Openclosed, e altre
di Fabrizio Centofanti
I
la paura sottostante, la pineta, e l’ombra
onnipresente della madre, nelle grida violente,
l’impressione di scavare in una pietra,
l’ultima versione: il rumore e il clangore,
nonostante. la domanda, perché, perché tre volte
– come se ci fosse una ragione – l’onta, il bisogno di lavare,
di distruggere il muro della pelle. di tutto,
rimane quel recinto, e il pino,
l’insensato silenzio delle stelle, come in sogno.
II
si perde un figlio, solo, nella notte
un colpo nella tempia, una ceramica
rotta di nascosto, senza mettere
i cocci sotto il letto.
suicidio, dicono, articolo di fondo
non chiedersi il perché del già confuso
col rosso dei capelli, i colori
di dentro, e gli abiti neri della madre
corpulenta e sudata
stilettata inutile
nell’ultima chiamata al cellulare.
SARX EGHENETO
crepe nel muro sfondano pareti da queste luci fitte di ferite.
polvere densa filtra dalla porta sul pavimento.
la cattedrale pende: parole e vetri cadono nel buio,
calici a piombo dietro le inferriate: il sesso e il pane
come se la stalla fosse toccata appena dalla grazia.
fa risuonare l’ultima versione d’un puro requiem
dietro quella porta. il luogo è sacro nudo nella polvere
che il corpo lascia al fuoco del peccato.
OSIP
si compie il volo
dentro questa polvere che prega sempre,
mentre non c’è traccia
di carne incisa, chiusa nello scritto.
ritorna l’ansia, il patto di finire, l’insufficienza
quasi mai conclusa dei cinque sensi.
dal buio sale il limite del gorgo:
scende dal mare senza percepire scaltri consensi.
la notte affolla l’alto dormitorio dei sogni flebili,
le muove incontro l’esile memoria della sterpaglia,
l’umana pena,
l’orda quotidiana.
ma vuoi salire:
fuori della cella conti i minuti
d’ogni lieve insonnia.
ANNUNCIAZIONE
dalla finestra la testa dell’angelo
di cartapesta
si affaccia dall’ottagono
l’uccello immobile si china nella tenebra
dell’ultima chiamata possibile indicibile
muto la guarda
si convertono
solo spazialmente su piani paralleli
il pavimento obliquo ci avvicina
a un natale giallo ocra inverosimile
come pianeti opposti attraversati
da un udibile silenzio
un arrendersi al sensibile
la gonna cade fra trapunta e tenda
eskenosen
lui scrisse ma non era prevedibile
si volse intorno le mani sulle gambe
dalla finestra un angelo s’arrese
chinò la testa
e scese
OPENCLOSED
il campo ha un suono scuro che rintocca
con un colpo al di sotto delle palpebre
si cercano spiragli in questa vita
luci di sbieco
in un groppo alla gola c’è una nube
nel tuo sguardo la faccia della luna
la notte ha mani bianche che si sfanno
in grappoli di luci intermittenti
che sembrano parlare ma non sanno
quello che dicono
vorrei baciarti sotto questa buccia
di mela che rimane
ma di tutte
le perle che ora cadono
dall’orlo di quel freddo sei svanita
come una dea di latta
arrugginita
ARTE POETICA
lo scantinato e il muro l’esistenza
d’un’altra sede
un seggio d’oca piuma di poeta
l’indice fisso contro l’alfabeto
in cerca d’ogni lettera
che pronunciasse morte o resistenza
rifiuto d’ombra misera coscienza
di volere o d’agire
un dio dei fiori sorto a primavera
dal nulla sillabò vocali in corso
ancora intonse curve sulla carta
di fiamma breve forse:
perché nel freddo infranse
il vizio antico il cuore di violenza
d’empia sorella morte
la sua giornata piena d’ogni senza
nome per nome vittime del tempo
i fiori finti stendono colori
su cimiteri d’acqua
il resto è fuori
ma è l’umor nero l’orlo che si sfibra
l’urlo del vero che riemerge a stento
NOMEN OMEN
facile dire l’oltre nominare
