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da “Giornale del viaggio in Italia”

di Marco Giovenale

eraclitori

mi spiace ma per me il tradimento è anche la loro dal figlio libero, ha 45 anni in arizona, con nomi storici della provincia: tradimento in mare, mentre veniva per la prima volta dal dopo-colonialismo.

la montagna controlla uno degli accessi: per impedire la diagnosi preimpianto degli embrioni.

dopo la morte di carmelo bene.

mentre prepara i mattoni e la malta per sigillare il loculo più grande degli altri due, ed è stato consegnato, è stato un errore?

camera qualunque di un hotel: lei sul letto, è finita la competizione, in prossimità dello scarico. “sarebbe auspicabile un controllo più severo, più a portata di tutti” – si completa? quando saranno assegnati?

moltissimo sangue per le scale.

c’è stato un omicidio. quella che le ho mandato è una foto del cadavere in cui gli era stata legata.

al traffico qualcuno parla delle emorroidi, bipartitori cimiteriali, in specie di condomini sotterranei, la storia siamo noi, people have the power.

è stata scelta per sbarcarvi truppe.

cthulhu fa la prima comunione a santo stefano rotondo.

biotype biotypic biovax biovular biowait bipack biparous bipartisan.

mr. geek aumenta il prezzo delle ossa.

[Giornale del viaggio in Italia, in Bortolotti, Broggi, Giovenale, Inglese, Raos, Zaffarano Prosa in prosa, Le Lettere, 2009.]

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65 Commenti

  1. Ogni verso è un lampo,
    uno scatto,
    un appunto nella mente
    in un corpo in transit
    una mano, un occhio
    inghiottisce
    il fatto di cronaca
    o parole scappate
    della TV.
    Siamo parole in poesia.

  2. cos’è, una specie di blob? e se lo è, non è un po’ datato? e se non lo è, non è un po’ datato lo stesso?

  3. Queste reazioni mi sembrano le stesse che potevano colpire, chessò, le poesie del primo Arp, costruite con soli elementi relazionali, o con soli fonemi. Poesie, cioè, che è impossibile giudicare senza ricostruire una traiettoria di pensiero e delle conclusioni estetiche coerenti e sofferte.

    Lungo questa traiettoria del lavoro di Giovenale, lo si vede, messa in campo di uno stile ed una problematica assai diverse da quelle dei suoi principali lavori in poesia, e dalle stesse prose dei Numeri primi, mi sembra di poter intercettare, mutate molte mutande, un passo di Adorno, dalla Teoria estetica, che dice:

    “il contenuto di verità di più di un movimento artistico, non culmina necessariamente in grandi opere d’arte; Benjamin l’ha provato nel caso del dramma barocco. Probabilmente lo stesso vale per l’espressionismo tedesco ed il surrealismo francese, che non a caso sfida lo stesso concetto di arte – e quello della sfida è un momento che da allora è rimasto mescolato a tutta l’arte autenticamente nuova. Ma poiché nondimeno essa è rimasta arte, sarà lecito ricercare come nocciolo di quella provocazione la preponderanza dell’arte sull’opera d’arte. […] Ciò che sotto l’aspetto dell’opera si presenta come non riuscito o semplice esempio testimonia di impulsi che a malapena riescono ad obbiettivarsi nella singola opera d’arte; sono gli impulsi di un’arte che trascende se stessa; la loro idea attende di essere salvata.” (Einaudi, 1975, pp. 37-38).

    Eliminando la contestualizzazione del discorso – il riferimento, ossia, ai “movimenti”, agli “ismi”, mi pare che questo genere di prose di Marco, si veda anche il lavoro quotidiano su differx.it, testimoni di una simile preponderanza di una riflessione non solo estetica, e di una idea di “arte”, per forza di cose difficilmente obbiettivabile nel singolo testo, o nel singolo frammento di. la figura, come sempre in questi casi, la si può comprendere meglio nel momento in cui è una struttura-libro a poter essere analizzata, non senza un cortocircuito continuo con le tesi, e le teorie, che alla sua costruzione e realizzazione si accompagnano. è un’idea, e una sfida, che trascende le sue manifestazioni particolari. un complesso che, appunto, attende di essere “salvato” – cioè compreso, nel tempo, ricostruito, assimilato e misurato sul lungo periodo.

    E sul lungo periodo si capirà – questa è, naturalmente, una opinione personale – la sua pregnanza e importanza.

    Un saluto,

    F.T.

  4. Errata corrige:

    “…le poesie del primo Arp, costruite con soli elementi relazionali, o quelle di Hugo Ball, fatte con soli fonemi. Poesie, cioè…”

  5. @ Fabio Teti

    Lo so, è difficile… ma facciamo chiarezza, proviamoci. Veda, io ora cambio nick e rientro con un intervento dove metto in comunicazione quel testo di Giovenale (che io non conosco come autore e personalmente) con il wabi sabi e la prosa poetica di “Momenti d’ozio” di Yoshida Kenko e farei funzionare un piccolo approccio di critica di segno positivo. Le dico questo in particolare perché anni addietro Hans Richter stabilì (azzardò) un contatto tra poetica dadaista e filosofia buddista. Come lei saprà il filo rosso orientale attraverso il dada sarebbe approdato all’esperienza di Cage via Fluxus, e la stessa “operazione” è stata realizzata da alcuni esponenti di spicco dell’informale americano sulla calligrafia giapponese. Un operazione di significanti. Non sono al corrente delle “sofferte conclusioni estetiche” del poeta in questione, e non bisogna utilizzare questa come scusa ma restare al testo (tale è stato pubblicato nella sua nuda svogliatezza) ed il risultato è da non cestinare per non oltraggiare il cetino. Non mobilitiamo gli ismi dunque, Hugo Ball in particolar modo che è stato un grandissimo artifex e il dada i cui personaggi di spicco che lei cita agivano con una programmatica involontarietà (caos / caso / objet trouvé) in un momento storico (e politico) gravoso. Non si può replicare l’età che Shattuck definiva “gli anni del banchetto”, le ultime briciole se le son spartite le ideografie sperimentali ’60 / ’70. Quindi no, non è una questione di borghese reazione di disgusto ad una composizione poetica che si fatica a comprendere. Non è una questione di non riconoscere o disconoscere, è il risultato (opinione personale) che è pessimo, inconcludente. Opinione personale le ripeto, non vedo un sintetizzare precedenti traiettorie poetiche per giungere ad un risultato che sia un passo avanti, non nuovo o per forza nuovo questo non interessa, usciamo dagli ismi, ma che in quella traiettoria estetica in cui credo si muove il poeta, non si toccano affetti, non si incide, rischia davvero endogena indifferenza.

