio accento e il proprio composito non-detto. Io leggo i romanzi di ASB come enormi, perfetti affreschi sui quali bisogna lavorare come incisori al fine di ristabilirli in un’altra lingua. L’italiano nel nostro caso.
Con ristabilire non intendo mettere a nuovo ma restituire a se stesso, ciascuno col proprio linguaggio e il proprio ritmo peculiare. Nessun metodo giapponese di procedere (come nella Cappella Sistina), ma lente, delicate, esitanti pennellate. Di certo talvolta arbitrarie.
On ne veut pas l’assassiner… mais on accepte de se confesser, scriveva Jean Louis Chevalier commentando le scelte fatte nella sua traduzione – bellissima – di Possession. (Interessante che utilizzi la parola italiana e non l’equivalente francese quando argomenta sul ‘traditore’).
Tornando all’ultimo romanzo di ASB, The Children’s Book. Ricevetti il manoscritto il giorno del mio compleanno, sotto forma di una pesante risma di fogli stampati, ero in partenza per Buenos Aires e nel mio bagaglio c’erano saggi sulla guerra dell’oppio e 2666 di Roberto Bolaño, ma non ho potuto rinunciare a portarmene dietro almeno una parte.
Ho letto The Children’s Book e l’ho amato subito, ma con una certa preoccupazione. Un crescendo di timori. La prima guerra mondiale è parte dei sentimenti e delle conoscenze consapevoli o inconsci di ogni europeo. Così fin dall’inizio io potevo immaginare l’orrore che sarebbe toccato ai bambini, agli uomini e alle donne. Potevo vedere i cunicoli reali della miniera e, in quelli immaginari delle fiabe il disegno delle trincee. Potevo vedere nella crudeltà di Hunter, di Blewett e di Fitch, un crudele e inutile apprendistato per massacri altrettanto inutili.
E ancora… le case non sono sicure, e… alcuni di noi non sono come pensavano di essere, e i fabiani e i socialisti non sono esattamente ciò che supponevano di essere… e… Karl Marx è morto.
Non potevo smettere (ancora una sospensione di incredulità).
Conoscevo le bambole viennesi che in una Todefright solo apparentemente pastorale, anticipavano la tempesta imminente. E i balli, prima nel museo di Londra, poi a Vienna, mi facevano pensare a Luchino Visconti e a Bernardo Bertolucci, gli ultimi prima delle tempeste implacabili, dove quelli come Ariele sono troppo vulnerabili e Prospero deve aspettare la fine per parlare di nuovo e per scrivere del trauma che infine ci fa il dono di una magnifica catarsi.
Ero allora in quello stato liquido che ogni lettore conosce quando gira l’ultima pagina di un grande libro. Per tradurlo, ho dovuto riacquistare il mio stato solido. E tuttavia, per trovare le parole, sapevo che dovevo salvaguardare la coscienza frammentata che la lettura del romanzo aveva alimentato, così come il mondo rappresentato da ASB – il continente e l’isola – è un mondo frammentato, rotto, a tratti marcio. Così marcio che, come ben sappiamo, una guerra non è bastata.
Quando c’è in gioco una guerra, le parole, come dice Amitav Ghosh, possono costare delle vite, e piú che mai i traduttori devono assumersi la responsabilità e, come ha scritto Calvino, devono obbligarsi a mantenere quell’accanimento necessario per concentrarsi a scavare mesi e mesi sempre dentro quel tunnel, con uno scrupolo che ogni momento è sul punto di allentarsi, con una facoltà di discernere che ogni momento è sul punto di deformarsi, di cedere ad andazzi, allucinazioni, stravolgimenti della memoria linguistica, con quel rovello di perfezione che deve diventare una sorta di metodica follia, e della follia ha le ineffabili dolcezze e la logorante disperazione.
Ed eccomi qua. Così grata ad Antonia e alla sua energia tessitrice che fa fiorire le storie e le riveste di fronde sempre diverse.
Quanto alle sue poesie, tradurle non è che un tentativo, una scommessa, una sfida.