sentire gocce contro la tua pelle
e dichiarare: è pioggia
oppure fare finta di partire
e dire: è fuga
che non esista un ultimo ricordo
e che la terra autonoma decida
il nome e il fatto e il fato di quell’acqua
e il rovinare sordo delle scarpe
lo stesso schianto turgido del bacio
che nella sera nutre il destinato
nome l’esoso nume del rapporto
il tuo calore il corpo che si placa
l’acqua e la pioggia l’umida incavata
risuona appena l’unico barlume
LIGHTNESS
la sera brucia l’ultimo passaggio di questa nuvola
del vento accende fulmini di ghiaccio come profili
d’acqua lontana d’ombra diluita scruta i percorsi
e il caso aggiunge il gesto del nascondere
del ricadere istante dopo istante
nel sonno verde d’albero frusciante
di foglia in corsa sempre verso terra
se il ballo lento immobile del bosco
volteggia nel silenzio
in un accordo nobile del fato
si spezzi il tempo s’alzi lo stendardo
dell’equilibrio incerto nel morire
che a filo cede cade lievemente
la sabbia della storia il suo sottile
peso
FRAMMENTO
……………………..
alberi molli tuorli d’altre vite
come su legni in croci vegetali
frecce di tempo voci
corpi pendenti d’umili natali
il come il quando
sfumano
veloci
elì elì
lema sabactani
…………………………
ORDINAZIONE
l’ultimo che aspetta, la cascata
di luce e il calendario dei suoi dolori,
il paradosso che esista un Dio
nonostante lo svanire, la preghiera
di terra: oscurità magnifica
raccolta per marcire, consacrata
alla polvere amara dell’incenso,
alla bruma che sale, diafana,
nel vuoto.
ETÁIRE
non sei così pesante da volare:
sembrava delicata la tua voce
che si cambiò in uccello per sottrarsi
al Dio dei passi inutili.
la fuga ti tentava, alla radice azzurra
si scava la fede del compagno
spina che diventa fiore
come l’occhio del triangolo
quando la perfezione dell’essere felici
è il più assoluto nulla.
***
le pietre sono ai piedi degli astanti
rinchiusi nella torre.
si lanciano in difesa
gli operai della pena, con scalpelli affilati di paura.
all’alba c’è un anticipo sui versi, anche se è il sole
la Musa divina che trascrive, leggera,
le pagine incompiute
(Queste poesie sono già apparse in “Liberinversi” di Massimo Orgiazzi)
(Foto: Domenico Ghirlandaio, l’Annunciazione)
Bravo Fabrizio ! Poesie ottime e, anche se già note, sempre ottime anche da rileggere.
M.
Ciao Fabry,
leggendo questi bellissimi versi mi sono andato a rivedere un testo di Sigmund Freud che narra di una passeggiata in compagnia di un amico e un poeta. Questi «ammirava la bellezza della natura intorno a noi ma non ne traeva gioia. Lo turbava il pensiero che tutta quella bellezza era destinata a perire , che col sopraggiungere dell’inverno sarebbe scomparsa: come del resto ogni bellezza umana, come tutto ciò che di bello e nobile gli uomini hanno creato o potranno creare. Tutto ciò che egli avrebbe altrimenti amato e ammirato gli sembrava svilito dalla caducità cui era destinato».
ln particolar modo il tuo frammento mi ha ricondotto alla provvisorietà della natura (legni in croci vegetali) sposato a quei corpi (il come il quando sfumano veloci) “ in un accordo nobile del fato”. Il percorso del poeta fa i conti con un “presente” difficile in cui il confronto con la parola della fede si contrappone “all’insensato silenzio delle stelle, come in sogno…”
Un caro saluto
Marco
kai o logos sarx egeneto… abbiamo bisogno di parole di carne, che non temano il senso e la ricerca di senso; abbiamo bisogno di una poesia non facile eppure capace di dirsi nel suo donarsi. e per questo dono non possiamo che esserti, fabrizio, infinitamente grati.
un abbraccio, elena f.