  6. ho sempre pensato di scrivere avendo in capo Felix Fénéon, o Giulio Ossequiente, adesso mi parlano di questo Cage e di anni troppo recenti, mi si scombinano tutte le carte… santa polenta…

  7. @ Marco Giovenale

    il Teti le ha attribuito dadaismi, non altri.

    Lei è soddisfatto del risultato del suo lavoro ? Mi riferisco a quel testo.

  8. Sono colpita dell’insolito.
    Parole come strappate a un mondo
    di science fiction.
    Vedo non un riferimento a una poesia
    sperimentale del XIX, ma una poesia
    orientata verso il futuro,
    una lingua strappata come brano
    con elementi della grammatica in assenza.

  9. Insomma Robin Masters ha studiato, mostra bicipiti lustri d’olio, a un lato Shattuck, Richter dall’altro. Ma le sue opinioni, infine, quali sono? “Pessimo e inconcludente” Giovenale, senza aggiungere la menoma svogliatissima sillaba che sostanzi un’idea, che indichi la ‘traiettoria’ della sua lettura. Su, omobono, perché il testo è ‘inconcludente’? Di’.

  10. qualche tempo fa, non molto, proprio qui qualcuno lamentava l’eccesso di informazione e cultura che certi commenti trasudano rispetto al post.
    questa è una buona occasione per mettere da parte tutti i riferimenti colti, tutte le citazioni e dare al post quello che merita.
    rimango dell’idea – potete invocare tutte le avanguardie e le neo-avanguardie, tutte ugualmente defunte – questa è roba stantìa, in-significante. in un mondo incomprensibile, ridotto a brandelli privi di senso che facciamo? gli rifacciamo il verso? è forse scoccata l’ora di piantarla con le menate e rimettersi a lottare. a comunicare limpidamente, tanto per cambiare. qui non v’è senso, scopo, soddisfazione. vabbè che la letteratura è tendenzialmente elitaria, ma non scambiamo per elitario/letterario ogni chiacchiaratella ‘e niente. e pazienza se gadda mi fustigherebbe come la sciura cesira di turno. mi rifiuto scientemente di prestare ascolto a robetta simile: datevi da fare, poeti e scrittori, invece di farvi le pippe mentali, di offrire il vostro spettacolino reservé ad amici in deliquio che poi, girato l’angolo, vi sbertucciano. piantatela di compiacervi e di compiacere. piantatela di dare nomi altisonanti ai vostri sciacquamorbidi. se la lettura non conduce da nessuna parte non avete speranza. e poi mi sa che alcuni ci fanno…e vabbè, giovenale, anche lei c’ha provato!

  11. @ Robin Masters, con ritardo: (e senza aprire il dossier-thread della polemica, non ne ho il tempo, le forze, e l’i-point sta per chiudere).

    due precisazioni:

    1. ho ventiquattro anni, può darmi del tu.

    2. non ho, in questa circostanza nè altrove, attribuito dadaismi o ismi in generale al lavoro di Giovenale – e può rileggere, dal mio commento: “Eliminando la contestualizzazione del discorso – il riferimento, ossia, ai “movimenti”, agli “ismi”, mi pare che questo genere di prose…”. eccetera eccetera. l’idea, che ho voluto esprimere e che non è mutata, nè, d’altronde, ha ricevuto una vera critica nella sua risposta, è tutta nella parte che segue.

    Un saluto,

    F.T.

    ps.

    @ Veroniqué: credo tu abbia ragione, e in entrambi i commenti.

    Hail

  12. @ Fabio Teti

    “Queste reazioni mi sembrano le stesse che potevano colpire, chessò, le poesie del primo Arp, costruite con soli elementi relazionali, o con soli fonemi. Poesie, cioè, che è impossibile giudicare senza ricostruire una traiettoria di pensiero e delle conclusioni estetiche coerenti e sofferte.”

    Ho risposto a questo, e solo perché hai citato Arp, mai avuto voglia di

    polemica.

  13. “di una idea di “arte”, per forza di cose difficilmente obbiettivabile nel singolo testo,”

    ma in effetti questo passaggio di teti mi sembra molto interessante, nel senso che coglie un punto non secondario della scrittura di marco (che non è comunque avara di momenti stilistici completi, illuminanti, anche in grado di toccare gli “affetti” come dice robin) ovvero che la stessa scrittura non è riconducibile solo ad una questione di stile, di efficacia, di riuscita ma si pone piuttosto il problema del testo come proposta d’ordine sul mondo (e che come tale vale al di là della riuscita formale). non è un problema da poco e, posto nei termini in cui marco (ma anche altri autori) lo mettono, crea uno spazio oltre la tradizione formalista, da una parte, e quella “bellostilistica” dall’altra (e ci dice anche che lo stile, come l’eco, è un epifenomeno ;-)

  14. “è forse scoccata l’ora di piantarla con le menate e rimettersi a lottare. a comunicare limpidamente, tanto per cambiare.”

    ma brava lucy: siamo d’accordo, è arte degenerata! Cosa proponi, oltre al fatto di dire che per te è insignificante? Un intervento dall’alto, una mobilitazione del popolo? Una piccola carica della polizia…

  15. propongo quello che ho detto: basta con il vomito di parole parole parole in libertà, che fingono di dire e non dicono. ovunque mi volto non vedo che questi sbuffi modajoli. ma magari si potesse chiamare arte degenerata. non è arte e non è neanche stata generata, come fa ad essere degenerata: è abortita. o abortito, perché non so cos’è. mi sono proprio rotta: il massimo del progresso è stare fermi o guardare indietro. ma mooooolto lontano. via da questi vuoti a perdere. raccontatevela, recitatevela, dite a mammà che nessuno vi capisce, brutti cattivi che siamo. e soprattutto fate muro contro questi filistei.
    ah, i geni incompresi!
    andrea inglese: mi spiace che lei la pensi così e se la prenda: di solito mi piace quello che scrive. non si metta a scrivere così, si tragga in salvo.

