Due sonetti

di Marco Palasciano

[Palasciano prosegue, in altre forme, un’invettiva scagliata in coda a uno sberleffo di Gernhardt, offrendo in tal modo una riflessione sulle reincarnazioni moderne del sonetto. DP]

1.

«In principio…» o forse è tutto un nastro
di Möbius, perforato pentagramma
dai cui segni esce luce: ed ecco un astro,
una stella cometa, ogni altra fiamma

o cristallo di neve – onde l’impiastro
di molecole insieme babbo e mamma
d’alghe, e vermi, e del bipede (disastro)
che pensa in lui s’arresti l’anagramma.

Cosí non è; ché un centro non esiste,
se non esiste alcun principio o fine;
e mi spiace che ciò ti renda triste.

Godi, invece, ché è poco quel che hai perso:
fuor del tuo guscio, vedi le divine
prospettive; e t’è guscio l’universo.

2.

L’Alta Poesïa, il Fiore luminoso
che intorno a noi vapora le ali eterne,
che tutto il concernibile concerne
e forma forme che capir non oso,

è immobile, e al contempo è mar furioso;
è lume razional che nulla sperne,
e arte che in supralterne e subalterne
sparte le cose; è sadico e amoroso; …

o tale appare a me, che porto meco
le mie categorie e fuor del cono
che proietta il mio mondo sono cieco

e scambio per l’oggetto ricercato
quanto prevedo in base a ciò che sono
o che mi credo e che non son mai stato.

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15 Commenti

  1. Salve! :-) questi (che sono gli unici due sonetti decenti scritti in tutta la mia vita) (potete figurarvi quelli scartati) furono scritti l’uno nel 2002, l’altro nel 2007: non si tratta dunque, per la precisione, di un «proseguimento» verissimo e proprissimo della citata «invettiva»: è il caro Pinto che ve li ha diPinti così, è lui che qui m’ha dolcemente sPinto – del che infine lo ringrazio, e del tempo scialato e dello spazio.

  2. Me li sono gustati questi sonetti. Robusti.
    Dopo l’ottima traduzione del sonetto di Gernhardt ad opera di Lisa Scarpa,
    ecco un altro “fabbro”.
    Per concludere questo mio magro commento non posso non citare questi versi di Beppe Salvia: “…ferro/e fuoco sono i versi, della casa/mia infinita…”. Complimenti!

  3. Un po’ OT rispetto ai bei sonetti di Palasciano, la rifacitrice di Gernhardt ringrazia qui, sia chi ha avuto belle parole (colgo l’occasione del post di Alessandro Salvi), sia chi ne ha avute di meno belle, ma sempre interessanti :)

  4. 111 01 1001 110 101 0 10 1 00 10 0 100 100 1111110 1010101 101 1
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  5. (Ma lo «sticazzi» incastonato tra la
    codiceria binaria, era un faccòffio
    ella-dà-i-numer-oso, o un complimento?
    O ambiguità dell’epoca
    degli io-uno e degli zeri!…)

  6. “e scambio per l’oggetto ricercato
    quanto prevedo in base a ciò che sono
    o che mi credo e che non son mai stato…”

    Lo stare al mondo, errare e svelare.
    Palascio, che dire…bravo!

  7. Non credo di avere la competenza per giudicarli, e neppure il tempo per analizzarli a fondo, ma il primo sonetto mi piace davvero molto!! Forza Marco continua la tua opera/e!!

  8. Attendo di sentir dalla viva voce del Palasciano i sonetti qui riportati. Le spiegazioni del Palasciano prima della lettura del sonetto, la sua mimica e la sua teatralità nell’orazione sono un’arricchimento di ogni suo scritto che val la pena di essere vissuto. Lo spettacolo però è per pochi eletti! g.

  9. Grazie grazie :-) E ora per il vostro divertimento ecco qui un paio di sonetti sempre miei ma minori – parte di una disputa per le rime avuta con un amico – che qui nel commentarium posson starci.

    Da una tenzone (2006)

    1.

    Se la tenzon tu vuoi, basta che ’l chiedi,
    e l’armi affinerò su pietra scabra
    più che quella u’ Merlin fe’ «Abracadabra»
    e Uther ficcò la spada pei suoi eredi.

    Ond’ecco, aerodinamica dai piedi
    al capo, l’arte mia che picchia e cabra;
    perch’ella è «palaciana en palabra»:
    e se non sai ched è, va’ in Gugle e vedi.

    L’alta beltà degli endecasillabici
    miei giuochi, e settenarici, e giambanti,
    fa gli occhi spalancar, che si fan strabici,

    e spalancar le bocche, e addio mascelle,
    slogate più che i versi tuoi ansimanti:
    desisti, Marsia!, o qui lasci la pelle.

    2.

    Mai nei boschivi zanzottei epicedi
    tant’aspra e chioccia s’accozzò e macàbra
    rimeria qual codesta, che con l’abra-
    sivo suo dissonar nòia noi aedi.

    O come di nomar poeta credi
    te, che piú strage che a Shatila e Sabra
    fai al giardino d’Apollo, e hai l’ala glabra
    da pollo, e partorisci litopedi?

    E come dire osò anisosillabici
    il tuo compar becchino i miei diamanti,
    sí tersi innanzi ai fossili tuoi tabici?

    Muse, mie etère, matres e sorelle,
    ch’io sia Scipione e spacci gli elefanti
    che in tal cristalleria fanno babelle!

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domenico pintohttps://www.nazioneindiana.com/
Domenico Pinto (1976). È traduttore. Collabora alle pagine di «Alias» e «L'Indice». Si occupa di letteratura tedesca contemporanea. Cura questa collana.
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