Centofanti cattura il reale, poi lo trasfigura e ce lo restituisce sotto forma di incubo, sogno. un reale dilatato ma ben rappresentato, al punto che fa male, colpisce nel segno, nel cuore, nell’animo. lo spazio e il tempo sono dilatati come negli orologi molli di dalì, come nella pittura surreale. insomma Fabrizio, ciao e bravo! antonella
Leggo in questi versi di Fabrizio la più splendida speranza e il più umano, acuto, fraterno dolore: il volto dell’altro e il pianto delle radici: l’impossibilità delle parole a esprimere la compiuta epifania di un desiderio che si fa assenza per riconoscersi e leggersi in altre forme. E questo, forse, è il luogo della poesia, qualunque cosa essa sia: “un frammento di durata” che si specchia nel volto delle cose e, in comunione di distanze, si offre all’eterno perché lo consumi e ne restituisca la traccia più vera.
“Osip” è “uno spazio colmato”: un grumo di memoria dove luce ed ombra ridisegnano ad ogni sillaba il profilo segreto del vivente.
Una grande voce: fuori da ogni logica, etichetta, schema, scuola: poesia “umile ed elementare”, pur nella sapiente e coltissima cornice in cui declina i suoi codici e il suo alfabeto.
fm
ero a cena fuori, stasera: famiglia di parrocchiani. a un certo punto, telefonata d’emergenza. solita visita dei ladri (come sempre, tutto per aria, ma niente da rubare). stavolta, però, hanno sfondato il tabernacolo. ognuno cerca qualcosa, nella vita. qualcuno trova.Massimo, Marco, Elena, Antonella, Francesco:ho trovato voi, in questa sera di violenza bestiale. che desiderare di più?
grazie
fabry
Fabrizio riesce a colmare i vuoti della carne, la sua è poesia che segue una lunga meditazione interiore. Sono contento di ritrovarlo anche in queste pagine. D’accordo o no con la posizione da credente che professa e di cui è sacerdote, la sua scrittura lascia spazio a un oltre che, infine, non può che darci speranza… perché pur misera cosa sarebbe che il tutto iniziasse e finisse qui. Ma penso che già la poesia in sé sia una possibilità di scoperta, o, anche solo, un rimettersi a pensare e, soprattutto, a sentire. Altro non dico perché con lui a fianco sono già sceso in campo in altre stanze, e il tutto potrebbe sembrare una riunione di famiglia per il cenone di Natale :-) Cmq una simpatica e interessante intruppata in queste pagine… volti di un’umanità diversa che convergono: preti, anarchici, atei, seguaci del Dolce Amore, scientisti, soldati, donne di valore, mercanti di allodole al pari mio, attori, artisti, di vario spessore e disciplina, gente attenta, gente che si spende ancora – un astroporto – un nuovo corso per NI. Ne sono felice. Nel vero un riconciliarsi fra tribù, si spera per liberare ‘sta benedetta ‘nazione’ dall’uomo bianco e riconsegnarla ai leggittimi proprietari.
Ovviamente legittimi… ma la tastiera scricchiola.
Ho commentato ‘pari’ a Fabrizio. Mi dispiace molto per il vandalismo, ma sei prete di frontiera (del resto anche qui si è sulla/in frontiera) e certe sorprese so che rientrano nel tuo bagaglio professionale e in ciò che ti sei scelto, in particolare là dove eserciti… e so che hai avuto sorprese anche peggiori di questa, quindi so che ti rialzerai più forte di prima. Un abbraccio… e aggiusta il confessionale.
E’ un piacere poter leggere queste poesie di Fabrizio: in cui vi è dentro meditazione, stati d’animo, cronaca, richiami storici e letterari, che si susseguono su ali forti, sul respiro calmo, regolare d’un ritmo e d’una musica sapienti (vedasi, in particolare, nomen omen); a cui bisogna abbanbonarsi – anche solo ad essi – con fiducia, certi d’una gratifica.