  16. chi sta fermo, purtroppo e troppo spesso, è il lettore, che uno sforzo per “andare verso il testo”, e anche verso ciò che il testo precede e informa, non lo fa mai. ma va bè. l’editoria italiana può cogliere interessanti spunti da questa situazione. saltare e-book ed audiobook e dedicarsi invece, direttamente, agli omogeneizzati letterari. o meglio, che occuperebbero meno spazio sugli scaffali, a fogliettoni in Vivin C idrosolubili.

  17. @ Fabio Teti

    Fuori dalle opinioni personali su quel testo, gli affidiamo dignità diverse

    prima lo scriba deve produrlo, un testo, degno di questo nome.

    Tu continui ad “insinuare” di lettori incolti, inconsapevoli o accidiosi
    una categoria che esiste e forse non ti rendi conto che l’editoria in
    questo paese ha cominciato da un pezzo ad occuparsi solo di
    omogeneizzati, è da qui che nasce il problema. Che siano speziati
    deragliando dalla stirpe di antichi prodigi o fragolosamente hellokittyani
    sempre tali restano.

  18. i cibi troppo raffinati uccidono. gli omogeneizzati fanno schifo. perché mai appena uno protesta per l’obiettiva incomprensibilità (e sotto sotto gratuità, furbizia) di certa produzione gli si deve attribuire cattiva volontà, ovvero incapacità di comprendere? arroccatevi, conventicolatevi, parlatevi addosso, complimentatevi reciprocamente: in una parola: fate a meno dei lettori, questi miseri, incapaci, ingrati fruitori testardi che non fanno lo sforzo di aderire al vostro genio, o litterati!
    quando avrete scritto l’ennesimo pezzo sconclusionato, quando avrete ammazzato di noja il venticinquesimo vostro lettore, avrete raggiunto lo scopo della vostra esistenza: lo zero assoluto, il non-senso del vostro dire, scrivere, esistere. può essere intellettualmente una sfida: ma è vecchia, datatissima e furba. non sono io che non valgo niente: sono “loro” che non capiscono. ma fate il piacere! credete davvero che chi sta dall’altra parte non capisca, non si sforzi? non sia in grado di? è questo il problema della nullità, o quasi, del panorama letterario italiano: manca uno sforzo di segno contrario, per uscire dal cantuccio lirico, per pochi iniziati, senza svendersi. senza produrre pappette per neonati, per intendersi. nell’oscurità di certa “parlatura” non sempre si nasconde il germe del dolce stilnovo: spesso sotto la bella veste dell’avanguardia non c’è nulla. e oggi, nessuno mi ha ancora convinto del contrario, molta moltissima fuffa.

  19. @ Robin Masters.

    lasciando da parte per un attimo la diversa dignità che attribuiamo a questo testo, mi trovo, sul resto, perfettamente daccordo con te. ho anche provato a motivare il perché, ovvero perché questo testo, per me, è, e vale. l’ho fatto ponendo il problema che si presenta, su questo lato della sperimentazione di Giovenale (e non succede in ogni versante del suo lavoro), a voler giudicare un brano in sé senza tener presente un certo numero di riflessioni estetiche e non solo che vi stanno dietro. tu potrai dirmi, giustamente: parlaci allora di queste riflessioni. non riuscirei mai a farlo in poco tempo e nel contesto di un commento, questa è una mia mancanza, e me ne scuso.

    @ Lucy.

    sono sostanzialmente in disaccordo. nessuna gratuità, furbizia, incomprensibilità. non si tratta di stil novi e conventicole avanguardistiche, nè i lavori di Giovenale – figuriamoci – stanno chiusi in un cantuccio lirico, per soli iniziati. si tratta, invece, semplicemente di capire – la pongo come opinione personale – che un tipo di lavoro simile, che appunto non fornisce in sé le coordinate del suo scioglimento, e insomma i criteri di una sua lettura formalista e perspicua, data pronta e riconoscibile, presenta, a mio avviso, assai più rispetto per l’intelligenza del lettore di quanto vuole lasciar intendere la tua reazione, che tralaltro tradisce un’insofferenza d’altro tipo, quella di chi ritiene sempre e comunque di poter fare molto meglio dell’autore che sta commentando. fallo, dunque, lamentarsi non serve a niente.

    Saluti,

    F.T.

  20. questa, caro fabio teti, è spocchia al quadrato! io non penso, soprattutto non sempre e comunque, di saper fare meglio di chi giudico. se così fosse la critica letteraria non esisterebbe, perché il fattore fondamentale dovrebbe essere quello di essere – sempre e comunque – dei creativi a propria volta. il poeta fa la critica al poeta, lo scrittore allo scrittore. lo scrittore a se stesso, a questo punto. come non vedere che il punto è proprio questo? è un noli me tangere diffuso, un atteggiamento di elitarismo suicida che sta pervadendo la contemporaneità. io non mi lamento: semplicemente, sempre che NI sia quello che dice di essere mentre spesso ne ricavo la sensazione contraria, penso di poter espimere dissenso. e dato che lo spazio di un commento non consente una disamina efficace – è lei stesso a sostenerlo – dobbiamo fidarci che chi parla abbia un minimo di capacità di intendere. e invece no: riavvitando il discorso su se stesso, ignorando esattamente il problema dell’indifferenza diffusa alle opinioni dei lettori comuni, che potrebbero essere uncommon, chi lo può stabilire? non ci/vi spostate di un millimetro. e pazienza. periodicamente su NI si ricasca sempre sugli stessi discorsi. a meno di non dire alleluja alleluja, habemus poetam magnum, alleluja alleluja! alla prima strampalata cavolatina.
    anch’io: saluti.

  21. Dal commento, il rimpianto, dopo la morte di beniamino.
    Riva che la sponda non tace, altri gatti randagi nel ripostiglio,
    per il sangue. Lotta dei martiri, marziani, maritati, marciapiedi
    marta senza volto, bendata.

    L’omicidio col telecomando, l’altra soluzione per i canti.

    Il pensiero di essere su, non meno di carta, o del popolo
    fatto a pezzi, nella carne di una mano.

    Gratuità della calligrafia, con i polsi sottratti. Amenità, preghiera.

