Com’è livido il mare di Véronique Olmi
di Andrea Bajani
Una donna raccoglie i suoi due bambini sull’ultima corriera della sera, verso il mare. Loro si chiamano Kevin e Stan, cinque anni il primo, nove l’altro, e non hanno mai visto il mare. Lei li carica su come fossero l’ultimo bagaglio. La pioggia batte i finestrini del pullman, l’angoscia le strozza il respiro e lei sa già a che cosa stanno andando incontro. In riva al mare, di Véronique Olmi, è un romanzo di una bellezza e di un dolore struggenti, una folgorante discesa nel buio.
La prima volta che ho letto In riva al mare si intitolava ancora Bord de mer. Era il 2002, e stavo tornando in treno da Lione, dopo una trasferta partita un po’ scassona in furgone al seguito di una compagnia di teatro ragazzi. Il ritorno me l’ero fatto in treno, per evitare l’ipnosi di un’ennesima replica di uno spettacolo in cui due attrici italiane maltrattavano il francese e raccoglievano applausi. Avevo raccolto i miei stracci ed ero salito sul treno per Torino. Per una volta avevo evitato la bulimia degli acquisti sconsiderati e tenuto a bada l’autoconvinzione, puntualmente negata dai fatti, che i libri stranieri, solo in lingua originale. Così avevo comprato solo questo Bord de mer, un libretto smilzo pubblicato da Actes Sud nel 2001.
Salito sul treno l’ho sfilato dallo zaino e ho cominciato a leggerlo. E dopo poche pagine sono sprofondato in una lettura così forte come da anni non mi capitava di fare, in cui l’angoscia e la bellezza erano un’unica trama, e la pioggia che batte quasi tutte le pagine era una disperazione livida e al tempo stesso l’espressione di una grazia finale. La discesa verso il mare, e poi verso il baratro, di questa famiglia composta soltanto di una madre e di due bambini al seguito mi aveva lasciato senza fiato. La grandezza fatale di questa donna che annaspa nel fango di una città in cui è inequivocabilmente straniera è tragica. Il suo accanimento nel dimostrare ai suoi figli che una via per la felicità è possibile ha la disperazione di chi non accetta l’inevitabile, del gesto dell’impotente che si accanisce sul corpo di una donna. La disperazione della Rosetta o de Il figlio dei fratelli Dardenne, delle Risorse umane di Cantet, della Trilogia della città di k. di Agota Kristof.
L’ho riletto oggi nella traduzione italiana, appena uscita da Einaudi. E a due anni dalla prima lettura è stata la conferma della grandezza di questo romanzo così impietoso, che voglio salutare nel suo approdo italiano come un evento importante, come l’arrivo di uno tra i romanzi più intensi degli ultimi anni. In Francia è stato seguito dalla pubblicazione di Numero six e di Un si bel avenir. In Italia staremo a vedere.
Ringrazio per la dritta. Il libro per chi è così disgraziato da poterlo sentire in pieno fa molto male, ma trattasi di verità e bellezza spietata. L’ho letto in una notte, tre notti fa, e ancora non mi si stacca. Bellissimo.
A.