Una poesia sicura, quella di Fabrizio, capace d’affrontare, mi sembra, qualunque sfida tematica.
Mi sono molto piaciute, senza nulla togliere alle altre, II (splendida!), Annunciazione, Openclosed. E le loro chiusure – ultimi cinque, sei versi – veri e propri dardi, a suggellare.
Giovanni Nuscis
grazie, Gian Ruggero: sì, sorprese peggiori di questa, più che bruciarmi il parroco non potevano fare. ma. come dici, c’è un oltre, e ci fa passare, perfino, attraverso il fuoco.
e grazie a Giovanni: la tua sensibilità si sposa singolarmente con la consuetudine giuridica, in un impasto che mi ricorda il grande Satta, anche lui della tua splendida terra.
un caro saluto
fabry
Assomiglia, la poesia che più amiamo, alla profanazione del tabernacolo che ha subito la chiesa di Fabrizio. Più ci spingiamo avanti nella nostra ricerca più siamo colti dall’angoscioso dubbio di aver detto e fatto qualcosa di non consentito, e di terribile. Ma il sacrificio è necessario, anche se ne sarà chiesto conto, e non importa che chi lo compie abbia o meno i titoli per compierlo; anzi, in un mondo tutto rivolto altrove sarà forse l’empio a compiere ciò che si deve. Alla fine tutti avranno le mani sporche del sangue del fanciullo, anche se per motivi diversi; e saranno proprio quei motivi diversi a fare la differenza.
Ma alla fine forse ci sarà anche per noi un Padre che dirà ai gendarmi venuti ad arrestarci per aver rubato i candelabri d’argento che lui, quei candelabri, ce li aveva donati.
Caro Fabry, sono accorso a leggere, vecchie e nuove. Di te e della tua poesia ho già scritto qualcosa (ma ce ne sarebbe da dire) sul mio blog e su liberinversi, come sai. Cerco sempre di dare qualche motivazione, come posso, alla stima, al di là di un mero piacere di leggere i tuoi testi. In questo caso la compattezza stilistica raggiunta che ti permette di sublimare il dolore, il dubbio, la pulsione e di pattugliare con la parola quella linea di confine tra immanente e trascendente, tra sacro e profano, tra cielo e terra di cui abbiamo già parlato…
un caro saluto
Giacomo
P.S. Tre poesie mie da Ceccarini, testo e audio.Dimmi che ne pensi…
nelle poesie di fabrizio c’è una doppia voce, aria che si piega sulla terra e nella quale la nostra piccolezza e provvisorietà sono rese grandi da un eco orizzontale – come se fosse il cielo a piegarsi ad avvolgerci nel suo tempo più grande e non noi a sollevarci da terra
c’è manodopera, lavoro di calce e di pesi, è una scrittura un richiamo degli uomini che tira dio a terra e lo insinua tra gli oggetti del mondo piuttosto che lanciare i propri oggetti verso le altezze stremate della invocazione mistica
e questa umanità concreta del corpo tocca e strattona anche il ben più modesto invisibile di chi legge
con un abbraccio a tutti i passeggeri!
maria grazia
Roberto e Giacomo, vi ringrazio. l’immagine della profanazione è potente. e vera. la compattezza è un fuoco condensato, da cui la voce vorrebbe uscire purificata.
cercherò di sistemare le casse, per ascoltare: la camera è talmente piccola che rischiano di non starci. sembra fatto apposta per far disperare il Ceccarini, ma è la nuda verità.
un abbraccio a voi
fabrizio
Maria Grazia, hai toccato il punto.
grazie.
fabrizio
Caro Fabrizio io dispero quando sento/leggo certe notizie, ma come dice il buon manzoni sei un prete/uomo di frontiera e a ciò ahimè sei abituato. abituato alla costante violenza, immoralità. io intanto mi appresto a rileggere i tuoi testi sempre incredibilmente emozionanti, come nuovi.
da me è tutto pronto. attendo un tuo cenno, male che va, avrai un invito da un non parrocchiano ad ascoltare la messa a punto del tuo lavoro (vitto compreso)
un abbraccio,
Roberto
grazie per la pazienza e per il resto, Roberto. domani dovrei farcela.
un abbraccio
fabry
È forza semantica che sprigiona dai versi…
L’incipit di Openclosed:
Il campo ha un suono scuro che rintocca
con un colpo al di sotto delle palpebre
si cercano spiragli in questa vita
luci di sbieco.