  22. Lucy, sto scrivendo anch’io in qualità di lettore comune, non faccio parte di alcuna conventicola, non sono redattore di NI, non traggo sovvenzioni dai miei commenti, né ho mai pensato di impedire ad alcuno il dissenso o l’assenso. non per altro, normalmente, evito le irruzioni più o meno polemiche anche quando vedo gli alleluja a testi/articoli che non mi convincono, e proprio per queste ragioni. quando posso, quando il testo mi stimola, e ne ho i mezzi, ne dò una lettura, in altri casi, per mancanza di tempo, mi limito ad un assenso. poi può capitare, però, che se vedo liquidato un autore che stimo, che studio e che ritengo realmente importante, con una semplice serie di “che porcheria!”, possa intervenire cercando di motivare il contrario, come ho provato a fare nel mio primo commento. che, mi pare, prima dell’intervento di Bortolotti, è stato il solo positivo al testo di Giovenale insieme a quello di Véronique. chi dunque impedisce a chi di esprimere pareri? poi, se questa ti sembra spocchia, non so proprio che dire.

    Hail to you

  23. @ Fabio Teti

    hai letto questo ?

    http://www.altroconsumo.it/infezioni-virali/influenza-a-emergono-le-verita-nascoste-s264653.htm

    capisci Fabio, non è possibil più nemmen morir di peste, nemmeno
    la peste, una che sia vera ci rimane, che non sia omogeinizzata cioè carica di coscienza civile, demagogica e quindi dedita solo alla prostituzione.
    Qui, in NI e non solo, c’è sempre troppa coscienza civile cioè parassitismo e non sperimentazione Céliniana (che era un medico)
    non c’è fare i conti con la peste ma ci sono solo i conti (leggi l’articolo) e da quel testo di Giovenale, ora un pretesto, di questo non trasuda, di quel testo come nella totalità ormai di produzione letteraria oggi anno del signore 2010, c’è nulla che tocca affetti. La filiera dell’editoria è piena di gente che non ha voglia di imparare a far le pulizie negli androni vuoti finito l’orario di lavoro ma vogliono far gli editor, che insieme agli agenti e critici, sono i nuovi protagonisti, come è già successo ovunque nelle arti, con le figure del critico e collezionista. Ci son più scrittori che lettori, tutti scrivono e quindi serve manovalanza per sbozzare tutta questa melma. Un Giovenale, un Inglese (due nomi a pretesto come altri qui davvero senza personalizzazione) un tutti coloro che pubblicano, hanno soprattutto in quest’oggi una responsabilità incredibile e io non vedo proprio che ci si pigli responsabilità di nulla che non sia far figuranza invece che defigurarsi. Io mi auguro per loro che questi autori siano ancora capaci di soffrire di gioia e dolore, che ci sia ancora in loro questa linfa e ciò che scrivono non sia un ennesimo bluff, me lo auguro per loro che non siano già stati acquistati da chi produce l’omogeinizzato.

  24. Robin,

    credo di capire il tuo discorso, e, tralaltro, lo condivido in pieno.
    o meglio: lo condividerei in pieno se non prendesse a pretesto autori come Giovenale e Inglese, dei quali negli ultimi anni ho letto quasi tutto, e che ho amato proprio per ragioni contrarie a quelle che mi esponi. proprio per il loro fare i conti con la peste, senza facili pietismi, senza nessuna demagogia (cazzo: Luzi era un autore demagogico!), raffreddando il dolore e la gioia (da quelle modalità vaporose e sensazionalistiche cui siamo abituati) verso movimenti e limitazioni assai più etiche e profonde. qui si parlava di Giovenale: in due libri come La casa esposta e il Criterio dei vetri, per dire, è proprio il dolore il passaggio obbligato e necessario verso qualunque sostanziale acquisizione conoscitiva. la peste, e non i conti.
    ma credo, anche, che sia inutile accapigliarsi in questo spazio commenti su argomenti simili, anche perché, pensando praticamente le stesse cose ma attribuendole a tipologie d’autore, presumo, assai diverse, non vedo come non potremmo continuare a scambiarci degli equivoci. servirebbe una chiacchierata de visu, come sempre…

  25. @ Fabio

    All’amor non si comanda, ad ognuno il proprio.
    Luzi era luz, luce pura, ma son gusti, seppur di non corpo altrove, è più vivo di quasi tutti i “poeti” odierni. Si ci vorrebbe de visu, potremmo non capirci cordialmente, e sarebbe già qualcosa.

  26. a lucy,

    1) quello che trovo sbagliato nella sua critica è la generalizzazione, che davvero non serve a niente; magari serve a lei come sfogo emotivo, ma finisce fuori bersaglio. Questo testo di Giovenale non le dice nulla, benissimo. Io credo che le reazioni di qualsiasi lettore abbiano sempre senso per chi scrive.

    Quello che trovo davvero inutile e sbagliato è correre a condannare “poeti e scrittori” – ma i poeti non sono scrittori? – indistintamente, e indistintamente accusati di essere elitari… Se va nelle librerie, mi sembra che ci siano scaffali pieni di scrittori per nulla elitari. Primo. Si tratta poi di distinguere tra generi: il romanzo, brutto o buono che sia, da almeno due secolo vende più – ha più lettori – della poesia, brutta o buona che sia. Secondo. Distingua poi allora tra poeti (o in questo caso poeti-prosatori): questo tipo di testo di questo autore non mi dice nulla. Magari scoprirà che quello stesso autore scrive altri tipi di testi, che potrebbero piacerle. Vede quante cose finisce per confondere partendo da una sua sacrosanta impressione di lettura? Insomma alla fine non si capisce bene con chi ce l’ha? Con questo testo di Giovenale?, con la poetica di Giovenale?, con tutti i poeti contemporanei?, con tutti i poeti e i romanzieri contemporanei?

  27. a Robin:
    “Io mi auguro per loro che questi autori siano ancora capaci di soffrire di gioia e dolore”

    caro robin invece di augurarmi pretescamente queste “esperienze di vita”, vatti a leggere quanto scrivo e poi testi alla mano vieni a dirmi se devo imparare gioia e dolore da qualcuno – e un consiglio, non conoscendo le persone di cui parlate, la loro biografia, attenetevi ai testi: se volete emettere giudizi fatelo su quello, sui libri, lasciate stare la psico-critica; per fare psico-critica ci vogliono un po’ di documenti di contesto, altrimenti sono inutili illazioni

  28. @ andrea inglese

    essere capaci e non, imparare da qualcuno, leggi correttamente.

    Sovente vedi preti e poliziotti nei discorsi altrui, te ne accorgi ?

    Ti leggo in NI quando capita ed in altri luoghi webmatici, ha un valore
    immagino la tua parola dove appare, rende un’idea di cosa pensi, cosa credi e speri, un’idea, non altro. Restituisce un clima, un’atmosfera, credo sia lo stesso anche per te. Ed ho specificato bene che non c’era personalizzazione da parte mia, come verso Giovenale, da un nudo testo siam partiti, l’ho detto, nella sua nuda svogliatezza apparso, ho argomentato ed espresso a più riprese, opinabile personale opinione.
    Come con Fabio, prima o poi magari si converserà de visu.

