Proud Mary
di Davide Vargas
26 dicembre 2006
Castelvolturno
ore 10 – 14
temp. 15°
Una macchina è ferma con gli sportelli aperti, e più avanti una sagoma umana avanza verso la spiaggia trascinando un sacco di plastica gialla fino a scomparire dietro i cespugli punteggiati di borragine.
Nel silenzio oscuro forse si distingue il rumore del motore acceso.
Un timore consueto suggerisce di andare oltre.
Il sentiero procede come rotaie posate in una terra di nessuno, tra il fondale lontano della pineta da un lato, irto come una dentatura, e il vicariato del mare oltre le dune sabbiose.
Voltandosi indietro la macchina è quasi sparita alla vista.
I passi si illudono di essere più leggeri.
Un sole e una luna con due labbra gonfie e rosse, prossime a baciarsi danzano sulla coda di una sirena e danno il benvenuto dal muro bianco del piccolo lido chiuso.
Ai suoi piedi superiamo il coperchio di plastica di un bidone per la spazzatura e un mucchietto di rena acceso da qualche coccio di bottiglia.
Sulla testa un reticolo di tubi dipinti e annodati abbassa i riquadri di cielo a lastre di soffitto. Di fronte e intorno, oltre l’orlo del muretto scrostato, il mare è una linea interrotta dai montanti che colano ruggine.
L’ azzurro granuloso del mare è più denso del colore del cielo.
Il freddo di oggi è pulito.
Dalla spiaggia avanzano un uomo e una donna seguiti da due bambini, un pit-bull tenuto libero li precede per poi ritornare indietro e girare intorno. Si distingue il suo muso di porco. Ci lanciano uno sguardo rumoroso, guardano il cane con orgoglio e passano oltre lasciando nella sabbia le impronte cingolate dei loro scarponcini alla moda.
Ritorno a guardare il mare come un muro d’acqua che non concede nulla.
Viene voglia di togliere le scarpe su questo battuto di cemento rigato dalle esili ombre dei ferri, per sentirlo sotto la pianta dei piedi solido come una zattera al sicuro su un grande vuoto grigio.
Allora succede una cosa strana.
Da una lontananza d’acqua affiora il ricordo come un bollore.
La ragazza in bikini infila le forme del suo corpo abbronzato nelle note dei Creedence Clearwater Revival e nelle parole di Proud Mary come in un vestito aderente.
E’ il 1970, i musi delle seicento con i fanali circolari sono appostati là dove inizia la sabbia con gli pneumatici cerchiati di bianco sui ciuffi di cisti, e la ragazza si muove sinuosa al centro di occhi sgranati sulle sue forme impeccabili.
Qualche costume si gonfia, e qualche mano si abbassa per coprire l’imbarazzo.
E’ bella, alza le mani, dondola i fianchi e batte i piedi nudi sul cemento. Il sole si frantuma tra le stecche della pagliarella, il corpo della ragazza è un arabesco di luce. Tutti gli occhi intorno sono ipnotizzati, la ragazza incurante continua a ballare tra odori di olii e aliti .
Sul bancone i colori degli sciroppi si accendono, rossi come la lacca spalmata sulle unghie dei suoi piedi.
Le note saltano fino all’acqua,
rolling, rolling, rolling on the river
Proud Mary keep on burning,
rolling, rolling, rolling on the river
La ragazza muove il ventre come le onde del mare sconfinato che si intravede a spicchi tra le spalle e i capelli bagnati dei corpi seduti sui muretti.
Del volto dico solo questo: una zingara.
Ogni giorno arriva come ad un appuntamento, i ragazzi la vedono da lontano e lasciano la sabbia nera e rovente per raggiungere il lido, qualcuno fa cadere una moneta nel juke box e seleziona la stessa canzone. I muretti si riempiono come spalti di anime avide di scoprire il gioco della vita. Le spalle rocciose bruciano al sole.
La ragazza balla come nella televisione.
Balla come guizzano le luci intermittenti dell’albero di natale.
Come i seggiolini di una giostra.
Le braccia della ragazza si alzano e si intrecciano dietro la nuca, come le ali di una farfalla.
Balla come fluttua una medusa silenziosa sotto il velo dell’acqua con i suoi orli colorati di lilla, sospesa e insidiosa.