Sono versi penetranti, densi di significato, a volte crudi nel mostrarci la realtà, ma necessari per porci di fronte ad essa, per prenderne coscienza.
A volte sono versi introspettivi, che rivelano un certo pessimismo, quel dubbio che ci insinua un desiderio, che è quello di “cercare”, nel attraversato come nell’ risposte profondamente esistenziali. Vedi i versi di “Arte poetica”: ma è l’umor nero l’orlo che si sfibra/l’urlo del vero che riemerge a stento. Vedi “Frammento”.
È un grande sguardo questo di Fabrizio, sgorga dalla vita, così profondamente lucido e presente, forte e consapevole. Una lettura interessante, che ci induce a riflettere.
Un caro saluto
carla
mi scuso per la lunghezza, ma devo riscrivere un pezzetto che è rimasto tagliato:
Dietro quella porta. Il luogo è sacro nudo nella polvere.
A volte sono versi introspettivi, che rivelano un certo pessimismo, quel dubbio che ci insinua un desiderio, che è quello di “cercare”, nel dolore attraversato come nell’ insensato silenzio delle stelle risposte profondamente esistenziali.
a presto e un saluto a tutti.
carla
Mi intrufolo in questa bella conversazione con un po’ di amarezza perchè stamattina leggo di un’altra profanazione, questa ai danni dell’affresco trecentesco dell’Ara Coeli: il volto di Cristo imbrattato da feci… Profano… “che sta fuori del recinto sacro”… La poesia di Fabrizio fa resistenza alla profanazione, ci riconduce entro il sacro recinto, tenta di smerigliare la “paura sottostante”, di farne speranza e fede qui tra i nostri tanti mali e inquietudini e dubbi. Giusto Maria Grazia, orizzontale è l’eco che risuona nelle poesie di Fabrizio e il cielo sembra piegarsi ma se lo vogliamo accogliere questo cielo dobbiamo almeno tendergli la mano, almeno rivolgergli lo sguardo e nella poesia di Fabrizio questo sguardo è presente e penetrante. Il fare poesia di Fabrizio è nel furore che travaglia la cima dell’albero, mentre le radici, sotto, nel buio e nel silenzio, nel raccoglimento che nutre tutto l’albero stanno ben salde … Grazie. Un saluto a tutti, Lucianna.
Sempre un piacere leggere le poesie di Fabry. Apprezzo l’intensità dei versi e la tensione che non viene mai meno. Poesie con una giusta mesotes tra forma e contenuto, mai banali nè artificiosi.
Un saluto a tutti!
grazie, Carla: sì, una durezza necessaria, a volte. ma dalla durezza del crescere “sboccia” qualcosa, come dice Sannelli, prezioso amico.
grazie, Lucianna, per aver intravisto quelle radici. le uniche che ci salvano dalla profanazione della vita, del suo volto santo.
un abbraccio
fabry
grazie, Luca.
salutami la tua cara città.
fabry
Caro Fabrizio, sempre leggedoti ritrovo un sentire che s’incarna in fare, in essere e lì si radica, profonda a illuminare regioni sottostanti, doppi piani…sempre alla ricerca siamo…un abbraccio a te e un saluto a tutti
grazie, Rita. parola ed essere, sì, è il nodo che mi interessa di più.
un abbraccio
fabry
cambio indirizzo. si ritorna al formato blog, causa lentezza del sito.
fabrizio