  29. sono sinceramente dispiaciuto che non possiamo confrontarci di persona. secondo me è questa una fonte di incomprensioni.
    non che un testo brutto o bello diventi bello o brutto se ci si parla – appunto – de visu. ma sicuramente il meccanismo dell’accrescimento di tensione, del ping pong avvelenatello, frequente spesso nei thread, non si infiammerebbe. contrasto e discussione avrebbero forse altri modi e moduli. dico forse.
    ringrazio per i commenti. thanx anche a chi mi fa critiche, tra l’altro. non vorrei sembrare scortese nel non rispondere, ma sono al lavoro e fino a domani sera non avrò web, temo.
    in ogni caso “cthulhu fa la prima comunione a santo stefano rotondo” a me faceva ridere. ridere è un affetto. non so se è lecito completare il sillogismo. uhm, sarei tentato.
    a parte tutto, tra padre pio e lovecraft c’era una differenza di appena tre anni. purtroppo lovecraft è morto nel ’37. davvero troppo giovane.
    a pepe, che saluto con amicizia, suggerisco l’abolizione delle maiuscole. ma non è una regola, nella maniera più assoluta.
    chi è a milano giovedì e vuole venire a sentire altre cose strane che leggeremo da prosa in prosa è il benvenuto.
    vorrei intervenire di nuovo, scusate la corsa e la brevità. tento di riscrivere prossimamente.

  30. @ Marco Giovenale

    Salve. Non ho cambiato idea su ciò che penso di quel testo ma la domanda che ti avevo posto era seria e serena, mi farebbe piacere una tua risposta. Buona occasione quella di Milano, per me purtroppo impossibile, magari ce ne saranno altre. Mi interessa la questione degli affetti, non credo tu abbia compreso a cosa mi riferissi, sarebbe (potrebbe essere) interessante discorrere su questo.

  31. caro robin,
    a me piacciono le discussioni e ancor di più le persone, quindi sarei ben contento di “discutere di persona”, ma ripeto: tu mi auguri di essere capace di gioia e dolore; perché? che cosa di ciò che scrivo in versi o nella critica o in altri interventi ti fa dubitare che io ne sia capace? In esergo all’ultima sezione della “Distrazione” (mio ultimo libro di versi) ci soni due versi di Fortini:

    “che provino orrore del mondo
    e così gioia vera.”

    che per me tengono assieme, appunto, le due esperienze (dolore e gioia). Ti sembra che siano questioni per me secondarie, irrilevanti?

    Se vogliamo confrontarci criticamente, va benissimo. Ma nel merito, Robin.

  32. andrea inglese: il suo commento non aggiunge nulla alla mia “impressione” – perché di questo, solo di questo, sembra io sia capace – di chiusura nei confronti del dissenso. formulaicamente ella giudica il mio giudizio generalizzante (ci sono infatti una serie di volpesche espressioni ricorrenti in rete con cui sgominare l’antagonista di turno: alla prossima, avendo io non ventiquattro anni e ahimé troppe letture, potrebbe tirare in ballo certe deboleze femminili dell’età). così come teti avevami, benedetta giovine creatura, ci vuol pazienza, attibuita una qualche forma di presunzione nei confronti di chi fa, mentre io non fo. entrambi non fate che – particolarmente: non: generalmente – altro che confermare e trasformare un’impressione in una convinzione. capisco ora simul atque per che alcuni non visitino più codesto blog.
    che giovenale abbia mescolato, in modo peraltro scialbo, per ridere, per sua stessa ammissione, lovecraft e padre pio, la dice lunga sul livello del testo e su una qualche possibile tenuta delle mie opinioni-impressioni generalizzanti.
    auguri per molte strampalatissime avventure letterarie. parlandovi-scrivendovi addosso non sporcatevi la vestina, mi raccomando!

  33. @ Andrea Inglese

    “che provino orrore del mondo
    e così gioia vera.”

    che per me tengono assieme, appunto, le due esperienze (dolore e gioia). Ti sembra che siano questioni per me secondarie, irrilevanti?

    Se vogliamo confrontarci criticamente, va benissimo. Ma nel merito, Robin.”

    benissimo, dico davvero.

    Dolore – Verità – Affetti

    da qui si parte e si riparte all’infinito

    niente per me è importante quanto quel trigono/triangolazione
    produce. Coordinate, nodi, chiamiamoli come desideriamo.
    Niente mi interessa di più, della massima espansione di quella
    costellazione in 4 autori, per me, fondamentali.

    Nietzsche – Bachmann/Bernhard – Artaud

    impossibile parlarne qui, ma appunto tutto, e vado a recuperare
    i tuoi testi e, ti dico perché. Come lucy, io mi son fatto un’impressione del luogo e di alcune persone che scrivono qui, come lucy così come tanti altri, del livello di ciò che viene pubblicato, ognuno possiede un foreground per dare un opinione, che per la natura di NI non è solo letteraria, ma in uno spettro un po’ più ampio. Ho il vizio di approfondire, perché come diceva Michaux mai credersi maestri nemmeno del pensare sbagliato. Volentieri dunque approfondisco, poi mi auguro ci sia modo di confrontarsi criticamente.

  34. @ Robin Masters

    “Qui, in NI e non solo, c’è sempre troppa coscienza civile cioè parassitismo e non sperimentazione Céliniana (che era un medico)”

    cosa intendi per “coscienza civile”?

    e in subordine, cosa intendi per “coscienza civile cioè parassitismo”?

    e ancora, cosa intendi per “sperimentazione”?

    lo chiedo perché i 4 che citi avevano una precisa consapevolezza della società nella quale vivevano e perciò avevano una “coscienza civile”. Che fosse condivisibile o meno sta al loro lettore deciderlo, ma certo non vivevano nelle nuvole, né parlavano a caso.