C’è non detto un patto: dopo la canzone va via come un ospite d’onore e nessuno l’avvicina. Si allontana invulnerabile tra gli ombrelloni colorati e la calca della spiaggia.
Un unico ricordo, che penetra nella barriera faticosamente innalzata in questa giornata di soli sguardi, come un messaggero che precede la sua armata. Quasi senza farci caso, affiora dai confini del passato spogliato dell’alone di nostalgia e si avvicina senza toccare terra. E ti accorgi che di tutto un mondo racchiude nel piccolo pugno chiuso il messaggio dell’essenza, come l’opportunità dell’ultimo pensiero del moribondo. Dicono che in punto di morte si riveda la sequenza di tutta la propria vita. Troppa roba e troppe volte insopportabile, meglio una sola cosa tra le tante, a prima vista insignificante tra la folla degli eventi ma inspiegabilmente proprio quella. Come le viole del Connecticut in primavera per Margherite Yourcenar.
Un balsamo come un sorso d’acqua.
Era solo una ragazza danzante.
Tolgo le scarpe, con la punta del piede scosto la fanghiglia che il vento ha trasportato fino a lì, conchiglie bastoncini alghe secche, e vengono fuori strane macchie di azzurro impresse nel cemento, come orme fossili di maioliche scolorite.
Poi mi siedo sul muretto e lancio uno sguardo fugace alla fetta gi anguria grondante di succhi esagerati e alla scritta: docce dipinta con la stessa vernice rossa sulla calce bianca del parallelepipedo sbilenco poggiato sulla sabbia a poca distanza. Un lastricato di mattonelle colorate gira intorno.
Eppure si può smettere di girare intorno e osare.
Allora libero gli occhi dai riccioli nerissimi ancora lucidi di acqua, non c’è refrigerio per le spalle incrostate di sale.
Nel silenzio rumoroso che segue l’ultima nota la ragazza mi guarda senza neanche la protezione di un sorriso. Ha una voce nasale, una volta l’ho sentita.
A piedi scalzi finalmente mi avvicino.
.
[la fotografia è di Luigi Spina]
“Proud Mary”. Solo il titolo del pezzo lo rende degno di essere letto !!!Racconto= pezzo= canzone
come commentatore fai pena, cazzo vuol dire? leggi il racconto e poche palle.
c’è un grande contrasto tra la prima parte del racconto,
dove lo squallore dell’ambiente prevale, anche lo sguardo rumoroso -bella espressione- di una famigliola “bene” di passaggio
e la seconda parte
dove la figura di una “ragazza che danza” rappresenta il Ricordo, ma anche nascita e morte insieme.
Qualcosa per qui valga la pena di compiere un passo importante,
Avvicinarsi.
Io nel posto della foto ci sono stato prorpio ieri!
Io la settimana scorsa. Castelvolturno peggiora, anche se sembra impossibile. E non capisco come si possa definire “azzurro” anche se “granuloso” quella pozzanghera che fa finta di essere mare.
Però me li ricordo il “Timone” e il “Costarica” dove c’erano i juke box e si ballava al suono di Ike e Tina.
Oggi ci sono le macchine in cui si compra un pò d’amore a poco prezzo, gli sbandati che si bucano in spiaggia, i sacchi neri della spazzatura, aperti e con i loro ventri che grondano rifiuti, c’è il Bommerang, vecchio albergo per turisti poveri, ma desiderosi di un pò di vacanza, oggi saturo di tossici e spacciatori, che dentro vivono come in una comune fatta di coca e crack.
sempre di estrema òegerezza
Davide Vargas
traccia il senso dello spazio
con frammenti di emozioni
come
TERRE LONTANE
Camminare il tempo
verso la terra
dell’abbandono…
città a ferragosto
chi non ha mai bevuto
questa torrida estate
di carta?!
Turista immaginario
nella provincia
dell’impero
passioni allo specchio
polveri d’amore
un look senza respiro
oggetti del desiderio
il Re senza pane
l’altra metà dell’oro
rime della luna
non avrete mica perso
il filo?
viaggio al centro,
quando finisce il progresso,
dell’ignoto
una architettura di intonaco e di sabbia , una piastra di muretti bassi di calce e piastrelle e sogni d’acqua come le docce.
le pergole di tubo staccate e imperiose come essiccate dall’acqua verso il cielo e poi il ricordo singolo scappando dalla morte disegnata come un affresco.
bravo davide
cherubino gambardella