Due versi dal Paradiso di Dante indicano un possibile percorso:
S’io m’intuassi
come tu t’immii
[The Children’s Book è attualmente in traduzione e uscirà in Italia, per i tipi di Einaudi, nel mese di settembre]
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Talvolta si rimpiange che i traduttori si celino dietro chi scrive, e che i lettori non siano consapevoli del ruolo che essi hanno. In effetti il ruolo del traduttore è “sparire”. Ma Nadotti ha una personalità così intensa che è un vero peccato. Sia benvenuto questo intervento!
“il ruolo del traduttore è ‘sparire'”?? il traduttore ‘è’ uno scrittore.
parlate della poetica del traduttore, dell’etica del traduttore, del fare traduzione, ma siete ancora al traduttore-traditore?
Mai avrei pensato di poter davvero ringraziare quasi di persona chi traduce AS Byatt in italiano.
Vi sono infinitamente grata.
i DUE versi di dante… :)
non si è per niente al traduttore-traditore. ma è vero che il nome del traduttore spesso è dimenticato, passa in secondo piano, quasi sparisce. quanti sono i traduttori che si è in grado di nominare? quanta letteratura viene giudicata a seconda di chi la traduce? mi sembra un’abitudine di pochi, se non pochissimi.
E’ un onore poter commentare questo post. Anna Nadotti e Fausto Galuzzi hanno davvero compiuto un’impresa non da poco.Tradurre “Possession” è stata certamente una prova difficile(per usare un eufemismo) ma meravigliosamente riuscita. Siete dei grandi professionisti. Grazie per il lavoro che fate e per la passione che vi spinge sempre oltre. Byatt è una sfida per ogni traduttore. Con stima
Federica Galetto
nessun miglior commento che la traduzione (in inglese, di Mark Musa for Penguin Classics) del verso dantesco la cui cristallina bellezza rivaleggia, come sempre, con l’inventività linguistica e con la visionarietà poetica
(riporto l’intera terzina)
why does it leave my longing unfulfilled?
I would not wait for you to ask of me
were I to inyou as you now inme.
Ho ascoltato Anna Nadotti al festival di Mantova parlare di e con Amitav Ghosh. Spiravano erudizione e passione, e un’idea antica di verità attraverso la bellezza. (P)ossessioni, direi.
“The Children’s Book” è un romanzo straordinario, complesso, estremamente ricco e stracolmo di gioia e di speranza. Sono certo che quella gioia che prova il lettore nell’immergersi in questo romanzo di A.S. Byatt, è la stessa, o comunque una porzione di essa, che l’autrice prova nello scrivere. Dico “una porzione di essa” perchè credo che essere in grado di scrivere come Byatt scrive, sia una gioia molto più grande del lettore che si limita ad usufruirne, eppure semplicemente leggendo ne è altamente, e spesso, incredibilmente, ricompensato. Per me, leggere, e poi rileggere a distanza di un paio di mesi, “The Children’s Books” è stata un’esperienza vissuta quasi “in trance”. Questo libro ha avuto la capacità di riportare una memoria della mia infanzia, non piacevole per altro, che il bambino che allora ero, aveva inconsapevolmente chiuso in chissà quale angolo remoto della propria mente. Insomma, Byatt usando come tramite Tom Wellwood, è riuscita a restituirmi qualcosa di importante accaduto molti anni fa. Tutto ciò ha comunque importanza solo per me. Quello che importa a tutti i lettori invece sono le grandi capacità che deve per forza di cose possedere chi traduce AS Byatt. Spesso mentre leggevo The Children’s Book e mi imbattevo in un passo, piuttosto che in un’altro, mi dicevo “questa è una bella gatta da pelare per Anna Nadotti, chissà come se la caverà” e non volevo certo essere nei suoi panni. Pur leggendo in inglese, in passato sono andato a comparare alcuni passaggi dei romanzi di Byatt per vedere come certe frasi venivano rese in italiano e ne sono rimasto intrigato e affascinato. E lo sarò ancora, ne sono sicuro, quando farò la stessa cosa anche per “The Children’s Book”. Concludendo vorrei esprimere miei più vivi complimenti a Nadotti & Galuzzi. Una volta pubblicata questa traduzione potranno prendersi una pausa che spero non sarà eccessivamente lunga, dato che mi auguro ci sia presto un nuovo romanzo di Byatt a stimolare la loro e la nostra vita.