  35. a me non dispiace. certo, la prima riga è veramente un pugno in faccia, necessiterebbe due righe di spiegazione. il resto invece è interessante, anche la svolta temporale attribuita alla morte di carmelo bene invece che a un contesto storico, mi piace. d’altra parte capisco quello che vuol dire lucy, ma ci sono dei fraintendimenti. lucy mi pare pretenda “comunicazione” e la pretende chiara, questo tipo di testi hanno bisogno invece di un impegno da parte del lettore nella trasfigurazione delle singole parti. a quel punto si puo’ capire giovenale che dice che cthulhu fa la prima comunione a santo stefano rotondo fa ridere, ha un effetto esilarante. a me piace molto anche mr geek e il peoplemhave the power. posso azzardare che non mi sembra “la comunicazione” l’idea di fondo di questo testo, bensì la trasfigurazione. ci si possono vedere molte cose nelle immagini spezzettate che vengono offerte. se poi, il lettore non ci ha trovato nulla di interessante ci puo’ assolutamente stare. però dire che sono parole in libertà mi pare un’ingiustizia, sarebbe più corretto dire che non si ha interesse in questo tipo di ricerca sul linguaggio.

  36. @ Alcor

    “E così il compito dello scrittore non può consistere nel negare il dolore, nel cancellarne le tracce, nel fingere che non esista. Per lui, anzi, il dolore deve essere vero e deve essere reso tale una seconda volta,
    cosicché noi possiamo vederlo. Perché noi tutti vogliamo diventare vedenti. E solo dopo aver provato quel dolore segreto possiamo sentire (in modo diverso) ogni esperienza, ed in particolare quella della verità. Quando giungiamo a questo stato in cui il dolore diventa fertile, stato che è insieme chiaro e triste, noi diciamo, molto semplicemente, ma a ragione: mi si sono aperti gli occhi. E non lo diciamo perché abbiamo davvero percepito esteriormente un oggetto o un avvenimento, ma proprio perché comprendiamo ciò che non possiamo vedere. E l’arte dovrebbe portare a questo: far sì che, in tal senso, i nostri occhi si aprano.” (Ingeborg Bachmann)

    Questa è la condizione che mi permette di interessarmi all’opera di un autore. Scelta personalissima ovviamente. Quando un essere umano è capace di compiere, per dirla alla Deleuze, “un’impresa di salute” di tale portata traducendola in arte, è trasformato lui, trasforma noi. Ma per arrivare a tanto, come nel caso degli autori che ho citato, ed accanto ci metterei, solo per restare nella scrittura, Virginia Woolf, Marcel Proust e pochi altri, non rimane più nulla di coscienza e civile, di quello che quotidianamente definiamo tali. Ci si è fatti fuori da tempo, si è davvero fatti deserto e non son espressioni per far colpo. Non vedo, in questo tempo, nell’opera di nessuno, nemmeno 1% di quella volontà di vedere per aprire i propri occhi innanzitutto, quantomeno scarsissimi i risultati.
    Non a caso Alcor, tutti autori vissuti prima, o immediatamente durante, il quasi totale completo asservimento delle arti al predominio dell’industria culturale, ultimo in ordine cronologico Thomas Bernhard, e vedi cosa ha dovuto fare per cercar di essere “trascurato con eleganza” dalla civile coscienza austriaca e dallo stato Austria.

    il resto se vuoi in mail, qui sarebbe troppo lungo ed inutile causa mezzo.
    Anche per questo ho cercato di sintetizzare al massimo.

    un saluto

    R.M

  37. alessandro ansuini: qual è il confine tra non-comunicazione, paroliberismo sornione, e complessità di un testo? visti dall’ottica del lettore, intendo. a me preme molto la riflessione sul “senso” di qualunque operazione, non oso dire letteraria, ma “scrittoria”. è evidente che il prodotto nelle mani del suo autore “deve” avere un senso: voglio sperarlo, al di là dei miei, non tanto irragionevoli, dubbi. ma se non “arriva” è altrettanto ingiusto pre-sumere che si tratti di incapacità di ricezione. qualcosa può non funzionare nella cosa “in sé”, o tutto ciò che si produce e che ha un senso per chi lo produce, deve avere per forza un riscontro anche nei riceventi?
    scarto tutti i riceventi ignari, i lettori non del tutto consapevoli e tengo i lettori esigenti: è mai possibile che costoro se non vedono nulla in un testo siano per ciò stesso ciechi? è possibile che un testo non possegga nulla o quasi “in sé”, al contrario, o dobbiamo per forza evocare il fantomatico “gusto” come l’unico strumento di valutazione? mi chiedo se possono oggi esistere dei criteri obiettivi, nella valutazione dell’opera d’arte letteraria. io ritengo di sì: e con ciò non sto dicendo che è obiettivo ciò che penso io. sto dicendo dall’inizio che la “sconclusione” di questo testo, che “non mi piace” in prima battuta, successivamente, posto al vaglio delle sue possibili ragion d’essere, mi convince ancor meno. non mi convince il suo senza. senza grammatica, senza lessico, senza senso. la sensazione della presa per i fondelli futurista, insomma: che non portò a niente, non ruppe proprio niente se non le scatole ai contemporanei. dico che lo sperimentalismo linguistico mi lascia tiepida: non mi pare il caso, oramai, di insistere, mi pare che ne siamo stati ubriacati così a lungo che l’oltranzismo in questa direzione stroppierà.
    inoltre, chi scrive, scrive per essere letto. anche dovesse seppellire i suoi scritti dieci metri sotto terra. a maggior ragione: che ci fai su NI se poi non accetti le critiche? ovvero liquidi quelle di segno nettamente contrario come generiche etc. etc. : peggio: lo fanno per te i tuoi ammiratori estatici.
    eddài. cerchiamo di crescere un pochino.

  38. Un poeta che faceva poesie senza senso col calcolatore elettronico, si è suicidato col gas per dare alle poesie un globale senso drammatico. Ma il verbale della questura constata solo che aveva lasciato il gas aperto forse per inavvertenza.

    da Ermanno Cavazzoni, Vite brevi di idioti, Feltrinelli, Milano 1994

    così, per dire…

  39. a robin,

    in attesa di un tuo “close reading” a partire dalla triangolazione cui ti riferisci; ma anche di un contributo più generale sullo stesso tema, in riferimento alla poesia contemporanea… tutte cose che sarebbero degne d’interesse; per segnalazione puoi usare la mail indiana, specificando il destinatario

  40. @ Andrea Inglese

    in guisa di stati di critica permanente è degno di interesse anche per me.

    Volentieri a tempo debito via mail indiana.

    R.M

  41. mi spiace (non come autore; dico più ampiamente) che lucy avverta un fastidio così netto per questi testi. o così sembra. vorrei (lo dico sinceramente) che fosse più serena – non nei confronti miei o delle mie pagine: figuriamoci; dico nei confronti di un testo. reazioni come le sue, che pure accolgo e accetto come devo, mi sembra segnino un disagio/rifiuto (generato da un certo tipo di materiali letterari) che confina con l’intolleranza. siccome NON penso affatto che si stia passando su questo fronte, e che dunque non debba essere invocato un discorso di rispetto per l’espressione in senso ampio (=per la parola o lo stile – quale che sia – differente da quello in cui ci si riconosce), non ha senso e sarebbe puerile da parte mia sia non rispondere sia rispondere sulle difensive o peggio ancora ‘all’attacco’. che però ci sia necessità di replicare, argomentando le (mie) posizioni, lo trovo sensatissimo; sensata richiesta, anche. insisto: sto per farlo. ma, come accennavo, non avendo web fino a stasera (e dovendo preparare lavoro di domani mattina + viaggio + reading per domani sera e successivo viaggio di ritorno + lavoro daccapo), potrei tardare. prego soltanto chi segue il thread, come lettore e/o commentatore, di non abbandonarlo quando anche scomparisse dalla prima pagina di NI. altrimenti – se è di dialogo e non di sola visibilità immediata dei commenti che parliamo – la discussione non procederebbe, o ci troveremmo a non poter più discutere. thanx!


  42. inserisco qui (purtroppo solo ora) un primo intervento, che avevo in bozze – incompleto – in realtà da parecchio, non rivisto, non limato. rispondeva ai primissimi commenti.
    funziona da prima nota ma sono cosciente della sua ‘parzialità’ (e ‘arretratezza’ rispetto al thread intero).

    il legame tra alcuni esperimenti di 30-40 anni fa e alcuni di oggi non s’ha da tentare, lo so.

    vanno bene tutti gli iperbati le iterazioni le rime e gli aggettivi secolari del brand Logos.it, ma un cut-up che sia uno (e proprio perché è taglio) scatenerà dannazio’.

    (che è soggettiva, sì: come – alla fine di una sentenza di condanna in terzo grado – una notilla del collegio giudicante che scrivesse “oh, è solo un’opinione personale, veh”).

    informazione, a parziale correzione del disviamento appena da me indotto: non si tratta di cut-up, ma di altra tecnica, che la critica saprà scovare (diligentemente compulsando). leggendo l’autore, oppure no.
    *
    poi. cosa assicura che la dannazio’ non sia “una questione di borghese reazione di disgusto ad una composizione poetica che si fatica a comprendere”? la dichiarazione di chi reagisce.

    tuttavia. non definirei mai la suddetta reazione (non conoscendo chi reagisce) “borghese”; e comunque non in senso spregiativo. (per disprezzo verso lo spregiare).
    *
    sui “significanti”. questa cosa dei significanti è pressoché eterna e viene messa in campo volentieri e spesso anche leggendo alcuni testi di (per dire) Balestrini, che dai significanti (intesi come suoni o segni danzerini fra loro cozzanti tarantellanti) beatamente prescindono. (mentre non sempre prescindono dai significati). (spesso politici: ma magari non “frontalmente” politici).
    *
    quasi-last (NOT least): se questo testo non piace a 3 persone e a 2 piace, ne prendo atto, sinceramente. senza nessuna ironia. non posso che ringraziare chi legge; a maggior ragione se ha letto non apprezzando, dunque ricevendo un’impressione finale negativa.

    (e non si pensi che non prendo atto – ovviamente – anche del contenuto delle critiche, anche forti). da una parte ragiono su alcuni esperimenti che vado conducendo (magari per trovarli confermati; magari per variare alcuni aspetti delle scelte: solo le pietre sono insensibili alle critiche; oppure ancora per confermare e radicalizzare quelle scelte); dall’altra rimartello pur sempre sul tasto del *pubblico della poesia* (qui: della prosa), che può essere anche di 2 persone, o 200 e magari duemila. (ma se non è di 100mila, come opportunamente diceva Inglese in un commento ad altro post, vorrà dire che non è di 100mila: vorrà dire che: mi capita di parlare – comunicare – a “meno” o a “non-così-tante” persone. senza disperarmi).
    *
    un inciso. per cose come questa:
    https://www.nazioneindiana.com/2008/11/19/sibille-asemantiche/
    si può esclamare “Brion Gysin!” – e (come per il testo qui sopra) inorridire. repetitio est monstrum.
    altri non inorridiscono, rimangono indifferenti, altri apprezzano, altri ancora proprio pubblicano e ripubblicano (specie in paesi dove la scrittura asemantica ha tradizione non interrotta, e mostre, archivi, collezionisti).

    ma – chiudendo la parente grafica – per la prosa (sia ‘flarf’ oppure no) si può anche far riferimento a quanto già detto in varie sedi, tra cui
    http://bgmole.wordpress.com/2009/11/30/flarf-e-low-level-translations/
    https://www.nazioneindiana.com/2009/12/07/appunti-sulla-poesia-in-prosa-eo-viceversa/
    http://bgmole.wordpress.com/2009/12/09/la-prosa-in-prosa/
    http://lellovoce.altervista.org/spip.php?article1845

    *

    entro domani altre annotazioni, se ce la fo.

  43. marco giovenale:
    prima di tutto, grazie per aver preso in considerazione anche il dissenso, più spesso gli autori in poesia e in prosa sanno solo risentirsi.
    in secondo luogo tengo a insistere sulla serenità delle mie opinioni: mi vo’ semplicemente chiedendo il senso del non-senso OGGI dopo ubriacature di anarchismi linguistici pluridecennali. mi chiedo altresì più in generale che posto abbia e dove intenda dirigersi la poesia che va dalla negazione della comunicazione, come in questo caso, a ombelicalismi, minutaglia varia, metapoesia, o metà-poesia e metà-boh.
    se i suoi esperimenti significano altro mi piacerebbe imparare a guardare nella direzione giusta, se non significano programmaticamente niente, mi sono già risposta da me medesima.
    grazie in ogni caso.

  44. prima micro-nota a proposito di “comunicazione”.

    a me sembra che la comunicazione sia pervasiva – anche a interessanti livelli di complessità – praticamente ovunque.

    mi sembra semmai da perseguire (avvertendo un salto di continuità con esperimenti avviati troppi anni fa) una letteratura di ricerca che, più che una trasmissione di materiali noti su canali noti tramite retoriche note, lavora o sottilmente o percettibilmente o pesantemente a variare giusto questi tre “fader”: materiali, canali, retoriche.

    è e sarà – chiaramente – questione anche di gusto, se ci si incontrerà o no, su questa via. non incontrarsi è tuttavia altro dal diffidare (in entrambe le accezioni del verbo).

  45. (1)
    “cos’è, una specie di blob? e se lo è, non è un po’ datato? e se non lo è, non è un po’ datato lo stesso?”
    giusta osservazione. ma, a mia volta, mi domando: e se lo fosse, dico se fosse datato, sarebbe “più datato” o “meno datato” di altri esperimenti? domanda che inevitabilmente ne fa sorgere un’altra non diversa: se fosse “più” o “meno” – diciamo – “datato” questo comporterebbe altre osservazioni oltre a quelle che appunto lo collocano in uno o altro solco?

    n.b.: non sono affatto indisponibile a considerare tali eventuali altre osservazioni.

  46. (2)

    invece: a:
    “che porcheria”, “nuda svogliatezza”, “non cestinare per non oltraggiare il cestino”, “roba stantia”, “abortita”/”abortito” è complicatello rispondere.

    ma ci proverò. dunque.

    ma no, in fondo. ci ho ripensato: non ci proverò. :-)

    “Non sono al corrente delle ‘sofferte conclusioni estetiche’ del poeta in questione”

    A tutto c’è rimedio.

    “non bisogna utilizzare questa come scusa ma restare al testo”

    anche a questo c’è rimedio. (per esempio leggendo altro). (a me succede continuamente di non leggere cose che non mi garbano).

  47. (3)

    “Lei è soddisfatto del risultato del suo lavoro ? Mi riferisco a quel testo”.

    non posso dire di essere soddisfatto di quel testo come potrei dirlo di altre cose mie in cui la ‘compiutezza’, coesione e struttura sono garantite da o testabili su una traccia pienamente o frammentariamente ‘narrativa’, o metrico-sintattica, di cui troverà esempi abbondanti che ho pubblicato qua e là in rete e sulla carta.
    un tot di insoddisfazione anima la stessa natura di queste pagine, che sono elaborate a partire da un’idea di ‘ricerca’ non dissimile da quella, frustrata, del ‘flarf perfetto’. tuttavia – se non posso dire di essere appagato del tutto da quello che in questa direzione invento – posso dichiararmi ragionevolmente soddisfatto, divertito e perfino motivato-ispirato dalla copiosissima messe di flarf irriflesso che c’è modo di trovare online in lingua italiana. o nell’editoria mainstream in generale.
    i romanzi più esilaranti sono tutti in pole position da Feltrinelli. basta sfogliare.

  48. ieri scivolata nel trash, oggi cose serie. linko qui, per chi sia punto da vaghezza, il video di RicercaBO 2009 riguardante Giovenale, con una lettura decisamente interessante e una discussione a seguire fertile di spunti – poco: nelle parole di Barilli; molto: nelle parole della Lorenzini. parecchi degli argomenti, ad ogni modo, e degli equivoci, trattati in questo thread vi trovano parole e risonanza. per cui la visione è vivamente consigliata. saluti

    http://www.mediatecadisanlazzaro.it/ricercabo09/giovenale.html

  49. (5)

    > “tutte le avanguardie e le neo-avanguardie, tutte ugualmente defunte”

    in che senso defunte? se si dice di un testo che non ha vita, solitamente lo si dice in riferimento a lettori. ora, che siano defunte = senza lettori le avanguardie o (più ampiamente) le ‘robe di ricerca’ che si fanno in Italia (meno) e altrove (di più assai), mi pare un’osservazione che ho qualche elemento per definire non verificata. (meglio: falsa).

    si possono trovare più lettori per questa robaccia immonda fuori dal nostro paese, sì. ma pazienza. vorrà dire che i numeri – tra paesi – sono diversi. mica ci dobbiamo maritare. se a me piacciono le brune e sono nato in Svezia vado in Italia e trovo le brune, e viceversa. tutti amici, tanta pace.

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Andrea Inglese (1967) originario di Milano, vive nei pressi di Parigi. È uno scrittore e traduttore. È stato docente di filosofia e storia al liceo e ha insegnato per alcuni anni letteratura e lingua italiana all’Università di Paris III. Ora insegna in scuole d’architettura a Parigi e Versailles. Poesia Prove d’inconsistenza, in VI Quaderno italiano, Marcos y Marcos, 1998. Inventari, Zona 2001; finalista Premio Delfini 2001. La distrazione, Luca Sossella, 2008; premio Montano 2009. Lettere alla Reinserzione Culturale del Disoccupato, Italic Pequod, 2013. La grande anitra, Oèdipus, 2013. Un’autoantologia Poesie e prose 1998-2016, collana Autoriale, Dot.Com Press, 2017. Il rumore è il messaggio, Diaforia, 2023. Prose Prati, in Prosa in prosa, volume collettivo, Le Lettere, 2009; Tic edizioni, 2020. Quando Kubrick inventò la fantascienza. 4 capricci su 2001, Camera Verde, 2011. Commiato da Andromeda, Valigie Rosse, 2011 (Premio Ciampi, 2011). I miei pezzi, in Ex.it Materiali fuori contesto, volume collettivo, La Colornese – Tielleci, 2013. Ollivud, Prufrock spa, 2018. Stralunati, Italo Svevo, 2022. Romanzi Parigi è un desiderio, Ponte Alle Grazie, 2016; finalista Premio Napoli 2017, Premio Bridge 2017. La vita adulta, Ponte Alle Grazie, 2021. Saggistica L’eroe segreto. Il personaggio nella modernità dalla confessione al solipsismo, Dipartimento di Linguistica e Letterature comparate, Università di Cassino, 2003. La confusione è ancella della menzogna, edizione digitale, Quintadicopertina, 2012. La civiltà idiota. Saggi militanti, Valigie Rosse, 2018. Con Paolo Giovannetti ha curato il volume collettivo Teoria & poesia, Biblion, 2018. Traduzioni Jean-Jacques Viton, Il commento definitivo. Poesie 1984-2008, Metauro, 2009. È stato redattore delle riviste “Manocometa”, “Allegoria”, del sito GAMMM, della rivista e del sito “Alfabeta2”. È uno dei membri fondatori del blog Nazione Indiana e il curatore del progetto Descrizione del mondo (www.descrizionedelmondo.it), per un’installazione collettiva di testi, suoni & immagini.
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